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Magliani, il Jack London ligure

 

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di Franz Krauspenhaar

Marino Magliani è uno scrittore che viene dal fare e dall’avventura. Dalla pratica che diventa grammatica. Un  Jack London ligure, che nella prima parte della sua vita s’è imbarcato sulle navi come mozzo dopo aver girato i collegi di mezza Italia, ha  peregrinato per mezza Europa per qualche anno, e  poi ha inseguito e trovato l’America: quella del sud, per altri anni, visitandone metà dei paesi, vivendoci, impregnandosi fino all’osso di esperienze. Come un autore americano self made  (Magliani non viene dalle università, ma dal pulsare secco e spesso cattivo della vita avventurosa, dal marciapiede) ha fatto di tutto: il lavapiatti, il magazziniere, il traduttore di menù dallo spagnolo all’italiano per i ristoranti della Costa Brava; e ancora, l’olivicoltore nella sua Liguria di ponente, il rappresentante, il portiere di discoteche, lo scaricatore di porto sulle banchine olandesi –; e da  anni lo scrittore in Olanda s’è sistemato, in pianta più o meno stabile,  trovando una moglie e allevando con lei un figlio, un marcantonio diciassettenne di nome Mike.


Magliani, classediferro 1960, viene appunto dalla Liguria di ponente, precisamente da Dolcedo, vicino Imperia. Terra di crinale, terra a ridosso; la Francia è a uno sputo catramato di Gitane, il mare stupendamente a picco, gli ulivi profumati, i carruggi, le serpentine  tra cielo e terra e mare, il sole e le ombre in un continuo rincorrersi, la parlata musicale che – come in tutta la Liguria- sembra un impasto di italo-portoghese (c’è una divertente canzoncina di Bruno Lauzi in zeneise che spiega questo bell’ andazzo linguistico: ma quandu u l’é che ti te catti u frigideiru) . Sanremo e le sue folies bergère festivaliere sono a un altro tiro di sputo catramato, stavolta del nostro monopolio. Terra poca, come in Olanda, paese che il nostro scrittore lo ha ricevuto e alla fine ben riparato. Liguri ed olandesi, simili nell’essere gente dura e fiera nel senso migliore, abituata a strappare strati e strati di terra avara  dal proprio mare, a unghiate cocciute. Commercianti e navigatori, talvolta poeti; sui santi non sono pervenuto.

Il Magliani scrittore inizia a pubblicare nemmeno tanto tempo fa. E’ giusto: accumulare esperienze, sentirsele dentro, aver voglia di scriverle, infine scriverle – gettandole sui fogli in centinaia di migliaia di parole senza  esserne quasi mai soddisfatto, finché l’occasione e la maturazione fanno tutt’uno. Cercare la propria voce, soprattutto. Magliani una sua voce l’ha trovata. Da dove era venuto. Caratteristica. Tra mille altre. Ligure, lunfarda, mix appeal di linguaggi e parlate. La sua voce letteraria viene proprio da quei carruggi, e dalla vita errabonda che ha vissuto. Il microcosmo ligure non viene soltanto raccontato ma anche vissuto nella lingua tutta particolare di questo autore che ha un periodare lirico e scintillante, ma scabro. Il microcosmo che s’espande e diventa macrocosmo; dal puntolino di terra sulla costa mediterranea la visione s’allarga, fino a occupare estese terre altre. C’è Francesco Biamonti, dietro di lui, come un bravo maestro, che forse vigila: l’eredità è importante, e lo scrittore di Dolcedo la prende volentieri sulle sue ampie spalle.

Dicevo degli inizi. Da pochi anni. Con piccoli editori locali:  Molo Express e Prove tecniche di solitudine (Centro Editoriale Imperiese), L’estate dopo Marengo (Philobiblon)  fino al passaggio ad un editore medio di ottima visibilità,  Sironi , che ha in Giulio Mozzi l’editor e l’infaticabile scopritore di talenti. Un libro, Quattro giorni per non morire, che sembra un noir più che altro per un titolo che sembra preso a prestito da un cult cinematografico francese dei 70, da un J.P. Melville, da un José Giovanni, da un Jacques  Deray; e che invece è altro dai generi, un libro non da catalogo nel senso della “messa in scaffale”, un libro – come tutto, in Magliani – sul crinale, alla frontiera, on the border- line. Appassionante e però in fox-trot  quasi come un Biamonti di quelli appena spremuti nel frantoio di famiglia.

E finalmente la nuova uscita, questo ambizioso Il collezionista di tempo, (Sironi, pagg.204, euro 12,90) Troviamo ancora, come nei Quattro giorni, un Gregorio protagonista narrato in terza persona. L’azione parte dalla fine dei 60, Gregorio è un bambino che della vita del paese non ne può più, nell’anima è già lupetto di mare. Prova al collegio dei frati a Mondovì, nel cuneese. E là  sente strane voci, che da svariate si raccolgono in seguito nell’imbuto di una sola: sono le voci di Gregorio stesso che gli parlano dal futuro. Dai frati è caduto dalla padella nella brace, l’unico amico che trova è un certo Falconi Leo, al quale racconta di queste sonore presenze e che anni dopo morirà per droga.
Passano gli anni, Gregorio è militare nei bersaglieri a Legnano, siamo nell’80, al congedo. Col suo amico milanese Save progetta un contrabbando di hashish tra l’Italia e la Francia,  e poi la Spagna.

Arriviamo ai giorni nostri, alla fase più interessante del romanzo: Gregorio è in Olanda, sulla costa, a Zeewjik, è scaricatore di porto, vive da solo, è diventato scrittore, il computer lo attende ogni giorno con la sua intonsa pagina Word; è sempre perseguitato dagli incubi del suo passato, soprattutto da quelli del  periodo collegiale. Sta tra gli incubi d’un passato che di continuo torna a galla alla sua coscienza e un futuro che gli si mostra anch’esso tramite quelle voci di sé. Una di queste improvvisamente inizia a comunicare con lui per iscritto, via email. Dal 2065. Anche la scrittura, la vera “voce di dentro”, inizia a “parlare”da un remotissimo “dopo”. Lukas gli scrive. Fino al finale, con il manoscritto nel manoscritto, un racconto che Gregorio ha scritto assieme alle voci e che segue il romanzo vero e proprio come un’ estrema propaggine narrativa. Ma non voglio dirvi di più: il romanzo parla di tempo e di letteratura, è un viaggio all’interno del cuore del vero scrittore e della sua vita difficile, attraverso il tempo. Magliani, sappiatelo, è anche un giocatore d’azzardo, uno sperimentatore, e la sua partita l’ha vinta.
Un giorno se mi leggerà il lettore del terzo millennio, saprà che c’erano gli alberi e i desideri, le palme e i pini, e gli eucalipti dalle foglie a quarto di luna, e le rose: chi non voleva più soffrire, e chi voleva amare tutto. Questi magnifici versi di Giuseppe Conte, poeta emerito delle stesse terre liguri, potrebbero riassumere il tono e gli argomenti di questo Il collezionista di tempo con parole piene di nostalgia anticipata.

Certo, non è sempre facilissimo seguire l’andamento delle scene; Magliani vuole la massima attenzione, il suo “caos calmo” ha bisogno di un’immersione totale nel suo mondo di sornione serpentine narrative. Non aspettatevi il classico romanzo leggi e scorda: qui ci vuole che il lettore paghi – si fa per dire – il pegno di un ascolto attento e partecipe, in certo senso deve meritarsi la lettura di queste pagine. A volte capita di perdersi, ma basta tornare indietro, riprendere con lentezza, riassaporare, ritornare in alto mare. Ci vuole il senso della lentezza che dobbiamo tutti recuperare: è questa volontà di fermarsi a riflettere con un romanzo tra le mani. Sì, riprendere a ballare lo  slow: di una narrazione, di un’invenzione, di una suggestione;  senza snobismi, solo per amore del gusto.
 

Bildungsroman  fantascientifico che rompe gli argini del tempo e si spinge fino a una “formazione” al futuro, Il collezionista di tempo è un’opera singolarissima,  per intenditori che amano la lettura avvolgente, che vogliono serrare nei pugni la vera qualità letteraria, che s’appassionano ancora alla letteratura fatta con la pelle nuda  e la sfrenata fantasia – e dei cartamodelli da ritagliare non se ne fanno proprio nulla.
Magliani, io credo, è uno che rimarrà nel futuro, ha collezionato troppo tempo nella maniera giusta; e così, dico io, ha fatto tesoro di un talento raro.

(Pubblicato su Il Domenicale – 23.06.2007 – Nella foto: spiaggia a Porto Maurizio.) 

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14 Commenti

  1. Ammiro e stimo moltissimo Marino Magliani, sarà una questione di “pelle”, o forse la sua provenienza, quel senso di rispetto che trasmette…..
    ben vengano scrittori che raccontano la terra partendo dal suo cuore, dall’umile radice che ci accoglie.
    e grazie a Franz.

  2. Ho finito di leggerlo circa due settimane fa.
    Eppure, io, che stimo molto Marino, tanto dico, per non fare quello di “in cauda venenum” dico subito che non mi sono sentito soddisfatto dopo la lettura de Il collezionista…
    E’ che l’ho trovato diviso in tre parti in cui la centrale mi pare in disaccordo con le altre: la prima, la vita dell’infante Gregorio è addiritura bellissima, anche lirica, e ci ho sentito amabili suoni familiari.
    Anche la terza, di Cobre è particolarmente intensa, poetica, visionaria, una narrazione davvero inconsueta.
    Quella storia in mezzo di Lukas non mi è andata giù, non l’ho digerita.
    Resta che trovo, comunque, Marino bravissimo.
    Che ne so, forse mi aspettavo, dopo le prime bellissime pagine, qualcosa di più unito, diciamo armonioso, compatto.
    Marino, non odiarmi!

    MarioB.

  3. Confermo, quella fetta di Liguria è abitata da esseri che definir ‘gente dura’ è dir poco. Sono dei marziani rispetto all’Italia odierna. Non chiusi, ma riservati e con alto senso civico. Ne sò qualcosa io che ho insegnato a Laigueglia per tanti anni. All’inizio volevo scappare, poi me ne innamorai.
    Normale che i liguri si ambientino perfettamente in Olanda, sono identici.

  4. La recensione fa venir vcglia di leggere il libro, anche se la lettura sembra sia impegnativa…
    Ma sotto l’ombrellone si può ?:o)
    Comunque, bravo Franz !

  5. Mi onoro, da un paio d’anni, dell’amicizia di Marino. Il nuovo tomo, ad ora, lo sta leggendo mia moglie, ma poi passa al sottoscritto!

  6. ciao Franz,
    e bravo sei riuscito a romanzare anche una recensione. Leggerò Magliani appena possibile. grazie per aver arricchito la mia “biblioteca” mentale.
    ciao
    Stella

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