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Jazz on the Coast: Randy Weston

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di Lisa Sammarco

Chi dice che le notti sono tutte uguali
non appartiene a questo mondo.

È un mistero, ti dici questa sera. Sì, come tu, senza distinguere una nota da un’altra, alla prima che invade l’aria senti qualcosa dentro che si dilata e si gonfia, e spinge fino a riempire col tuo corpo i vuoti della roccia che hai di fronte, e ne senti la pressione che si oppone e capisci che devi abbandonarti, cedere e accogliere ogni più piccola eco che la roccia ti rimanda.
Quella roccia nuda, aspra. La stessa di quando eri bambina con le trecce lunghe, e la toccavi durante la ricreazione giocando a “uno, due, tre, stella”. E la sentivi sotto il palmo della mano calda e spigolosa, come un anticipo di vita.
È lì il palco. Nel cortile della tua vecchia scuola. Sotto quel costone. Immobile. Come un giocattolo dimenticato e ingigantito dalle luci.
Quando Randy vi sale le ombre si raccolgono in un fogliame che suona vento.
Terra. Africa.
Randy sale muovendosi con la regalità che solo i grandi vecchi sanno avere. È un portamento il suo difficile da trovare in un uomo della sua statura. Si muove morbido, gli bastano un paio di passi per arrivare al piano. Da seduto ti sembra ancora più alto e maestoso. Le sue mani grandi si poggiano al piano con l’intimità che potrebbe darti la tua stanza nel buio.
Quando le note si rompono cadono dal piano liquide. Scorrono fra i piedi delle sedie. Le senti salire dal basso come una marea che aumenta fino a sommergerti tutta, fino a lasciarti in uno stato d’apnea, e poi quando la tensione si scioglie ti accorgi che invece respiri, e tu ci stai nuotando dentro come fosse un mare. Come fosse il ventre di una madre. Ti avvolge. Ascolti. Ascolti l’allargarsi della notte in quella musica. In un ritorno che credevi senza ricordo.
Alex Blake è al basso. La sua camicia rossa si riflette sul bordo nero dell’imponente piano a coda. Le mani strappano le note delle corde come se dovessero liberarle dal groviglio delle piante di una foresta. Africa. Africa violenta. Africa d’amore.
Il riflesso si agita ad ogni più piccolo movimento delle braccia. È un’enorme bocca rossa, al centro c’è un vuoto nero che t’ipnotizza e poi t’ingoia. Arrivi lì dove ha inizio il suo mistero. Suono. Profondo. Musica. Africa.
La voce di Neil Clarke scolpisce nell’aria l’idolo di un dio. Il ritmo che rimbalza dalle sue percussioni ti conta le dita, e ogni parte del tuo corpo e lo ricompone in una frenesia di gioia. Incontro. Musica.
Tempo.
Quando la notte si afferra a “High Fly” sai che stai riprendendo il tempo.

Randy suona. Randy suona col sorriso di chi conosce un segreto e ti vuole portare fino a lì con la sua musica. Lì dove si inizia a non capire e a dimenticare. Tempo. Memoria.

( Randy Weston – Zep Tepi)
 

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6 Commenti

  1. Grazie Franz.
    @ c&c
    grazie per il link
    @ ana
    mi spiace che sia così. magari dovresti provare a renderle diverse.

    lisa

  2. è magica l’atmosfera che si crea nell’elegante narrazione, nel susseguirsi delle immagini, l’Africa appare, la musica invade la mente, lascia spazio ai sogni…

    ‘Il ritmo che rimbalza dalle sue percussioni ti conta le dita, e ogni parte del tuo corpo e lo ricompone in una frenesia di gioia. Incontro. Musica.
    Tempo.’

    Tutto questo in un’istante che sa di eterno.
    grazie

  3. Grazie Carla.
    Randy Weston è una mia scoperta recente, ma sentirlo e vederlo dal vivo
    è stata un’esperienza emozionante.
    é un grande vecchio, emana una gioiosa umiltà quando suona ed è nella misura di questi grandi che ti accorgi che c’è sempre tanto da imparare.
    grazie ancora
    lisa

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