Sei troppo vecchio. Hai 33 anni…

di Francesco Dezio

FABBRICA.jpg Ho tempo. Ho tutto il tempo che voglio. Sono tornato disoccupato. E domani ho un colloquio di lavoro. Staremo a vedere. Mettiamo sempre le mani avanti…Per farla breve io e il tipo ci siamo mandati reciprocamente affanculo stamattina, e tu hai trentatreanni sei vecchio (veeecchio, veeecchio) e qui bisogna trottare e quello che mi produci tu in due giorni io lo faccio in un’ora e qui c’è gente che bussa alla mia porta – E accogli chi vuoi, – gli dico, – chiama chi ti pare, l’importante è che sei contento.
E tu lavori con lentezza e poi te ne vai in giro – (allude a quelle uniche due uscite che ho fatto per presentare il libro) ma non potevo non dirglielo, non ho resistito all’impulso: gli ho dato dello sfruttatore. Poi a me il conflitto piace, perché fa saltare tutti i nodi al pettine.

I trozzoli grossi così tiene, quel cornuto. Sei proprio come tutti gli altri del paese, contento? Gliel’ho detto nudo e crudo quello che è, eh-beh, che si credeva… Faccio per andarmene.
Aspetta dove vai, devo dirti st’altra cosa.– E che mi devi dire?
Devo dirti che ci ho pensato.– E che cosa hai pensato?
Ho pensato che è meglio che non vieni più.
E questo l’avevo capito non c’è bisogno che spieghi oltre abbiamo capito come siete fatti voi imprenditori vi conosco bene cioè tu mi tieni due mesi a lavorare gratis e non ti dico niente e devo ricordarti che tra me e te non abbiamo stabilito alcun contratto di lavoro e quindi può tranquillamente succedere che una mattina sta che tu ti alzi col ciuffo alla rovescia e mi mandi male mi mandi a casa fino ad ora non mi hai pagato…
… Ma non ti ho pagato perché tu dovevi fare esperienza e poi non mi è piaciuta la reazione che hai avuto la settimana scorsa quando ti ho proposto la cosa (di venire a lavorare altri sei mesi in nero, pagato duececento euro)
Mi sa che dura troppo questa esperienza (e poi, aggiungo in seconda battuta: quale reazione, non ti ho detto niente, mi sono stato zitto zitto, che dovevo dire quando tu mi hai detto che c’erano altri sei mesi “di prova”eh?, mi veniva solo da piangere) …
Se io ti do questo (sbatte la tavola da disegno sul tavolo) eh, questo mica tu lo sai fare? E allora. Quello che ti chiedevo era di fare altri cinque o sei mesi di prova
Ma che razza di prova è – dico io – se tu non mi garantisci niente dopo questo percorso cosa si fa? Tu non mi sai dire se mi prendi a collaborare a formazione non lo sai neanche tu cosa vuoi fare di me.
Ah, chi l’ha detto potrei anche offrirti 1000 euro.
Non chiedo tanto.
Ti potrei dare 1000 euro ma mi devi rendere da 1000 euro.Pure una via di mezzo, – dico.
Mi so accontentare.
Ah ma vedi il contratto, la collaborazione può esserci come tra me e un C*** (il mio amico grafico freelance che sta su) che a lui gli telefono perdo quei cinque minuti a spiegare quello che deve fare e pam me lo fa, pago, e finisce lì (gesto con le mani paf paf paf: il senso è possiamo “impattare”, accomodare). Lui è uno che può pretendere i soldi può chiedere quello che crede tu non puoi pretendere niente un cazzo di niente…
Si va beh (indietreggio, con l’intenzione di uscire).- Sei troppo vecchio. Hai trentatrè anni. Tu ti svegli una mattina e scopri che vuoi tutte queste cose e vuoi questo e vuoi quest’altro… pretendi, giustamente, perché sei grande d’età… ma a me chi me lo fa fare a me di prenderti quando invece posso trovare un ragazzino uno che esce dalla scuola che me lo imparo come dico io (mano sul petto) e lo sottopago eh.
E tu questo devi fare, – dico, – questo devi fare, vedi che avevo ragione? Sei come tutti gli altri in questo paese di merda.Non so se aggiunge dell’altro. Esce dal mio campo visivo, me ne sto andando, esco dicendo: lo vedi che è come dicevo io – è proprio, proprio come dicevo io, esco senza salutare e chiudo la porta.

***E quando la porta si chiude so di tutte le cose di cui dovrò ancora fare a meno, so che ho ancora la testa appesa al collo, quello va bene, e so che sono di nuovo fuori, libero, a spasso. Sempre sbattuto fuori, non solo non pagato ma pure visto con sospetto da queste merde umane. Le premesse c’erano tutte, qualche giorno fa l’aveva buttata lì… “Che ne pensi di aprirti una partita Iva, di metterti a conto tuo?… sai, ci sono un sacco di belle leggi… lo stato aiuta quelli come te, disoccupati di lunga durata“… una solfa alla quale mi sono tristemente abituato. Quand’anche mi avesse tenuto con se avrei dovuto sgobbare come un mulo per farlo felice (ma non troppo) degli esborsi cui sarebbe tenuto a fine mese. Io non riesco a darmi un senso: sono anni che non compro un disco originale, che non vado a un concerto… per risparmiare su tutto. Sfrutto quel poco che ho per comprare qualche libro… mi basta questo. Ne ho bisogno per tenermi a galla come meglio posso. Non succede alcun miracolo: guardo in cielo e mi illudo che si spacchi di netto, che una luce mi illumini e smargini i contorni mi salvi o mi annienti del tutto, un santo o un supereroe. Vacillo come meglio posso in orizzontale, tra palazzoni stretti stretti, vago nella notte fino a che non vengo assorbito nuovamente dal traffico tentacolare, un polmone di lamiera che pulsa e che luccica.
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Tratto da “Liberazione”, 6 novembre 2004

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