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Da: Ecce Deus

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di Andrea B. Nardi

[Sullo sfondo di un impero che si sta modificando per sempre, un vecchio soldato dal passato eroico ma oscuro, forse malato, forse pazzo, deve tornare al servizio dell’imperatore Costantino. Il concilio di Nicea vede lotte fra opposte eresie, mentre la politica fagocita il Sacro. Che infatti non esiste più, assieme a una Roma destinata a rimanere ormai solo un antico sogno. Un romanzo psicologico di personaggi epici, un noir di spade e misteri, una denuncia teologica di come la religione e i dogmi siano parto solamente della ragion di stato, dei conflitti di potere. E se una semplice votazione a Nicea fosse stata diversa, oggi noi pregheremmo altri Dei]

Non dovettero passare troppi istanti, però certo c’erano parecchie porte, cancelli, portali, inferriate da aprire, richiudere, e scale da scendere, corridoi da percorrere, attenti a non inciampare, l’oscurità, l’odore, l’oppressione, ma dopo poco si trovarono davanti al portoncino giusto: dall’altra parte c’era l’imperatore di Roma.
La cella venne aperta, si scorse qualcosa sobbalzare sul fondo, gemendo. L’ex imperatore di Roma era incatenato in un nero perenne – la luce qua sotto a che gli serve? – dentro una specie di grotta, e le guardie si stupirono fra sé che questi agenti non facessero una piega per l’esplosione di tanfo da cui erano stati investiti. Due fiaccole illuminarono una figura bestiale e piagnucolante; nudo, disgustoso, perduto dentro a mille malattie, quasi un morto sembrava, ma senza neppure quella dignità.
L’ufficiale ordinò ai secondini di liberarlo dai ceppi e di uscire dalla cella. Fate in fretta e poi aspettate in cima alle scale, fu la precisazione di uno dei suoi uomini.
Ma Licinio non era ancora morto, purtroppo. Tentava di spalancare gli occhi e non gli riusciva, mentre dalla bocca cadevano parole e versi fragilissimi che nessuno voleva ascoltare. Aveva avuto un tempo enorme per pensare a come sarebbe stato; ogni momento di ogni ora, ogni ora di ogni disperato giorno, ogni giorno e notte per mesi e mesi e mesi. Adesso però non ricordava più nulla, voleva solo un poco d’acqua da bere, acqua nella gola, e basta, solo questo. Martellarono i ceppi e glieli fecero saltare. Si sentì toccato. Sperò: per un attimo guardò quegli uomini e sperò. Prima di essere un politico, un re, era stato un soldato, un generale: conosceva bene gli occhi di chi sta per farlo.
L’ordine era di non lasciare ferite sul corpo, quindi lo strangolarono.
Aveva avuto un tempo enorme per pensare a come sarebbe stato, forse avrebbe rivissuto tutta la sua vita sbagliata, come dicono, forse avrebbe rivisto ogni faccia conosciuta, chi aveva amato, chi ucciso, chi gli aveva voluto bene, mia madre, mamma mamma, e una donna dimenticata, e mia moglie, amore mio, cosa farai in questo momento, Costanza, mentre mi uccidono? Forse si sarebbe rivisto nello splendore più grande concesso a un mortale sulla Terra, il figlio di un contadino della Dacia diventato Augusto imperatore, così potente, hai visto, papà? Come ho fatto a finire quaggiù? Le nuotate da bambino in estate, le risate, tutti gli errori che ho fatto, dove ho cominciato a sbagliare, io giocavo così felice, dovevo diventare un contadino come mio padre, avevamo un progetto piccolo, in questa vita, non ce ne sarà un’altra.
Gli passarono qualcosa intorno al collo. Non pensò a nulla di tutto questo. L’ultima immagine che Licinio ebbe prima di perdere ogni cosa di questo mondo fu una ciotola d’acqua, dolce, infinita.

(Tratto da: Ecce Deus, di Andrea B. Nardi, Robin Edizioni – 2005. Immagine da: Spartacus, di Stanley Kubrick)

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30 Commenti

  1. Lettura per chi azzarda sondare l’oscuro ‘impero religioso’,
    desacralizzare per capire, la sacralità.
    L’acqua come fonte inesauribile sta in mezzo.

    p.s.
    Kirk Douglas in quella parte è irresistibile!

    Aurevoir
    Chapuce

  2. Buona idea, anche se le guerre di religione non sono semplicemente lotte per il potere, ma conflitti tra identità.

  3. Caro Andrea,

    in effetti l’argomento andrebbe approfondito, e forse ce ne sarà modo. Comunque, se non ho visto male, figo il packaging del libro!

    Grazie per la risposta e un saluto

  4. Caro O.C.
    è vero, il packaging del libro è fighissimo, ma è niente al confronto del contenuto.
    Insomma, una volta tanto mi faccio pubblicità…
    Scherzi a parte, mi interessa molto sapere che ne penserete.
    Grazie
    Ciao
    Andrea

  5. Ogni tanto è bene ricordare come sono andate le cose. Io proporrei un corso di educazione religiosa nelle scuole. Molti conflitti basati sull’assolutismo delle posizioni forse verrebbero ad estinguersi, conoscendo appunto come il dio che noi preghiamo sia frutto di semplicemente un contraddittorio e sanguinoso accordo politico per il dominio territoriale.

  6. Un paio di perle del professorone Odifreddi, che stasera sarà al Teatro del Fuoco di Foggia per presentare il suo spettacolo “Matematico impertinente”, da lui stesso scritto e interpretato:

    “La spiritualità vera si trova nella matematica e nella scienza. Il resto è una caricatura… per il popolino” (sic).

    E ancora: “In un libro intitolato ‘Il terzo scimpanzé’ in base al volume dei testicoli si dimostra che tra le scimmie antropomorfe l’uomo è leggermente poligamico” (sic sic).

    Chissà che ne direbbe il nobel Rubbia di questo impertinente animale da palcoscenico.

    Urge visitina di Lydia Pages per un bel tocco di cultura moderna.

  7. Vedo che da un romanzo storico dove si parla di un vecchio soldato e del suo imperatore siamo finiti a discutere di guerre di civiltà. Molto bene. A questo proposito mi permetto di segnalarvi un mio intervento su Vibrisse a proposito della mia ipotesi per la fine della guerra in Irak e Afganistan: Usa e Iran alleati: soluzione totale
    http://www.vibrissebollettino.net/archives/2007/04/index.html

    Usa e Iran alleati: soluzione totale
    di Andrea B. Nardi

    [Su segnalazione di Marino Magliani riprendo questo articolo di Andrea B. Nardi, già apparso nel sito di Radio Radicale. gm]

    È acquisito da parte di qualsiasi serio studioso che lo scenario irakeno si sia trasformato da un conflitto militare fra Usa e Irak in una guerra civile fra due schieramenti facenti capo a Sciiti e Sunniti. Col risultato che i marines americani si trovano nella peggior posizione che un esercito possa immaginare: in mezzo ai due contendenti, odiato da entrambi.
    A questo punto, al di là di soluzioni tecniche e tattiche, è vitale che il governo statunitense escogiti una strategia definitiva altrettanto radicale e “rivoluzionaria” di quanto imponga la situazione. Circondati da nemici sia localmente sia diplomaticamente, gli Usa devono decidersi su quale nemico mantenere e quale trasformare in alleato, poiché nella confusione totale del momento una cosa è palesemente certa: non è possibile resistere oltre in una guerra con tanti fronti aperti. Ciò anche a causa dell’ostilità opportunista – e a tratti vile – dell’Europa.
    Chi è, quindi, il nemico principe dell’America, ciò da cui tutto è iniziato? È il partito armato di Al-Qaida, intenzionato a creare un personale califfato di impronta “nazi-islamica” la cui sovrastruttura demagogica nasconde banali interessi di potere (commercio della droga, feudalesimo territoriale, oligarchismo oscurantista). Mentre in Irak Al-Qaida è in linea di massima sunnita, in Afghanistan è storicamente intrecciato con le bande talebane e la mafia russa produttrice di oppio. Gli Sciiti, invece, sono l’espressione degli interessi iraniani, e solo contingentemente sperimentano complicità doppiogiochiste con Al-Qaida.
    Divide et impera, dicevano i Romani, e il principio è valido anche oggi: occorre spezzare l’asse tattico (non strategico) fra Al-Qaida – Sunniti – Talebani – narcotrafficanti e Sciiti –Iraniani. In pratica, gli Usa per stabilizzare l’Irak e il Medio-Oriente e concentrarsi sulla guerra ad Al-Qaida devono decidersi ad allearsi con l’Iran.
    Apparentemente assurda questa ipotesi si rivelerebbe risolutiva non appena la si esaminasse geopoliticamente.

    Innanzi tutto si consideri che l’Iran non è il fronte compatto subculturale che l’attuale presidente Ahmadinejad pubblicizza al mondo intero. Ahmadinejad è solo un arruffapopolo qualunque capitato alla presidenza grazie al sostegno della lobby clericale integralista e dei Guardiani della Rivoluzione: agitando spettri guerrafondai mira a solleticare revanscismi popolari unici in grado di coprire la totale assenza di un programma di governo che non sia il mantenimento del dominio degli imam oltranzisti. Ma l’Iran è ben altro.

    Completamente diverso dall’impoverimento sociale e intellettuale della civiltà irakena, l’Iran possiede al suo interno una classe culturale elevata, fortemente critica con l’attuale élite di potere, ma impossibilitata a esprimersi causa il terrore in cui viene costretta. L’Occidente e gli Usa in particolare hanno perduto l’opportunità di coltivare queste tendenze moderate e pacifiste all’interno del paese quando hanno snobbato le ultime elezioni iraniane senza impegnarsi anima e corpo nel sostenere l’imam Rafsanjani e lasciandolo scivolare nella sconfitta.

    I recenti episodi iraniani, anche elettorali, confermano la nuova tendenza critica della popolazione nei confronti dell’amministrazione governativa. Rafsanjani è il punto di congiunzione tra i riformisti, conservatori moderati e i tecnocrati, contro la politica di Ahmadinejad.

    Ora non resta che sviluppare una chiara inversione di strategia estera in cui gli Usa dichiarino il loro aperto appoggio a un governo iraniano moderato da contrapporsi all’attuale. Su queste basi gli Stati Uniti hanno una precisa contabilità geopolitica da giocarsi.

    Cosa ottengono gli Usa da un’alleanza con un futuro governo iraniano?
    – la stabilità irakena;
    – la stabilità palestinese;
    – la stabilità libanese;
    – l’isolamento siriano;
    – l’isolamento di Al-Qaida;
    – l’attenzione dell’Arabia Saudita (la cui ambiguità con Al-Qaida e straffottenza con gli Usa è dettata dall’essere il loro principale fornitore).

    Cosa ottiene l’Iran da un’alleanza col governo statunitense, perché l’Iran dovrebbe iniziare un dialogo con gli Stati Uniti? Per vari motivi.
    – per il predominio regionale;
    – per l’interruzione dell’emarginazione commerciale con l’Occidente e l’uscita dall’isolamento internazionale;
    – per l’eliminazione degli embarghi economici;
    – per il progresso sociale ed economico del proprio paese.

    Inoltre, ciò potrebbe risolvere alcuni nodi internazionali che stanno a cuore a Teheran:
    – la riconciliazione interna nel Bahrein filo americano in cui gli Sciiti sono perseguitati;
    – la protezione dell’enclave sciita di Herat, in Afghanistan, perseguitata dai Talebani;
    – l’ingresso dell’Iran nella trattativa petrolifera e del gas che lo Sco (Shanghai Cooperation Organization) sta conducendo in Afghanistan.

    Gli Usa non devono temere un Iran in posizione dominante nello scacchiere mediorientale, così come non temettero una Germania solida e un Giappone sviluppato nell’Europa e nell’Asia del dopoguerra. Avere un Iran forte ma alleato all’Occidente al centro del mondo islamico significa contare su un medium eccezionale, un veicolo di ammortizzazione delle spinte integraliste musulmane grazie all’estrema autorevolezza dell’Iran sulle masse islamiche mondiali.

    Ciò si può ottenere solo amalgamando gli interessi economici e geopolitici statunitensi con quelli iraniani. Il prezzo è l’assoggettamento dell’Irak sunnita in posizione subordinata, con una spartizione territoriale costituente una regione sciita più o meno autonoma ma evidentemente legata a Teheran; oppure con un deciso spostamento dell’asse governativo irakeno in funzione sciita, con solide garanzie di tolleranza religiosa. Delegando agli Sciiti irakeni e all’Iran il controllo del territorio irakeno e dei suoi confini, l’esercito americano potrà concentrarsi totalmente nella caccia ad Al-Qaida e al ripristino della legalità in Afghanistan, vero nodo di destabilizzazione mondiale.

    È evidente che solo intrecciando solidamente i propri interessi commerciali e industriali (non dimentichiamo che solo gli Usa hanno la tecnologia relativa al petrolio) questi due grandi paesi possono sostenersi a vicenda e riappacificarsi: dove si commercia non ci si spara.

    A livello internazionale, poi, occorre soprattutto togliere il pretesto della compattezza demagogica islamo-nazionalistica anti-Usa (su cui cascano anche le Sinistre europee) affidando all’Iran la lotta contro le fazioni criminali e terroristiche, facendo così emergere finalmente il conflitto endocrino presente in Medio Oriente e indipendente dalle azioni americane. Ciò sconfesserebbe definitivamente la sovra-struttura ideologica di Al-Zawahiri e della jihad islamica contro l’imperialismo occidentale. Improvvisamente sarà il califfato di Al-Qaida – con le sue mire imperialistiche – a trovarsi sovra-esposto e isolato, così come sta accadendo in Somalia (nonostante la cecità di chi ha condannato gli attacchi militari americani ed etiopici).

    Precedenti storici

    Purtroppo la Storia pare insegnare poco o nulla, e apparentemente Bush compie lo stesso errore di Kennedy e Johnson, considerando unitario un fronte ostile in realtà assai divergente (Vietnam, Urss, Cina allora, smascherato da Nixon e Kissinger; Irak, Iran, Siria, Al-Qaida ora). George Kennan lo denunciò nel dopoguerra nel famoso rapporto al Consiglio per la Sicurezza Nazionale Nsc 48/2: occorreva sfruttare ogni frattura fra Cina e Urss. Non fu creduto, il comunismo fu considerato erroneamente compatto e diretto contro l’Occidente, salvo trent’anni dopo capire che Cina e Urss si contrastavano e avrebbero fatto carte false per avvicinarsi reciprocamente agli Usa. Idem oggi con la favola che vi sia un unico Islam portatore di medesimi interessi e solidamente proiettato contro l’Occidente.

    Come negli anni ’70 solo un nemico giurato dei rossi come Nixon poté convincere il mondo ad abbandonare la febbre anti-comunista e a mutare gli obiettivi strategici, così oggi solo Bush, il nemico giurato dell’integralismo islamico, può autorevolmente re-impostare in radice il conflitto medio-orientale.

    Elezioni iraniane

    Ma come aiutare l’emancipazione di una nuova classe governativa moderata in Iran, eliminando l’attuale gruppo dirigente oscurantista e guerrafondaio? Con un assillante bombardamento mediatico, con finanziamenti cospicui, con una propaganda culturale a 360° legale e illegale. Con azioni diplomatiche chiare e spettacolari di avvicinamento internazionale verso i politici iraniani laici e il clero moderato.

    Senza escludere in modo ipocrita il ricorso a strumenti di politica rinascimentale contro leader criminalmente pericolosi.

  8. ok, Abn, dilunghiamoci a go go.

    una normalizzazione alla Kissinger ci starebbe pure, ma non credo che i rapporti tra gli americani e l’Iran siano solo un fatto di equilibrio strategico; viene prima la kulturkampf di Teheran.

    Il modernismo totalitario iraniano è tale perché ogni giorno deve far credere alla sua gente le fantasie più bellicose, il richiamo alla Tradizione insieme alla futura Modernizzazione. Ed ecco che anche la militarizzazione del Paese si trasforma in una battaglia culturale, religiosa, direi epica. Da questo punto di vista c’è poco da ‘trattare’ (anche perché meccanismi identitari del genere non sono estranei all’Occidente).

    E’ probabile che gli Usa accettino uno scenario come quello che descrivi. Il realismo pragmatico è il contrario degli idealismi e dei totalitarismi. Non agisce in nome della ‘morale’, delle ‘origini’ o delle ‘idee’ ma sulla base di principi scientifici e deterministici. La realpolitik è soprattutto una negoziazione del male minore, che prevede anche la soluzione peggiore.

    Ricorderai che tra la fine degli anni sessanta e la prima metà dei settanta la destra americana vacillava proprio come oggi. Nixon, Vietnam, Watergate. Nel ‘74 il numero di elettori che si definiva repubblicano era sceso al 20%. Mi chiedo se quando pensi ai capitani della ‘soluzione finale’ ti viene in mente un presidente come Gerald Ford, cioè quel tipo di conservatori elitari di Harvard e Washington che negli ultimi cinquant’anni sono stati sempre disponibili a ‘trovare convergenze’ con le dittature sparse in giro per il mondo.

    C’è una lobby americana che in politica estera predilige un approccio ‘morbido’ ai conflitti: appeasement, balances e counterbalances. Da “stati canaglia”, Iraq e Siria andrebbero promossi a supervisori del disastro iracheno, sempre a patto che Mosca accetti di “contenere” i suoi mastini in Medio Oriente. Turchia, India, Pakistan e Arabia Saudita sono già stati coinvolti come garanti dell’iniziativa.

    Ma non ti chiedi come diamine farà L’America a:
    1) versare cambiali a Teheran;
    2) rinforzare il governo sciita di Baghdad;
    3) finanziare anche la ‘resistenza’ baathista contro Al Quaida?
    Ci vorrebbe una bella botte di soldi (e di culo).

    I realisti dicono che l’Iran deve essere incoraggiato a “diventare una nazione”, ma quelli come Kissinger se ne fregano degli ideali e pensano all’azione; il loro obiettivo è di garantire la sicurezza americana attraverso il controllo, il contenimento e il ‘governo’ dell’Islam, “in nome della propria superiorità in ogni campo, primo fra tutti quello del sapere”, come diceva il professor Said. Non si può riformare l’Islam che è là da sempre e non cambierà mai: ecco un’immagine mentale tipicamente realistica.

    Eppure dopo l’11 settembre Kissinger si era schierato apertamente con la Casa Bianca appoggiando la guerra in Iraq. Sul Washington Post scrisse addirittura che “non ci sono possibilità di negoziare tra Washington e Baghdad, né ci sono basi per fidarsi delle promesse irachene davanti alla comunità internazionale”. Perché ha cambiato idea?

    Meglio difendere degli ‘interessi’ piuttosto che esportare ‘valori’, credo che la risposta sia questa. Sicuramente per i realisti un tiranno vale l’altro, poi bisogna solo studiare come fregarlo.

    Personalmente mi sfugge il senso di questa strategia. Potremmo chiedere ai russi, ai cinesi e ai sudamericani. Loro se la ricordano bene.

  9. Passim:

    “nudo, disgustoso, perduto dentro a mille malattie, quasi un morto sembrava, ma senza neppure quella dignità”.

    “un poco”; “dentro a”; “senza neppure quella dignità”; “mamma mamma”, “Costanza, amore mio”… etc. etc.

    Bene bene… la solita medietas linguistica artificialmente emotivizzante (e non emozionalmente forte) un poco sciapa, scipita e sciatterella, calata addosso a un romanzo storico con attualizzazione (banalizzazione) dei sentimenti… senza un minimo di vero Nachleben storico… (l’umanità del IV secolo dopo Cristo forse aveva un altro modo per esternare e sentire i propri impulsi emotivi, e sarebbe stato carino lavorarci sopra, prima di scrivere… ma tanto, pur di fare un vendibile noir di spade e di misteri, travestito da romanzo a tema sui conflitti religiosi, tutto fa brodo…)

    Siete sicuri, o magnificanti, laudativi Lakota, che questo romanzo sia così bello come dite?

  10. Qua nessuno dice che è bello, e se ti leggi i commenti vedrai che si partiva da uno spunto del romanzo per parlare di ben altro.

  11. Ah, scusate.

    Ero io che avevo capito male: pensavo si parlasse di letteratura. E di quello che la letteratura può dirci.

    Eppoi (cito in ordine sparso):

    “Lettura per chi azzarda sondare l’oscuro ‘impero religioso’,
    desacralizzare per capire, la sacralità.
    L’acqua come fonte inesauribile sta in mezzo.”

    “Comunque, se non ho visto male, figo il packaging del libro!”

    mi pare si riferissero alle strutture semiologiche del libro e al suo presentarsi come oggetto. O no?

    P. s. I commenti li ho letti. Basta ragionare sul fatto che, per affermare la validità di un libro in quanto opera, nella vulgata critica ci si focalizza spesso sul contenuto, evocando un paio di elementi semiologici fondamentali del testo, lo si addita come intellettualmente stimolante, e poi lo si usa come spunto per una discussione sull’hic et nunc, onde ribadire implicitamente: “Guarda, ‘sto libro, quanti spunti di riflessione sull’oggi…”

    A proposito di riflessioni sull’oggi, credo proprio che la digressione sul conflitto di civiltà (da parte dello stesso ABN) suoni, in definitiva, come un partirsene per la tangente. Il brano sottopostoci, non parla delle guerre dell’Impero Romano tardo-antico contro l’orientale impero persiano dei Sassanidi, fanatici manichei che trasformarono la religione in instrumentum belli. Parla della conclusione ultima del conflitto fra Costantino e Licinio, che avvenne all’interno della civiltà romana. All’interno delle lotte di potere fra gli imperatori militari in età post-tetrarchica… O forse ho letto male anche stavolta? La grand strategy dell’America di oggi, e del suo imperialismo egemonico, nonostante tutte le argomentazioni à la Giorgio bocca, che parla di Basso Impero, appare molto più simile a quella della repubblica imperiale di II-I sec. a. C. e del principato augusteo e giulio-claudio (che, in nome di interessi riguardanti singoli potentati o gruppi ristretti di notabili, creavano tirannelli e regni clienti per poi disfarsene attraverso bella più o meno iusta, salvo poi dover affrontare banditi, pirati e terroristi), che a quella del vero e proprio “Basso Impero”. Il confronto (implicito) è già in J. Luttwak, “The Grand Strategy of Roman Empire”.

  12. Ecco, ora ti sei spiegato meglio e sei entrato in gioco. Ci voleva tanto? Aggiungo anche Chalmers Johnson, “Gli ultimi giorni dell’impero americano”, roba di Garzanti. Ad ogni modo sul merito del testo risponderà l’autore, credo.

  13. Per D:
    non ho tempo per risponderti e nemmeno voglia, ma prima di tutto direi che dovresti firmarti, poi leggere il libro per intero, e infine andare da un buon analista per curarti la frustrazione (evidentemente sessuale) che hai e che ti porta ad attaccare gratuitamente uno sconosciuto in modo tanto vile.
    ABN

  14. @ ABN

    Non ho tempo (e nemmeno voglia) di leggere un libro, che nello specimen qui offerto si mostra stilisticamente povero, nonché lontano migliaia di anni luce dall’essere in grado di restituire al lettore un’ombra, sia pur pallida, di quello che era la vita dell’uomo tardo-antico. O meglio: di simil-tardo-antico qualcosa c’è pure: il degrado linguistico strisciante della prosa italiana media di inizio XXI secolo, propria di tante operazioni letterarie di basso profilo che circolano in quest’epoca. Se il passo qui presentato doveva invogliare qualche lettore a confrontarsi con l’opera, evidentemente (nel mio caso) ha agito invece come stimolo in negativo.
    Forse l’autore, visto che ritiene che nel suo libro ci siano passi migliori, avrebbe dovuto valutare meglio quale di essi scegliere…

    Relativamente a miei due interventi, che sono parsi vili attacchi, mi sembra di dover ribadire che essi entravano nel merito di un abbozzo di analisi dello stile e della lingua del passo, nonché dei suoi contenuti Non mi pare di aver buttato lì un giudizio gratuito, orchestrato magari sull’insulto.

    E potrei aggiungere altre postille, al mio “vile” attacco.

    Per esempio, l’introduzione del passo, fra parentesi quadre (non so se parto della mente dell’autore stesso), recita:

    [Sullo sfondo di un impero che si sta modificando per sempre, un vecchio soldato dal passato eroico ma oscuro, forse malato, forse pazzo, deve tornare al servizio dell’imperatore Costantino. Il concilio di Nicea vede lotte fra opposte eresie, mentre la politica fagocita il Sacro. Che infatti non esiste più, assieme a una Roma destinata a rimanere ormai solo un antico sogno. Un romanzo psicologico di personaggi epici, un noir di spade e misteri, una denuncia teologica di come la religione e i dogmi siano parto solamente della ragion di stato, dei conflitti di potere. E se una semplice votazione a Nicea fosse stata diversa, oggi noi pregheremmo altri Dei].

    “La politica fagocita il Sacro”: da precisare che il mondo antico non conosce distinzione fra sacralità e politica. Alcuni esempi: il diritto a Roma si chiama ius, parola che deriva dall’indoeuropeo *jous, ed è attestata anche in sanscrito come yos, ed indica la formula magica e religiosa; la stessa lingua giuridica, come evidenziano in vari periodi e contesti Cesidio de Meo, Giambiagio Conte e altri per brevità omessi, si esprime nella forma del carmen, ovvero del “canto-incantesimo” magico-religioso. In Grecia il nomos è tanto divino che umano, e entrare a far parte di una polis significa condividere ciò che la polis ama e rifiutare ciò che la polis odia, culti compresi (Sofocle). Solo il cristianesimo pone in essere la distinzione fra sacro e politica: o meglio, definisce un nuovo concetto di sacro, diverso dal sacro dei greci, dei latini e degli ebrei stessi. Una concezione trascendente e intimistica del sacro, che si oppone al concetto immanente (nella storia e nella natura) della sacralità delle altre religioni antiche. Tuttavia, questa è una situazione propria del cristianesimo originario. Molto presto, nel momento in cui il cristianesimo si traduce nel modo di vivere dell’uomo antico, esso finisce per sovrapporre la propria sanzione sacrale a quella non cristiana, surrogandola e sostituendola ovunque. E il vecchio “date a Cesare… date a Dio…” si ridefinisce, nell’impero tardo-antico che accetta il cristianesimo dopo le persecuzioni, come una divisione di sfere d’azione complementari: imperator episcopus laicorum accanto all’episcopato religioso del clero. Già, dimenticavo, le persecuzioni… Un fenomeno storico che in varii modi declina la caratteristica dell’uomo antico di concepire il sacro (perfino nei suoi aspetti più intimisticamente coscienziali), come inscindibilmente legato alla totalità delle sue relazioni esterne, sia pubbliche sia private. La persecuzione esprime in modo cruento e crudele l’urto fra la coscienza e la dimensione pubblica, là dove anche la concezione più intimistica del sacro non può prescindere dal suo tradursi in azione in un cotesto sociale, e dunque politico. E converso, l’assassinio dell’intellettuale non cristiano risponde allo stesso fenomeno, in campo cristiano: vedi il caso di Ipazia, letteralmente squartata dai fanatici cristiani, perché neoplatonica e pagana pervicacissima, perché donna e filosofo, perché politicamente influente. Per poter dire: “la politica fagocita il Sacro… che non esiste nemmeno più…” bisogna vivere a valle di una serie di eventi epocali: la lotta per le investiture, ad esempio, e lo sviluppo del conflitto Stato-Chiesa negli ultimi nove o dieci secoli (eventi che, per inciso, il mondo islamico non ha vissuto… uno dei motivi culturali e storici della sua problematica e violenta dialettica con la nostra versione della modernità, che di quegli eventi è figlia). Relativamente alla “Roma” destinata a rimanere un antico sogno, si potrebbe eccepire che nemmeno nel fatidico 476 d. C. parve, ai contemporanei, che Roma fosse sparita dalla scena della storia. Esisteva un imperatore Zenone, in oriente, e dunque la maiestas imperiale in qualche modo continuava, a Costantinopoli. Lasciamo perdere la chiosa finale: se a Nicea si fosse votato in altro modo, oggi pregheremmo altri Dei. Non c’è nemmeno da precisare che forse i cristiani credenti e praticanti pregherebbero il Dio giudaico-cristiano secondo riti e dogmi diversi… E’ semplicemente la storia con i “se”, a suonare più che ridicola, a meno che non si imbastisca un romanzo di storia
    alternativa, alla Dick o alla Turtledove…

    Lasciamo perdere la confusione delle prospettive storiche della presentazione: essa getta solo una luce indiretta, sul problema che ho notato in questo mirifico brano d’antologia… su cui l’autore stesso ha sollecitato il parere di chi leggesse, visto che scrive: “scherzi a parte, mi interessa molto sapere che ne penserete”. Veniamo al testo in sé.

    L’esordio: quella che nelle intenzioni dell’autore era una cumulatio amplificativa e iperbolica della prigione (forma architettonica dell’inconscio rimovente) suona matter-of-factly come il banale elenco dei volvoli di un dungeon da gioco di ruolo:

    “Non dovettero passare troppi istanti, però certo c’erano parecchie porte, cancelli, portali, inferriate da aprire, richiudere, e scale da scendere, corridoi da percorrere, attenti a non inciampare, l’oscurità, l’odore, l’oppressione,…”;

    per poi arrivare all’éclate finale (altrettanto scontata e prevedibile):

    “…ma dopo poco si trovarono davanti al portoncino giusto: dall’altra parte c’era l’imperatore di Roma.”

    Niente di meno! Lasciando stare che poi, forse, Licinio poteva essere magari definito un Augusto, ma non L’IMPERATORE di Roma, visto che da un secolo a quella parte il solus imperator era diventato una rarità; lasciando stare che forse la porticina tetra di una cella non è precisamente un portoncino, altrimenti scadiamo nelle correzioni d’improprietà lessicali da temino…

    Il testo continua con lo stesso tono: citando diffusamente: “l’ex(-)imperatore… incatenato in un nero perenne – la luce qua sotto a che gli serve? – dentro una specie di grotta…” o più avanti: “Martellarono i ceppi e glieli fecero saltare. Si sentì toccato. Sperò: per un attimo guardò quegli uomini e sperò. Prima di essere un politico, un re, era stato un soldato, un generale: conosceva bene gli occhi di chi sta per farlo…”, con quel “farlo” finale, che sembra un prodotto della lingua dei traduttori dei dialoghi dei telefilm americani, quando sono costretti a fare i conti con l’uso universale di “to do” (molto più ampio che in italiano) e non possono sostituirlo con altri verbi, per questioni di sincronicità fra immagine e doppiaggio del parlato… Oppure, l’urto contrastivo fra pomposità e linguaggio para-adolescenziale, in un passo come:

    “Forse si sarebbe rivisto nello splendore più grande concesso a un mortale sulla Terra, il figlio di un contadino della Dacia diventato Augusto imperatore, così potente, hai visto, papà? Come ho fatto a finire quaggiù? Le nuotate da bambino in estate, le risate, tutti gli errori che ho fatto, dove ho cominciato a sbagliare, io giocavo così felice, dovevo diventare un contadino come mio padre, avevamo un progetto piccolo, in questa vita, non ce ne sarà un’altra.”

    E’ un passo, questo, che fra “il privilegio… concesso a un mortale sulla Terra” e quell’ “hai visto papà?” alla Memo Remigi, vorrebbe essere patetico, rendere in pochi tratti l’idea di un uomo entrato in panni troppo larghi… e invece riesce soltanto a essere stonato, come un inconsutile patchwork di colori mal assortiti… Per non parlare di quell’olido tono da fiction (pseudo-)storica della Rai (vedi la Bibbia o la serie Imperium), una di quelle miniserie in cui magari sentiamo un Abramo dire che “i popoli non dovrebbero risolvere le loro divergenze ricorrendo alla guerra” (e che ne fai del Segretario Generale dell’ONU?), uno di quei sceneggiati in costume in cui una tenera mammina, Agrippina Minore, si interroga con toni da assistente sociale del centro minori disadattati, circa i potenziali traumi psicologici del figliolo, Nerone, consalutato dai pretoriani all’età di diciassette anni dopo il putch seguito all’avvelenamento (tramite funghi velenosi) di suo zio, patrigno e padre adottivo Claudio…

    Gli antichi, in testa l’anonimo trattatista dello scritto “Sul sublime”, chiamavano questi vizi stilistici mikropsychìa (micragnosità interiore, pusillanimità) e parènthyrson (affettazione di pateticità). Due categorie anch’esse troppo nobili, per lo stile di quest’opera, quale traspare qui.

    D’altro canto il sottoscritto ha commesso un peccato mortale, nell’èra delle acquiescenze: ha espresso, in modo certo ironico, ma senza scortesia, e con argomentazioni precise, la sua opinione sul perché quel che ha letto non gli piace. La risposta dell’autore, in merito alla questione, è stata decisamente esemplare, per educazione, arguzia e sottigliezza dialettica.

    Daniele Ventre

  15. A Daniele Ventre
    Il problema, caro maleducato, è che se tu avessi letto il libro avresti letto anche l’introduzione dove si dice epressamente che non si tratta di un saggio di storia bensì di un romanzo di fantasia, mentre affido ad altri testi i miei saggi. Il fatto che alcuni nomi di luoghi e personaggi coincidano con altri reali per me è solo motivo di divertimento. Quindi la tua analisi storica è vana probabilmente quanto la tua esistenza.
    Quanto a te, se il modo di scrivere che ami è il tuo (ammesso che tu riesca a fare arte oltre che a riempire di logorrea il web), allora immagino la sofferenza di chi è costretto a subirti.
    Quante donne ti hanno rifiutato nella vita per farti diventare tanto pusillanime e noioso?

  16. Visto che non riesci nemmeno a capire dove vado a parare.

    Bello, il tenore dei dibattiti su Nazione Indiana, eh?

  17. A volte i romanzi fanta-storici fanno inorridire gli storici.
    Io non ne ho mai letti e non lo farò mai.
    Preferisco il cinema, perché mi ricostruisce visivamente quello che è uno scenario che ho sempre provato ad immaginare e forse perché la sfera visiva ha su di me un più forte impatto. Nonostante sia archeologa e quindi dovrei essere “precisa”, in realtà ho amato da impazzire “Il Gladiatore”, perché aveva inteso il “senso” di Roma in quegli anni cruciali, e ciò mi bastava; per non parlare della scena iniziale di battaglia: a quel punto, il film avrebbe potuto compiere tutti gli svarioni che voleva. Tant’è: aveva colto il sentimento globale del momento storico.
    Non ho amato Troy, perché un’assurda ipocrisia puritana.
    Splendido invece “300”, sempre per il rigore con cui è stato reso il cuore sentimentale e logico dei personaggi e perché gli Spartiati erano così e basta. Non era eccessivo il film, loro erano davvero così. Altrimenti non sarebbero mai stati. Se i Persiani, per esempio, sono stati descritti in quella maniera fuori dalla norma e difficilmente credibili, è perché i Greci vedevano quel mondo orientale come un patrimonio fantastico, ricco di mistero, carico di ogni cosa mai vista. Il regista (seguendo il suo autore di fumetti) ha colto perfettamente la “visione” che i Greci ebbero dei Persiani, oltre alla irreplicabile forza dell’eroica azione.

    Il commento di D. è filologicamente corretto, ineccepibile.
    E’ probabile che lo scrittore non sia stato rispettoso del “sentimento”, quell’elemento informe che provo ad individuare io quando cerco in un lavoro di fantasia storica almeno una traccia di sicura attendibilità, che non siano le vesti o le parole, ma sia il “senso” di quanto avvenne.
    Non capisco invece l’invettiva privata dello scrittore contro D., ma forse voi vi conoscete personalmente e io non lo so (e non voglio saperlo).
    Cmq, quello che è successo in queste pagine è fisiologico. A volte, non è possibile superare certi scogli dando credito alla pura fantasia altrui e, al contrario, chi lavora di fantasia non ammette che altri gli facciano pelo e contropelo.
    A volte ci sono mitologie e cure personali, interiori, della mitologia. La storia, per esempio, genera amore. Se ami la Storia, la tieni di conto, quindi la proteggi. A costo di fare la guerra contro chi l’affronta con fantasia letteraria.

  18. Missy, giusto quello che dici sul cinema. “C’è stato un tempo in cui il mondo si chiamava… Roma”.

  19. ESATTO, O.C., ESATTO!
    Grazie per aver inteso e spiegato con una semplice e splendida citazione quello che io ho fatto in maniera un po’ tortuosa.

  20. Cara Missy, ti ringrazio per il tuo post.
    Il discorso si articola in due punti principali. Nel primo concordo con te riguardo alla necessità di amare la storia, ed è proprio per questo che io ho voluto inserire il mio racconto di alcuni uomini e di alcuni fatti all’interno di un contesto antico. Nella strategia del mio soggetto era equivalente qualsiasi contesto; ho optato per il concilio di Nicea semplicemente perché ne conosco bene le tematiche teologiche e politiche e soprattutto perché mi divertiva.
    Tuttavia come artista rivendico fortemente il mio diritto a sperimentare qualsiasi operazione stilistica e strutturale sul testo, tanto da dichiararlo espressamente nell’esergo del mio romanzo. Differente discorso se si spacciasse un’opera di fantasia come ricerca storica, e qui altrettanto decisamente ne denuncerei la truffa, visto che anche io scrivo saggi.
    Detto questo, il secondo punto riguarda la mia polemica col tizio dal nome falso qui sopra. Lui non ha letto nulla del mio libro, non mi conosce, e con uno scritto orribile, maleducato, tedioso, avulso e strafottente mi ha attaccato usando argomentazioni che nulla hanno a che fare con me, ma soprattutto con l’educazione.
    Se cercava la lite per dimostrare a sé stesso di valere qualcosa tentando di demolire un estraneo, allora ha trovato pane per i suoi denti. Da tempo ho deciso nella vita di essere docile con i docili e feroce con gli stronzi.
    Purtroppo non verrà mai a suonarmi sotto casa per dirmi dal vivo quello che preferisce scrivere nel blog sotto falso nome.
    Grazie
    ABN

  21. @ABN

    Continui a essere maleducato e a portare attacchi personali contro un semplice lettore, che si è firmato fra l’altro col suo vero nome (la questione del nick è però un falso problema, l’importante è il rigore e la civiltà delle argomentazioni). Se non fossi stato ospitato da Franz, con il post a te dedicato, i tuoi interventi sarebbero tutti ascrivibili alla tipologia del troll, cui di regola non si risponde. Il libro da cui proponi un brano ha ricevuto da parte di Daniele molta attenzione. Più di quanta, probabilmente, non meritasse, viste le tue repliche.

  22. Qualsiasi riferimento a fatti, persone, luoghi, citati in questo o in altri libri è perlomeno verosimile, in altri casi vero e reale. “Un fatto vero e reale non solamente è accaduto veramente, ma è propriamente accaduto quale si narra, qual parve, qual è creduto” (è la definizione offerta da Niccolò Tommaseo nel suo Dizionario dei sinomimi. Da qui la fiducia verso il romanzo storico come ‘ricerca della verità’. La citazione si trova in Leonardo Sciascia, L’Affaire Moro, Adelphi 1994).

    Certo, fra tanti avvenimenti, nella girandola di date, eventi e nomi che compongono una storia, qualcuno potrebbe sentirsi tirato in ballo, chiedere spiegazioni, riscontri più accurati, fornire nuove prove o confutare quelle già esistenti. Ma l’importante è inventare il meno possibile; meglio ‘aprire’ le fonti, renderle accessibili e verificabili. La veridicità del racconto verrà rafforzata dalla sua verosimiglianza.

    Lo scopo è dire più della storia o della realtà. Non c’è più niente da scoprire, sappiamo già tutto, ma questo ‘tutto’ non basta più, la realtà non basta più. Veniamo a sapere come sono accaduti i fatti, che sono accaduti in un certo modo, ma il modo ruota con il modificarsi del punto di vista dei personaggi. I continui rovesciamenti di una storia esprimono il malessere dell’autore davanti alle convulsioni della sua narrazione: ogni capitolo contraddice e rafforza il precedente.

    In testi di questo tipo c’è come un’eccitante sensazione di potenza comunicativa, una sorta di intensificazione dialettica delle informazioni. Anche gli stereotipi aiutano a razionalizzare meglio le tesi più improbabili (e certe volte ignobili); possiamo considerarla una deformazione dei livelli più profondi della nostra fantasia e dei modi in cui immaginiamo il sistema sociale.

    L’intensificarsi delle notizie, quelle vere e quelle false, crea la trama romanzesca, con i suoi colpi di scena più o meno tragici. Entriamo in una ‘seconda realtà’ completamente artificiale, fatta di archivi e database on line. Si chiama Chimera, ma non è meno credibile delle altre, e forse le racchiude in sé tutte quante. E’ una spiegazione sfuggente della realtà, sempre a un passo da apparire vera. Una comprensione intuitiva e totalizzante delle cose, che non arriva mai. La depressione dell’Informazione.

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