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Infanti della patria # 2

di Sergio Baratto

AllBlack.jpgServi dei servi, come recitano certi slogan un po’ muffi. Ma è proprio così. Servi delle multinazionali. Servi del peggior governo americano dai tempi di Nixon, impelagati in un’impresa guerresca che nulla ha a che fare con la lotta al terrorismo, ma promette di trasformarsi in una catastrofe di dimensioni storiche.

Quassù nel mondo dello sviluppo sostenibile e delle riviste maschili pare valga ancora la vecchia regola: “di quello che succede intorno che ci frega?”. Intanto però nelle nostre città comincia a bruciarci il culo, saliamo su treni e metropolitana con una mano sul giornale (gratuito) e una sui coglioni. Lo sguardo corre alle pagine dello sport. Alla tele: la Fattoria, il Grande Fratello: “hai visto quella troia di …?”. I più furbi dicono: “io guardo Mai dire grande fratello”.

E ci vogliono più patriottici. L’altr’anno mi è arrivato a casa – non so più in allegato a cosa – un cd con l’inno di Mameli. In copertina, una tettona vestita di rosso. Nel mio cortile qualcuno l’ha messo sul lettore. Ci ha cantato sopra: “Fratelli d’Italia, l’Italia se desta…”. “Se desta”, cantato proprio così, tutto attaccato e con un vago accento da centurione.

I nostri ragazzi laggiù sparano, ammazzano e vengono ammazzati. Ma guarda: nel XXI secolo ai soldati dei paesi democratici può ancora succedere di morire e – addirittura! – di dare la morte.
Nel fragore generale, il presidente del consiglio e i suoi ministri dicono “Resteremo là finché sarà necessario”. Passano come rulli compressori sopra opinione pubblica, regole democratiche e parlamento? Sai che novità… Il n.1, poi, è sempre eccezionale: “Non possiamo cedere a una milizia armata che fa parte di una setta religiosa il cui capo è considerato una persona pericolosa”. Da chi? Dal padrone.

Il padrone, dal canto suo, si dà da fare: in queste ore Falluja è assediata, i morti costellano le strade, le autorità locali chiedono (ah ah ah!) che le Nazioni Unite condannino l’operazione delle truppe statunitensi. Gli americani sono disposti a una tregua solo se la troupe di Al Jazeera lascerà la città. Non vogliono testimoni? Non hanno nemmeno il coraggio di fare il lavoro sporco alla luce del sole? Cos’è: cattiva coscienza? Civiltà significa commettere una porcata vergognandosene?
Tutto questo è indegno, ignominioso.
Rabbia e schifo. Non so gli altri, ma io ho una gran voglia di gridare.

1. “Bravaggènte”: la buona, antica tradizione italiana

«La popolazione è entusiasta dei nostri medici militari che si prodigano per tutti e fanno fuggire gli spiriti maligni, così dicono loro, dal corpo. Si istituiscono scuole e asili infantili nei maggiori centri. Grande sviluppo viene dato alle organizzazioni giovanili approfittando della predilezione dei giovanetti per gli esercizi ginnastici, sportivi e militari.» (L’Impero d’Italia, 1938)

2. Una missione accattivante

«Eppure era cominciata nel modo più accattivante la nostra partecipazione alla missione Antica Babilonia. (…) si confermarono subito “brava gente”, i nostri soldati inviati sulle rive di questa città dell’Eufrate famosa per i datteri, con il compito di “garantire quella cornice di sicurezza essenziale per un aiuto effettivo e serio al popolo iracheno…”.
Soldati, avieri e carabinieri ricostruirono scuole, regalarono centinaia di zainetti, riportarono l’acqua corrente, l’elettricità, il gas.» (“Il Corriere della Sera”, mercoledì 7 aprile 2004)

3. Acqua corrente

«Ma anche il vicepresidente americano non potrà tornare a casa senza aver fatto significative concessioni.
Da “businessman a businessman”, come dicono a Palazzo Chigi (Cheney cenerà con Berlusconi venerdì sera), vicepresidente americano e premier italiano discuteranno la partecipazione delle aziende italiane, dall’Eni alla Finmeccanica, alla Telecom, ai progetti di ricostruzione in Iraq.
Fra l’altro l’amministrazione Usa ha assegnato proprio a un rappresentante italiano l’incarico di viceresponsabile del cosiddetto Program management office, la struttura guidata a Baghdad dall’ammiraglio David Nash e competente per la gestione dei contratti nell’Iraq liberato.
Il governo ha scelto per la difficile missione Lino Cardarelli, uno dei più affermati manager con esperienze internazionali.» (“Panorama”, 26 gennaio 2004)

«”Il Carda”, come lo chiamavano in Montedison, dove era allo stesso tempo il cervello e il braccio finanziario di Mario Schimberni, ha un curriculum da manager internazionale alto come un elenco del telefono.
In Iraq Cardarelli, che ultimamente era consigliere economico del ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, è arrivato su invito del governo americano. “Mi hanno chiesto di fare da consulente per la ristrutturazione del ministero delle Acque. Ho accettato e cominciato a lavorare a un piano di privatizzazione del settore”. In pratica si tratta di portare sul mercato 18 società, che si occupano della costruzione e della manutenzione delle dighe, del drenaggio dei canali e dei bacini, della distribuzione idrica. «Sono giuridicamente delle Soe, che sta per State owned enterprises, le nostre partecipazioni statali. In Iraq le società di questo tipo sono 220. L’obiettivo del Cpa [Coalition Provisional Authority] è arrivare a una privatizzazione integrale» (“Panorama”, 5 dicembre 2003)

4. Sono stati loro…

«Il colonnello Perrone esclude che fra le vittime causate dalle armi degli italiani ci siano “bambini o donne, perché i nostri hanno sparato solo contro gli aggressori”. (…) Di sicuro una bambina di otto anni è morta mentre si trovava in casa. La sua abitazione è stata colpita da un proiettile di mortaio. Ed è molto probabile che il colpo non sia partito dal settore degli italiani. Potrebbero averlo sparato gli estremisti sciiti. La conferma che essi dispongono di quel tipo di armi viene da Sayyed Ryad, un ventunenne che guida a Nassiriya un reparto dell’esercito privato dello sceicco Moqtada al Sadr (…). Perciò è verosimile che la bambina morta in casa sia rimasta vittima di un colpo di mortaio degli stessi miliziani» (“Il Corriere della Sera”, 7 aprile 2004)

5. …Forse…

«I nostri bersaglieri hanno usato anche i cannoni. Bocche di fuoco da 105 millimetri che hanno tirato giù persino una palazzina. I morti sono almeno 25. Lo conferma il medico del pronto soccorso dell’ospedale. Ma le voci raccolte sul posto da numerosi testimoni parlano di 40, forse 50 vittime. “Nessuno è in grado di dirlo”, ci dice al telefono il maggior generale Francesco Paolo Spagnuolo.» (“La Repubblica”, 8 aprile 2004)

6. …Non si sa

«“[I cecchini] si erano piazzati dentro una palazzina che sorgeva sulla sponda opposta del fiume. Sparavano di tutto. Raffiche di armi automatiche ma soprattutto razzi. Dalle finestre e dal tetto. Eravamo veramente in difficoltà. (…) Quel fuoco andava annientato”. (…) La selva di cannonate ha messo a tacere il gruppo di miliziani. Non si sa quanti sono rimasti sotto le macerie e soprattutto se la palazzina fosse abitata anche da iracheni civili. Forse all’interno c’era anche quella famiglia che ha perso una mamma e sua figlia. Difficile dirlo. Non lo sa neanche il generale Spagnuolo. “Non avevamo scelta”, continua a ripetere.» (“La Repubblica”, 8 aprile 2004)

6. Oil-keeping mission, ovvero: se l’ospedale italiano è a Baghdad, perché i soldati italiani sono a Nassiriya?

«Roma, 30 mag. – L’ENI è “molto interessata” alla possibilità di entrare in Iraq, secondo paese al mondo per importanza di riserve petrolifere. Al momento, però, il quadro complessivo non è ancora sufficientemente chiaro e il gruppo, per ora, preferisce “seguire giorno per giorno il divenire, pronto a cogliere quelle occasioni che ci consentano poi di lavorare con gli irakeni”. Lo ha detto il numero uno del gruppo, Vittorio Mincato, all’assemblea annuale, rispondendo alla domanda degli azionisti sull’interesse della società per il petrolio iracheno.» (Adnkronos, 30 maggio 2003)

«Da tempo l’ENI ha gli occhi sui campi petroliferi di Nassiriya. All’ENI quel giacimento da 300mila barili al giorno e con riserve tra i 2 e i 2,6 miliardi di barili interessa dai tempi del regime di Saddam, ma dopo la guerra l’azienda italiana ha riaperto il negoziato con gli americani di Paul Bremer e con il ministero del Petrolio irakeno. A giugno una delegazione dell’ENI si è recata a Baghdad a bordo di un aereo militare italiano per discutere nei dettagli.» (“Il Sole 24 Ore”, 13 novembre 2003)

7. Canons d’amour

Dicono che andarsene via adesso sarebbe una decisione irresponsabile e disastrosa. Ma cosa fanno veramente, di sostanziale, le truppe italiane? Pattugliano la zona. L’obiettivo è di mantenere il controllo del territorio, al fine – come si è detto all’inizio – di “garantire quella cornice di sicurezza essenziale per un aiuto effettivo e serio al popolo iracheno…”.
L’obiettivo è proteggere i civili.
Se necessario, per mantenere tale obiettivo, si è costretti all’uso della forza.
Se si usa la forza, può darsi che dei civili vengano ammazzati.
Che muoiano sotto i nostri colpi con la consapevolezza che, obiettivamente, è per il loro bene.

8. Punti di vista

Ancora dal “Corriere” del 7 aprile.
Gli ayatollah collaborativi? “Autorità religiose locali”. I loro uomini sono “gli uomini di…”. Alì Al Sistani: “Il saggio ayatollah”.
Gli ayatollah non collaborativi? “folli fanatici e boss della criminalità”. I loro uomini sono “l’esercito privato di…”. Moqtada Al Sadr: “il giovane arrogante”.
Punti di vista.

9. L’uso delle parole

La famiglia “ha perso” una mamma e sua figlia. A casa mia si dice “morire ammazzati” (ma siccome a casa mia si dice anche “carta da culo” al posto di “carta igienica”, magari la colpa è mia, della mia indelicatezza).
Il ventunenne Sayyed Ryad, nientemeno. Quando si dice l’autorevolezza delle fonti.
L’esercito privato dello sceicco. Ah, fellone! Usa i miliziani privati! Don Rodrigo! Quelli occidentali si chiamano “Military Professional Resources” e sono quotati in borsa, vuoi mettere? Non c’è paragone.

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5 Commenti

  1. Dice Baratto:
    Lo sguardo corre alle pagine dello sport. Alla tele: la Fattoria, il Grande Fratello: “hai visto quella troia di …?”. I più furbi dicono: “io guardo Mai dire grande fratello”.
    Dico io:
    I più furbi ancora, quelli chic, dicono: “io guardo l’ultima polemica su Nazione Indiana, le ultime porcherie che si sono detti”.
    E’ la stessa roba: NAZIONE, GRANDE FRATELLO, FATTORIA… possibile che nessuno se ne accorga?

  2. Mai pensato che le faccende siano più complicate di così e che non basti scrivere molto e di tante cose insieme per dimostrare di aver afferrato anche un solo barlume di verità? SOlo interess’ Mah! Solo scelte sbagliate di tutti i responsabili? Bah! E, comunque, carta igienica è la dizione esatta! ;-)

  3. Ci sono due modi di riferirsi alla “complessità” dei fenomeni. Il primo dice: tutto è più complesso di quanto tu creda, quindi non farne niente (non occupartene, non criticare, torna ad occuparti di cose secondarie). In genere chi utilizza la complessità per questo scopo scoraggiante e acquietante, non tenta mai di aggiungere nuovi, anche se parziali elementi di comprensione. Si rifà alla versione “ufficiale” e null’altro. Il secondo modo di riferirsi alla complessità dice: tutto è più complesso di quanto tu creda, quindi dobbiamo discuterne ancora, ricercare ancora, considerare alternative, ecc.

    Così come ci sono due modi di considerare il proprio rapporto alla democrazia. Il primo dice: la democrazia è la libertà di occuparsi di aspetti secondari della propria vita, lasciando in mano ai governanti gli aspetti principali di essa. E l’atteggiamento del bambino: I colori del maglione li scelgo io, ma è papà che sceglie quando devo indossarlo. Il secondo modo dice: la democrazia non è una delega in bianco, quindi il cittadino vuole fino all’ultimo rendersi responsabile delle decisioni che riguardano il proprio destino. Ciò significa, banalmente, voler avere voce in capitolo sul modo in cui vengono spesi i soldi pubblici. In questo caso non c’è papà e bambino, ma due adulti con funzioni diverse. E uno potrà essere anche guidatore, ma mi è consentito “parlargli” e “disturbarlo” se ne va del mio destino di passeggero.

    Qualche giorno fa, sull’autobus che collega Malpensa alla Stazione Centrale, il conduttore guidava in piena notte trastullandosi con il suo cellulare. Gomiti poggiati al volante, digitava intento, scrutando la lunettina dello schermo. Senza alcun imbarazzo, mi sono alzato e gli ho ricordato che in quel momento aveva la responsabilità di tutti i passeggeri e che quindi era necessario che lo rimettesse in tasca il suo cellulare. Non era contento della mia osservazione, ma non si è sognato di dirmi: stia zitto che sono cose che non la riguardano. E non era neppure un uomo di buon senso…

  4. Dimenticavo di ringraziare Sergio Baratto, che per altro non conosco personalmente. Lo ringrazio, perché anch’io ho “voglia di gridare”, ma lui ha fatto di più e di meglio di gridare. Ha fatto il lavoro comparativo, quello che ha permesso a Chomsky di analizzare la “fabbrica del consenso dei media”. Si tratta di un campione piccolo, ma già qui c’è tutta la sostanza del metodo critico per saggiare il tenore delle nostre informazioni e la complessità del reale.
    E ringrazio Sergio Baratto perché si è preso il tempo per scrivere questo pezzo, mettendo in comune con altri alcune informazioni importanti sul coinvolgimento in Iraq voluto dal governo italiano.

  5. Sacrosanto il rilievo di Inglese sui due atteggiamenti possibili di fronte alla complessità dei fenomeni. Da non dimenticare però anche i guasti che possono derivare da analisi non professionali. Come, ad esempio, proprio quelle allestite dai media (di governo e di opposizione). Molto spesso non basta una analisi con metodo critico per dipanare la matassa degli opposti interessi politici.
    Detto questo, ammiro il desiderio di entrare nel problema, discutere, trovare alternative, ma ho paura che in materia di politica estera resti velleitario. Soprattutto quando non si ha a che fare con un singolo autista imbecille, ma con una realtà che coinvolge milioni di persone, frustrazioni, religioni, culture, interessi, terrorismo, ecc.

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