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Il vangelo del Coyote

ggmorozzi_g.jpg di Gianni Biondillo

Gianluca Morozzi – Giuseppe Camuncoli – Michele Petrucci, Il Vangelo del Coyote, pag. 128, Guanda.

Gianluca Morozzi è un autore straordinariamente prolifico, con un talento narrativo rutilante, acceso, vitale. Ma il suo pregio più grande, secondo me, è la capacità di infischiarsene di tutta una letteratura nazionale che vuole lo scrittore preso dai soliti seriosi riti scribatori. Morozzi narra, del resto se ne infischia.

E ogni occasione è valida: racconti, romanzi, canzoni, saggi, sceneggiature cinematografiche. E fumetti. Come questo Vangelo del Coyote, dove la sua prorompente capacità affabulatoria ci regala una storia in bilico fra tragedia, horror, commedia; con personaggi crudeli e indimenticabili e due storie (una coppia di adolescenti legate da un rapporto perverso, e un insegnate folle che porta con sé un segreto indicibile) all’apparenza slegate fra loro, ma, di pagina in pagina, sempre più serrate dal colpo di scena finale che rimette in gioco tutta la lettura. Le due storie sono disegnate – come è giusto dal punto di vista della resa grafica – con stili profondamente differenti da Giuseppe Camuncoli e Michele Petrucci, che danno ossigeno a una gloriosa tradizione fumettara italica di questi tempi colpevolmente un po’ dimenticata (ma non all’estero, dove i nostri disegnatori hanno il giusto rilievo che meritano).

Favola brutale, all’apparenza immorale, in realtà profondamente etica, Il vangelo del Coyote è un libro violento, spietato, doloroso, alla disperata ricerca di una eco di umanità in un mondo tratteggiato con un bianco e nero che non dà scampo.

Sembra quasi che il fumetto sia la dimensione ideale per Morozzi: da una parte perché obbliga l’autore a una gabbia che blinda certi suoi eccessi ridondanti, asciugando al meglio la sua scrittura, e dall’altra per la capacità che il mezzo espressivo ha di ibridarsi col cinema, col romanzo di genere, con la fiction tv, permettendo all’autore di usare al meglio tutto l’armamentario pop del suo immaginario, donandoci, con questa grafic novel, una delle sue prove migliori e mature.
Per ora (che molto ancora, so, ci saprà regalare).

[pubblicato su Cooperazione, n° 52 del 24 dicembre 2007]

[una tavola di Giuseppe Camuncoli, cliccateci sopra]

camuncoli1.jpg

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4 Commenti

  1. Penso sia giunto per me il momento di conoscere l’opera di Morozzi. Finora, non so bene perché, ho sempre resistito all’impulso di comprare i suoi romanzi. E chissà che non mi interessi, pure, per la prima volta al fumetto. In pratica, due prime volte.

  2. L’ho comprato e letto appena uscito. Non sono un lettore di fumetti o, meglio, lo ero tanti anni fa e ho dovuto fare un sopportabile sforzo per riuscire ad allineare le mie sinapsi alla scansione narrativa fumettistica, diversissima da quelli della lettura. Mi è piaciuto, mi sono divertito, l’idea di affidare a due diversi disegnatiri i due piani di racconto la trovo interessante anche se non so quanto originale. E i testi di Moroz sono in linea con quanto letto nei suoi libri. L’unico appunto che posso fare all’amico Gianluca è che mi ha costretto a nascondere il libro per non farlo leggere a mio figlio. Che però ha letto Black out. Lo so, c’è una certa incoerenza educativa in questo.
    Ho letto tutti i libri di Morozzi e concordo perfettamente con Biondillo. Sarebbe ora di (ri)valutare l’opera Morozziana e dare fiducia a uno dei più promettenti romanzieri italiani.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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