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La moneta

di Giovanni Meola

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Li presento,li accompagno,li dispiego davanti ai loro occhi e poi aspetto che loro si accorgano della loro bellezza,se la bellezza c’è.
Gli spettacoli per gli studenti sono oggettini da manipolare con attenzione e cura.
Soprattutto a Napoli.

Una recinzione di ferro arrugginito,di un colore misto tra il verde e il rosso muschio,che poggiava su un basso muricciolo ampiamente scheggiato,sovrastava cumuli di immondizia che stazionavano lì da almeno dieci giorni.

Mi ritrovai perso a guardare nel dettaglio ciò che di solito guardo di sfuggita : sacchetti neri lasciavano trasudare liquidi di colore indefinibile,piccoli movimenti e sussulti dentro e tra i sacchetti (topini,ragnetti,manine di bimbo,colonne di formiche ?),un giornale lindo e pinto,ancora intatto ma di una settimana prima (ne avevo riconosciuto il titolo in prima pagina),lo scheletro di un ombrello che campeggiava tra i resti di un pranzo a base di spaghetti e che stonava tanto,dato che non pioveva da settimane.
Le gambe stese sotto il volante,il cappotto già addosso e il finestrino un filo aperto per sentire oltre che vedere quel panorama,contemplavo un piccolo mondo in piena attività,ma con la coda dell’occhio ero attento all’ingresso dall’altro lato della strada.
Ero in anticipo sull’appuntamento,io così attento alla gestione del tempo e ad arrivare sempre all’ultimo momento utile.
Ed essere in anticipo provoca strani cortocircuiti in chi non vi è abituato.
Poi arrivò il mio contatto e l’immondizia scomparve in un istante,come tutte le altre volte che la vedi e la rubrichi ormai come ‘paesaggio visivo naturale’.

Dovevo presentare uno dei miei spettacoli ad una scolaresca di un istituto tecnico di periferia solo che,arrivati lì,io e l’organizzatrice che mi aveva preprarato l’incontro,troviamo un colossale equivoco ad attenderci.
Questi incontri hanno senso se sono organizzati per cento,centocinquanta studenti per volta al massimo,altrimenti si fa troppa caciara e gli interventi dei ragazzi sembrano colpi di tosse allo stadio,ma là ce ne avevano fatti trovare seicento e tutti assieme !
Un’arena con combattimento,gladiatore e morto accluso.
Nell’accettare quella situazione,pur sconsigliato dalla mia organizzatrice,mi chiedevo, vedendo scorrere davanti a me praticamente l’intera scolaresca di quell’istituto,in marcia verso uno spazio grande ma evidentemente inutilizzato da tempo (una sorta di deposito di banchi rotti e sedie a tre gambe,con topini,ragnetti,manine di bimbo e colonne di formiche invisibili ma certamente presenti),a cosa stessero pensando quegli studenti,se fossero stati informati del perché nel cuore dell’orario mattutino tutti,ma praticamente tutti per davvero, venivano convocati per un’assemblea non prevista.

Sedutisi a semicerchio sulle poche sedie buone a disposizione,molti dei ragazzi finirono arrampicati,accovacciati o asserragliati l’uno sull’altro,mentre con un microfono impotente in mano,nel centro di questo enorme deposito,la mia collaboratrice naufragava nel tentativo di attirare la loro attenzione : niente da fare,erano troppi e troppo contenti di perdere un’ora di lezione,per imporre loro un silenzio e un’attenzione che non avrebbero dato nemmeno ai loro professori in punto di morte.

Io osservavo.
Osservavo con attenzione chi comandava gli applausi che partivano ironici e sfottitori ad interrompere o sottolineare le piccole incertezze,i piccoli sbagli di chi parlava.
Osservavo chi provocava le risate,chi distraeva i pur pochi incuriositi da quell’adunata fuori ordinanza.
Osservavo e pensavo che senza un espediente non avrei avuto modo di cercare il dialogo con quei seicento-ragazzi-seicento che un professore idiota aveva voluto farmi incontrare tutti assieme.

Due euro,una moneta da due euro !
Estrassi dalla tasca una moneta da due euro e cominciai a lanciarla in aria e farmela cascare nel palmo della mano,osservando con attenzione quanti più visi possibile,nel mio girare su me stesso per scrutarli.
Molti si chiedevano muti cosa stessi facendo,qualcuno emetteva un risolino acuto,qualcun altro mi guardava per la prima volta e cominciava a chiedersi chi fossi,visto che non ero stato ancora presentato.
Del resto,li capivo : non ero certo il cantante di un gruppo rock,un novello Gigi D’Alessio, un provinante per conto di Maria De Filippi o per un qualsiasi Grande Parente televisivo.
Erano sul chi va là e l’impresa più difficile era incuriosirli.
Individuai il lato dal quale partivano gli sfottò e all’improvviso,di botto,chiesi ad un ragazzo quasi appeso ad una finestra come si chiamasse.
La domanda lo sorprese al punto che mi rispose di scatto.
Gli sorrisi e continuai a fare quello che stavo facendo.
Nessuno dava ascolto alle parole della mia collaboratrice né a quello che chiedevano a gran voce i professori,cioè silenzio.
Nel gran gioco di ruolo che è la scuola,quando i professori chiedono,la risposta è sempre e comunque no,dovrebbero averlo capito ormai che la strategia va cambiata.

Alla fine,fui presentato.
Ma io continuavo ad osservare.
Loro capirono che avrei preso la parola,ma io rifiutai il microfono (comunque inadeguato) e continuai per un altro minuto buono a lanciare la moneta in aria,girando su me stesso a 360°.
Un minuto può sembrare poco ma bastò a far calare un silenzio finalmente teso e attento.
Curiosità,curiosità e solo curiosità nei loro occhi : il giochetto dava un primo frutto.
Ora tutto stava a come avrei cominciato.

Presentavo un progetto teatrale sulla legalità al quale molti di loro avrebbero assistito qualche giorno dopo,e per farlo arrivare nel modo migliore ho capito sulla mia pelle che non bisogna imporlo,bisogna donarlo,regalarlo.
E aspettare che loro vi colgano una bellezza,un’importanza,se la bellezza e l’importanza c’è.

Di sicuro,cominciai,si stavano chiedendo chi fosse quell’omino dall’età indefinita,né uno di loro né un professore,per il quale erano stati scomodati,sebbene li stesse sottraendo ad un’ora di lezione,e che da più di dieci minuti faceva volteggiare in aria una moneta da due euro.
Silenzio totale.
Lanciai per l’ultima volta la moneta in aria e la raccolsi sul palmo della mano : ero un teatrante,dissi,e quello che stavano vedendo e vivendo in quel momento era già TEATRO, una dimostrazione della sua potenza.
Sì,perché il teatro che ero andato a proporre loro comunica attraverso i segni e la moneta era un segno,gli dicevo,che poteva avere interpretazioni diverse a seconda della sensibilità di ciscuno e che ognuno di loro era ricetrasmettitore di quel segno.
Silenzio.
Attenzione.
Il ragazzo al quale avevo chiesto a bruciapelo il nome,quello aggrappato alla finestra,il capopiazza che mi avrebbe distrutto con una richiesta di applauso fuori tempo o fuori contesto solo dieci minuti prima,fece partire un applauso che in molti seguirono ma che io cercai comunque di stoppare (suvvia,oggigiorno,un applauso non si nega proprio più a nessuno) e l’intera ora successiva la passammo a parlare,con quei ragazzi,dello spettacolo che li invitavo a vedere,dei temi dello spettacolo,ma anche di questa società,della solitudine in questa società,della loro ansia di verità,se sollecitati da stimoli vivi,dell’intelligenza mortificata dalla violenza,della violenza che mortifica la natura umana,dall’assuefazione ai cumuli di immondizia.
Domande e repliche,affermazioni e controdeduzioni.
I professori sgranavano un po’ gli occhi,io chiedevo e rispondevo e i ragazzi restarono per un’ora a pesare e soppesare le parole,forse vane forse no,di un tipo che per dieci minuti abbondanti non aveva saputo far altro che lanciare in alto una moneta.

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3 Commenti

  1. Mi sono permessa di estrappolare questo bel pezzo:

    Presentavo un progetto teatrale legato alla legalità al quale una metà di loro avrebbe assistito qualche giorno dopo, e per farlo arrivare nel modo migliore ho capito sulla mia pelle che non bisogna imporlo, bisogna donarlo, regalarlo.
    E aspettare che loro vi colgano una bellezza, un’importanza, se la bellezza e l’importanza c’è.

    credo che lo stesso discorso valga anche per l’educazione.

    un grazie sincero a Piero e Giovanni

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