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Giri di parole per rovistare nell’abisso

di Chiara Valerio

Mario Desiati, Il paese delle spose infelici, romanzo, Mondadori (2008), pp. 227.

Ciascuno di noi poteva contare nel proprio albero genealogico una sposa infelice. Una zia, una bisnonna, un’ava con le stimmate dell’insoddisfazione. La depressione per reazione o ribellione ai destini di nozze e dunque di morte. La ragnatela di relazioni che ci univa tutti era in quell’insondabile maledizione: ho conosciuto, ho saputo, ho visto, ho stretto il cuore di una sposa infelice. Ogni figurina del mio album era unita all’altra da tutto questo. Il paese delle spose infelici di Mario Desiati è un romanzo di voci e circostanze, un incrocio. È plurale nonostante ogni personaggio abbia un nomignolo e ogni nomignolo una titubanza e ogni titubanza una variazione. E ogni variazione suppuri ancora in una nostalgia o in un fallimento. La voce che racconta, e che tradisce, perché come sottolinea Desiati, riordina, è quella di Veleno. Se Veleno racconta è sopravvissuto e se è sopravvissuto allora qualcuno si è perduto. In qualche modo. Quando il romanzo si spagina e la sposa incede nel Taras, nei piccoli rivoli tumefatti dagli scarichi del mostro di industrializzazione, chi legge sa già che qualcuno si è perduto. In qualche modo. Perché Desiati racconta i presagi come certi uomini incantano serpenti e i topi. In un paese in cui le spose erano infelici la volontà di illudersi era più forte di qualunque cosa, dare per un breve periodo un senso ai propri sogni, alla propria vanagloria.

L’incrocio, affollato, talvolta di uomini, talvolta di fantasmi è l’intersezione di un gruppo di ragazzi e di una donna. I ragazzi sono reali tanto da avere le ginocchia incrostate di terra e sudore, le gengive ferite dalle brecciole e la testa rintronata di palloni calciati. Annalisa invece, è più una diceria, un vanto e una scomparsa che tutto il resto. Dalla caviglie al pube. Dalle carezze ai singhiozzi di reni. Fu la prima, e per molti anni unica, persona con cui riuscii a deragliare conversazioni, a parlare di minuscoli dettagli o di assoluto. L’incrocio non è metafora, perché le strade tagliano e percorrono il fiocco di nervi intorno all’Ilva e portano a quartieri falansterio o al mare o alle gravine o scivolano sulle specchie di pietra. L’incrocio non è metafora perché le gambe di Annalisa si annodano a quelle di Veleno, a quelle di Zazà, a quelle di chi passa, e le mani di Annalisa arrivano fino da Fedele perduto dietro a una polvere bianca. Neve chimica, candore insperato in una città soffocata dalla polvere rossa delle acciaierie e dai reflussi dell’arsenale. I cigli della strada che univa la Statale e la Circumarpiccolo erano riempiti di ragazzi, con l’odore dei corpi che riempiva quell’aria notturna e per una volta l’odore di uomo superava l’odore di macchina, di carbone e di coke.

Il paese delle spose infelici comincia come una visione, prosegue come una educazione sentimentale incantata dall’avvento del sesso via cavo, si impernia su Annalisa, favola e ossessione, si impila su una donna con le ginocchia nude, gli anfibi duri e le sottane scivolose come sabbia tra le dita. Annalisa impalpabile eppure caduca, aureolata di baluginii dorati di piscio è il Cantico de’ Cantici postmoderno e postromantico, spesso inginocchiato, che Desiati orchestra con una lingua puntinata di termini dimenticati e sonori, indurita dalle incursioni dialettali, coccolata da certi sogni di giovinezza, assordata dalle scosse dei generatori elettrici . Solo nel nostro ultimo viaggio in pullmino capii un mucchio di cose. Si chiama contesto. In un certo contesto non esistono vie di mezzo.

Il paese delle spose infelici è una storia preziosa ed evocativa di colori e incantamenti meridiani. Di follie collettive e frodi singole. Di vociare di popolo e solitudine di individui soffocati, come insetti, dietro un vetro di intenti.

La scrittura di Desiati è oziosa e circonflessa a proteggere le vocali di un italiano nel quale spiegare la rabbia di un dialetto e di un tavoliere di esiliati da un altrove qualsivoglia.

La scrittura di Desiati è quella di questi vinti, talvolta grotteschi senza pietà o riso, se stessi anche in trasferta, capri espiatori imperfetti, e perciò sacrificati, in una pozza di innamorata e inclemente misericordia. Il paese delle spose infelici era un paese di innamoramenti inadempienti.

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8 Commenti

  1. Sto leggendo il libro di Desiati e mi piace moltissimo. Ammiro in particolare la sua capacità di coniugare modernità e radici. E grazie a Chiara per averlo con tanto tempismo segnalato.

  2. Ciao Chiara :-)
    Buongiorno a Tutte e Tutti, l’ ho trovato un Romanzo intenso e molto bello, un colpo di proiettele Emotivo al Cuore, uno dei più Bei Romanzi di questa stagione… in un’ ITalia provvisoria alla ricerca di Amore Eterno e ricca di lavoro precario… e Vita Agra… mi mancano Risi, Pasolini e Antonioni… mi è rimasto Olmi….
    baci e abbracci e fuori la Rabbia
    Ps a proposito Bertolucci hai tagliato il documentario, c’ era anche Giovannino Guareschi, penso che Tuo Padre Attilio (GRandissimo) si rivolterà dall’ alto… tagliare anche un cattolico-anarchico dissidente di destra come il Grande Giovannino Guareschi (Più di 3 anni di campo di concentramento nazista e mesi di galera nell’ Italia repubblicana per censura…) è un atto anti-Democratico….
    baci e abbracci
    w I Sognatori
    davide fent
    http://bloomsbury.blog.kataweb.it/

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