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Il figlio di Davide

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di Giovanni Oliva
Ho messo da parte le più tranquille e raffinate note pianistiche di Franz Liszt per riascoltare quelle caotiche e graffiate dei Taraf de Haidouks. Brani come Jalea Tiganilor (Lamento Zingaro), Rind de Hore (Suite di danze) ecc. Ho ballato da solo, chiuso nelle stanze vuote del mio studio, per scacciare la tristezza di questi giorni sciagurati. Ne ho avuto un certo beneficio. Ho vissuto diversi anni con gli zingari, i romá (rom – uomo libero – al plurale fa romá). Non vorrei vantarmi troppo di questo fatto. Ma guardare per lungo tempo le cose solo dalla parte dei gagé (i legati alla terra) è un po’ indigesto. Il pane facile ti si potrebbe fermare nel gozzo. I gagé, da signori del luogo, vivono in case confortevoli ma debbono pagare il mutuo. Vivono di fretta, con affanno. Vivono assediati, si sentono osservati da occhi indiscreti che giudicano. E da occhi bramosi. Debbono difendersi, ma non sanno nemmeno loro bene da cosa. Da una mano allungata nel gesto di chiedere l’elemosina, capace, se gli si presenta l’occasione, di sfilare con destrezza un portafoglio? O da quel bimbo che dorme fra le braccia di una ragazza, che potrebbe essere la sorella maggiore, e che fra qualche anno magari si aggiungerà all’orda di delinquenti che minaccia le tranquille esistenze dei figli delle stelle, dei primi-nati sotto il segno di Schengen? I gagé non possono che essere nervosi se pensano al presente e pessimisti se pensano al futuro.
Ma vi vorrei raccontare, se ci riesco, la fatica di stare dall’altra parte, dalla parte degli uomini fuori luogo; fatica ripagata sì dalle tante nascite che portano gioie e dolori e ciascuna una “debole forza messianica” (Qualcosa di buono alla fine accadrà. Deve accadere. I figli sono il nostro futuro: è solo questione di tempo. Quello che sono loro diventeremo anche noi). Ma quanta fatica per i genitori, quanta fatica per i figli.
Ecco il caso di Davide che è figlio ed è anche genitore.
Davide è nato ad Alghero nel 1983, figlio di Elver H. di Stolac e Jadranca S. di Tramic, arrivati tanti anni fa dalla ancora integra Jugoslavia. Romá khorakhané, scappavano dalla povertà di certe località isolate della Bosnia. Dopo un po’ di giri sono approdati in Sardegna dove il fratello maggiore di Elver raccoglieva “ferrovecchio”. Primi anni ’70. Sono passati oltre trent’anni!
Chi lo potrebbe immaginare, considerando oggi la loro situazione?
I gagé hanno detto tante belle parole, hanno fatto tante promesse. Nel 1989, dopo la morte di Tiziana, una bambina del campo di Cagliari, i gagé in Sardegna hanno fatto anche una legge per la tutela del popolo del vento. Sono rimasti tutti in balia del vento. Ancora oggi precari come ai primi tempi. Non sono mancate le occasioni, non è mancata la buona volontà di integrarsi.
A Elver e Jadranca sono nati tanti bambini: prima tre femmine, di seguito Davide e cinque altri figli. Appena nato Davide viene iscritto nell’anagrafe di Alghero che rilascerà per anni il suo certificato di residenza. “Nato ad Alghero ed ivi residente dalla nascita” vi si leggeva. Un dettaglio importante: la condizione per avere il diritto di scegliere la cittadinanza italiana al momento del compimento del 18 anno di età. Gli anni passavano e ad ogni Gurgevdan, il 6 maggio, giorno della festa più grande, si rinnovava l’augurio e la speranza. Il momento si avvicinava.
Intanto la Jugoslavia si disintegrava, arrivavano notizie di parenti e amici uccisi o scomparsi.
Ad Alghero, pur con ritardi e alterni segnali, la situazione per la famiglia di Davide con gli anni sembrava migliorare. Un’amministrazione comunale di sinistra iniziava a muoversi. Lo spazio occupato dalle dimore di fortuna (vecchie roulotte, baracche di cartone e plastica e tende sgangherate) veniva fornito di acqua corrente, energia elettrica, ghiaia, servizio di raccolta dei rifiuti. Poi arrivarono le casupole in legno realizzate dai volontari, piazzate sotto gli occhi benevoli delle autorità. Davide maturò. Nel 2001 si compì il tempo per poter ufficialmente dire: “sono cittadino italiano”. Ma ecco una sorpresa inattesa. Una doccia fredda (direbbero i gagé, ma per i romá la doccia fredda non è una sorpresa). L’amministrazione è cambiata e l’ufficio dell’anagrafe smentisce se stesso: No. Davide non è “residente dalla nascita” (come riportavano i vecchi certificati) ma solo dal 1987 “proveniente dalla Jugoslavia”. Proveniente dalla Jugoslavia? Ma se Davide non ci è mai stato? Se è sempre vissuto in Italia con i suoi familiari e continuativamente ad Alghero dove sono nati gli altri suoi fratelli? La burocrazia è sorda. A Davide, italiano iure soli, è negata la cittadinanza! E non solo quella italiana. Perché Davide non può avere nessun’altra cittadinanza.
Máskar e borori, “tra gli alberi di pino” così il gruppo di romá khorakhané che risiede da più di trent’anni ad Alghero chiama il luogo dove dimorano le famiglie ricche di bambini (il “campo nomadi” direbbero i gagé).
Davide, lì nella pineta, figlio di proletari, vive da anni “uccel di bosco”. Quando era minorenne aveva una regolare carta di identità che poteva esibire. Compiuti i diciotto anni, non più.
Italiano, iure soli, declassato a straniero per cavilli, maggiorenne, per poter ottenere una carta d’identità dagli uffici dell’anagrafe, del luogo dove è nato ed è sempre vissuto, deve essere fornito di un permesso di soggiorno. Ma per ottenere un permesso di soggiorno deve poter esibire documenti d’identità validi, del suo paese d’origine, e dimostrare di avere un lavoro.
Ma Davide, non esiste per nessuna altra anagrafe che quella italiana. Non può esibire documenti d’identità se non quelli che gli può rilasciare lo stato italiano. Negandogli questi documenti la burocrazia italiana costringe Davide ad una esistenza fantasma. Senza documenti d’identità, senza patente, senza possibilità di un lavoro regolare, senza possibilità di una vita civile. “Uccel di bosco” in mezzo agli alberi.
Davide, la sua famiglia e i suoi amici si sono mossi per contestare l’evidente ingiustizia. Niente da fare, finora. Bisogna aver pazienza e attendere.
Da anni è in corso una causa a Cagliari, presso il Tribunale Amministrativo Regionale. Finalmente, dopo tanto tempo è stata fissata un’udienza per il prossimo febbraio. Secondo gli avvocati Davide ha una buona probabilità di veder riconosciuto il suo diritto.
Quest’anno si è interessato del suo caso anche il senatore Mauro Bulgarelli, che ha presentato un’interrogazione parlamentare.
Nel frattempo Davide ha conosciuto Elisabetta romní (femminile di rom) di Porto Torres; secondo le usanze dei romá, sono ora compagni per la vita (una coppia di fatto direbbero i gagé).
A Natale, nel 2006, in una baracca autocostruita máskar e borori, struttura ricettiva inclassificabile, presepe non autorizzato, è venuto al mondo Stefano, figlio di Davide, povero, dio in terra, tanto atteso.
Non si può registrare all’anagrafe di Alghero. Troppe complicazioni. Meglio registrarlo a quella di Porto Torres come figlio di Elisabetta. Non avendo documenti validi, Davide non ha potuto finora sposarla ufficialmente. Davide, genitore italiano fantasma, senza una propria famiglia anagrafica. Un bel pasticcio, un bell’imbroglio dei gagé (i legati alla terra con leggi, lacci e laccioli).
Stefano, figlio di un italiano iure soli, è (dovrebbe essere) da subito registrato come italiano. Ma dovrà attendere. A un anno dalla nascita, di pazienza dimostra di averne tanta.
Che abbia presente nel profondo della sua coscienza di figlio dell’uomo appena giunto sulla terra, dio libertario e liberatore, che tanto la terra non appartiene a nessuno? Che dovremmo viverci tutti da stranieri in mezzo a stranieri? Migranti fra migranti? Ovunque siamo, il regno dei cieli è fra di noi.

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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