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Il cane di Ptosis

di Alejandro Jodorowsky

Alejandro Jodorowsky

[come fausto presagio per il nuovo anno, non resisto alla tentazione di offrirvi questo racconto di Jodorowsky, tratto dalla raccolta Il passo dell’oca, Oscar Mondadori, 2007. a.s.]

Ptosis si sentì orgoglioso e ne aveva motivo: dopo studi pazienti aveva scoperto ciò che poi fu chiamato “Il cane di Ptosis”. Scoprire qualcosa di nuovo nel sacro film Notti d’amore a Bombay era praticamente impossibile.

Il popolo di Lexgopol, unico sopravvissuto alle guerre preistoriche, aveva eliminato !’immaginazione (fonte di ogni male) da molti millenni. Mediante lobotomie generali era stato soppresso !’istinto del gioco. Si era venuta a creare una razza burocratica capace di vivere senza nostalgia di cambiamenti o avventure.

Passarono gli anni. Quando il Generale Supremo chiese perché il suicidio decimasse il novantacinque per cento della popolazione, gli fu spiegato che si trattava di una sorta di equilibrio nervoso, poiché il gioco costituiva un aspetto essenziale del comportamento umano. Allora il comandante diede ordine di restaurare l’aspetto ludico. Ma tutti i giochi, le opere teatrali, i libri, i film, erano stati cancellati dalla memoria collettiva e dalla realtà. Come all’uomo preistorico era impossibile ragionare, così all’uomo lexgopolito era impossibile creare qualsiasi cosa. L’immaginazione era perduta per sempre.

Fu una salvezza quando dalle stive sommerse di un transatlantico dell’epoca barbara si estrasse un proiettore perfettamente conservato con il film Notti d’amore a Bombay, parlato in inglese antico. L’unica possibilità di intrattenimento era racchiusa in quel nastro di celluloide.

La proiezione del film fu preceduta da una cerimonia militare e scientifica che, dopo un numero ben preciso di minuti, si fece religiosa. Si scrissero centinaia di trattati sulla psicologia e l’abbigliamento degli attori, il trucco, gli scenari, le caratteristiche dei personaggi, la struttura arcaica dei dialoghi. la tipologia dei gesti. Quando furono esauriti tutti gli argomenti, si studiò la personalità di ogni anonima comparsa, si contarono gli oggetti, si inventariarono i coltelli e le forchette che apparivano nella scena del chiaro di luna e ognuno fu battezzato con un nome diverso, si calcolò la misura degli abiti e delle scarpe.

Ogni volta che si catalogava un nuovo elemento, i cittadini accorrevano al tempio ottico per osservarlo con la massima attenzione. «Oggi presentazione di un uccello bianco che vola nell’angolo superiore destro!» Arrivati alla scena dell’uccello, si fermava la pellicola, si pronunciavano discorsi e i sacerdoti cinefili esponevano le loro teorie. Alle volte si catalogava con il numero corrispondente una macchia sulla celluloide. Poi veniva riprodotta e serviva ad abbellire il salone principale dei Comuni. Poi passava a ingrossare le pagine della Grande Enciclopedia di Notti d’amore a Bombay. Si bandivano concorsi. (Potevano partecipare solo individui capaci di discorrere su un minimo di cinquantamila dettagli.) Dopo tanti anni di studio, ogni millimetro quadrato era stato descritto e aveva dato vita a salmi, saggi e ogni genere di esegesi. Questo riportò il suicidio collettivo a cifre ragionevoli.

Ptosis era un cittadino molto ambizioso. Era ben deciso a passare alla posterità. Per trent’anni, per dieci ore al giorno, aveva osservato il film. Alla fine riuscì a intravedere, dentro un canestro di vimini che appariva in fondo al mercato, i movimenti di un corpo opaco. Riuscì a ricostruire la sua forma e dimostrò che si trattava di un cane. Approfondì lo studio e catalogò la razza canina. Un fox terrier nascosto lì dal suo padrone, una comparsa che, secondo la tesi di Ptosis, era il mendicante battezzato come “Apparizione di riempimento nel millimetro venti per centosei del mercato”.

Ptosis si inorgoglì, fu decorato nel bunker presidenziale, gli fu donato un ritratto del Generale in tre dimensioni e ricevette l’omaggio carnale di centinaia di cittadine… Finché Kmosis, ambizioso come Ptosis, non riuscì a dimostrare che quel cane era solo l’ombra della comparsa “Il fumatore di marijuana” del millimetro duecentotré per quindicì.

Si cancellò Ptosis dai trattati, si demolì la sua statua e il suo nome fu irriso. Da questa penosa storia nacque una frase molto in voga tra i cittadini per evitare sforzi inutili:

«Non mettiamoci a scoprire un cane di Ptosis!»

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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