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Commiato

di Antonio Moresco

notorious_16.jpgCari amici,

vi comunico la mia decisione di uscire da Nazione Indiana. Negli anni in cui ci siamo conosciuti e siamo stati insieme ci siamo sempre detti le cose con chiarezza. Per cui sento il bisogno anche adesso di esprimermi in modo libero e trasparente.

Quando alcuni di noi hanno messo al mondo attraverso il mezzo della rete questa piccola cosa dinamica, creativa e controcorrente nel panorama culturale di questi anni e delle sue strutture (che tendono ad atrofizzare e a rendere atomizzate e puramente funzionali le persone e le vite che si muovono al loro interno) si è cercato di prendere coscienza e di definire la natura dei nostri desideri e delle nostre aspettative. L’idea era di fare qualcosa che si muovesse nella dimensione del combattimento e del sogno, cioè di un movimento unico che tenesse indissolubilmente uniti dentro di sé sia il conflitto delle idee e l’aspirazione all’apertura di spazi che l’amore per l’oggetto e la cosa in sé, sia la responsabilità intellettuale radicale che l’incandescenza, l’intransigenza e l’integrità artistica e di conoscenza.

A parole si era tutti d’accordo. Ma quando poi si è trattato di tradurre le intenzioni in comportamenti coerenti (come è successo in occasione dell’iniziativa pubblica su quella che abbiamo chiamato “La restaurazione”) sono emerse differenze tali che non si può far finta di non vedere continuando come se niente fosse. Ciò che è avvenuto non è una semplice diversità di opinioni su qualcosa di marginale ma una spaccatura profonda su qualcosa di sostanziale che non si può ignorare né ricucire, come mi ero illuso si potesse fare durante l’ultima riunione di Nazione Indiana. Bisogna prendere atto che solo una parte di N.I. è disposta a esporsi e a condurre certe battaglie, mentre un’altra ha evidentemente aspirazioni diverse e un’altra ancora, di fronte ai passaggi più impegnativi e quando si tratta di allungare il passo, non partecipa e non dà segni di vita.

In una situazione come quella che si è venuta a creare non mi sembra lungimirante una piccola e grottesca lotta tra “buoni” e “cattivi” e tra le diverse “linee” emerse per suscitare o imporre una linea unica. Io almeno mi rifiuto di ridurre tutto ciò che ha portato alla nascita di Nazione Indiana a questo piccolo, rincoglionente e prevedibile gioco già visto troppe volte in passato, in ogni campo.

Se, nonostante la presenza di persone che dimostrano tenuta e coerenza, la possibilità di essere una minoranza creativa e incisiva viene erosa e paralizzata dall’interno, io non trovo più ragioni per stare in questa cosa che pure ho contribuito a mettere al mondo e alla quale avevo anche trovato il nome. E’ bello e arricchente mettersi assieme ad altri per fare qualcosa di più di quanto già stiamo cercando di fare da soli, non per fare di meno, per andare verso una moltiplicazione delle forze, non una sua divisione. Non mi pare accettabile, non è eticamente, spiritualmente, artisticamente difendibile e giusto mettersi nella prospettiva di passare i prossimi anni della propria vita in un logorante lavorio “politico” di ricucitura continua di rapporti dentro una logica sempre più sfilacciata e inerte. Io perlomeno non ci sto. Non serve a nessuno, ne va della nostra integrità di scrittori e di uomini. Il solco tra aspirazione iniziale e quadro realmente emerso negli ultimi tempi è diventato per me troppo profondo. E’ bastato doversi confrontare -per la prima volta- con qualcosa che ci esponeva personalmente nei confronti della macchina editoriale (ma anche che qualificava le ragioni della nostra esistenza nel mondo culturale ed editoriale di questi anni) per far emergere di colpo, in alcuni, tutte le paure, i blocchi, le inerzie, le logiche accomodanti, le ambiguità sotterranee, i freni, le sudditanze introiettate, il rifiuto di affrontare cose impegnative e battaglie difficili e persino, in alcuni casi, povertà d’animo, mediocrità, guerricciole ecc…

Noi -per nostra fortuna- abbiamo rifiutato fin dall’inizio di avere una struttura burocratica e di potere. Non esiste perciò una Direzione, una Redazione. Non esiste una “linea” da seguire e quindi l’istituzionalizzazione pietrificante di “custodi” della stessa. Non esiste l’orribile istituto dell’espulsione e della messa in minoranza. E’ una scelta che continuo a ritenere giusta. Perciò ognuno, come singola persona, è responsabile nei confronti delle proprie azioni, della propria vita e dei propri sogni. Se una cosa ti va bene, ci stai, altrimenti no. Se in un posto ti trovi bene ci stai, se non ti trovi più bene non chiedi agli altri di andarsene, te ne vai tu. Se una cosa ti fa andare avanti, vai avanti con quella, se no vai per un’altra strada senza rompere i coglioni a nessuno. Se rimani da solo, pazienza. Non è una cosa di cui vergognarsi. Se trovi degli altri con cui condividere i tuoi sogni e le tue aspirazioni, vai avanti con quelli e ti inventi qualcosa. Non vedo altro modo libero e pulito di andare.

Si va verso qualcosa, si tende a qualcosa, prima del nostro incontro e del nostro abbraccio con la morte. Se trovi, nella solitudine profonda e ultima che avvolge ogni vita, delle persone con cui cantare attorno al fuoco e camminare per un po’ nella notte, vai avanti con quelle come in un sogno inventandoti i sentieri di volta in volta. Ma ognuno può sempre andare liberamente per la sua strada. Senza recriminazioni, senza colpevolizzazioni, senza rancori, senza voler costringere nessuno a essere quello che evidentemente non è o ad andare dove non ha voglia di andare.

Qualche anno fa alcuni di noi hanno dato vita all’incontro da cui è nato il libro collettivo “Scrivere sul fronte occidentale”, che ha segnato una presenza reale e che quindi è stato accolto con incomprensioni, semplificazioni e ostilità profonde, come è costume tra la cosiddetta intellighentia del nostro paese, tanto più in questi anni. Poi c’è stata Nazione Indiana, un’ esperienza, nonostante tutto, più profonda e più ampia della precedente e che ha fatto emergere anche persone meravigliose, più integre e combattive, sia tra quelle più mature e sperimentate che tra quelle più giovani e meno compromesse, che si sono potute incontrare per l’esistenza di questa avventura in rete e che considero un privilegio e una grazia avere conosciuto. Tutta questa ricchezza e questa potenzialità -umana oltre che artistica e culturale- non deve logorarsi in un continuo sforzo di autoconservazione e autodifesa o venire dispersa, ma valorizzata ancora di più nel futuro, inventandosi delle forme proporzionali, come in un viaggio si possono cambiare più volte mezzi di trasporto e compagni di viaggio per continuare ad andare.

Nazione Indiana ha prodotto, in due soli anni di vita, una massa impressionante e significativa di scritti. Frutto della passione volontaria di numerosi scrittori, poeti, registi, scienziati, saggisti e critici e anche di singole persone che stanno ancora precisando e inventando se stesse e di cui sentiremo parlare in futuro. Sia negli scritti pubblicati in prima pagina che nelle sterminate, rissose ma a volte anche sorprendenti finestre dei commenti. Tutta questa massa di passioni e di interventi scritti potrebbe dare vita, da sola, volendo, a un buon numero di pubblicazioni e di libri che saprebbero dire molte cose forti, fresche e non paludate su quanto sta succedendo in questi anni alle nostre vite.

Se l’osservazione onesta e senza veli consolatori mi fa arrivare alla conclusione che questa piccola-grande cosa d’ora in poi (nonostante i rapporti di amicizia e affetto, che per me restano intatti) può solo avvitarsi nel piccolo cabotaggio, nelle resistenze intestine non appena si tratta di affrontare qualcosa di arduo e di impegnativo e in un destino culturalistico prevedibile e “all’ italiana”, meglio per me lasciar perdere. L’idea iniziale, perseguita da me e da altri in totale buona fede, che ci potesse essere, qui ed ora, in questi anni, almeno in una parte di scrittori, intellettuali e artisti italiani una naturale predisposizione al riscatto e alla presa di coscienza della propria responsabilità nei confronti di se stessi e del mondo e della propria forza, si è rivelata un’ingenuità, una pura speranza. C’è in alcuni -ed è una novità di questi anni- ma non in molti. Bisogna, con più lucidità e con più forza, ricominciare da questa presa d’atto. Così anche il nome di Nazione Indiana, che rappresentava tale speranza, non ha per me più alcun senso. Si tratta di tenere conto, nel bene e nel male, degli insegnamenti di questa ricca esperienza e di vedere se e come si può fare di più e di meglio in futuro.

Io perlomeno la vedo così. Ma si tratta di una mia convinzione personale maturata soprattutto durante le ultime vicende che ci hanno attraversato e coinvolto, che mi hanno aperto gli occhi. Gli altri amici decideranno anche loro singolarmente come vorranno. Ognuno è libero di pensarla come vuole e di agire di conseguenza e di decidere come meglio crede circa le sorti di questa cosa collettiva che abbiamo chiamato Nazione Indiana, che non ha padroni che possano decidere da soli per tutti gli altri.

Per quanto mi riguarda, se si può solo continuare ad andare avanti per conto proprio, andrò avanti così, come ho fatto per gran parte della mia vita. Se invece c’è da correre qualche altra avventura collettiva più forte di Nazione Indiana (come N.I. è stata più forte, incombaciante e asimmetrica rispetto a “Scrivere sul fronte occidentale”), con persone veramente motivate e coerenti e disposte ad assumersi qualche rischio per quello in cui credono, per fare una cosa radicale, creativa, spiazzante, coraggiosa e felice, allora io sarò il primo a starci. Ma per fare di più, non di meno. E c’è poi da ripensare e da reinventare tutto il problema degli strumenti e del modo migliore e più dinamico di stare anche dentro la rete, che non è solo quel regno delle libertà e delle possibilità che generalmente viene descritto ma anche una macchina sbriciolante e immobilizzante dove tendono continuamente a riprodursi -magari moltiplicate- le stesse logiche che dominano all’esterno.

Ho aspettato di avere portato a termine il piccolo impegno che mi ero assunto con l’amata Murasaki e con il suo Genji prima di rendere nota questa decisione, che avevo già preso da alcune settimane.

Un caro saluto, un ringraziamento sincero e un bacio a tutti,
Antonio.

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