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Garrone, dove cazzo eri?

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Torino Emarginato e deriso dai compagni di classe, un sedicenne studente di Torino si è tolto la vita lanciandosi dalla sua abitazione al quarto piano. Gli altri ragazzi, per prenderlo in giro, in passato lo apostrofavano con il nome di un personaggio della trasmissione tv Grande Fratello indicato come omosessuale, “Jonathan”. Della vicenda si sono occupati i carabinieri. Frequentava l’istituto tecnico Sommellier, considerato uno dei più prestigiosi di Torino, e, come ora spiega la preside, Catterina Cogno, “era il migliore della classe.
Questi i fatti riportati dalla stampa. Cosa pensare?

Stamattina alle nove con una collega sono passato, per un appuntamento di lavoro, proprio di lì, davanti a quella scuola. Un centinaio di metri prima c’è il Politecnico. Un centinaio di metri prima, un’Italia che non esiste più. Cosa c’è di nuovo in questa storia? Più di quanto non ci si immagini. Nonostante tutto, i bulli, i teddy boys, les blousons noirs, sì insomma i Franti, per quanto odiosi nei comportamenti e nella violenza di cui si facevano paladini, avevano in sè ancora qualcosa di umano. C’era chi come Guy Debord, parlava dei giovani delinquenti dalle giacche di pelle nera, come “des forces potentielles de la subversion”, e lo stesso aveva fatto Umberto Eco quando scriveva nell’ormai celebre Elogio di Franti:

“Perché l’ordine, o lo si ride dal di dentro o lo si bestemmia dal di fuori, o si finge di accettarlo per farlo esplodere, o si finge di rifiutarlo per farlo rifiorire in altre forme; o si è Rabelais o si è Cartesio.”

Il problema è che la scuola è l’immagine di un paese. A colpire il giovane, il secchione, il frocio, l’immigrato, è stata la mediocrità non di un gruppo ma di un blocco. Di tutti. Perchè se non si è nemmeno due a contrapporsi agli altri, significa che quel mondo è un tutto, in sé. E allora non mi meraviglia che ad abitare l’immaginario di quei poveri cristi dei compagni di scuola (si può ancora parlare di compagni ?) a sentire la parola magica, il nomignolo offensivo, Jonathan, ci fosse il grande fratello.

Di nuovo non c’è il male, la cattiveria che tutti da adolescenti abbiamo provato, subito, trasmesso, ma il fatto che quella violenza, meschina. subdola, regni da sola. Insomma al quadro che questo terribile fatto di cronaca ci ha spedito in casa, manca qualcosa. L’altro. Il Garrone della situazione, l’amico da emulare, che ti difendeva sempre, magari più tosto di te e più temuto da quelli che popolano i branchi, le bande.

E mi viene da dire al ragazzo: ” Ecco, se solo tu avessi avuto un amico così, di quelli che gli avrebbero spaccato la faccia, adesso tu non saresti l’ombra di te stesso, un cattivo pensiero che nemmeno sfiorerà la mente di quelli, di tutti gli altri, chini sull’ennesimo rutto del Grande Fratello.

Il ragazzo aveva richiuso gli occhi e pareva morto. – Ha bisogno di qualche servizio? – domandò Garrone. – No, buon figliuolo, grazie, rispose il muratore; – andatevene a casa. – E così dicendo ci spinse sul pianerottolo e richiuse l’uscio. Ma non eravamo a metà delle scale, che lo sentimmo gridare: – Garrone! Garrone! – Risalimmo in fretta tutti e tre. – Garrone! – gridò il muratore col viso mutato, – t’ha chiamato per nome, due giorni che non parlava, t’ha chiamato due volte, vuole te, vieni subito. Ah santo Iddio, se fosse un buon segno! – A rivederci, – disse Garrone a noi, – io rimango, – e si lanciò in casa col padre. Derossi aveva gli occhi pieni di lacrime. Io gli dissi: – Piangi per il muratorino? Egli ha parlato, guarirà
Da “Iol libro cuore, di Edmondo de Amicis

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19 Commenti

  1. Agghiacciante. Notevole la scelta del titolo: “Garrone, dove cazzo eri?”. Un grido di pancia, esattamente. Possibile che non esistano più i Garrone? Io voglio ancora credere che no, che siano molti di meno, ma non ancora estinti. Ciao Furlen.

  2. i primi tragici frutti della campagna di demonizzazione dell’omosessuale condotta in pompa magna dal pastore tedesco e dalla sua banda.

    piango questo ragazzo, vittima di una scuola dove regnano l’omertà, l’inconsistenza di qualsiasi programma educativo, la sterile ritualità di una classe docente che, nel migliore dei casi, si limita ad amministrare ‘senza tanti danni’ l’esistente, la logica dei modelli imposti dalla televisione. una televisione che ha già contribuito ad ‘educare’ i genitori della maggior parte degli studenti, uomini e donne che ora non fanno altro che trasmettere ai figli i ‘valori’ ai quali hanno adeguato le loro misere vite.

    temo, purtroppo, che sia solo l’inizio.

    a milano, e non solo, forza nuova e merda consimile hanno già lasciato, per fortuna solo sui muri di una libreria a orientamento omosessuale, tracce del loro passaggio.

    dopodomani, ipocritamente, piangeranno un nuovo angelo volato in cielo, ma si guarderanno bene dallo stigmatizzare i comportamenti dei ‘crociati’ ai quali stanno armando la mano. in ogni ambiente. a iniziare dalla scuola.

    quando un docente (!) entra in classe e dice ai ragazzi che l’omosessuale è un malato da curare, e succede ogni giorno, i risultati sono questi.

  3. però, non so se ricordate cosa diceva Eco, nell’elogio di Franti, di Garrone:
    “… Garrone, che non perde occasione per far della bassa retorica elettorale (“Son io!” e il maestro babbeo: “Tu sei un’anima nobile!”; e se qualcuno dà noia al supplente, subito Garrone dalla parte del potente e dell’ordine: “guai a chi lo fa inquietare, abusate perché è buono, il primo che gli fa ancora uno scherzo lo aspetto fuori e gli rompo i denti”, così il supplente rientra e vede tutti zitti, lui, Garrone, con gli occhi che mandavan fiamme “un leoncello furioso, pareva” – e gli dice “come avrebbe detto a un fratello” ti ringrazio Garrone, e via, Garrone è a posto per tutto l’anno, ditemi se non era figlio di mignotta)”
    Ovvero, bisogna stare attenti anche ai Garrone. Il che non toglie un epsilon al significato del pezzo, ovviamente, ciao effeffe.

  4. Sì eva, condivido.
    Ma il male è più profondo.
    Il male è di sempre, ed i “diversi”, i “fragili”, i “meno dotati”, i “deboli”,hanno sempre pagato la paura di chi si rassicurava guardandoli e dileggiandoli, come ad esorcizzare lo specchio in cui si riflettevano.
    La diversità spaventa e quello che ti spaventa lo schiacci, lo allontani, lo deridi.
    E’ umano ed è diabolico non saperlo ed è tragico non riconoscerlo, perchè solo prendendo atto di questa paura, puoi tenerla a bada, quantomeno, o superarla, se sei un po’ più “coraggioso”
    La paura fa novanta, fa davvero novanta ed è contagiosa, si spande a macchia d’olio.
    La famiglia, la tanto decantata famiglia, il tuo microcosmo, la tua casa, il tuo rifugio, la tua tana, il tuo riposo, dov’è?
    Cosa stiamo facendo ai nostri figli? cosa permettiamo che facciano ai nostri figli?
    Cosa stiamo diventando?
    Una generazione che non ha saputo difendere i propri figli, che non ha saputo proteggerli, una generazione di padri e madri sconfitti.
    Temo che anche seneca avrebbe più o meno detto le cose che semplicemente sto pensando io.
    Sono molto addolorata e lo sono come può esserlo una madre.
    Ti abbraccio
    la funambola
    ci sono i garrone, quelli ci saranno sempre, ma saranno sempre troppo pochi.

  5. Io non parlerei di “primi tragici frutti”. Questo è un caso che ha superato le barriere dei giornali locali perché quest’anno il bullismo è à la page (l’anno scorso erano le scuole allagate, due anni fa i cani che azzannavano i bambini). Ci sono molti altri suicidi di adolescenti omosessuali (o etichettati come tali, non è ovviamente questo il punto), ci sono sempre stati, ma o perché avvengono in provincia, o perché senza un legame diretto con la scuola, o (molto spesso) perché i genitori fanno di tutto perché il suicidio rimanga senza spiegazione piuttosto che divulgare l’omosessualità del loro figlio – morto – in tutti questi casi la notizia è debole, e non rimaniamo ‘agghiacciati’.

    Resta il dolore. Il dolore lancinante che mi fa sculettare davanti a due suore per far loro sapere che io esisto.

  6. sono un insegnante e so benissimo, per esperienza quotidiana, che a scuola l’epiteto ‘ frocio’ è uno dei più usati. A voler essere sintetici, sono fondamentalmente due le modalità espressive con quale tale insulto viene reiteratamente adoperato. In primis, lo si usa con fare scherzoso, pseudoironico, sottotraccia per far sì che, comunque, il sarcasmo sconfini sempre nello schifo, nel noli me tangere. In questo caso non sempre la parola va pronunciata a chiare lettere, ma si procede per gestualità ( toccarsi le orecchie, per esempio) per ammiccamenti che dovrebbero essere allusivi, per sorrisini e battute che dovrebbero essere irridenti: la classe partecipa con magno gaudio, condividendo la presunta ‘derisione soft’ del frocio.
    Nel secondo caso, invece, è spesso l’ira e la virulenza verbale a farla da padrone: si pronuncia apertamente l’epiteto, perchè si è convinti che essere froci sia davvero una colpa insopportabile, una diminutio della personalità, un’abdicare colpevolmente dalla propria condizione umana, un intollerabile venir meno al necessario ‘decoro’ morale e civile. Chi lo pronuncia l’epiteto è spesso preda di un attacco di rabbia selvaggia, la gola tesa, gli occhi che sprizzano sangue, un defensor della sacre triade diopatriafamiglia. Qui la classe pare più ‘spaccata’ e meno schierata, ma i consensi superano abbondamente i bastian contrari.
    In sala insegnanti, poi, non è che tutto sia rose e fiori: mi piacerebbe un giorno fare un sondaggio e sentire quanti dei miei colleghi ritengono che l’omosessualità sia una malattia…

  7. Quando leggo di casi orribili, cerco di consolarmi dicendomi: “Lucio, ricordati che sui giornali finisce solo il peggio, l’eccezionale, l’aberannte. Per fortuna la realtà media è migliore”. Peraltro – ormai – siamo così in tanti, a questo mondo, che ogni risposta gay (= non sessualmente riproduttiva) da parte di madre natura al problema del sovraffollamento planetario non potrà che diventare sempre più auspicabile e benvenuta. Quanto agli etero, da un lato si accollano il compito di perpetuare la specie, dall’altro dedicano sempre meno tempo all’educazione dei figli, e così il mondo si popola di individui a cui nessuno insegna più il rispetto di nessuno.

  8. Bene Gilliat: i giornali! I giornali! Bruno Vespa! Bruno Vespa! Quella dei “bulli” è l’ennesima campagna stampa e solo il cojoneggiare senza esperienza dei fatti di un Eva Risto qualsiasi può scaricare sul “pastore tedesco” anche questa morte.

    Se ci entrate, a scuola, è meglio di quanto si pensi, nonostante i brufolosi forzanovisti e i fighettini liberal. Molto meglio di quando ci si sparava addosso perché eri rosso o nero.

    Il fatto è che proprio grazie alle “grandi conquiste” del passato oggi non possiamo più prendere i compagnucci vigliacchetti del ragazzo che si è suicidato. Prenderli nel senso di prenderli a sberle e poi buttarli fuori dalle scuole di tutta la Repubblica. Poi chi le sente le insegnanti di sostegno?

  9. mi spieghi che cazzo ne sai tu della mia esperienza? l’unico coglione presente finora in questo thread sei tu. col tuo maschilismo da accatto. e sei anche in buona compagnia, visto che ce ne uno sulla tua testa. certo che, se lavorate nella scuola, ce da mettersi le mani nei capelli.

    che uomini colti e ‘tolleranti’ che siete: capaci, bontà vostra!, di accettare anche gli omosessuali: ma solo perché c’è un ‘problema di sovraffolamento planetario’ (sic!). in caso contrario, cosa facevate? li mandavate ai forni?

    @ Gilliat

    ogni stagione dà i suoi frutti. questo è proprio il primo della ‘nuova’.

  10. l’unica cosa che il verbo “accettare” mi fa venire in mente in questi giorni è la lama luccicante di un’accetta;
    e comunque guerre e ancora guerre: quella dei media contro i ragazzi (tutti bulli-violenti e di plastica, polli d’allevamento come diceva Gaber, che un po’ è vero, ma non è che sia solo colpa loro); e poi ci sono Natzinger e la sua cricca che, nonostante l’omofobia diffusa senza bisogno dei loro sermoni quotidiani, in questo momento vanno ritenuti i mandanti e istigatori principali della violenza omofoba;
    resta la “pietas” per quel povero ragazzo, ma, come si sà, pietà l’è morta

  11. Il bullo è solo. In classe lo tengono a distanza, sanno delle sue mani lunghe e dei calci in faccia. Ti chiama negra, ti dice frocio, incollato al primo banco da una sospensione che non arriva mai. Sotto il cappuccio, il bullo è innanzitutto un ciuccio.

    Si sente al centro di una cospirazione, vede nemici dappertutto, gliel’hanno detto da qualche parte: ebrei e froci, “i poteri minacciosi che lo hanno preso di mira sono facilmente individuabili”. In famiglia, se ne parla. Anche a scuola si sussurra. Che sono più intelligenti, più ricchi, migliori di te.

    Finché sta in silenzio il bullo non dà fastidio, “è inappariscente, muto: un dormiente”. Ha il suo casco, il motorino, la paghetta di paparino. Lo temono perché in lui vedono un pezzo di se stessi: “magari gli si darebbe persino una mano, purché finalmente la piantasse. Ma lui non ci pensa affatto”.

    Il bullo, “il mostro”, è un tipo tosto. In gita si fa l’ormonella della classe, una pomiciata in camerata e via, pezza da piedi vattene via. Il bullo non legge Moccia, lo brucia; non ha amici, né compagni, ma una “cupidigia servile” che lo accompagna, come diceva Manzoni della vecchia nel castello.

    Il bullo non fa parte del branco, ma il branco gli fa la riverenza. Lui, purtroppo, non è un pollo: “I sociologi si attengono alle loro statistiche: valore medio, devianza standard (…). Le loro definizioni sono come quando si gratta una ferita: stando a Samuel Butler, quella poi prude e duole più di prima”.

    In disparte, il bullo “coltiva il suo fantasma, raduna le sue energie e attende la sua ora”. Negli USA si mette un cappotto nero e lo rinforza con la cartucciera. Aspetta la campanella per mitragliare il resto la scolaresca. Un minuto prima di piazzarsi l’ultimo colpo in testa.

    Il bullo guarda un sacco di cinema ultraviolento. Gode a rivedersi “Arancia Meccanica”. Per lui la vita non vale niente, la misera routine catto-borghese, la vile esistenza: “perché dovrebbe interessarsi della vita altrui?”.

    Gli chiedi che hai, che ti prende? Risponde: “Sono affari miei”. “E’ colpa degli altri”. “Questi due momenti non si elidono. Al contrario: si potenziano a vicenda secondo il modello del circolo vizioso (…). L’unica via d’uscita dal dilemma è la fusione di aggressione e autoaggressione”.

    Da un momento all’altro il bullo può esplodere. Come il tristo impiegato William Foster: “Allora si parla di Amok, parola attinta dal malese (…). Magari una lamentela della moglie, la musica troppo alta del vicino, la banca che gli ha chiuso il credito. Basta l’osservazione poco gradita di un superiore, e il tizio sale sul campanile e prende di mira tutto ciò che si muove davanti al supermercato”. Lo condannano, certo, ma in cuor loro lo applaudono e lo invidiano.

    “Il loro vero obiettivo non era la vittoria ma lo sterminio, il dissolvimento, il suicidio collettivo, la fine con orrore. Non c’è altra spiegazione del perché i tedeschi nella Seconda Guerra mondiale abbiano combattuto fino all’ultimo cumulo di macerie berlinese”.

    “Quasi sempre si tratta di un soggetto maschile (…). Chi si attribuisce una superiorità, per il passato lapalissiana, non si rassegna al fatto che i giorni del primato sono finiti e molto difficilmente accetterà la propria perdita di potere”.

    In realtà non gliene frega niente di quello che pensano gli altri, i prufissuri, i genitori, i suoi compagni: “Egli stesso deve metterci del suo; deve dirsi: io sono un perdente e basta”.

    “Tutti questi omicidi sono persone isolate che non hanno trovato accesso a una collettività. Ma questo è anche errato; perché evidentemente si registra un numero sempre maggiore di simili casi isolati. Il loro moltiplicarsi induce a concludere che esistono sempre più perdenti radicali”.

    Sempre più bulli in tv, sui giornali, spettacolo osceno. De Amicis? Meglio, il Grand Guignol: “E’ tutta colpa delle cosiddette circostanze. Con ciò intendendo il mercato globale o una prova d’esame andata male oppure un’assicurazione che si rifiuta di pagare”. Il bullo è come un terrorista: fa notizia.

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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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