All’ombra del noir

di Gian Paolo Serino 

  18364316.jpgProprio a maggio avevamo incontrato lo scrittore Jake Arnott, autore di una trilogia nera che, non solo nel Regno Unito, ha appassionato milioni di lettori pur mantenendo una dignità letteraria che nulla concede al lettore. A stupirci un suo annuncio ufficiale: l’abbandono del genere “noir”. Motivazione? Per Arnott, autore dell’ultimo “Delitti in vendita” (Marco Tropea Editore) è un fenomeno che, almeno in Inghilterra, si è affievolito.

Trasformato in letteratura per voyeur, per feticisti della virilità intesa come prova di forza e di violenza. Ormai i noiristi scrivono soltanto per «dare un brivido di seconda mano alla vita noiosa di una classe di impiegati pendolari».

Ma che ne pensano alcuni tra i più importanti autori italiani che proprio nel noir hanno trovato la propria fortuna di critica e lettori? Per Raul Montanari, appena uscito con il “thriller psicologico” “L’esistenza di Dio” (Baldini Castoldi Dalai) la fase storica in cui il noir ha scombussolato le carte in tavola a una languente e ombelicale narrativa italiana è passata da un pezzo. Questo infatti è avvenuto agli inizi degli anni ‘90, quando un gruppo di giovani autori, la cui scrittura aveva caratteristiche sicuramente letterarie e non di pura funzionalità all’intrattenimento, ha scelto di esprimersi attraverso il genere e spesso ha pagato questa scelta con l’esclusione da un certo giro di recensioni illustri e soprattutto di premi letterari. A metà del decennio il genere “pulp” si è aggiunto sulla scia di un’azione di rottura che aveva già fatto il noir, con la differenza che per le tematiche e lo sperimentalismo di scrittura il pulp è stato adottato da un gruppo di critici di notevole influenza (e competenza), che vedevano in questo fenomeno la riproposta aggiornata dell’avanguardia degli anni ‘60 e ‘70. Difficile dire quale dei due movimenti abbia avuto la fine più lacrimevole. Ora il pulp non esiste più e il noir è semplicemente un sotto-sottogenere di una narrativa che a sua volta è stata derubricata a sottogenere del sistema complessivo dell’entertainment. Quanto alla favola che il noir serva ancora a indagare la realtà (e non a fornire principalmente materiale morboso al consumo di un voyeurismo di massa – perfetta la definizione di Arnott), basta a sfatarla la semplice osservazione che una vera narrativa sociale è ostacolata, non certo agevolata, dal patto con il lettore che il noir stabilisce fin da subito: io ti regalerò anzitutto emozioni, ti darò il gusto di vedere la nave degli altri affondare nel sangue, mentre tu stai sulla riva con un aperitivo in mano.

Di parere opposto è il giovanissimo Paolo Roversi che con il suo “Blue Tango” (Stampa Alternativa) in pochi mesi è giunto alla seconda edizione: «Credo che il noir sia ben lontano dal tramontare, per una ragione molto semplice: rappresenta lo specchio della nostra società. Una sorta di telescopio puntato sul mondo che lo descrive in un preciso momento storico, evidenziandone pregi e difetti; che racconta come si comportano e come vivono le persone, che abitudini hanno, quali sono i loro desideri, le loro paure. In ultima analisi, la loro vita reale. Il lato più oscuro, certo, ma pur sempre importante. Credo sia proprio per questa ragione che la gente ne è così attratta. Non per voyeurismo o morbosità, ma per curiosità e, forse, anche per una sorta di egocentrismo: tutti vogliamo sentirci raccontare di noi stessi, essere in qualche modo protagonisti. In questo senso, il noir contemporaneo riveste, secondo me, una precisa valenza critica: descrivere, e quindi esorcizzare, le nostre paure. Oggi più di ieri, infatti, lo scrittore deve essere testimone attento ed implacabile dello stato di degradazione della società perché è proprio da qui che trae la sua ispirazione. La linfa vitale delle storie nere che leggiamo è data proprio da quei principi che sembrano non funzionare più, che si corrompono. L’autore di noir dove coglie una falla, s’inserisce e prolifera: racconta e mostra gli aspetti più crudi del mondo che ci circonda, trasformandosi, spesso, in megafono di denuncia sociale».

Per Franz Krauspenhaar, autore milanese di origine tedesca, dal cognome complicato ma caratterizzato da una scrittura ipnotica e serrata (basti pensare al suo ultimo “Cattivo Sangue”, B&C Dalai) il noir deve iniziare ad andare oltre se stesso, perché ha ancora molto da dire anche in senso sperimentale. «Per quanto riguarda il genere codificato, penso che corra il rischio di essere penalizzato proprio dall’industria culturale che lo alimenta. E a furia di etichettare indiscriminatamente come noir qualsiasi narrazione che contenga vittime, carnefici, armi da fuoco e poliziotti, finirà che certi libri che si servono in maniera creativamente strumentale dei topoi del genere per aderire in maniera avvincente ai problemi creati dal malessere contemporaneo della civiltà occidentale, (questo secondo me caratterizza il noir migliore) verranno definitivamente annullati dai thriller aeroportuali a una dimensione. Questi, infatti, stanno già creando una saturazione che potrebbe portare dritta al tramonto. Ma, nemmeno tanto paradossalmente, il tramonto del genere codificato potrebbe coincidere con quanto ho detto all’inizio, vale a dire che questo tramonto potrebbe corrispondere alla stessa liberazione del noir da se stesso come genere, dunque con la sua entrata definitiva nel grande flusso della Letteratura».

Anche per Piergiorgio Di Cara (da pochi giorni in libreria con Vetro freddo, E/O Edizioni) il noir come genere letterario è tutt’altro che morto, o sbiadito. «In Italia mi sembra vitale, ne è prova il proliferare di collane, di festival e di iniziative in qualche modo collegate al genere. Forse c’è sovrabbondanza, e spesso i libri che vengono pubblicati peccano nella qualità della scrittura, della ricerca linguistica, che alla fine ritengo debba essere il compito e la preoccupazione di ogni scrittore. C’è in giro, almeno mi pare, un po’ di pressapochismo, un ricadere nel topos letterario del genere, così leggiamo libri con una ridda di morti ammazzati, di violenze e crudeltà di ogni tipo, a volte anche efficaci, ma ripeto poca attenzione alla qualità del tratto. Il rischio, temo, è che il genere degeneri, e si arrivi ad una poltiglia di sangue e ossa rotte e niente più».

A Piero Colaprico, da vent’anni inviato di cronaca nera per il quotidiano Repubblica e in libreria con il suo ultimo “La quinta stagione” (Rizzoli), non piace parlare di genere noir e genere giallo, ma preferisce la dizione tedesca di “Krime”, storie insomma dove c’è un delitto, un criminale, un investigatore, o almento uno dei tre elementi. «In questo momento, in Italia – spiega l’autore – i libri di letteratura non Krime sono tutti o prolissi, o sballati, o ombelicali, nel senso che parlano di cose che proprio non interessano più nessuno, usando prospettive vecchie, ripetitive, o un linguaggio alto, artificioso, che finisce per stroncare anche il più benintenzionato. Non ce n’è uno – purtroppo per me, lettore un tempo molto forte – che possa sognarsi di stare al passo con la media dei buoni scrittori stranieri che vengono tradotti in italiano, nessuno che possa paragonarsi a Buzzati, Sciascia, Testori, Calvino, gli ultimi dei grandi. Magari cresceranno, ma per ora più che tirarsela da grandi, non fanno. Per i “Krime”, invece, il discorso è diverso. Prima di questa generazione, c’erano pochi nomi di “fratelli maggiori”, Scerbanenco su tutti, quindi da parte nostra si sta “inventando” qualcosa che in Italia non c’era: siamo in forte ritardo, è vero, ma la situazione ricorda un po’ la scapigliatura alla fine del romanticismo. Almeno c’è un po’ di tensione e, sulla linea del Piave dei lettori, siamo gli unici che resistiamo, chi più chi meno, nell’offrire qualcosa che non sia proprio scontato. C’è ricerca di linguaggi, situazioni, trame e, soprattutto, si usa la memoria e la realtà, rivisitando il marcio che c’è intorno a noi, dalle gang alle città. Ora, da quando il mercato ha premiato il genere, gli editori hanno pensato che splatter e sangue e sesso fanno vendere bene – Faletti è stato l’apripista di questa falsa credenza – e quindi hanno provato a lanciare a rotta di collo nuovi talenti che talenti ancora non sono. Il risultato, vorrei dire il prodotto, non è stato dei più eccelsi, ha regalato scene per stimolare il lato maniacale, sadico, autoerotico del lettore medio, proprio come dice Arnott per l’Inghilterra. Penso che se avessero puntato più sulla qualità e meno sull’effettaccio non staremmo qui a fare questo discorso, se gli autori in cerca di fama non fossero disposti a tutto per essere pubblicati, idem. Però credo che quelli bravi non abbiamo ceduto e anzi, secondo me, il noir italiano è ancora alla sua primavera, non all’autunno. Sta crescendo e, forse, crescerà di più quando ci si butteranno gli scrittori figli di immigrati».

Per Luca Di Fulvio, autore de “L’impagliatore” (Einaudi) e dell’ultimo “La scala di Dioniso” (dal quale Gabriele Salvatores ha tratto la sceneggiatura per il suo prossimo film) la prima raccomandazione che si fa in teatro a un attore è: «Non spremere il limone». «È un modo di dire che non necessita di grandi spiegazioni. Significa non enfatizzare, non cercare l’effetto per l’effetto, non pretendere troppo da una battuta o da un’emozione, da un ingresso o da un’uscita di scena. Bé, ho l’impressione che per il noir il limone sia stato spremuto. E però molti di noi, indagandolo – e magari rimanendoci impantanati –, non hanno semplicemente sperimentato le regole del genere ma si sono spinti fino ai perimetri estremi, a volte addirittura sconfinando, e scoprendo – almeno dentro di noi – terre fertili o deserti aridi. Comunque abbiamo quasi tutti buttato l’occhio – e le scarpe – più in là, con paura o desiderio, con ansia o eccitazione. Non so se il noir è morto. Commercialmente ha vita e ancora ne avrà. Certo stanno cercando di ammazzarlo in tutti i modi, raccontandoci che è andato al potere, trasformandolo in un gadget. Io penso che molti di noi non scriveranno più noir in senso stretto ma – qualsiasi cosa scriveremo – sarà un colore, un odore, un sapore che ci rimarrà appiccicato per sempre, che sarà un po’ la natura del nostro scrivere, come una musica dalla quale si discende, sia essa blues o jazz o rock o pop…».

(Sul mensile KULT – numero doppio di Luglio-Agosto- tra pochi giorni in edicola).

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94 Commenti

  1. Si, amico bello. Prima di tutto Montanari sa usare la nostra lingua come pochi e la sua scrittura ha un nitore senza eguali, qui da noi. Secondo, è stato uno dei pochissimi, in Italia, a infilarsi rischiosamente agli inizi degli anni 90 in un genere – il noir- considerato ancor oggi “paraletteratura” da fior di parrucconi, (figurati allora) e a nobilitarlo. Leggiti (o rileggiti) Il buio divora la strada o, ancor meglio, Che cosa hai fatto, a mio a parere il suo romanzo migliore.
    E oggi ha l’onestà intellettuale di dichiarare che il noir non rappresenta la realtà più di altri generi. Non ha mica la faccia tosta di affermare che il “genere” ha vinto, come fa notare Luca di Fulvio (altro intervento, il suo, eccellente, da meditare).

  2. Fibra, diciamola tutta: tu, nero o non nero, genere o non genere, qualche “problemino” ce l’hai. Sicuramente.

  3. “Montanari uno dei più importanti autori italiani…”io c’avrò pure i problemini, ma voi c’avete i problemoni…

  4. Un romano ad un veneto: “ao’, noi c’avemo er colosseo, c’avemo er papa, c’avemo er Pantheon, e voi che c’avete?”
    “Noi ciavemo, ciavemo, ciavemo…”

  5. Fibra, diciamola tutta: anch’io ho i miei bei problemi, e sono “problemoni” davvero, così come, senza saperne niente, dici tu. Sicuramente. Ma, vedi, nelle condizioni in cui sei adesso (adesso?), anche il più insignificante dei miei “problemini” per te sarebbe letale.

    Un problema, grave, di cui nemmeno ti accorgi, è questo: parli di libri (e dei rispettivi autori) senza averli mai letti. Prova a leggerne uno, uno solo, è avrai acquisito il diritto, testo alla mano, di farlo a fettine, o di smerdarlo del tutto, se ti va. Fino ad allora, le tue cazzatine sono innocui latrati alla luna.

  6. Eh si, il Conte ha proprio ragione: e vatti a fare una rappata col tuo gemellino Fabri, che è meglio.

  7. Io non ho ancora letto alcun libro di Montanari, ma l’anno scorso ho divorato il secondo di Biondillo – che non sarà un noir però insomma … – e l’altro ieri, dopo un anno di meditazione, ho iniziato ad assaggiare il Cattvo sangue del Krauspenhaar…
    non essendo un patito del genere uno all’anno mi basta.
    Ora prendo appunti per l’anno prossimo.

  8. Montanari un importante scrittore…ah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahaah ah ah ah ahh ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ahah ah ah ah ah

  9. Non so se Fibra sia un commentatore abituale di NI ma, nel caso non lo fosse, credo ci sia troppa generosità da parte dei redattori di NI quando rispondono a commentini insulsi di un anonimo.

  10. OT ma non troppo. Totalmente ignorante come sono, non sapevo chi fosse Luca di Fulvio. Come mi capita spesso, sono andato leggermi le recensioni su IBS di quest’ultimo libro. Tralascio la media dei voti, che può essere falsata da recensioni faziose di amici o parenti. Quello che mi stupisce è che lettori diversi, parlando di libri “fatti per farsi leggere”, riescono a trovare alternativamente i personaggi piatti o profondi, originali o stereotipati, le descrizioni noiose o elettrizzanti, i modelli letterari raggiunti o lontani. C’è qualcosa di inquietatnte in questa bipolarità…

  11. Io ho letto Montanari – un paio di libri – e non mi pare nulla di speciale. Lingua piatta, sciattina, troppo sangue, personaggi unidimensionali ecc.

  12. Krauspenhaar sbaglia rispondendo a Fibra, come su Lipperatura Loredana Lipperini sbaglia rispondendo a PinOcchio. Questo genere di personaggi ha come unico obiettivo impedire che si discuta e far morire gli spazi di discussione. Andrebbero ignorati, o bannati. In passato si è riusciti a “bonificare” alcuni blog mantenendo la calma. Si può fare.

  13. Ha senso intervenire in questa discussione scassata, da lit blog pericolante per puntellare un minimo il principio di realtà?
    No.
    E’ inutile dire che la scrittura di Raul Montanari è di qualità alta e che se qualcuno vuole prendersela col piattume, con la scrittura brutta e inutile (inutile al lettore ma non allo scrittore che dal trash può tirare fuori tutto, anche forme nuove) dovrebbe guardare tante altre cose, per esempio la nuova ondata di fesserie made in blog e purtroppo pubblicate e pompate tramite rete.
    Ma prendersela con quest’ultima spiaggia dell’editoria costerebbe troppo: a ognuno il suo spazio!
    Appunto: è inutile dire.

  14. Domanda: un testo che è apparso su blog prima che su carta è per forza di qualità inferiore? Io non credo. Non basta l’origine “Made in blog” per dire che un libro è una fesseria. Attenti a non generalizzare, c’è anche scrittura di alto livello sui blog, e c’è per una semplice questione di probabilità, visto che al mondo il numero dei blog sfiora il miliardo… E’ un mezzo espressivo come gli altri, e per giunta più diffuso.

  15. ‘lingua sciattina’, ‘personaggi unidimensionali’… :o ma che è? Fanno i saldi di fine stagione ai commenti? Mamma mia…che porcate; si sentono sempre tutti in diritto di sparare le loro sentenze, i loro giudizi sulla letteratura senza 1) metterci la faccia 2) confortare un’affermazione con il pensiero.
    Se penso che ‘il magnate’ probabilmente non sarebbe capace di esprimersi in maniera originale neppure su un classico, che so… l’Edipo Re, mentre Montanari ha probabilmente firmato una delle più felici e straordinarie, definitive traduzioni dal greco della tragedia sofoclea…
    Ecco la ‘democrazia’ di internet (cito G. Steiner): il diritto di ciascuno di cibarsi di porcate. Che in questo caso è il dovere che sentono in tanti di farle mangiare anche agli altri… ;)

  16. I libri di Scrittomisto sono scrittura di qualità?
    La ballata delle prugne secche è scrittura di qualità?
    Non vedi che sembrano scritti dalla stessa persona secondo un indirizzo di marketing ben definito?
    Sono sicuro che esistono scritture interessanti in rete ma non sono certo selezionate per la pubblicazione. E’ stata creata una griglia che dovrebbe garantire buone vendite se non altro perché ciascun blog (almeno quelli selezionati) hanno un buon portafoglio di contatti.
    Però adesso basta Canzian, ché stiamo trattando cose serie e su Riserva Indiana, il lit blog dalla dentatura di plastilina, si potrebbero risentire.
    Sparisco dunque.

    ps (parlo di quello che vuoi per mail)

  17. Non lamentatevi troppo @Canzian, @Barbieri,@Marco Viviani, che ci mettete sempre la faccia – e questo va a onore vostro. Questa è la dura legge del blog. Tantissime volte non ho ribattuto alle provocazioni, ogni tanto mi prendo la libertà di rispondere a un Fibra. Dietro a Fibra o al Il magnate ci sono degli esseri umani. I due possono essere in buonafede nel non ritenere Raul Montanari uno scrittore di valore, per esempio. Io potevo “starmene zitto”, certo; anche perché Montanari non lo vedo da una vita e mezzo (e dunque non facevo “quadratino” in difesa di una amico-collega, di cui tra l’altro non ha bisogno); e non facevo la difesa d’ufficio nemmeno della cricca dei noiristi, in quanto io non faccio parte nè di quella cricca, nè di altre. Dunque? Dunque a volta girano semplicemente, umanamente, come a tutti. State a “sentire”: tempo fa risposi su queste colonne alle provocazioni di un lettore sotto nick, lo stetti a “sentire”, non scriveva idiozie come Fibra, però era molto aggressivo. Ebbene, quel nick è diventato un mio caro amico. Ho scoperto una persona di grandi qualità umane e artistiche. E’ una goccia nel mare, d’accordo. Ma “metterci la faccia” è molto, ma non basta. Questo io umilmente penso.

  18. E tu Barbieri vai pure a fare il solone da un’altra parte, qui nel “lit-blog pericolante” nessuno ti trattiene, ma proprio nessuno.

  19. Continuo a non comprendere l’astio di Barbieri nei confronti di quasi tutti. Non mi sembra affatto uno stupido, anzi, ma mi sembra abbia la vista un po’ offuscata dal rancore verso chi non la pensa come lui.

  20. Se permetti Franz un certo vostro tasso di abusivismo mi fa pensare che nemmeno voi siete trattenuti da Nazione Indiana. La Nazione Indiana originale era “sostanzialmente” diversa da questa. La 2.0 con NI non ci azzecca proprio e la “macchina del tempo” ce lo ricorda in continuazione.
    Forse aveva ragione chi in Ni2.0 ai tempi della scissione voleva creare qualcosa di nuovo, con un nuovo nome.

  21. Questa mi sembra davvero gratuita, Barbieri: se io coabito con qualcuno e quel qualcuno decide di andarsene, il fatto che io decida di rimanere non fa di me un “abusivo”, perché quella è casa mia e nessuno mi può cacciare se non voglio. Chi se n’è andato non può sindacare se compro nuovi mobili, se tinteggio il soggiorno ecc. Tantomeno può sindacare, per interposta persona, un conoscente di chi se n’è andato.

  22. barbieri, sinceramente non vedo ‘sta gran differenza tra ni2 e lo primmoammore (dato che era a questo che ti riferivi). La qualità di entrambi (alta o bassa, suprema o infima, ciascuno giudica secondo proprio parametro, gusto e intelligenza) mi sembra più o meno equivalente.

  23. Eh no Canzian.
    Da Nazione indiana sono usciti quasi tutti i fondatori e in ogni caso tra i fondatori erano quelli usciti a mettersi più in gioco.
    Nazione Indiana non è un appartamento da affittare: è stato uno dei più innovativi coraggiosi importanti progetti culturali in rete.
    Nazione indiana essendo un progetto è nato con una nervatura, che passava dalla descrizione del mondo culturale italiano, te la ricordo:
    “Non solo i do ut des immediati, ma anche le soggezioni, gli atteggiamenti reverenziali in vista di futuri tornaconti o per timore di essere esclusi o danneggiati dai “padrini della cultura”: boss grandi e piccoli del giornalismo e dell’editoria, amministratori pubblici, funzionari, giurie di premi, organizzatori di eventi ecc…”
    Mettere sotto torchio critico il mondo dell’editoria non è mai stato un obiettivo estraneo a Nazione Indiana: anzi era la PREMESSA della sua azione in rete.
    Dato tutto ciò è stato normale che alcuni membri rimasti, durante la scissione, si siano chiesti se fosse giusto continuare col vecchio nome o piuttosto creare qualcosa di nuovo. Allora pensai che NI potesse continuare, e lo dissi a Sorrentino (per quello che poteva valere la mia opinione): non avevo capito niente di ciò che stava avvenendo dentro.

  24. beh beh beh, caro Aldo, una differenza non da poco esiste: qui e non lì posso gioire pubblicamente per la vittoria del Mondiale e scandire a squarciagola il mio urlo di battaglia: AMNISTIA! AMNISTIA! AMNISTIA!
    (comunque sia, caro Franz, se la Juve retrocede lo scudetto lo vince la Roma, al massimo il Palermo, voi ciccia!)

  25. eddai Titonco, nella macchina del tempo ci sta pure tutto il travaglio che ha mandato avanti la baracca – se Canzian se la sbriga con troppa fretta, rimandalo indietro a quando eravamo in attitudine di combattimento eccetera, non star lì a fare il risentito per la stoccata del Crespicapelli, ti rendi conto che siamo campioni del Mondo?

  26. “in ogni caso tra i fondatori erano quelli usciti a mettersi più in gioco.”

    Queste sono frasi che lasciano il tempo che trovano perché vogliono dire tutto e niente, ognuno può girarle come gli pare. Ad esempio, si mette più in gioco chi vuole tenere i commenti chiusi (e si accorge per caso che i commenti non sono chiusi, e da quel momento è tutto un recriminare) o chi li tiene aperti?
    Andrea Barbieri, io non capisco questo tuo atteggiamento da fan club, tipo Beatles contro Rolling Stones (o più verosimilmente: Duran Duran contro Spandau Ballet). Da una parte i “buoni” (Scarpa e Benedetti), dall’altra i “cattivi” (più o meno tutti gli altri). Da una parte un sito dove ogni testo è oro colato e Verbo (primoamore), dall’altra i mercanti, gli spacciatori di spazzatura, i venduti, il Potere costituito. Peccato che anche i tuoi idoli facciano parte a pieno titolo del Potere: occupano cattedre universitarie, scrivono sui rotocalchi, fanno le guest star alle convention di cosmetici (pagati… profumatamente), pubblicano per grandi case editrici, recitano pure nei film dei grandi registi. Per favore, finiamola con questa storia dei “puri”, degli “incompresi”, di quelli che non scendono a compromessi con l’industria culturale e possono (anzi, devono) dare lezioni di coerenza a tutti gli altri, a bacchettate sulle nocche. E’ una favola ridicola. Più che “mettersi in gioco”, io vedo un comunissimo far parte di giochi e giochini, e anche una notevole quantità di “vorrei ma non posso”: se i lettori non leggono i miei libri e preferiscono libri di altri, allora i lettori sono una accolita di poveri imbecilli in balìa di strategie di marketing e incapaci di usare il cervello in modo autonomo. Ripetere questa “tesi” a ogni pie’ sospinto e sempre con le stesse pezze d’appoggio sarebbe il puro non plus ultra della “scomodità”, immagino.
    La cosa più assurda, però, è quando uno come te agita questi argomenti per conto terzi, per puro spirito da fan club. A quando la tua personale versione di “Sposerò Simon Le Bon”?

  27. Canzian a me dispiace che fai così, che non leggi quello che scrivo ma torni e giudichi dicendo castronerie, con quel piccolo meccanismo delegittimante: tu dividi il mondo in bene e male (ma non lo capisci che questo presupporre argomenti intoccabili è la merda che ci hanno passato negli ultimi cinque anni tra politica e cultura? non è ora di finirla?). Sono cose sotto gli occhi di tutti, ti dico che ci hanno ragionato anche dentro Nazione Indiana a ‘sto benedetto cambio di nome. Canzian, sto parlando di un progetto che non c’è più e di chi usa il nome di quel progetto, addirittura lasciando l’asse del progetto, quella descrizione del mondo editoriale, nella sua presunta costituzione, nel Chi siamo.
    Ma qui si fanno altre cose, suvvia.

  28. Gli argomenti degli altri sono sempre “piccoli”, sono sempre “meccanismi” e sono sempre “delegittimanti”. Uno non può avere opinioni discordanti dalle tue ed esprimerle senza essere ascritto alla Sordida Cospirazione Anti-ScarpaBenedetti. I tuoi argomenti invece, è ovvio, sono verità indiscutibili, perché tu stai dalla parte giusta.
    Tanto mi da tanto, se tu scrivi che NI2 non è più fedele ai comandamenti iniziali, tra cui:
    “Non solo i do ut des immediati, ma anche le soggezioni, gli atteggiamenti reverenziali in vista di futuri tornaconti o per timore di essere esclusi o danneggiati dai “padrini della cultura”: boss grandi e piccoli del giornalismo e dell’editoria, amministratori pubblici, funzionari, giurie di premi, organizzatori di eventi ecc…”
    allora stai dicendo, né più né meno, che chi è rimasto ad animare questo blog lecca il culo ai “padrini della cultura”, ai boss ecc.
    Al contrario (perché è lì che vai a parare sempre, di qualunque cosa si discuta) di quanto si fa altrove, dove per fortuna comandano i “duri e puri” non compromessi, i guerriglieri eroici da baronato universitario e da kermesse di Fabergé. Ma mi faccia il piacere…

  29. Ma Canzian, tu vedi che io metto in piedi una serie di argomenti delegittimanti verso di te?
    Non lo faccio perché non lo penso e comunque non mi importerebbe, ma se volessi fare come fai tu, scriverei che sei un arrampicatore, che vuoi metterti in buona luce coi padroni di NI, che vai in giro a fare l’avvocaticchio di tizio e caio perché poi ti fanno scrivere qua e là.
    Ci vorrebbe poco per delegittimarti ma non lo faccio perché penso che tu ti muova sinceramente. Però tutto quello che rivolgi contro di me sono pregiudizi. Io sto facendo un discorso molto concreto basato sul Chi siamo di NI, sul senso di quelle parole. Se vuoi puoi smontare quello che dico ma finiscila per favore con quegli argomenti grotteschi. Oltretutto fuori luogo, ti faccio un esempio, nonostante abbia in un certo senso litigato con Helena a Bologna, nel mio privato dico Mi dispiace che con Helena non ci si è capiti perché è una delle migliori dentro NI. E forse non ci si può proprio capire. Ma insomma, se tu conoscessi il privato ancora più privato ti stupiresti e forse anche vergogneresti un po’ per quello che scrivi di me. Ok?

  30. Io preferisco questa Nazione indiana alla precedente perché più varia, fresca e singolare, più democratica oso dire.
    Prima mi pareva che si tranciassero troppi giudizi ed un’assurda dicotomia, male/bene, buoni/cattivi fosse all’ordine del giorno troppo spesso.
    E questo tragitto o corso non vuol dire affatto che ora la nazione indiana sia venduta a Custer o al generale Sherman, se mai qui si vede un po’ più chiaro.
    I giudizi drastici fanno sempre comodo perché mettono a posto la coscienza, uno si dice( sotto sotto dentro dentro) dopo aver sparato la sua sentenza:
    guarda come sono buono…magari anche puro e giusto!

    MarioB.

  31. Quello del “privato” è un argomento inconsistente, Barbieri. Io, al pari di chiunque legga i tuoi commenti senza averti mai incontrato, posso giudicarti soltanto in base a quelli, al tuo modo di muoverti in un ambito pubblico. Se devo dirla tutta, finora ti ho visto più che altro disturbare discussioni infilandoci dentro Scarpa, Benedetti e Moresco a prescindere dal contesto, ti ho visto aggredire le persone, ti ho visto portare avanti tue crociate personali contro questo o quel tenutario o commentatore di blog, per mesi se non anni, e non ti ho mai visto fare uno straccio di autocritica su questi comportamenti che a volte rasentavano il teppistico, da solo o in combutta con altri. Sai cosa? Non mi hai fatto una bella impressione. No, non ti conosco “in privato”, e certo la tua maniera di porti non me ne fa venire voglia. Poi magari sei una persona squisita, ma da quel che scrivi e da come lo scrivi (e dalla frequenza con cui lo scrivi), proietti tutt’altra immagine, quella di un mezzo troll.

  32. Capisci Canzian che è importante che da qualche parte all’origine di NI ci fossero quelle parole, quella descrizione del mondo editoriale.
    Guardaiamo le espressioni una per una:
    do ut des immediati
    soggezioni
    atteggiamenti reverenziali in vista di futuri tornaconti
    timore di essere esclusi o danneggiati dai “padrini della cultura”
    boss grandi e piccoli del giornalismo
    dell’editoria
    amministratori pubblici
    funzionari
    giurie di premi
    organizzatori di eventi
    ecc…

    Date quelle parole non si può più dire: ah! ma io non lo sapevo che qui la pensavano così…
    Quello era il DNA. Credo che sia importante pensarci su.

  33. è da poco tempo che leggo gli interventi di Nazione Indiana.Da quel che ho letto, e per quel che riguarda il mio gusto e personale parere, considero Gianni Biondillo come una specie di garante.I suoi interventi denotano sempre equilibrio,rispetto delle altrui opinioni, e quel senso dell’ironia che a mio parere non guasta.

  34. Cari Amici di Nazione Indiana non è per fare pubblicità al mio blog, ma credo che i commenti allo stesso post messo da Franz stia assumendo una direzione più vicina all’argomento: meno insulti, più profondità (anche fortemente polemica: basti leggere l’intervento di Piero Colaprico).
    Qua mi sembra che il sdiscorso sia andato in cortocircuito su Montanari. A qualcuno non piace? Non lo legga! Con tutti gli scrittori che ci sono. Però da lì a denunciare che non sappia scrivere, secondo me, ne passa. E non perchè Raul sia un amico, come Franz o come Colaprico, ma per oggettività: ci sono passaggi in Montanari, come in Franz, che non possono non spiazzare. Sono segni di una grandissima potenzialità non solo narrativa, ma di un’eco tragica sempre più rara nella letteratura degli ultimi anni.

    Gian Paolo Serino

  35. Ecco perché non mi sono mai fatto soverchie illusioni sui progressi della scienza: non è stata ancora capace di mettere in campo una terapia efficace per curare i mentecatti.

  36. E non mi sono mai fatto soverchie illusioni sullo stato di salute della scuola italiana: non è stata ancora capace di insegnare la scansione sillabica, ecco perché i mentecatti, già negletti dalla scienza, continuano a parlare di oggetti che non hanno, non dico usato, ma nemmeno mai tenuti in mano.

    Se gli serve per esistere, beh, lasciatelo continuare pure…

  37. non ho mai incontrato assassini, né investigatori, nella mia vita. mai saputo davvero niente di poliziotti, né di ambienti loschi, di night et puttane, eccetera.
    mai conosciuto un rapinatore, uno scassinatore, un serial killer, o un killer tout court, un marsigliese, un camorrista un mafioso un terrorista una spia: di questo tipo di gente l’ho letto solo sui giornali.
    in compenso ho conosciuto la complessità e la spietatezza vera della nostra vita e ho sperimentato la sommessa sopraffazione cui tutti ci dedichiamo tutti i giorni, eccetera.
    come fanno, quelli che scrivono i noir, a scrivere di cose che non conoscono direttamente?
    come fanno a tralasciare la “materia narrativa” insita nella quotidianità, per dedicarsi ad astrazioni tipologiche cercando continuamente di rinnovarle?
    perché occorre scrivere un noir per parlare del “disagio dell’occidente” e non si può, metti, scriverne direttamente?

  38. mi piacerebbe proprio di essermi sbagliato sul conto di Montanari perché è un intellettuale valido. Ma purtroppo non è così. Ripeto: la scrittura narrativa di Montanari è prevalentemente sciatta, fastidiosamente gergale e giovanilistica, i personaggi non hanno sfumature, la trama è a effetto, come in quasi tutti i noir italiani. E’ così, ma non vi arrabbiate, ognuno è libero, credo, di pensarla come vuole. Oppure qui si possono fare solo complimenti?

  39. Come faceva Manzoni a parlare della peste del ‘600 e Tolstoj delle guerre napoleoniche? Bah, un vero mistero.

    E, Fibra, sì, sì, il mio ultimo è una stronzata megagalattica. Lo dico io, contento?

  40. @Il magnate. Le critiche costruttive in questo thread sono bene accette. Tu però liquidi Montanari cavandotela molto a buon mercato. Chi sei, il “negro” che scrive le “recensioni in 25 parole” per Sua Maestà D’Orrico?
    Gli sputi di Fibra e gli OT chilometrici (questione Il Primo Amore vs NI 2.0) sono ancora meno accette, per quanto mi riguarda.

    @Roberto. Tash.
    Il noir tira (non sempre, c’è una sovvrabbondanza di titoli, non conviene di certo scriverne, oggi) perché, a mio avviso, parla in maniera molto diretta del male. Il male ci accompagna e ci impregna continuamente. Dietro le spoglie di un killer o di un poliziotto ci siamo noi. Potenziali assassini, potenziali giustizieri, che guadiamo nel male nostro e degli altri.
    Non c’è nemmeno bisogno di aderire alla realtà in tutti i suoi particolari per scrivere noir, altrimenti solo i cronisti di nera (come il bravissimo Colaprico) sarebbero patentati da noiristi. (Termine del cazzo, sono io il primo a dirlo). Il noir – dico per me, beninteso- è soprattutto un mood, una scala cromatica, una colonna sonora senza suoni; il noir non tratta soltanto di sparatorie, tratta anche o soprattutto di malessere non solo esteriore (una ferita di coltello, un buco in fronte) ma anche interiore (paura, angoscia, ecc.). Tratta di incubi.

  41. @Grande Tash:”in compenso ho conosciuto la complessità e la spietatezza vera della nostra vita e ho sperimentato la sommessa sopraffazione cui tutti ci dedichiamo tutti i giorni, eccetera”

    Perchè, lo scrittore di noir secondo te che ha fatto, si è ciucciato il dito per tutto il tempo?:-)

  42. “gli OT chilometrici (questione Il Primo Amore vs NI 2.0) sono ancora meno accette, per quanto mi riguarda.”

    Caro Franz io ho fatto un ragionamento sulla base di un tuo post in cui dicevi sostanzialmente che potevo andarmene perché le mie critiche non ti piacciono. Nel mio ragionamento ti spiego il motivo per cui anche tu puoi, anzi dovresti andartene da NI (o cambiare atteggiamento, o cambiare il “chi siamo” di NI, anzi cambiare tutto nome compreso): non sei meno abusivo del mio ragionamento in ot (sempre che possa essere ot una questione tanto fondamentale).

    Ti vorrei anche far notare che la questione non è come tu capziosamente la ritrai “Il Primo Amore vs NI 2.0” facendo un certo torto alla tua intelligenza: non c’è nessun problema di agonismo e non si sta comparando nulla. Il punto è: il progetto di NI in NI2.0 non esiste più, c’è stato un taglio più o meno netto, dunque a mio parere sarebbe ragionevole cambiare nome e statuto.

  43. il signor f.k. deve avere i nervi scossi per qualche problema personale relativo alla propria identità. Ma non si può trattare la gente così, neppure si può insultare l’acuto e educato tashtego. Le opionioni degli altri, anche se danno fastidio, vanno accettate e discusse. Caopito f.k., altrimenti si chiude il computer e si vanno a fare due passi per schiarirsi le idee.

  44. Ogni tanto passo qua sopra e immancabilmente c’è qualcuno che dice che da qualche altra parte sì, che davvero … “(completare con frase a piacere). Oppure che dice che “un tempo sì, che …” (completare a piacere). Oppure che dice che “quell’altro sì, che … ” (elogio a piacere)

    E’ proprio vero, un tempo, qui, era tutta campagna.
    E’ proprio vero, si stava meglio quando si stava peggio.
    E’ proprio vero, sono sempre i migliori che se ne vanno.
    Bah.

  45. Magnate,a te pare che io abbia insultato Tashtego, che stimo molto? I nervi scossi devi averli tu; e poi, se ti firmi Il Magnate, probabilmente hai tu qualche problemino d’identità…
    Con Barbieri non discuto più, ha bisogno di un ansiolitico, e anche in fretta.
    Comunque si, chiudo il computer, ma non per farmi due passi: è ora di pranzo…

  46. @ magnate
    non mi pare di essere stato insultato: l’ironia è sempre sacrosanta.

    col mio commento mattutino – mi sveglio sempre prima di quando vorrei – volevo dire che preferisco chi affronta direttamente realtà quotidiane e normali, le nostre in sostanza, o almeno la mia, cercando di svelarne la sottile e silenziosa criminalità, nascosta nell’agire di tutti noi allo scopo, quasi mai cosciente, di emergere e dominare (non in senso assoluto, ma relativo al proprio intorno esistenziale).
    si tratta di una guerra sommersa e spietata che fa molte vittime ma della quale nessuno, o quasi nessuno si occupa.
    se avessi spazio e tempo potrei anche dire secondo me perché nessuno se ne occupa.

    @biondillo
    quanto ai dati di conoscenza delle vicende di cui si narra, l’obiezione di biondillo, che porta ad esempio tolstoi che racconta di cose che non ha vissuto, è in sostanza un rivendicare il ruolo abbinato et inter-agente di documentazione e immaginazione: va bene, è un discorso che accetto.
    ma non si può negare che pur sempre di immaginazione & documentazione si tratti, e che vi sia registrabile, come risultato di un vissuto tutto proiettivo, quasi sempre una certa schematicità delle figure in campo.
    credo che il noir sia il prodotto di una legge fondamentale della narrativa: quello che non ti riguarda direttamente, non ti fa pensare, dunque ti intrattiene.
    detto questo, non ho nulla contro l’intrattenimento e manco contro il noir.

  47. Gramsci mise Dostoevskji tra gli autori di “romanzi d’avventura”. “Delitto e castigo” è un noir, ne ha tutte le caratteristiche una per una. Corrisponde all’idea di noir di Malet o di Manchette molto più di certi gialli italiani definiti “noir”. Non è certo un caso, visto che “Delitto e castigo”, insieme a certi racconti di Poe e a certi romanzi di Balzac, è l’ispirazione principale degli autori noir di fine ottocento e inizio novecento, quelli su cui Malet e Manchette si sono fatti le ossa di lettori prima e di autori in seguito. In “Delitto e castigo” c’è il male interiore e quello esteriore, c’è un crimine efferato, c’è un senso di colpa che dilania il carnefice, che in realtà è la vera vittima. C’è un payback che però lascia con l’amaro in bocca e ci fa porre interrogativi su quale sia la vera giustizia. Si può forse dire che “Delitto e castigo” si limita a intrattenere? Il noir non è un genere, ha ragione Franz: è una tonalità e una poetica. Il noir si trova anche in molta letteratura non strettamente “di genere”. C’è del noir anche in Shakespeare o in Schiller (“I masnadieri”). Queste cose soprattutto Evangelisti le ripete da anni, a quanto pare inascoltato…

  48. La sinossi del libro di Biondillo in due righe.

    Erano quattro amiche su un pullman, che volevano cambiare il mondo. Una chitarra, gli regalarono…

  49. @canzian
    chi nega che ci sia del nuar un po’ qui e un po’ là?
    nego forse che il nuar possa essere “una tonalità e una poetica”?
    il problema è: è poi effettivamente “una tonalità e una poetica”?
    o non piuttosto, di solito, una sfilza di luoghi comuni di figura e d’ambiente?

    so che la polemica sul noir è frusta e noiosa e non mi ci attardo.
    mi auspico solo di vedere un giorno qualcuno che abbia voglia di guardare qualcos’altro, vale a dire la vita dei non-investigatori, dei non-criminali e non-gorilla e dei non-inquisitori del cazzo.
    se si scrive letteratura di intrattenimento (certo col suo bel disagio dell’occidente) non ci si può appellare poi a Dostoevskji per dire che anche lì ci sono corposi antecedenti alle cazzate che si vanno scrivendo nell’oggi, diciamo per comodità.
    si abbia il buon gusto di non tirare in ballo guglielmo crollalanza, sennò anche per un libro di fogar si può leggittimamente citare omero.
    che poi nell’ambito esista e possa ancora esistere anche roba di grande qualità, cioè anche grande letteratura, nessuno si sentirebbe di negarlo, tanto-meno io.
    però, sù, andiamo.

  50. Ti confondi col poliziesco o col giallo. Il noir non è roba di investigatori, e spesso nemmeno di criminali professionisti. Riguarda quasi sempre persone “normali” che a un certo punto deragliano e infrangono una o più importanti regole di condotta nella società.

  51. Esatto. E’ ora di fare un po’ di chiarezza.
    Sennò, per le cazzate in bella copia, caro Tash, aridatece Moravia…:-)

  52. @canzian
    ok, le distinzioni sono sempre ben accette e servono.
    il noir può riguardare i deragliamenti di “importanti regole di condotta”: bene.
    però: le trasgressioni delle regole “non importanti”?
    quelle per le quali non si sprofonda agli inferi, non si va in galera, non ti ritrovi un investigatore alla porta, e tuttavia massacrano il tuo prossimo, lo umiliano, lo sottomettono, a volte lo annientano, senza che nessuno dica, o possa dire, nulla, perché tutto è “nelle regole”?
    questa cosa qui chi la racconta e perché non si racconta?
    la spiegazione che mi sono dato è che non si racconta perché riguarda direttamente la nostra vita normale, perché afferisce il massacro quotidiano.
    dunque non ne vogliamo sapere: non ci intrattiene perché non è “altro da noi” e anche se c’è sempre l’eventualità che ciascuno di noi possa ritrovarsi protagonista di una real-vicenda afferente il genere noir, in linea di massima non lo consideriamo probabile.
    dunque possiamo divertirci (da divertere).
    è lo stesso principio per cui è meglio non parlare di corda a casa dell’impiccato: il Grande Ripieno – come io chiamo il vasto corpo sociale medio cui apparteniamo tutti, che vive nelle regole e si nutre di politically correct e pensa secondo le tre effe di Labranca (fitness, fiction, fashion) – percepisce come fiction tutto ciò che non gli appartiene, tutto ciò che non fa parte della propria esperienza, divertendosi alle vicende di tutti quelli che sono fuori dalle regole, o perché troppo ricchi (possono farne a meno), o perché poveri emarginati, immigrati, criminali o deragliati.
    ma non si diverte affatto se si fa cenno alle condizioni vitali e relazionali che si esperiscono dentro le regole e alla loro sostanziale mostruosità.

  53. Ma l’avete letto per sempre ggggiovane, di Biondillo? Guardate, ‘na cosa, non si può manco spiegare quanto è brutto.

  54. In Italia nel 2005 il 45% dei libri venduti era abbinato a quotidiani e riviste – come valore in euro. Se pensiamo che un libro di questi costa meno della metà di uno “normale”…

  55. “la sottile e silenziosa criminalità, nascosta nell’agire di tutti noi allo scopo, quasi mai cosciente, di emergere e dominare (non in senso assoluto, ma relativo al proprio intorno esistenziale).
    si tratta di una guerra sommersa e spietata che fa molte vittime ma della quale nessuno, o quasi nessuno si occupa.” dice Tashtego.

    Non credo che un animo criminale alberghi in tutti, pensarlo secondo me è un errore. Esistono molte persone pacifiche e serene, che cercano di non danneggiare gli altri e non attaccano mai, al massimo si difendono. Credo che l’aggressività e la violenza, anche in dosi modeste, sia sempre sintomo di malessere psichico. Probabilmente nessuno ne è completamente esente, perché la malattia mentale, a qualsiasi livello, è contagiosa. Ci sono però persone che riescono a limitare il contagio al minimo.

  56. Sto seguendo da ieri sera il dibattito su Montanari (e non solo, chiaramente). Provo a dire la mia. Qualche giorno fa ho finito di frequentare il suo corso di scrittura creativa. Beh, amici detrattori, mi spiace per voi, ma non lo conoscete e non sapete di cosa parlate. Raul -che non è mio amico e l’ho pure pagato per seguire le sue lezioni- sa tenere la penna in mano, è un grande “artigiano della scrittura” (io lo definii così nelle presentazioni e lui mi disse che era d’accordo). Interi pomeriggi a ragionare di trapassati prossimi, di ritmi narrativi, di fluidità delle trame… un suo racconto, “Dio ti sta chiamando” (poi allungato in libro, nota mia) fu definito da Giovanni Testori un capolavoro. Non da me, da Testori. Dite pure che i suoi libri possono piacere o no. Questione di gusto. E allora ci siamo. Ma non dite che non sa scrivere. Ci vuole rispetto. Io mi sono avvicinato a lui come un garzone. E vi posso assicurare che non fa il maestro, ma qualcosa da insegnare davvero ce l’ha. Ripeto e concludo: non è mio amico. E’ questione di onestà intellettuale.
    Rocco

  57. Ma che dici Fibra?
    Guarda che Biondillo ha scritto un capolavoro, mica è facile immedesimarsi in quattro sgallettate che vogliono restare per sempre giovani.
    Pure immedesimarsi in un pullman.
    O in una chitarra.
    A’ Fibra, ma statte zitto, canta le tue canzonette da rapper delle baracche, lasciali stare i Manzoni di oggi, ma che ne sai te della letteratura?
    E torna a scuola, impara a leggere.
    E non leggere Moravia, che come dice questo Franz fa proprio schifo.

  58. Tashtego, ti chiedi: “questa cosa qui chi la racconta e perché non si racconta?”
    Cioè, fai una domanda, ti rispondi da solo e usi l’autorisposta come premessa alla seconda domanda. Dài, così non si fa. Non mi pare affatto che nessuno racconti le trasgressioni alle regole “non importanti” (espressione che non mi pare corretta: tutte le regole di convivenza sono importanti). Anzi, mi pare che per un lungo periodo la letteratura italiana abbia peccato dell’estremo opposto, cioè abbia raccontato quasi soltanto piccole storie di borghesia a cui, in apparenza, non succede quasi niente. Le “efferatezze” e il “massimalismo” salgariano della narrativa che è seguita sono state anche una reazione a quel genere di proposta letteraria. Io, comunque, ho appena finito “Denti” di Domenico Starnone, un libro di qualche anno fa, che corrisponde all’idea di un micro-delitto&castigo, un romanzo nero sulla trasgressione di piccole regole di convivenza e su una punizione “distillata”, somministrata pian piano, ai limiti del percepibile. E’ chiaro che se guardate solo ai nuàr (per giunta in cagnesco) non vedrete le altre cose che si trovano in libreria, che ci sono, vengono scritte, qualcuno le legge… Quello che a me non piace è il discorso: “Perché si parla solo di questo? Perché non si parla di quest’altro?”, (con la variante: “Perché in rete non si parla di Pinco Pallino?”. Novantanove volte su cento la premessa è falsa. Oggi si parla e si scrive di tutto, per tutti i gusti, basta saper guardare.

  59. o Canzian,
    Perchè si deve dire romanzo nero?
    Non si può scrivere: un tragico romanzo?
    A forza di dare per tanto tempo ‘ste etichette sviliamo la parte e il tutto.
    MarioB.

  60. E’ un aggettivo, Mario. Un aggettivo. “Nero” come quando si dice: “L’ho fatto nero, quello là!”. Potrei mai dire che “l’ho fatto tragico”?

  61. quel fibra mi sa che ho capito chi è. non è un rapper. è uno scrittore che rosica. voi che siete ancora vivi e potete controllare l’IP dateci dentro. io sono diventato puro spirito e l’IP l’ho controllato… ma non sono una spia.
    comunque, potessi fargli il mazzo io…
    su indiani, poggiate le pennette sul tavolo e cominciate a picchiare, che vi si schiariscono pure le idee.

  62. Beh, Lino, che sia uno scrittore che rosica è molto probabile, che abbia dei seri disturbi è evidente: ma da qui a fare i delatori e a trasformare NI in un covo di sospetti, di pettegolezzi e di spie ce ne corre. Tanto varrebbe chiudere, a quel punto. Io sono dell’idea di lasciarlo/i perdere, perché è sempre successo così: dopo quattro o cinque post di idiozie, se non gli si dà corda e non se li caga nessuno, si ritirano di buon grado nella loro pochezza, aspettando la prossima occasione propizia per riemergere. Il compito di questo luogo virtuale è anche quello di assicurare una ragione di vita a chi non riesce a trovarne altre, in definitiva. Poi, magari, si ravvede, compra un libro e torna a spiegarci, ad esempio, perché Montanari non sa scrivere (sic!) o perché i romanzi di Biondillo non gli piacciono (eufemismo: a-risic!!).

  63. hai ragione, conte. ma sai, io sono, come dire, l’epitome del noir. dicevo così, per fare venire un po’ di strizza a questo fibra, chiaramente un mezzo uomo.
    ti apprezzo molto, conte, con te a marsiglia avrei fatto grandi cose:-)

  64. un seminario dettagliato con filetto e controfiletto:
    artigiano della scrittura
    orafo ORtogrAFicO
    carpentiere del verso
    arrotino della quintina
    parrucchiere dell’enjambemt
    burocrate del verso
    impiegato della rima
    metalmeccanico dell’incipit
    boy scout della semantica
    crocerossina del registro
    scambista del genere
    etc etc etc… ad libitum
    o ad libidum?

    e basta menare etichette…

    ma il “noir”, “nero”… non si tocca.
    altro che “romanzo tragico”
    come se sui quotidiani: “cronaca tragica” anzichè cronaca nera.
    e suvvia. e dai.
    un saluto
    paola

  65. Dalla reazione di Ugolino Conte – “Montanari non sa scrivere, sic” – sembra quasi che lo scrittore Mon0tanari sia un esempio di stile, la quintessenza dello stile, un Alessandro Manzoni redivivo. Invece, insisto, senza insultare nessuno, che Montanari è uno scrittore di genere, che usa un linguaggio giovanilistico e pulpista, sporco, sciatterello ed effettistico e i suoi personaggi sono quasi sempre troppo funzionali alla storia (unidimensionali). Non voglio insultare nessuno, caro Ugolino, è solo la mia opinione. E sono convinto che Tashtego – che ha sale in zucca – la pensa esattamente come me.

  66. @magnate
    mai letto montanari.
    se hai delle opinioni su di lui e ce ne vuoi fare, chissà perché, partecipi, dovresti produrre le relative argomentazioni, anche schematiche.

    altrimenti chissenefrega, non trovi?

  67. Magnate, anche il (sic!) al tuo commento è una mia “opinione” sulla scrittura e lo stile di Montanari. Nemmeno io sto insultando. Giovanilismo, pulpismo, unidimensionalismo sono etichette banali, senza nessuna possibilità di poter funzionare come riferimenti e strumenti di natura critica: fai l’esempio di un libro, proponi un’analisi concreta del testo, e ne parliamo. In caso contrario, le tue parole hanno la stessa sostanza dei vagiti impotenti di fibra, o di chi per lui. Non sta scritto da nessuna parte che Montanari o Biondillo debbano piacerti per forza, ci mancherebbe altro, ma almeno facci capire: e parlare di giovanilismo non spiega niente, non serve nemmeno ad accennarla, una discussione.

    Chiamare a sostegno tashtego, oltretutto, è un’aggravante in questo caso: non so se hai notato, ma, quando non è d’accordo, cerca sempre di argomentare intorno e a sostegno delle sue tesi. Poi si può essere d’accordo o meno, ma questo è un altro discorso.

  68. Sembra fatto apposta, ma non lo è: ho iniziato a scrivere in assenza del commento di tash e di MarioB. Ma va bene così: repetita iuvant.

  69. Non capisco perché quando si fanno i copmplimenti si è lapidari e sbrigativi, quasi fossero ovvi, viceversa quando si stronca, occore argomentare, argomentare, argomentare… M

  70. Ma io non so argomentare e nemmeno mi interessa. Io dò un parere di lettura, breve e schematico, non sono un critico ma un lettore. Se la mia opinione vi pare effimera, pazienza. Volevo solo darvi uno spunto di riflessione.

  71. Magnate, quando tra cento anni arriverai dalle “mie parti”, te lo spiego io cosa significa argomentare, argomentare, argomentare: perché al centro di ogni discorso, e per un tempo abbastanza lungo (cfr.: l’eternità) ci sarà sempre la tua calotta cranica. :)

  72. Non insulto nessuno, magnate. E poi, un insulto con un sorriso? Ma dài!

    Mi costringi a fare l’esegesi del mio testo, e ciò non è bello, anche se può essere gratificante.

    “Quando tra cento anni arriverai…”: quando tra un secolo, come sembra capiti a tutti, non ci sarai più…

    “…dalle mie parti”: sai dove abito, no? Inferno, piani molto bassi (cfr. Dante Alighieri, I cantica, canto XXXIII)…

    “…te lo spiego io cosa significa argomentare…”: sai qual è la mia “occupazione” laggiù? Più che argomentare, divoro crani…

    Trattasi, dunque, non di insulto, ma di ironico tentativo di coinvolgere anche il “divin poeta” nelle nostre estemporanee divagazioni. Visto il nome che mi ritrovo, cosa vuoi che faccia? Sù, un bel sorriso. E continua a leggere. Ne vale sempre la pena.

  73. Caro Gianni, caro Franz, quando ci incontriamo, vi prego, non chiedetemi più perché non partecipo alle discussioni. Pago una birra al Magenta, ma soltanto a voi.

  74. a proposito di noir e di autori che vale la pena leggere, segnalo i libri di renato di lorenzo, autore poco pompato dal sistema dell’editoria italiana. è bravissimo.

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