Inediti

di Antonella Pizzo

Da: Di lievi deliqui e smarrimenti

I

Regina madre che al castello sgravasti
cuore di tortora e leone
beati i poveri di spirito
che non hanno visto il pozzo di petrolio
e l’oro ricoprire gli abiti delle donne bionde
brune rosse passionarie
ossa d’anoressiche donzelle
sulle passerelle coi trampoli
non hanno raccolto il passo
in minimal style valentino
l’ultima moda di tatuaggi e pearcing
che non hanno segnato le nuche sottili ed il profumo
dalla traslucida ampolla non hanno mai leccato
miscuglio micidiale che arriva in gola e strozza
il pensiero di una terra a zolle e di una semina
di sudori sparsi e di occhi di pernice spessi
che non hanno mai discusso sui massimi sistemi
che non hanno mai avuto un contatore e un blog

V

Ma il pesce ha il ventre gonfio
il costato da parte a parte passato
le branchie di sangue confuse,
gli azzanni di lupi nei polpacci
dei bambini che nelle spiagge
correvano con i denti di latte spezzati
solo sapevano di fossi e castelli
di conchiglie che al collo tintinnavano
fecero in tempo ad aprire le mani
leggere le linee torte e svariate
ce n’era una che portava lontano
arrivava al polso e poi girava
dietro il gomito e poi risaliva
fino a perdersi nelle pieghe in fronte
in mezzo agli occhi bendati di lino
nel sudario sulla testa poggiato
raccontava di mandorle malate
d’albicocche senza nocciolo dentro
d’uva amara, d’uva nera
appassita.

Da: Di fuochi in fuochi

I

Fuoco che ardi il piede e la pece squagli
che sotto la terra sembri dormire
invece spilli e infliggi
e gli aghi fini ci configgi
e ai palmi, ai calli del contadino stanco
che la zolla spacca e il seme sparge
con movimento risoluto
non mente il quadro ad olio pitturato
dove il fuoco, il sole, brucia
e la fronte di sudore imperla.

Canto I

Con la falce l’uomo taglia il grano biondo
pari alla morte che falcia i nati vivi
chiede perdono per il male fatto
e per la guerra dei grani dissoluti.

II

Fuoco che pari pace
e invece
le lingue lunghe in radici ci dirami
nelle metropoli e nei caseggiati
le fondamenta stritoli
di poco cemento e ferro rugginoso
ci infiammi e ci disciogli
ogni angolo reggente ci sgoverni.

III

Aria che è arsura e arde e arrossa
e arida i palati, ci accendi e ci divampi
in desideri che di sabbia asciutta e di granelli
in fuoco si fanno vetro rifrangente e vele bruciano
le navi affondano nei mari ribolliscono
le pentolacce acquose dove il cucchiaio nulla trova e nulla fame placa
alla gola scende e vuoti impiega.

IV

Grande la sete alla lingua appiccicata e bianca
la pietra e la calce viva morire duole
o suicidarsi vuole in acque fluorescenti o chiare
dove sanguette sguazzano incoscienti
cercando solo un piede, un’anca da sgozzare.

Canto II

E il fuoco sotto è linguacciuto e lecca
lecca le ossa e succhia le carene
svuota le orbite intinge il suo pennello
passa dal rosso al grigio morto cenere.

***

Da: Il tuo diletto

IX

Forse era scritto
inciso a punteruolo, scolpito nel legno tenero
nella balsa, nella corteccia dell’albero al centro del campo
forse qualcuno decise che così doveva essere la storia
che così doveva accadere
che il giorno si slegasse
che ruzzolasse in fiume in piena e in letto aperto
lenzuola al vento, guanciali di tiglio e maggiorana
ma spezzate le travi, le assi catapulta ed il fossato
e i calcinacci sul pavimento bianco
calpestati, e che la tempesta è folle che
la tempesta è cieca, che proveniente
da un paese che nessuno
mai ha visitato, che si abbattesse sul paese che sta
in cima a questo colle
lassù, dove mio padre ha costruito per me una stanza di pietre e legno
ha innalzato il muro sotto il sole, un cappello di paglia
in testa, le mani alla malta all’impasto, l’intonaco a calce
il pavimento liscio, lisciate di parte, le tegole, il vaso
di rosmarino e la menta sul davanzale
i gerani rossi gelavano la notte e il vento sparpagliava i petali
nell’aria e poi si infilavano fra i capelli delle donne
che andavano alla fontana alta a riempire il secchio
mia madre impastava la farina e l’acqua
mormorava una canzone che diceva di polenta
in sole tre parole
la prima fame, la seconda vuoto, la terza morte.

X

La spiga di grano recide la falce, le sette piaghe appaiono
scritte sul libro aperto poggiato sulla mensola
coperto di cenere e di passaggi di topi della notte
un passaggio di colombe inaspettato
solleva i fili per ricamare i fiori, i gigli, le foglie lanceolate
nei telai le donne fanno la spola
da una parte all’altra dei sostegni poi si legano a fili stretti
nelle dita s’appuntano spilli
i tessuti grezzi ingialliscono nelle casse
aspettando di essere stesi al sole
nelle inferriate di ferro battuto dove i ghirigori
si confondono con gli intrecci
ricordo il gelsomini che cresceva vicino
all’acanto, vi fecero il nido le vespe
pronte ad accogliere le vergini
i martiri mostrano il costato, s’aprono il petto
si flagellano, fustigazioni immense
lode lode al creatore
i martiri vengono arrostiti sulle graticole
odore di carne bruciata
di acquolina in bocca
quando lo stomaco reclama il pane
quando le stelle tutte insieme
in quella stessa notte
caddero che sapevano di festa di paese
di giochi di fuoco
di incanti e di malie.

Canto III

Oh vermiglio rubino
rosso meraviglia, olocausto ancora da venire
doglie rosso cardinale, doghe di stupore e placenta
torpore la non concupiscenza e la non brama
rosso che si fa spazio fra roveti e campi
slargo che si fa via e vita
morbido cranio in fontanella
rosso che ti inchina, rosso di rovina
libera nos a malo
libera nos domine.

(Immagine: Antonio Nunziante – Luce)

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13 Commenti

  1. Estoy sin palabras cuando se trata de estos textos.

    Sólo existe la maravilla, la belleza y la admiración por estas hermosas armonías de carne, sangre y polvo.

    Canciones que hablan de criaturas heridas.

    Inmerso en un río subterráneo, el agua de una esperanza que esconde sus ojos.

    Precioso.

  2. visionaria. mistica. apocalittica. storica.
    narrazione di affrontare il dolore, Antonella.

    sulle doglie rosso cardinale m’ inchino,
    inchiodata anch’io
    inghiottita a non parole.
    piacere di averti letta.
    eco. ecco.
    un caro saluto
    paola

  3. Questi versi fanno parte di una raccolta inedita alla quale lavoro da tempo e che finalmente da qualche mese hanno trovato una forma finale e definitiva. La raccolta è inedita e credo ( ma non spero) che lo resterà per sempre. mi fa molto piacere che siano stati pubblicati in questo litblog ricco per contenuti e storia, per questo non posso non ringraziare franz krauspenhaar che gentilmente li ha pubblicati in questo giorno di mezzo agosto, giorno di festa, quindi per me doppiamente festivo.
    ringrazio il signor Melquíades Fermín Herrera, al quale dico che non conosco lo spagnolo ma poiché assomiglia tanto al mio siciliano a pelle a naso a cuore qualcosa afferro: le parole, la meraviglia, la bellezza, l’ammirazione. signor Melquíades Fermín Herrera lei un pochino esagera ma so che è a causa o è per colpa della sua lingua così pomposa barocca antica. E anche del suo cuore così grande e generoso. Olè!
    ringrazio paola amica da anni che mi segue sempre nei miei percorsi più o meno sbilenchi. piacere mio essere letta da te, grazie. un caro saluto a voi e a chi passando da qui si fermerà a leggere anche senza lasciare traccia. Ringrazio anche voi. antonella

  4. Para el Señor Krauspenhaar

    Querido Franz, le pedí a mi amigo, el profesor Lázaro Visconti, a traducir para mí en tu idioma, que por desgracia no conozco muy bien.

    Aquí está la traducción de lo que escribió.

    “Si rimane senza parole di fronte a questi testi.

    Al loro posto stupore, bellezza e ammirazione per questi splendidi intrecci di carne, di sangue e di polvere.

    Poesie che parlano di creature ferite.

    Come essere immersi in un fiume sotterraneo, nell’acqua in cui la speranza nasconde i suoi occhi.”

    Saludos y salud, estimado amigo.

  5. Con la falce l’uomo taglia il grano biondo
    pari alla morte che falcia i nati vivi
    chiede perdono per il male fatto
    e per la guerra dei grani dissoluti.

    Solo una piccola parte per complimentarmi di questo tuo lavoro. Sandra

  6. Un lavoro che spero possa essere pubblicato, per essere letto nella sua interezza.
    Riscontro dei nodi tematici comuni alla produzione poetica di Antonella, insieme ad un’apertura ulteriore attraverso cui si spalancano soglie direi inconsuete.
    Molto apprezzata.
    Alessandra*

  7. i versi di Antonella, come avviene qui, acquistano originalità e forza dove si parla di fuoco, legno, terra e fatica dell’uomo, ed oggetti o materiali consueti – per forza di allitterazioni e consequenzialità d’immagini – acquistano una valenza cosmica
    marina

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