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Seth, Golden Gate, sei!

6.1

Com’è bello quel ritrovarsi accanto
al risveglio l’amato, la luce lenta
filtra dalle finestre, come un manto
fascia i capelli di Liz. John rammenta
quando lei la notte scorsa li sciolse
e lui tra le dita li avvolse.
Ma adesso lei sta dormendo, respira
con cadenza regolare, la spira
dei suoi pensieri non rincorre quelli
di John, i suoi sogni seguono il cuore
solitario di un paesaggio interiore,
ma l’onda lucente dei capelli
sparsi sul cuscino, porta la mente
di lui, ancora, alla notte fuggente.

6.2

Oppur dopo oneste ore di studio
(esami e report da controllare),
come è bello godere un dolce interludio:
il conforto di un sorriso familiare,
di un pasto condiviso; o soltanto
saper che stanotte ci sarà accanto
qualcuno. E le intrusioni del giorno –
ansie, affanni – non faran più ritorno.
Lo sguardo su questa storia si estende,
non vuol confondere ma far il punto
delle novità. Un breve riassunto:
dopo due mesi d’alterne vicende,
Liz ha invitato il suo John questa sera
a cenar con lei a lume di candela.

6.3

Davanti a una zuppa di ceci (dieta
nuova di Lizzie, tofu specialmente
più sedani) la chiacchiera s’acquieta…
l’antica amabilità…: il veemente
ciarlar da ragazzini, arrivato
alla fase calante, si è placato,
e ciò che nelle parole e nei gesti
serviva a mascherare quei molesti
cenni d’irritazione – una volta
innocentemente da John nascosti
in delicati mugolii composti –
vengono a galla, così la stolta
infatuazione di Liz per la dieta,
e, in fondo, la serata scorre lieta.

6.4

Drogata di zucchero, Liz si impone
di darci un taglio quest’anno. Di norma
ogni settimana va alla riunione
del collettivo per tenersi in forma.
La miglior soluzione è limitare
il contrabbando, senza esagerare:
non proprio astinenza, ma un cucchiaino
o anche due (o tre) al giorno (no al vino,
sì al dessert). Questa è la dieta promessa.
La prima volta che Liz ha tentato
di seguir questo piano bilanciato,
la rinuncia al desiderio l’ha messa
k.o. verso le dieci di sera,
quando John stanco, ormai già non c’era.

6.5

A mezzogiorno l’ansia e la follia
verso lo zucchero fa vacillare
la sua volontà. Liz darebbe via
Charlemagne per un biscottino integrale…
uno snack allo zenzero. Qual è l’essenza
della vita, rinuncia e sofferenza?
Scossa da una sensazione di dolcezza
le sue papille cercan la carezza
del cibo invano. L’aura del mal di testa
s’impossessa della sua vista. Stesa
col ghiaccio sulla fronte, è la resa
al buio della mente. I sogni le restan:
e Liz immagina il suo corpo enorme,
i carboidrati le han sfregiato le forme.

6.6

Nel mentre Lizzie “riattiva un’olistica
modalità d’ingestione”, John, sempre
convinto d’avversione antagonistica
contro la gestalt e le assurde tempre
moderne – il concetto di “risposta
già pronta ma stramba” (formula apposta
da lui coniata) – si trattiene a forza
dal mettere bocca, finché la morsa
non cede: “Liz, riflessiva, squadrata
e prudente, prima che qualche dio vegan
ti ammazzi del tutto, dì a chi ti prega
qual sarà la nuova fede abbracciata?”
Se lui è di questo umore, Liz minaccia
sciopero della fame…Quindi taccia!

6.7

Vanno insieme al cinema, al balletto,
una o due volte a settimana, ogni
tanto a passeggio. Febbraio ha l’effetto
d’adescar i boccioli di cotogni
verso il rosa più vivido. Esplode
la mimosa, la primavera s’ode
per le vie con la sua dolce fragranza.
Passa un altro mese e la coppia avanza,
tra annunci di appartamenti, agenti
immobiliari… Eureka! In alto,
sopra il colle, svetta come d’incanto –
un dono del cielo per i credenti –
un cartello: palazzo vittoriano
in affitto, spazioso, primo piano.

6.8

Nonostante gli stemmi e le torrette
l’ampiezza restituisce sobrietà,
un design che mescola le vette
di ben tre stili: abilità
ecumenica. Un equilibrato
champagne dal retrogusto fruttato.
È vero: quella carta da parati
è un caos, gli ex-inquilini, malati
di zelo innovativo, hanno assunto
artisti d’avant-garde senza lavoro,
che si son cimentati a modo loro.
A breve, con un certo disappunto,
i muri si stingevan di salmone,
verde oliva, amaranto, marrone.

6.9

Ma, come dice Liz, ci son speranze.
ora i loro week-end e le serate
li passan a scartavetrar le stanze
dagli strati di orrende pennellate,
per riscoprire l’antico splendore.
John, felice, agita con ardore
il suo scalpello, nel mentre riammira
il grande rosone con la sua spira
di petali sul soffitto, tornato
alla luce. Immerso nei suoi sogni
creativi, sparge sopra i muri spogli
tre strati di stucco. A Liz è andato
il peso di fare brillar lo spento
legno di quell’antico pavimento.

6.10

Al posto degli orpelli fluorescenti
sistemano lampade color ocra.
Le grosse finestre linde e splendenti
regalan raggi solari alla fioca
luce interna. Liz taglia stoffe, John
rimpiazza mobiletti chic con box
antichi di libri, un sofà a coste
e (per evitar a Charlemagne soste
d’artigli sulla stoffa) una zona
per affilar le unghie. Cosa resta
da fare adesso, se non una festa
di rito? Dunque, se mi si perdona
il salto dalla vicenda trascorsa,
faremo meglio a passare di corsa

6.11

alla mattina successiva. Splende
il sole, il cinguettio degli uccelli
stinge le risate della fuggente
notte, i vetri infranti, i rovelli
oziosi di Pratt, il sound emetico
degli Sheep, persino lo splenetico
gnaulio di Charlemagne. Tutto è sì quieto,
pigra domenica mattina, lieto
rifugio sacrale da un mondo dove
scalpitiamo agitati e smarriti.
John poltrisce a letto, lancia grugniti
mentre aspetta il caffè. Liz non si muove,
continua a dormire ancora un po’
ma un paio di volte mormora: “Jooohn…”

6.12

San Francisco Chronicle come inizio,
insieme a una miscela colombiana
di caffè, John sorride per il guizzo
umoristico della quotidiana
colonna di Hobbe, le vivaci critiche
del bisbetico Hermann, e le mitiche
rivisitazioni del galateo
di Miss Etichetta, e poi il corteo
di notizie sempre uguali: dolore,
cupidigia, paura, odio. John pensa
a Liz e al Fato: la dolce evidenza
di un suo traguardo gli infonde calore.
Lui, un solitario, che tra le mura
di casa, ha finito l’avventura.

6.13

E pensa a sé con gran compiacimento
ciò di cui abbisogna l’uomo è un lavoro
buono e ben pagato, un appartamento,
un po’ di bel tempo e un po’ di decoro,
giornali, caffè, carciofi e capperi
un impermeabile della Burberry,
per macchina va bene una Pegeout
e quando fa sera un po’ di Rameau
o Couperin, una cenetta graziosa,
un po’ di porto con del buon formaggio
e poi un bel piumone caldo come agio
finale. Nella vita di che cosa
si ha bisogno per essere un signore?
Di tutto questo… e di un grande amore.

6.14

Ah John! Non dare tutto per scontato
pensi che il cuor di Liz ti sia asservito?
Il tavolo da snooker è inclinato,
la bomba del cuculo è nel nido.
Sta attento. Sta attento. Come nel poker
la follia di quella carta – il joker –
i piani migliori manda in rovina,
così – spesso – quella bestia ferina
e pelosa (difficile pensare,
quando – ancora micetti – invece,
sono così carini), della specie
animale che si è avvezzi chiamare
gatto, entra all’improvviso nel gioco
e a mandarlo all’aria ci mette poco.

6.15

Mi correggo: ho detto “entra”? – quello
in effetti era già lì. Risentito,
ab initio, nel quadretto pastello
di John – il gatto, arcigno, stizzito
e sdegnoso verso la debolezza
umana, acconsente alla dolcezza
del suo amor fou per la padrona Liz
(che gli salvò la vita o giù di lì)
di mondarla dal peccato; lo stesso
non vale per John: il vecchio siriano
sdegna la pace e gli graffia la mano.
Niente può placare l’odio confesso,
sotto al pelo consumato sembra arda
indomita la gelosia beffarda.

6.16

Perché mai affilarsi gli artigli presso
il luogo adatto e non sui pantaloni?
Perché mordere un osso o andar appresso
ai topi come volgari predoni
se si può rosicchiare la cornetta
del telefono avvertendo la fretta
del brusco capo di John e il presagio
di un estremamente urgente messaggio?
Perché occuparsi di un gioco banale
quando il rapporto chiamato Modelli
per missili può finire a brandelli
in maniera del tutto accidentale?
Perché desiderar del cibo esangue
se del tuo nemico puoi bere il sangue?

6.17

Sangue! Non è casuale analogia,
ma va notato in questo paragone
che senso abbia tal genealogia:
nel sangue guerriero del gattone,
si mescola – un bonus per la rima –
lo spirito cacciatore di Selima ,
l’arguzia di Fritz, e l’audace élan
dell’esultante Pangur Bàn.
Lo spirito del vecchio Atossa,
e il nome di Jeoffrey, “gatto elettrico”,
si fondon in un pedigree eclettico,
antico e sacro come il monte Ossa.
E non so questo sia bastante
per celebrar l’onor di Carlo il grande.

6.18

Come osa John, il disgustoso intruso
violar il solco del suo territorio,
usurpargli il suo reame? Qual abuso
violentare il suo regno solitario,
inviolato da quando appena nato –
sperduto, senz’orecchio e abbandonato –
lacerò d’amore il tenere cuore
di Liz ragazzina – che ardore,
Santi Gatti, leder la maestà! –
Può l’erba gatta rimpiazzare, ora,
l’abbraccio caldo della sua signora?
E oserà, con nobile impunità,
lui dormir con Liz e, per farla corta,
chiuder Charlemagne fuori dalla porta?

6.19

Sei arrivato allo stop, vecchio gatto,
vecchio amico, che graffiava la porta
di case sconosciute per un piatto
di cibo, fino a quando Liz si è accorta,
tanti anni fa, di te. Fa meraviglia,
che quel micetto, nomade per miglia,
miserabile, possa averle morso
la mano con diletto e che nel corso
del tempo sia apparso un po’ bandito,
un po’ signore? Liz gli ornava il piatto
con spruzzate di chardonnay (di fatto,
non una buona usanza), lui asservito
d’amore, la ricopriva con quintali
di sorci: un omaggio senza pari.

6.20

Trascorsero gli anni. Liz corse dietro
alla conoscenza, poi alla carriera;
Charlemagne prima dietro ai topi, poi dietro
a lei, sempre fedele, come la schiera
dei nanetti appresso a Biancaneve.
Orgoglioso ed edonista, ma se deve
dare il suo tempo e la sua libertà
all’adorata padrona, lo fa
e senza pensarci. E Liz, nei momenti
di noia o tristezza, sta con la mano
al dizionario, mentre pian piano
con l’altra carezza i bei lineamenti
del gatto, il manto grigio-arancione…
per ricever fusa a profusione.

6.21

Cosa c’è dietro quelle fusa? Forse
la fedeltà di un gatto a una persona
o i ricordi di serate trascorse,
quando il predone sgombrava la zona
da tutti i rivali e i pretendenti,
per soddisfare gl’istinti ardenti
di una gatta in calore, sotto un manto
di stelle, in una notte d’incanto.
O son il segno della sicurezza
d’un amore adulto, messo a invecchiare
in botti di legno, per mascherare
l’antico aroma di una purezza
passata. Vecchio gatto, con che forza
graffi ancora una volta quella porta!

6.22

“O Charlemagne cosa puoi saper del danno
commesso?”, John osserva il suo defunto
report. “Colpi così bassi non vanno
tirati”. Liz, con ugual disappunto
per la gioia del gatto e il dispiacere
di John, riprende Charlemagne con severe
parole. “John, è solo una reazione
momentanea, lo sai, la confusione,
il trasloco, il rumore e la festa…
han turbato il suo equilibrio”. Il gatto
entra nella stanza soddisfatto,
con estrema tranquillità s’assesta
sul tappetino, mentre si compiace
per la sua intelligenza tanto audace.

6.23

John va a nanna mentre le ore
si fan piccole per Lizzie… a leggere
le polizze dell’assicurazione…
Mascella e mani tremanti, non regge,
John, e irrompe nel suo studio, nudo:
“Cristo Santo, Liz, quel pazzo fottuto
del tuo amico! Per Dio! Io lo sbudello!
“John, calmati, calmati, dimmi quello
che è successo. L’hai provocato?”. “Cooosa?
Io, provocato? Quel pazzo è zompato
sul letto e sai che ha fatto? Ha urinato
sul mio cuscino. Non esser pietosa
con lui, e fallo castrare, servirà
a placargli tutta l’aggressività.

6.24

L’invettiva di John si fa bollente
(del tipo: “Lo castro di mia mano!”)
al che Liz: “Non esser repellente”.
“Beh, allora spediscilo lontano”.
“Caro, su, non fare lo scocciato”.
“Ah no? Dovrei essere esaltato?”
“Non dico questo. Mi dispiace molto,
ma ti prego, dammi un attimo ascolto,
basta cambiar le lenzuola. Tesoro,
Charlmagne ha ormai una certa età,
dodici anni sono un’eternità,
ma, credimi, ha proprio un cuore d’oro…”.
“Ne son certo!”. “Castrarlo non conviene
per lui sarebbe un male più che un bene”.

6.25

“Quindi che dovrei fare: abbozzare?”
“Chiudi a chiave la camera da letto”.
La notte Charlemagne prova a sfondare.
Ma sconfitto, col cervello costretto
a troppa cautela e concentrazione,
rivolge la sua matura attenzione
alla borsa di John, fatta su misura
in pelle di maiale lucida e dura,
che era lì vicino al tavolo di studio
e non con la forza ma con la furbizia
s’occupa della faccenda con dovizia:
uno sventramento esangue, preludio
d’una soddisfazione completa:
una rappresaglia semplice e quieta.

6.26

L’ultimatum di John arriva l’indomani,
non più furente, quanto rassegnato:
“Certi amano i gatti, altri ben lontani
son dal farlo. Io vengo registrato
nel secondo tipo. Scusa il brutto
tono, ma per amarlo ho fatto tutto
Con Charlemagne non è bastato. Quel gatto
mi dà il voltastomaco. Non è matto,
né scemo. Oggi si prende per bottino
la mia borsa, e domani mi cava
gli occhi, Liz, credimi, ho paura, stava
per farlo…O lo trasformi un gattino
senza artigli, o… vienimi in aiuto,
acchiappo una sega, e in un minuto

6.27

li sego io”. “No, no”. “Cosa temi,
Cristo Santo, son solo unghie!”. Ma mentre
la guarda prossima al pianto, le mi-
nacce le fan rivoltare il ventre.
Liz siede immobile senza rispondere.
John dice: “Lizzie, ti prego non piangere,
mi spiace di fare il bastian contrario…”
“Son più di unghie, un veterinario
te lo può dire!” Liz sbotta, poi afferra
un fazzoletto. “Chiedi a Jan, hai torto,
e marcio”. E John per tagliar corto
chiede la pace, ma a riaizzar la guerra
ci vuol poco. Jan è chiamata adesso
nella disputa: inizia il processo.

6.28

Si siede, a ogni lato un colonnello:
più che saggi, strambi, uno chiamato
Polsino, l’altro chiamato Gemello.
In questa vicenda i due hanno mostrato
una disdicevole fluttuazione
nell’abilità di ponderazione
e di giudizio intorno all’indagine
dei presunti crimini; troppo il margine
d’errore. Sono stati nella stanza
da letto. Soddisfatti hanno osservato
il piumone graffiato e sbranato
con sforzo immane e eccessiva costanza,
poi in cortile ecco la parte più bella:
con l’accusato han fatto comunella!

6.29

Lì, Charlemagne, con docile gentilezza
indica un tronco d’albero ben graffiato,
ha un fare paterno, grande saggezza,
nessuna gelosia. Per il selciato
se li porta a passe, cercando tane
di topi. Scusate se sembran vane
queste mie digressioni; nella corte
ove John teme la condanna a morte
per l’operazione da lui proposta,
arriva la sentenza: “Hai ragione,
Liz”, dice Jan, “non c’è altra soluzione.
Tagliare gli artigli a un gatto ti costa
l’accusa di mutilazione. Senza
unghie, un gatto, morde e usa violenza.

6.30

Comunque Liz devi farlo vedere
da uno psichiatra. Conosco
io quello giusto per lui, non temere.
Sono seria, non far lo sguardo fosco.
Mi spiego meglio, scusami, un gatto,
come l’uomo, può dare di matto,
perché ha una sua psiche”. “Jan, sei scema”,
John sbotta. “Ma se…”. “Niente ma, frena,
questo posto è un manicomio: la dieta
di Liz, e ora pure l’analista
per gatti. Ne ho fatta una provvista
di follie, torno a far l’asceta
a Yonkers. Ciao California, ortaggi,
frutta e pazzi, basta gatti e randagi.

6.31

Liz dice: “Jan, che razza di consiglio!
Charlemagne è un gatto a posto, non è questo
il punto”. “Non direi”, fa John con piglio
astioso: “Be’, sai forse Jan…”. “Contesto”,
dice Liz, “Charlemagne non è un bambino,
niente sevizie di un aguzzino
travestito da terapista. Devi
solo lasciarlo ambientare”. “Se credi
che quel tuo animale non sia un pericolo
costante, sei pazza. A te la scelta
o lo mandi in terapia, e alla svelta;
o con le budella di quel ridicolo
gatto, ci faccio il violino per Sue
e la racchetta per Ed. Fai tu”.

6.32

Liz si arrende, al che John cambia discorso
“Jan, come va con la band? Tutto a posto?
Spulciando tra le tue cose, lo scorso
week-end, abbiamo visto di nascosto
la tua creazione: quella copertina
è fenomenale!” “Be’, John, continua…
e il contenuto?” “Sai, mi sento perso
quando ascolto qualcosa di diverso
dai Beatles…però non deve esser male…”
“Questo è troppo!”, sbotta la musicista.
I tre ridono. “Mi sa che la lista
di tutti gli amici taccagni sale
di numero… Che dici zuccherino,
lo compri il disco o aspetti un regalino?”

6.33

“Sì, che malfidata, sei una taccagna”,
dice Liz, “Ne abbiam comprato uno!”
“Oh,ci scriverò Per la mia compagna
Eliza e per Johnny, a ciascheduno
il merto della mia sopravvivenza.
“Scrivo io: Un bacio a Liz e John, senza
fronzoli”. Jan firma, Liz si premura
di chieder come va con la scultura.
“Bene, adesso ho in mente un Tutankhamen
sopra una zattera, in mano una fiocina
che solca il fiume. Il Male Che Domina:
è il mio tema”. “In bocca al lupo”. “Amen”.
dice Jan e manda giù il Pernod
prima di far ritorno al suo loft.

6.34

Charlemagne è spedito dal gatto-analista
tre volte a settimana; mentre scorre
il tempo, l’oro di settembre conquista
la città una volta ancora. E dorme
un sogno autunnale di confusione
e ciance, che va senza interruzione
dall’oceano alla baia. L’universo
tra sofferenza e pochezza, nel verso
di sempre, segue il suo corso. Dirada
la nebbia, scroscia la pioggia, Jan siede
con meno piacere di quel che si crede,
al café Trieste, ripensa alla strada
tortuosa della sua vita e dell’arte:
“Non devi mollare, poi si riparte”.

6.35

Il vecchio diktat di nonna è vetusto,
certo, ma qual è il mio credo? Va’, segui
il flusso! Questo è un nichilismo giusto
per gli invertebrati. Uno mi spieghi
che succede quando il flusso smette
di fluire. Provar nuove ricette?
Beh, la mia vita sentimentale
è un pianto, la mia arte non vale,
e la musica? Va tutto da schifo…
Meglio darci un taglio o mi ritrovo
sull’orlo di… Micetti… dove scovo
un’altra ragion di vita? Il tifo
degli amici? Oh sì! Fammi chiamare
John per la revision spirituale.

6.36

“Pronto? Qui è John…ciao Jan. No, oggi niente
lavoro. Che? No è Phil quello che ha in testa
di abolirlo. Io e te siamo gente
pagata per creare. Jan, ma questa
era solo una battuta, non vale
la pena scaldarsi. L’hai presa male?
È fuori luogo? Di cattivo gusto?
Scusa, non c’ho pensato…era giusto
per dire. Ma sei proprio una virago!
Un velo di dolore copre il viso
di Jan, ma presto le torna il sorriso.
È come se ci fosse un embargo
contro parole che, senza permesso,
entrano nel cuore come un ascesso.

6.38

Passa un dì. È domenica, mattino,
Phil va a trovare John e Liz: “Perdono
per tutti gli sbadigli… è un continuo”.
John ride: “Dovrei supporre che sono
frutto di sesso matto senza sosta”
“Non sei divertente!”. “Cosa ti costa
dire che c’ho preso?”. “Forse” “Ma dai,
chi è lei, Phil?” “Beh, aspetta e saprai”.
“Non è da te tutto questo mistero
con i tuoi amici, Philip Weiss” “Non ora,
John. Liz,mi serve un consiglio, allora,
niente scherzi, è un problema serio:
la marcia alla Lungless”. “Ah, quella cosa”,
mormora John, “con aria alquanto astiosa.

6.39

Pensavo che eri in visita d’amico
“Sì… John, volevo solo domandare
a Liz se…”, e John: “Vieni o no d’amico?”
Ecco allora sul viso di Phil calare
un velo d’ansia. Liz, in imbarazzo
mormora: “Non può essere presa al lazzo,
tra amici, la libertà di parola
su Phil, spara, cos’hai in mente? Sorvola,
per favore, sulle formalità”.
“Secondo te”, riprende Phil, “svenire
per finta se t’arrestano, vuol dire
fare resistenza?”. “Giusto, chissà.
Vuol dire impedir lo svolgimento,
ma che posson fare? Però sta attento.

6.40

La polizia ha un gran margine d’azione,
può succedere un casino. Bisogna
stare in guardia, far molta attenzione.
“Tutta questa faccenda è una vergogna”,
sbotta John. “ed è antidemocratico”.
“Giusto”, fa Phil, con sorpreso ed enfatico
moto d’assenso. John, preso in scacco
risponde: “Intendevo il vostro attacco
al laboratorio, non quel che fanno
loro. Avete il voto, le corti,
la stampa… arrivare ai ferri corti
non ha scusanti. Siete voi il danno
di questo paese: giocate alla guerra
facendo i difensori della terra”.

6.41

“John, ne abbiamo già parlato”. “Se intendi
il tuo sproloquio quel rovente getto
di gas instabile, allora, senti
forse l’abbiamo fatto. Quel che è certo
è che ti scaldavi tanto, ma quando
si è giunti, concretamente parlando,
al mondo vero, ti ho visto sgusciare
in un angolo ubriaco, a sparare
cazzate sulle iguana, o non so cosa.
Quella notte non ci siam detti molto,
e pure oggi non mi dai grande ascolto.
John il sangue vuol vedere, non dosa
per niente le parole, così quello
che resta a Phil è: accettare il duello.

6.42

“Va bene John, se vuoi la discussione
c’è libertà di parola, avanti”.
“Se la Russia fosse la tua nazione
non sarebbe così, lì commedianti,
artisti, poeti, e tutti coloro
che han visto la verità a modo loro
e cercano di rivelarla in giro
son interdetti, presi sotto tiro,
ingiuriati nel loro stesso paese.
Mandel’stam? La stessa fine vuoi farla?
Parla qui e potrai star tranquillo, parla
lì e il Kgb paga le spese
per uno strizzacervelli che ti droga
fino a farti pensar quel che è in voga.

6.43

Un mese di prigione psicologica
farà appassire il tuo caro intelletto,
e al posto di un’eresia demagogica
sarà Sacra Scrittura, ci scommetto,
il tuo grido. Lo sa il Grande Vescovo
che cosa è giusto e cosa è diavolesco,
riempie il docile gregge di spie,
e La verità gonfia di bugie.
Manifesta là: la sincerità
costa, molla il lavoro ed aspetta
dallo stato la sua fraterna stretta…
Se credi alla loro duplicità
inchinati al monolite, la corda
porgi per impiccar chi non concorda”.

6.44

John si ferma, pieno d’agitazione.
Phil, nervoso per la sua veemenza
si fa rosso, ma la moderazione
ha la meglio: “Non hai detto scemenze,
però io non sono un apologeta
del regime o il suo psicoterapeuta.
Sono un americano e ne son felice,
ma di uno stato così, che ne dice
uno che ha non ha lavoro (e tanti
ne sono)? Chi affoga nella malattia
ed ha fatto bancarotta per via
dei debiti con la sanità? Quanti
privilegi gli dà la sua libertà?
E sua figlia a studiar come farà?

6.45

Aggiungerei anche che il loro dispostico
culto religioso per Marx
funzioni appunto come un narcotico:
gli apparaticki fanno i pascià
con le risorse rubate al paese.
Mentre il popolo ne fa le spese,
loro rubano la fetta più ingente
alla torta comune, annientano
chiunque sia infedele al partito,
spiano, imbavagliano, opprimono.
Ma se questo nostro è un paese libero
e non dobbiamo dir che bel vestito!
al re quando è nudo, però ci teniamo
all’unico mondo che abbiamo.

6.46

Come siamo giunti a questo punto?
Ah sì… Tu dicevi… Ma non fa niente.
L’apocalisse – è questo il mio assunto –
non distingue tra nazioni. La gente
è altro da bieche teocrazie,
costituzionali plutocrazie.
Il nostro mondo, l’aria che ognuno
respira (Phil fa una pausa per uno
scoppio di riso)… capisco l’accusa
di troppo fomento, però che senso
ha dir noi e loro, quando penso
che siamo tutti spacciati? John, scusa,
non appoggiarmi, però non pensare
che io non sappia cosa sto per fare.

6.47

Ti lascio qui un po’ di letteratura.
Non voglio far proseliti. Lo so
che pensi che questa è spazzatura.
Ma guardala coi tuoi occhi però”.
Così Phil dà a John – che ora s’è calmato
e la guerra non vuol più – il trattato
di Schell sui Destini della Terra,
testi di Caldicott, e una cartella
sulla marcia verso il cuore pulsante
della corsa missilistica, vale
a dire Lungless. Poi, in un finale
riconciliatorio – è importante
saper lasciare sbollentare –
Phil dice: “Beh, ora è meglio andare”.

6.48

“Phil, aspetta un secondo, ho un regalo
per il piccolo Paul: un’orecchia
di mare”. Con una stretta di mano
e un sorriso, Phil rinnova la vecchia
amicizia: “John, ti ringrazio”, saluta
Liz con un bacio, e fa una battuta
(“Ho apprezzato colto la tua manna”)
degna del Dottor Spooner . Tiranna
è la sorte: John è appena sfuggito
alle grinfie di Phil, che compare Ed.
“Figone”, Liz se lo abbraccia, “perché
hai la cravatta?”. “Il capo è sparito
nel mezzo di una grossa commessa –
Ho il tempo giusto per la messa –

6.49

Lui va via, senza avvertimento,
così a noi ci tocca lavorare
di domenica: novità del momento!
Scusa John, Liz…ma adesso devo andare…
È per questo che son vestito a festa…”
Liz sorride, trasale, manifesta
prima segni di choc, poi di sconcerto.
Pensa: “Deve essere un caso, ma certo…”.
Ed li abbandona, ma Liz sembra ancora
così preoccupata che John domanda:
“Liz che succede?” Ma lei già guarda
fuori dalla finestra e lo ignora,
ha la testa poggiata sulla mano,
lo sguardo assorto a scrutar lontano.

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[la traduzione è sempre di Luca Dresda, Christian Raimo, Veronica Raimo, i capitoli precedenti sono nell’archivio di nazione indiana]

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5 Commenti

  1. Frascella. Se Dio vuole, uscirà all’inizio del 2008. Per Fandango. In quasi contemporanea in Francia, per Grasset.

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