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La convincente complessità di Marina Valcarenghi

di Christian Raimo

I proiettili al presidente della Cei Bagnasco, perché non si è parlato più di quella storia? Al vescovo arrivano tre proiettili, e una lettera con scritto Monsignore, lei deve morire: se non con queste che le mando, lo farò di persona. Si parla di ennesima recrudescenza sotterranea di anticlericalismo. Poi, per qualche giorno, si sospetta che l’autrice sia Nadia Desdemona Lioce, la brigatista: nella sua cella di massima sicurezza a L’Aquila si trovano dei pezzetti di carta da cui si potrebbe ricostruire una specie di brutta copia della lettera minatoria. Passano settimane e il 9 giugno viene fuori la verità: c’è un ex-carabiniere che si voleva vendicare di una prostituta con cui aveva avuto una relazione. Lei l’aveva lasciato e lui, al tempo ancora in servizio, l’aveva continuata a perseguitare, richiedendole prestazioni sessuali in cambio di minori controlli e pattugliamenti. Lei aveva deciso di denunciarlo (si chiama concussione sessuale). Lui era andato a casa e aveva scritto una lettera imitando una grafia strampalata, sperando che le accuse ricadessero sul nuovo compagno di lei, un immigrato albanese.
Ecco una bella storia di quest’Italia e dei capri espiatori che più sono andati quest’anno: anticlericali, terroristi, immigrati. Una catena accusatoria generata dal desiderio sessuale frustrato di uomo. Così i media, ma forse bisognerebbe dire l’immaginario collettivo, cioè noi, ne sforniamo a getto continuo. Autisti ubriachi e piromani e cellule salafite sono solo gli ultimi arrivati. Ma il must per le ultime stagioni è stato un altro: i pedofili. Giusto per fare capire quanto l’insofferenza sociale si sia incarnata nella caccia all’orco: Roma per due settimane è stata letteralmente tappezzata da manifesti che invocavano una presa di posizione, dimostrazioni e quant’altro contro una fantomatica giornata dell’orgoglio pedofilo internazionale – un sito tedesco (!) che era già stato oscurato da tempo.
Ma è difficile rovesciare questa dinamica, sulla questione della pedofilia la discussione si azzera. Neanche un mese fa “Repubblica” (non “Libero”, appunto) apriva in prima pagina con un’inchiesta di Paolo Berizzi a nove colonne che millantava un complotto internazionale; la sobrietà dell’articolo si poteva scorgere fin dalle prime righe: “Per entrare nella stanza dell’orco non bisogna nemmeno bussare. Si saltano le presentazioni. Nessuna maschera o identità posticcia. Al massimo: un nickname a scadenza. In molti casi neanche quello. Entri e fai i tuoi porci comodi, e anche ottimi affari”. Insomma che fare quando l’allarmismo diventa sentimento di massa, semplificante, disarticolato?
Un minimo antidoto nel caso specifico è il libro di Marina Valcarenghi, psicanalista junghiana, appena uscito per Bruno Mondadori (come scriverebbe Paolo Berizzi: “Lo paghi 18 euro. E ce l’hai. È tuo. Ora lo leggerai”). Si intitola “Ho paura di me”. Il comportamento sessuale violento e parla di pedofilia e di stupro, e – udite! udite! – non ha nessuna teoria preconcetta e non giunge a nessuna conclusione sui due temi. Però è sicuramente un libro che può placare l’ansia sociale, ottimo da gustare anche in città senza aria condizionata. Parte da un dato un po’ inquietante – il 50 % dei suoi pazienti, racconta Valcarenghi, hanno subito molestie e abusi da bambini – e si fa una domanda un po’ banale ma non inopportuna: Che fine fanno i molestatori? Chi se ne occupa? I politici no, i magistrati no, i criminologi no, i medici no, i formatori no, e spesso neanche gli psicologi, quasi impauriti che ad avvicinarsi al mostro si diventi correi o ci si contagi per una sorta di infezione psichica. I pedofili e gli stupratori che vengono alla luce sono marginalizzati, incarcerati, marginalizzati anche in carcere, farmacologizzati, annientati, molti si suicidano. Perché, ci si chiede, uno dovrebbe confessare pulsioni pedofile o un’aggressività sessuale? E infatti non lo fa, e invece di cercare di capire come trasformare il suo istinto violento in altro, ci si abbandona come non fosse artefice delle sue azioni. Dall’immaginare violenze sui bambini o sulle donne, passa a compierle.
Valcarenghi riporta con discrezione il fuoco di un problema sociale al suo luogo di interesse originario appunto: la società. Il libro è il resoconto della sua esperienza di analista con pedofili e stupratori, spesso detenuti, e della difficoltà – ma anche della necessità – di riuscire a trovare e implementare dei percorsi terapeutici con quelle persone che vengono definitivamente escluse o si autoescludono dal consesso sociale. Al bando qualsiasi atteggiamento giustificatorio, la base di partenza è che la violenza sessuale sia oggi un tabù sociale e un crimine, e quindi questo deve essere il contesto in cui si agisce per una possibile analisi. Ma al bando anche qualsiasi pretesa onnicomprensiva: non ci sono – allo stato degli studi che riporta Valcarenghi – dati che consentano di stabilire un’unica causa alla radice del comportamento pedofilo, per esempio, né tantomeno standard di intervento. Molti pedofili hanno subito violenze sessuali da bambini, è vero; la maggior parte dei pedofili è di sesso maschile, è vero: esistono tanti di questi indizi ma nessuno ha una efficace capacità diagnostica. E proprio grazie a questo approccio, centrato sul caso personale, sull’individualità dell’unico essere umano, l’orco torna ad essere un paziente come potremmo essere noi. Paura? Ma soprattutto – e questo mi sembra il maggior pregio della sua visione anti-ideologica già chiara e distinta nei suoi due libri precedenti, L’aggressività femminile e L’insicurezza – il malessere del singolo va preso in carica dall’intera società, per aiutarlo certo, ma anche per non fare di sé un monumento falso alla purezza.

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40 Commenti

  1. E ritornare a vedere nel pedofilo un soggetto responsabile, e chiamarlo a rispondere penalmente dei suoi atti, anzichè medicalizzare tutto, no eh?

  2. credo che non si voglia “medicalizzare tutto” ma contestualizzare tutto dal punto di vista analitico. ecco, credo, in visione del fatto che molti pedofili hanno avuto esperienze negative, violenze incluse, durante l’infanzia, come non tenere conto di tutto questo, non dimendicando comunque l’abiezione dell’atto pedofilo e le sue conseguenze sulle vittime?
    e pure: la pederastia, cioè l’irritimento del ragazzetto, può essere considerata pedofilia?

  3. Il mio intervento non era in senso giustizialista ma antropologico. Ridurre gli atti di una persona alle condizioni psicologiche o sociali che li pre-determinerebbero, significa rinunciare a fare appello alla libertà e alla responsabilità, che pure i tribunali presuppongono. Nella psicanalisi praticata in certi modi c’è qualcosa di sbagliato: mentre si dice di voler contribuire alla promozione umana, in realtà si mette in ombra proprio ciò che fa dell’uomo un uomo, cioè la responsabilità personale.

    Come aveva ben visto Christopher Lasch:
    «Il liberalismo assistenziale, che assolve gli individui da ogni responsabilità morale e li considera vittime delle condizioni sociali, ha elaborato nuovi sistemi di controllo sociale, che trattano la devianza come una malattia e hanno sostituito alla pena la riabilitazione medica».
    La psiche diventa un meccanismo decifrabile solo da esperti come un auto dal meccanico, e il soggetto non è più chiamato a liberarsi dai propri demoni, ma solo a sottoporsi alla chirurgia burocratica dell’istituzione.

  4. Peggio che medicalizzare, qui si sociologizza!

    Mi aspetto qualcosa di più da un’analista junghiana…
    o dalla recensione di un testo di un’analista junghiana :P

  5. ho detto pure “non dimenticando comunque l’abiezione dell’atto pedofilo e le sue conseguenze sulle vittime”, ma nonstante questo credo che sia ridotta al lumicino la nostra responsabilità individuale e che esista in effetti una buona dose di determinismo nella nostra vita, tra l’altro a vari livelli: genetico, psicologico, ecc. altresì credo, anzi sono sicuro, che è l’ambiente che determina, e solo in minima parte la genetica. quindi non esistono mostri nati mostri. ripeto: un certo margine di libertà di azione, seppur esiguo, esiste.

  6. Altrimenti dovremmo avere il coraggio di chiudere i tribunali.
    La differenza tra innocenza, colposità e volontarietà presuppone libertà e responsabilità personali.

  7. valter mi sembra che non sono capace di esprimermi. dico più volte nella minirecensione che il presupposto da cui parlare è che la pedofilia è un reato, così come lo stupro. e che rispetto a un reato, uno si prende le responsabilità. il punto però è un altro. mettiamo che io mi eccito guardando i bambini, mettiamo che io ho paura che questo mio impulso si trasformi in un atto, che faccio? mi sembra un problema. pedofili e stupratori sono persone che hanno difficoltà a rispondere di sé. il senso di responsabilità è proprio quello che gli manca. occorre capire le cause, e le cause dietro le cause. altrimenti certo il punto rimane quello lì. e nessuno lo mette in discussione.

  8. Christian, io non ce l’ho con te. Con la psicanalisi, un po’ si. Parte come terapia e diventa concezione del mondo.

  9. Mi sembra una posizione molto lucida e coraggiosa quella della dottoressa Valcarenghi. Il problema è che a proposito di un tema tanto scottante, in un paese in cui gli umori delle folle sono branditi come un’arma politica (vedi cosa è successo e continua a succedere sull’indulto), non è realistico sperare in un atteggiamento tanto razionale da parte delle istituzioni.

  10. Raimo, potrebbe essere un buon esercizio provare a verificare quello che vuoi comunicare; prima di darlo in pasto ai lettori. Eviterebbe fraintendimenti.
    Salvando in parte il tuo ultimo commento, in risposta a Binaghi che condivido in toto, mi resta un dubbio: ma non è che ‘sta menata di voler sempre trovare le cause delle cause delle cause, alla fine diventa una bellissima scusa per non trovare mai un colpevole e scaraventare tutte le peggiori nefandezze addosso alla fantomatica entità che di nome fa “Società”?

    Personalmente mi sono stancato di questi ‘illustri’ studiosi dell’inconscio che sparano sentenze, mentre l’inconscio – per loro – è ancora talmente inconscio che non sanno nemmeno da che parte incominciare a capirci qualcosa.

    Un utile esercizio accademico, ne sono pienamente convinto, e da stimolare, ma con scarse, se non nulle, ricadute reali. Almeno per ora.
    Diventa ancora più pericoloso, l’inconscio e il suo utilizzo, quando è brandito come durlindana e roteato da chi l’inconscio lo legge tre volte all’anno. Ma fossero anche trenta cambierebbe poco.

    Chi scrive, è letto, e può fare opinione, dovrebbe trattare con più attenzione simili testi ed evitare di trasformarsi in cassa di risonanza per problematiche, come quelle legate alla pedofilia, che sono ben più complesse e non risolvibili semplicemente riportando le ‘opinioni’ dello studioso dell’inconscio di turno.

    Io sono un illustre analfabeta letterario, ma mi consola sapere che Binaghi, ben più colto di me, aveva dedotto, leggendo il tuo intervento, esattamente quello che ho dedotto io.
    Due indizi non fanno una prova, ma ne manca solo uno.

    Blackjack.

  11. avete una percezione dell’umano come non foste umani, facendovi comodo, per la deprivazione di ragionamento ormai generalizzata nella deriva destrorsa che coinvolge tutto il paese se non tutto l’occidente, demonizzare il pedofilo, perché è facile e confortevolmente fascista.
    sorvegliare e punire, mi raccomando.

  12. l’altro giorno è stato quasi linciato un albanese perchè aveva tipo carezzato un ragazzino sulla testa.
    odio tutta questa schifosa roba, la paura come ideologia, il sentirsi i soli perbene, con l’esclusiva del giusto e nell’umano.
    tra un po’ toccherà anche a froci e lesbiche.

  13. Au contraire, caro tash. Per me un pedofilo è un uomo che molesta un bambino. Siccome è un uomo e non una categoria sociologica, mi aspetto da lui responsabilità e comportamenti umani e mi rifiuto di ritenerlo solo oggetto terapeutico.

  14. La stessa cosa per il tossico. Equiparare la tossicomania a una malattia non ha minimamente diminuito il fenomeno, ma ha creato intorno ad esso un clima di fatalità sociale che toglie al tossicomane l’unica chance che ha per liberarsi: accettare la sofferenza come parte della condizione umana adulta, e impegnarsi a diventare tale.

  15. è notevole nel libro della valacarenghi riportare una questione allargata a singoli casi, c’è una pedofilia affettiva, una cincestuosa, una immaginaria, c’è il ragazzo di 17 anni, c’è il signore di 50, c’è la mamma, c’è la tata, etc… i casi che discute sono quelli che ha avuto modo di osservare. la sua è una testimonianza della sua esperienza terapeutica, una mosca bianca in italia dove appunto i pedofili non vengono giustificati mi sembra ma si linciano. in alcuni casi lei sembra raggiungere dei risultati in altri lei stessa ammette no. il punto è che ripetto a una questione appunto sociale – il dato di partenza è: il 50% delle persone che lei conosce in terapia hanno subito violenze e abusi da bambini -, occorre cominciare a pensare a un intervento non solo sugli abusati ma sugli abusatori.

  16. Alle affermazioni di Tash ha già risposto Binaghi e non ho altro da aggiungere. Potrei solo fare danni.

    Raimo: io non ho alcuna intenzione di discutere la bontà del lavoro della Valcarenghi. Le mie considerazioni sono molto più terrene: abbiamo descritto (o tentato di) il problema pedofilia, conosciamo (pensiamo di) le cause, ora troviamo una via per agire e provare a risolvere.
    La pedofilia è un problema reale che pochi (quasi nessuno) vogliono ammettere e vedere.
    E’ una guerra impari che trova il suo apice assoluto durante la fase del dibattimento; da un lato genitori con stipendi da 1000 Euro al mese, sull’altro imputati che – tramite canali MAI noti e che a nessuno pare interessi chiarire – riescono a investire 1 milione di Euro per la loro difesa. Un milione di Euro sono quasi due miliardi delle vecchie lirette. Una somma che, per accumularla, non bastano 10 vite a un lavoratore, anche con un buon stipendio.
    E compare all’improvviso, come per magia.

    E allora a cosa servono le considerazioni filosofiche? gli studi della Valcarenghi? gli excursus politico/intellettuali alla Tash?

    Blackjack.

  17. Tash: dovresti spiegarmelo tu, io sono un normale ‘sciur Brambilla’ non un affermato architetto romano e scrittore e intellettuale. Dal mio – molto terreno – punto di vista, pare quasi un complimento definire “excursus politico/intellettuale” frasi del tipo: “facendovi comodo, … , demonizzare il pedofilo, perché è facile e confortevolmente fascista”.

    Tu hai per caso altre definizioni? A me una viene in mente, però mi pare poco elegante. Comunque sempre più elegante del tuo sentenziare e distribuire ‘fascista’ a destra e a manca; manco fossero caramelline.

    Blackjack.

  18. la prox volta “affermato architetto romano e scrittore e intellettuale” dillo a tua sorella.

    vedo il fascismo (chiamalo come ti pare, anche “pensiero unico” va bene) prende piede nelle società democratiche prive di anticorpi come la nostra, lo fa piano piano: ogni giorno siamo un po’ più fascisti del giorno prima, ogni giorno possiamo dire/pensare/fare quello che ieri non ci consentivamo.
    questo è quello che vedo accadere.
    ma posso sbagliarmi.
    l’isteria anti-pedofila è parte di questo fenomeno.
    inutile dire: i pedofili esistono, lo sappiamo tutti.
    è il NOSTRO modo, oggi, di considerarli che è brutto.

    non preoccuparti di insultare black, anche chi è a corto di argomenti come te deve potersi esprimere.

  19. @tutti i nipotini di foucault

    Annunciazione, annunciazione.

    “Definiamo quindi postmodernista questa condizione estatica di indeterminatezza in cui il confine tra identità e non-identità viene trasceso.

    Questo nuovo idealismo andrebbe senza dubbio a braccetto con quella particolare forma di riduzionismo detta culturalismo (…) che diffida scioccamente di ogni discorso sulla natura umana.

    La teoria postmodernista, nonostante il suo gran parlare di differenza, pluralità, eterogeneità, opera spesso con contrapposizioni rigidamente binarie in cui ‘differenza’, ‘pluralità’ e termini affini sono bellamente schierati da un lato dello steccato teorico, in quanto inequivocabilmente positivi, e le loro antitesi, quali che siano (unità, identità, totalità, universalità), stanno, stuolo pernicioso, dall’altra.

    La teoria postmoderna riconosce la reciproca interdipendenza di termini come ‘identità’ e ‘non-identità’, ‘sistema’ e ‘altro’, ma in fatto di ‘sensibilità’, non c’è dubbio da che parte stiano le sue simpatie.

    Nonostante la sua vantata apertura verso l’altro, il postmodernismo può essere non meno esclusivo e censorio della ortodossia a cui si oppone.

    La cultura postmodernista ha prodotto uno scetticismo tonificante e paralizzante, e defenestrato la sovranità dell’uomo occidentale, almeno in teoria, grazie a un relativismo culturale a 24carati che è impotente però a difendere le donne e i bambini, occidentali e orientali, contro pratiche sociali degradanti.

    Come ogni forma di antirealismo epistemologico, il postmodernismo nega regolarmente la possibilità di descrivere com’è fatto il mondo e, altrettanto regolarmente, si trova appunto a descriverlo.

    Con l’evolversi del sistema capitalistico – man mano che esso colonizza nuovi popoli, importa nuovi gruppi etnici nel mercato del lavoro, e si trova a estendere la sua libertà ai nuovi gruppi – tale sistema comincia inevitabilmente a minare la propria razionalità universalistica (…) esistono oggi tutta una serie di culture, idiomi, e modi di fare le cose, che la natura ibridizzante, tragressiva, promiscua del capitalismo ha contribuito a far nascere. Il sistema per tanto si trova di fronte a una scelta: o continuare a insistere sul carattere universale della sua razionalità, a dispetto delle crescenti prove in contrario, o gettare la spugna e diventare relativista, accettando tristemente di non poter mettere in campo fondamenti supremi che legittimino il suo operato.

    In epoca post-imperiale, e in una società che si presuppone multiculturale, il sistema non può affermare plausibilmente che i suoi valori sono superiori a quelli altrui, ma soltanto che sono – termine chiave del postmodernismo – “differenti”.

    Da parte del postmodernismo è un atto dogmatico universalizzare le sue tesi contro gli ‘universali’ e concludere che i concetti di ‘natura umana’ non sono mai importanti, nemmeno, poniamo, quando si tratta della pratica della tortura.

    La fedina politica del genere umano è orripilante, ma (…) il postmodernismo non si occupa abitualmente di simili verità fastidiosamente transtoriche, né fino a data recente si è fatto granché carico di questioni etiche.

    Se ‘l’altro’ è ridotto a qualunque cosa disgreghi la mia identità questa è una mossa umilmente decentrata, oppure di considerazione per me stesso?

    L’io decostruito deve ancora dimostrare che il non-identico può trasformare oltre che sovvertire e segni di questo tipo, fino ad ora, non stati di buon auspicio.

    Valutare fa parte della identità sociale, e senza questo la vita sociale si arenerebbe. Un soggetto che non discriminasse non sarebbe un soggetto umano.

    Il postmodernismo è antiuniversalista, cerca di risolvere l’universalità aggirandola e reintroduce una sorta di ‘particolarismo’, una ‘differenza senza gerarchie’. Il rischio è che la differenza senza gerarchie possa trasformarsi in pura indifferenza”.

  20. @The O.C.
    Direi che questa è la massima consapevolezza teorica che si può avere sul piano della filosofia della cultura. Forse non è l’ultima parola (non tocca ancora il livello assiologico, cioè della fondazione del valore e della scelta politica), ma è ineccepibile.

  21. scusa tash perché diciamolo che se no poi diciamo così che tu te la prendi con me e mi togli anche il saluto diciamo così che sei l’unico ormai che la mattina al bar mi saluta ancora diciamo perché vedio io ho un cane che si chiama blec però diciamo mi devi credere sulla parola che quello te lo dico davvero che diciamo non sa usare il computer

  22. sì o c è davvero ineccepibile.
    dove l’hai copiat, o c? :))
    però io davvero questo postmodernismo non l’ho capito.
    cosa significa?
    ogni epoca ci ha il suo postomodernismo.
    quali categorie usate per classificare un tempo, una storia che non avete vissuto?
    ma le categorie sono convenzioni,semplificazioni, necessità di ordinare l’inordinabile.
    ma la storia è un tondo, mica una linea retta.
    potrebbe esserlo, se fossimo immortali ,
    ma ogni tempo, ogni vita, ha un percorso differente eppur essenzialmente uguale, in ogni epoca, in ogni storia, in ogni tempo, si ripete la stessa identica storia.
    per il resto capisco bene quel che intende il signor tash.
    tanti baci
    la funambola

  23. scusi signora funambola se mi permetto diciamo ma volevo chiederle se per caso lei ha un cane diciamo così femmina o se non l’ha smarrito volevo chiederle se la faceva diciamo accoppiare con il mio blec che magari diciamo così può nascere un cucciolo che s’impara a scrivere anche al computer diciamo

  24. Gentilissima Funambola,
    come vedi c’è la fonte e le virgolette, ad aprire e a chiudere.
    Saluti.

  25. credo che il discorso sulla peodfilia, volenza, abuso, maltrattamento, senza gabbie ideologiche, sia cosa e come fare con le persone che hanno subito e quelle – che di frequente sono le stesse – che hanno inflitto.
    mi sembra che raimo intendesse ciò.
    chi ne ha conosciute, sa che non sono persone con cui è facile relazionare: spesso contraddittorie, seduttive, incapaci di avere e dare fiducia. con delle voragini nere dentro, sempre all’erta. non riescono a credere e temono di non essere credute. il loro dolore è indescrivibile e nessuno può capirlo.
    con un largo margine di soggettività, ognuna è quel che è, unica e irripetibile – onde evitare gli agguati dei massimalisti bisogna esplicitare anche l’implicito più elementare -.
    condivido quasi tutto quello che è stato detto; tesi a antitesi, perchè l’argomento non è lineare ed è inerente all’argomento degli argomenti: la sessualità.
    secondo me andrebbe visto e affrontato a partire da qui: libertà, limiti, repressione, espressione.
    siamo a un livello di esasperazione tali, che se io sorrido o accarezzo un bambino, sono guardato da occhi che pensano, tra l’altro, che potrei essere un potenziale mostro.
    per concludere, ricorderei un bellissimo pezzo di aldo busi che se non ricordo male era stato proposto anche qui su n i, che rispondeva alla lettera di una signora che gli diceva quanto fosse afflitta da una violenza subita in gioventù, e alla quale consigliava di affrancarsi da questa e di non usarla come alibi per la propria infelicità.

  26. io sono pienamente d’accordo con Raimo, tanto più che le conseguenze penali scattano, è giusto che scattino, soltanto dopo aver commesso un reato, se invece si riuscisse a provvedere in tempo, a giocare in anticipo, desumendo da tanti indizi un unico risultato che potrebbe e non potrebbe tradursi da potenza all’atto; senza voler ricorrere a nessun fascistissimo sistema di controllo per crimine preventivo, ma intervenendo di volta in volta ad incanalare le derive evidenti, sottolineando l’erroneità di certi atteggiamenti, deviazioni comportamentali, se insomma la psicanalisi lavorasse un po’ di più all’interno del sociale, forse si potrebbe risparmiare quella che per il magistrato non è altro che una pratica da archiviare ma per qualcun altro è un’intera vita andata a puttane. Ovvio, che isolare, allontanare dalla comunità il soggetto a rischio è il modo migliore di precipitare le cose e fornirgli pure la giustificazione. La comunità dovrebbe farsi carico del problema senza irrigidimenti e senza chiusure, ma anche senza chiudere gli occhi prima che la responsabilità diventi tutta solo di tipo penale, evitando paranoie, sospetti e sistemi di spionaggio, semplicemente intervenendo ogni volta che, ripeto, si registra un comportamento deviante, almeno io così la vedo.

  27. Anche secondo me la terapia è importante, però bisogna ricordare sempre che in campo psicoterapeutico non esistono terapie coatte. Io posso trapiantare un rene a uno anche contro la sua volontà, ma non posso aiutarlo a superare una tendenza perversa o violenta se non c’è da parte sua una richiesta di terapia. E questo fa veramente la differenza.

    Poi, siccome si è toccata la questione del post-moderno e della sua cronica impotenza a limitare e valutare, segnalo un mio piccolo contributo qui
    http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/07/29/prima-e-dopo-il-68-il-porcellino-e-il-maiale/

  28. Tash: l’isteria ‘anti-pedofila’, in questa Italia sottosopra, si muove al contrario esattamente come il Paese. Abbiamo preti, riconosciuti pedofili e per i quali il Vaticano sta sborsando 1 miliardo di dollaroni – mica pizza e fichi – per evitare procedimenti giudiziari oltre oceano che, invece di finire in galera come dovrebbe essere, sono nelle parrocchie di Roma. A predicare il verbo ovviamente e senza che nessuno abbia nulla da ridire.
    Abbiamo processi, in Italia, per i quali persone con stipendi normali, spendono 1 milione di euro solo per la prima fase dibattimentale; e a nessuno sembra interessare da dove siano usciti, come per magia, tutti questi denari.
    In questo paese sottosopra, l’Italia, non trovi un intellettuale uno, nemmeno a pagarlo a peso d’oro, che tenti di scrivere cosa dovrebbe fare, una società civile, per le vittime di questi animali. Chiamarli persone proprio non mi riesce e mi scuso per i sensibili.

    No.

    Non è né cool, né chic, né interessante scrivere di come la nostra società dovrebbe preoccuparsi delle vittime, vere o presunte che siano.

    No.

    E’ sempre molto più interessante immaginare che il colpevole sia frutto della società, che sia un malato e come tale debba essere sempre e solo curato.

    Allora perché non curiamo anche i mafiosi? Invece del carcere duro potremmo prevedere un percorso psicoterapico ad-hoc: come rimuovere in quattro sedute la sindrome da scioglimento di bambini nella calce viva, oppure come guarire in sei mesi i nefasti effetti psicologici dei traumi da omicidio volontario prolungato.

    Hai mai provato Tash ad andare a fare quattro chiacchiere vis a vis con questi bambini e con i loro genitori?

    Anche la vicenda di Rignano avrà un decorso lungo e tortuoso e si concluderà, come per quasi tutte le altre, con la piena assoluzione degli imputati. I prodromi ci sono, tutti, e le sentenze già emesse, che fanno giurisprudenza anche se a leggerle c’è da inorridire per la mole colossale di imprecisioni che contengono, non depongono sicuramente a favore dei bambini.

    Prima la polemica è stata imbastita sull’errato percorso della psichiatra incaricata dal Tribunale di ascoltare i bambini durante la fase preliminare. Aveva sbagliato. Ora che l’incidente probatorio, condotto secondo tutti i canoni previsti, ha accertato la credibilità di due bambini a testimoniare, le bambine e l’incidente probatorio stesso diventano inattendibili.

    No.

    Non ci siamo Tash. C’è qualcosa che non mi quadra; troppo che non mi quadra e i giornali ci scassano i maroni per un bacio gay punito da un pirla e stendono un velo pietoso di disinformazione su tutto il resto. Cercano lo scoop per vendere copie e poi, come per tutti gli eventi che non ‘tirano’ più, passano oltre, non investono, copiano i rilanci d’agenzia. In sintesi: non fanno giornalismo.

    Il difensore di una delle accusate, uno dei principi italiani del Foro, un Avvocato che solo per parlargli devi fare la coda e aprire un mutuo ventennale, l’Avv. Coppi, ha dichiarato, dopo la prima deposizione della bambina – la deposizione di una bambina di 5 anni – : “Mi auguro che prima o poi diventino pubblici i filmati di queste audizioni così ciascuno potrà valutare da sé le incongruenze di tutta questa vicenda”.

    Ma cosa vuol dire? Qual è il significato vero di una simile dichiarazione?

    Forse che, dopo il filmato passato su Canale 5 da quel gigante dell’informazione che è Mimum, ritenuto fortunatamente e per una volta illegale, dobbiamo aspettarci, fra non molto, che le parole e i visi e le paure e i problemi di questi bambini siano esposti al pubblico ludibrio?

    E’ questa la sindrome anti-pedofilia che vedi in Italia?

    Tash, non so se porti gli occhiali, ma fossi al tuo posto una controllatina me la farei.

    Blackjack

  29. Lino Guenda, mi sono molto divertito a leggere i suoi due commenti. Suppongo, seguendo l’uso volutamente sgrammaticato che applica ai suoi scritti, che lei intendesse parodiare chi, come me e il riferimento mi pare opportuno, non possiede una padronanza assoluta della lingua e delle sue complesse regole.
    Lo so, Lino Guenda, e me ne dolgo, io per primo, dell’incapacità comunicativa tipica dei ‘sciur brambilla’ come me: dei veri e propri cani che non dovrebbero mai nemmeno pensare di interloquire con l’alto mondo dell’intelletto.
    Dovrebbero, i sciur brambilla, rimanere buoni e tranquilli al guinzaglio e scodinzolare, pisciare di sguincio sul tronco delle piante, al parco, ma prestando attenzione a non lordare di rimbalzo, con lo schizzo impertinente, i preziosi piedini del loro superiore padrone.
    Dovrebbero, i sciur brambilla, saltellare tranquilli ed estrarre il cazzo a comando quando il loro beneamato e intellettuale padrone gli rimedia, stanco dei latrati primaverili o finanche estivi, una cagnetta in calore con la quale divertirsi; non più di una volta all’anno, che troppo sesso fa male. Al cane.

    Lo so, signor Lino Guenda, sono un cane, non solo a raccontare, e me ne dolgo. Dovrei rimanere zitto e pensieroso, in un angolo, vicino alla ciotola dell’acqua e guaire, sommesso, magnificando il padrone.

    Lo so signor Lino Guenda. Lo sappiamo tutti, noi cani, e mi meraviglia, una meraviglia solo canina sia chiaro, niente di eccelso e particolarmente interessante, che i nostri padroni non comprendano ciò che persino noi, poveri cani, abbiamo compreso: la nostra inferiorità.

    Però mi raccomando, signor padrone Lino Guenda, non faccia come l’ultima volta, che si è dimenticato la paletta e il sacchetto e la mia merda, che lei raccoglie sempre con molta riluttanza, le è costata una multa salatissima per colpa dell’altra ‘sciura brambilla’, quella vecchia scortese che, stanca delle mie cagate sul marciapiede davanti a casa sua, e del fatto che lei, signor padrone Lino Guenda si dimenticasse sempre di pulire, ha chiamato il Vigile.
    Cosa vuole che sia raccogliere un po’ di merda. Purtroppo, noi cani, oltre a un cervello piccolo e poco funzionale non abbiamo nemmeno le mani e non possiamo; proprio non possiamo. Io la raccoglierei volentieri, sul serio e mi dispiace, signor padrone Lino Guenda, crearle tanto disturbo e osservarla mentre, la bocca strappata, gli occhi semichiusi, la schiena rigida e la mente rivolta alla prosa del Bardo supremo, le tocca di chinarsi.
    E l’ultima volta il guanto era rotto. Io abbaiavo; ricorda? Ma lei non comprese il mio linguaggio canino. Come avrebbe potuto?

    Il guanto rotto e la mia canina merda che si infilava, subdola e di soppiatto, sotto l’unghia di quel dito indice che lei agita sempre, ad indicare il mondo e sostenere.

    Signor padrone Lino Guenda, avrei anche succhiato quel dito sporco di merda canina, ma lei non volle. Le insegnerò, se vuole, signor padrone Lino Guenda, ad abbaiare. Non è difficile mi creda e potremo, forse, evitare che le sue mani possano continuare a raccogliere la nostra merda con la certezza – assoluta che noi cani certe cose non abbiamo mica bisogno di studiarle, ci vengono così, d’istinto – che non le capiterà più un guanto rotto.

    Non è difficile imparare l’abbaiato mi creda, signor padrone Lino Guenda; persino io, da cane, riesco a comprendere in parte la vostra lingua; ben più complessa e articolate.

    Bau, bau.

    Blackjack.

  30. pensi un po’ signor diciamo blackjack che io diciamo così stavo quasi per scrivere che diciamolo pure sono molto d’accordo con molte diciamo così delle cose che lei ha risposto al signor diciamo tashtego e allora mi chiedo diciamo così ma chi glielo ha fatto diciamo fare a scrivere sta ultima mappazza di un’ora che sta solo nella sua diciamo testa perché anch’io sono un signor diciamo così brambilla e ciò veramente un cane di nome blec che lei ci creda o meno diciamo che è cosi e diciamolo pure mi consenta non prenda tutto diciamo alla lettera e qualche volta provi anche a farsi una diciamo risata e si stia diciamo così bene

  31. @blackjack
    “Chiamarli persone proprio non mi riesce e mi scuso per i sensibili”.
    basta un rigo per conclamare il proprio fascismo strisciante.
    non riconoscere lo stato di umani ad un qualsivoglia gruppo di persone è il primo passo.
    dato che non ho letto tutta la tua risposta non so se più sotto invochi la pena di morte o il lager.
    non mi sorprenderei.

  32. Tash: è importante che tu non legga così potrai, senza dubbio alcuno, continuare a distribuire del fascista a tutti gli interlocutori che non ti aggradano.

    Ah, dimenticavo; la conosci la barzelletta sugli architetti? No? Peccato, un vero peccato…

    Blackjack.

  33. @blackjack (ultima replica)

    com’è possibile non riuscire a capire che definire i pedofili “questi animali”, chiude ogni ulteriore (civile) discorso sul problema?
    com’è possibile che non ci si renda conto di quanto fascismo c’è in un’affermazione del genere?
    come fare a meno di ricordare che nella germania nazista gli ebrei si potevano sterminare proprio perché era passata la nozione che non fossero uomini, ma animali inferiori?

  34. Tash, è vero e hai ragione: sono un fascista perché vorrei vedere i pedofili in carcere invece che a zonzo. Sono fascista, fascista, fascista.
    Sono veramente cattivo e hai ragione.

    Non credo ci sia altro da aggiungere.

    Blackjack.

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