Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni

[pubblichiamo un testo che riteniamo importante – Andrea Inglese, Mattia Paganelli, Domenico Pinto, Jan Reister, Marco Rovelli, Antonio Sparzani, Maria Luisa Venuta]
di Naomi Kleinthe Nation – via Megachip

È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all’apartheid in Sud Africa.

Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all’epoca dell’apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.

Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l’assalto, circa 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele. La lettera chiede «l’adozione immediata di misure restrittive e sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto…. Questo sostegno internazionale deve cessare.»

Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell’arsenale nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da contro-argomentazioni.

1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani. Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava “impegno costruttivo”. Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente la propria criminalità: l’espansione degli insediamenti, l’avvio di una scandalosa guerra contro il Libano e l’imposizione di punizioni collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di scambi commerciali con l’Unione europea è destinato a raddoppiare le esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l’8 dicembre i ministri europei hanno “rafforzato” l’Accordo di Associazione UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme.

È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi. È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la guerra, l’indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del 10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono necessari.

2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono reminiscenze dell’apartheid profondamente desolanti: documenti di odentità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che l’architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è “infinitamente peggiore dell’apartheid”.

3. Perché mettere all’indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio potrebbe effettivamente funzionare.

4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c’è bisogno di più dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato “Shock Economy” ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l’unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l’economia di Israele, ma non gli israeliani.

Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D’altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano bene. L’argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l’un l’altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo sommersi dalla gamma di modi di comunicare l’uno con l’altro oltre i confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.

Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di quei giocattoli molto high-tech provengono da parchi di ricerca israeliani, leader mondiali nell’Infotech? Abbastanza vero, ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l’assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey, direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa dell’azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con qualsiasi altra società israeliana.»

Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva commerciale.»

È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.

Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip 10 gennaio 2009
Articolo orginale del 7 gennaio 2009: http://www.thenation.com/doc/20090126/klein

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31 Commenti

  1. (Mi) sembra una iniziativa degna. Le ragioni (mi) paiono convincenti. Vediamo se questo boicottaggio riuscirà a rompere il boicottaggio quotidiano dell’informazione operato dai media nostrani (soprattutto televisivi).

  2. Sì, è tempo, era già tempo da molto… tempo, almeno dalla Fiera del Libro, che non a caso è stata fatta l’anno scorso, e ha contribuito a rendere i rapporti diplomatici israeliani con l’EUROPA ancora più stretti… e infatti alla fine di un anno che ha visto i leader israeliani e i loro portavoce G-O-Y in giro per il mondo, piacevolmente contraccambiati dai politici che hanno visitato Israele, ecco questo crimine contro l’umanità pianificato già da tempo. Ma era tempo già nel 2006, anno dell’altro crimine, quello contro il Libano (oltre mille morti, quasi tutti civili, come è a tutt’oggi il caso di Gaza), distrutto completamente nella sua parte meridionale, e riempito a guerra quasi finita di mine… anzi era già tempo molto prima del 2006…

    Ma il 2008 e la Fiera del Libro sono serviti a molti indiani e commentatori come me a scoprire gli israeliani pacifisti, della sinistra radicale, quelli che chiedono il boicottaggio, le sanzioni. Abbiamo cercato di fare informazione su di loro, abbiamo utopisticamente cercato di farli venire al Salone del Libro, proprio loro che volevano boicottarlo. Era più un modo per interrogarci, discutere, conoscere, che una speranza concreta. E così è iniziata una conoscenza vera, una strada che potrebbe portare al dialogo.
    Jaff Halper per esempio scrive spesso sul suo sito
    http://www.icahd.org ed è presente anche su facebook, molto disponibile, con me ha stretto amicizia subito e mi ha scritto che verrà in Italia nel 2009 a presentare il suo nuovo libro appena tradotto. Halper è stato l’unico ebreo israeliano ad andare a Gaza con la prima spedizione Free Gaza, a settembre 2008, insieme a Vittorio Arrigoni, di cui è diventato amico.
    Warschawski è da sempre impegnato a fare informazione su
    http://www.alternativenews.org, sito e blog, ed è la voce di condanna più forte per la triade G-O-Y e per i governanti israeliani, di cui ha chiesto la condanna come criminali di guerra.
    Questi sono i due israeliani che ho seguito di più nel’ultimo anno, ma ce ne sono molti altri.
    A proposito,
    @jan
    grazie per il link alla lettera dei 540 israeliani, che non trovavo.
    Tra loro anche Halper e Warschawski, e farò la conta di quanti altri presenti nel nostro L’altra faccia di Israele.

  3. @lorenzo : grazie del commento.
    Per i lettori, la lettera dei 540 israeliani è questa:
    “Centinaia di israeliani firmano un appello per le sanzioni internazionali contro Israele”
    http://www.forumpalestina.org/news/2009/Gennaio09/13-01-09CentinaiaIsraeliani.htm
    L’altra faccia di Israele invece, un progetto di un dossier dedicato alla dissidenza intellettuale in Israele, è qui:
    https://www.nazioneindiana.com/2008/03/21/laltra-faccia-di-israele/

    @macondo : una ironica analisi delle distorsioni informative la trovi qui:
    “Dodici regole infallibili per la redazione di notizie sul Medio Oriente nei grandi mezzi di comunicazione”
    http://www.carmillaonline.com/archives/2009/01/002905.html

  4. credo sia una delle poche strade degne di questo nome. senza una comunità internazionale non si potrà mai arrivare alla creazione di due stati distinti, che rispettino più o meno i confini del 1967. credo che senza questa divisione la questione palestinese rimarrà inalterata per altri 50 anni.

  5. @ jan,
    grazie per la segnalazione dell’articolo, e di rimbalzo, per quella del sito web di sader che non conoscevo. dovrò bazzicare di più carmilla (senza offesa, neh)

  6. ma perché non si cerca di creare uno stato senza confini. perché non si lavora sulla non divisione? perché non si cerca di far convivere verità opposte e divergenti? amici ed estranei? perché non si comincia a fare solo una contrapposizione tra umani e macchine? diamogli stanze enormi dove fare guerra in tred. visto che tanta guerra esiste anceh per la sessualità negata. perché reagiamo sempre allo stesso modo di fronte agli stessi problemi? queste persone hanno dogmaticamente appreso di essere ‘nemici’. perché no si cerca, ANCHE, di rieducare queste popolazioni? perché non proviamo a rieducare noi stessi alla ‘complessità’? sì, insomma, un po’ di genuina anarchia pacifista.

  7. Un piccolo contributo…

    “Boicotta i prodotti israeliani: codice a barre 729
    Cominciamo con qualcosa di piccolo… ma, in questo mondo governato dal capitale, efficace: quando andate al supermercato, nei negozi, nei mercati controllate la provenienza dei prodotti che acquistate.
    Se il codice a barre riporta il numero 729 non comprateli.

    [testo tagliato dalla redazione]

  8. no, perché per 50 anni hanno sempre insegnato a separare, destra e sinistra, israele e palestina, e a dare ragione o all’uno o all’altro. se si cominciasse ad andare oltre questa logica dicotomica, magari…

  9. Ho tagliato il commento di macondo qui sopra perché il mio obiettivo con questo post è esporre ai lettori di NI un concetto, dei paralleli ed una via d’azione semplice e concreta. Non mi interessa qui entrare nel merito dei singoli prodotti, stabilire liste (che devono riguardare ovviamente prodotti e servizi made in Israel e mai persone e attività in quanto ebraiche).

    La stessa lista è stata già copiata precedentemente qui su NI in un’altra discussione, e soprattutto mettere a punto un piano di sanzioni ed embargo è un lavoro impegnativo che non ha qui il suo spazio. Non in questo post almeno.

  10. Non sono in disaccrodo con un boicottaggio di Israele, perché la variegata società israelian (non ci sono solo i pacifisti e Grossmann Oz Jehoshua, ma c’è anche di molto peggio) avverta una pressione in più a evitare ulteriori derive. C’è il rischio antico di ogni boicottaggio, di rinsaldare l’entità assediata, esacerbando una volta di più negli israeliani il complesso di Masada, ma val la pena di provare. Non sono sempre d’accordo con Gideon Levy di Haaretz (da questo capite quanto sono presentuoso e temerario nel contraddire dal calduccio di un paese che non conosce la guerra da più di sessant’anni chi se ne sta nel bel mezzo del casino, ma almeno non credo di essere il più presuntuoso e temerario tra quelli che dicono la loro sul Medio Oriente), ma condivido la sua opinione per cui Obama sarà un buon amico di Israele se saprà opporgli qualche rifiuto e se saprà operare le adeguate pressioni.

    Ciò detto non capisco il costrutto di prendersela con i cosidetti criminali Grossmann Oz Jehoshua, considerando che se fossero tolti dal gioco per discredito, il loro spazio sarebbe occupato da ben peggiori golem impastati dal fango della destra israeliana che già sopporta a malapena i tre. OK, mi sembra di capire che alcuni vogliano portare il gioco al di fuori della realtà di Israele, intesa come entità statale nata nel 1948, giudicando il suo peccato originale di nascita incompatibile con una sua possibile redenzione politica. In quei 30000 km quadrati che sono per eccesso quelli dei confini pre 67 ci vuole qualcosa di altro, una sola nazione per due popoli come dice Pappé, o un sostanziale diluimento dell’identità ebraica che forse è inevitabile nel giro di qualche decennio considerando gli attuali trend demografici ma che attualmente gli Israeliani non riescono ad accettare.

    I tre sopraccitati si muovono all’interno della realtà di Israele, forti di un credibilità che deriva in primis dal fatto che sanno fare molto bene il loro mestiere e che in più di un caso si sono assunti le loro responsabilità, sempre ovviamente all’interno di quel recinto. Ci tengo a osservare che anche stando all’interno della realtà di Israele, mantengono comunque una discreta capacità di arginare le possibili derive in peggio della loro nazione, ma mi è anche chiaro che questa azione non è apprezzabile da chi accolga in pieno gli assunti e gli sviluppi storiografici di Pappé.

    Certo, Pappé è suggestivo, offre una prospettiva end to end che inquadra in un preciso teorema tutto cioà che è accaduto in Palestina dal Mandato Britannico in poi, ma di solito le cose umane sono più complicate e ambigue e rimane il sospeto che un così preciso teorema sia costruito a costo di semplificazioni e omissioni. E poi che cazzo di pace è possibile se tutti i buoni sono da una parte e dall’altra parte trovano posto solo criminali, coerentemente e unicamente criminali da settant’anni a questa parte?

  11. Rispondo a Sebastian 76

    “Gideon Levy di Haaretz – condivido la sua opinione per cui Obama sarà un buon amico di Israele se saprà opporgli qualche rifiuto e se saprà operare le adeguate pressioni.”

    Io credo Levy parli più per principio che per senso della realtà. Obama non porrà mai importanti rifiuti a Israele, e Israele se il caso saprà agire anche senza l’approvazione USA.

    “Ciò detto non capisco il costrutto di prendersela con i cosidetti criminali Grossmann Oz Jehoshua, considerando che se fossero tolti dal gioco per discredito, il loro spazio sarebbe occupato da ben peggiori golem impastati dal fango della destra israeliana che già sopporta a malapena i tre. — si muovono all’interno della realtà di Israele, forti di un credibilità che deriva in primis dal fatto che sanno fare molto bene il loro mestiere e che in più di un caso si sono assunti le loro responsabilità, sempre ovviamente all’interno di quel recinto.”

    E’ stato Warschawski a dire che sono criminali peggiori dei governanti israeliani, perchè spontaneamente, senza che sia loro richiesto o preteso da alcuno (quindi è scorretto dire che si prendono le loro responsabilità), prima sostengono la guerra fornendo giustificazioni pseudomorali, poi a guerra in corso, a catastrofe umanitaria compiuta, anche se non totale, chiedono il cessate il fuoco ribadendo che la guerra è stata legittima giuridicamente e moralmente, e piangono sulla loro verginità perduta di pacifisti (parole di Warschawski).
    Io sono d’accordo: questi non sono pacifisti neanche da lontano, sono complici volontari dei criminali al governo e con la loro (immeritata a livello intellettuale) fama mondiale (italiana in particolare) di intellettuali e di pacifisti rendono più accettabile il crimine di Israele davanti all’opinione pubblica mondiale. Se non ci fossero loro ci sarebbero intellettuali dell’estrema destra? Forse sarebbe meglio, perchè il mondo intero avrebbe meno alibi per non considerarli per quello che sono; e per i palestinesi non cambierebbe granché dato che GOY sono ascoltati finchè sostengono la guerra, non quando chiedono il cessate il fuoco o il non-inizio della fase 2, Libano e Gaza insegnano.

    Su Pappe, sì io credo che il 1947-49 in Palestina sia il rimosso storico più grande del Novecento. Senza scoperchiare questo rimosso non ci sarà nessuna pace in Medioriente e nessuna sicurezza per l’America. Non mi pare che Pappe costruisca teoremi, nella sua Pulizia etnica della Palestina fornisce una quantità enorme di dati, fatti, partendo dalle fonti israeliane, e seguendo quelle palestinesi del testo All that remains e dei racconti orali che si stanno raccogliendo su internet. Quello che fa è dare un nome, una chiave interpretativa a quanto successo. Le distruzioni di centinaia di villaggi, di quartieri di città, e le espulsioni forzate sono indubbiamente avvenute, le rovine e i profughi stanno lì a dimostrarcelo – anche se molti eventi sono stati ricostruiti in modo parziale e non del tutto certo – senza contare le testimonianze israeliane, palestinesi, internazionali. E basterebbe leggere i discorsi o gli scritti di Ben Gurion o di Weisz o degli altri suoi collaboratori, o gli ordini impartiti alle brigate che eseguivano le espulsioni per rendersi conto di quanto la storiografia israeliana ufficiale abbia costruito un mito negazionista sulla nascita di Israele – mito condiviso in tutto l’Occidente. Non si tratta di teoremi e di buoni e cattivi, anche se è fuor di dubbio che vi siano interpretazioni e semplificazioni da parte di Pappe – come è inevitabile per ogni saggio storico. Si tratta di portare alla luce fatti e ricerche su quanto accaduto. Pappe lo fa, e come lui altri storici, a cui spesso lui rimanda: non dimentichiamo che non è l’unico a scoperchiare questo rimosso, anzi il suo lavoro sembra quasi una summa, una messa a punto dello stato dell’arte del revisionismo storico israeliano integrato con le fonti palestinesi. Il suo lavoro non mi è parso perfetto, e nemmeno concluso, ma non lo si può criticare sulla base della storiografia negazionista imperante, la quale opera una sapiente selezione dei fatti storici, arricchendola con giudizi a priori volti a preservare un mito – così come ancora oggi Israele si vive nel mito di aver fatto fiorire il deserto. Il principale pregio di Pappe è quello appunto di fornire come chiave interpretativa, direi anzi descrittiva dei fatti del 1947-48 quella della pulizia etnica, che ha la sua radice nel sionismo (quanto meno nel suo dispiegarsi), l’ideologia che sta alla base del comportamento dei politici israeliani: la ricerca di uno stato ebraico in una terra che a inizio Novecento era popolata – da secoli – per oltre il 90% da arabi -. E nell’ottica della pulizia etnica è spiegabile anche l’agire di Israele a Gerusalemme, il suo rifiuto di discutere sul diritto al ritorno dei profughi, le sue leggi sull’immigrazione. Gaza e Cisgiordania sono le riserve in cui mettere i palestinesi, non potendoli sterminare: meno spazio occupano, e più densamente popolate sono, e meglio è, per Israele.

  12. Se ho capito bene, NI si è divisa sull’opportunità di pubblicare questo post.

    A me fa piacere che abbiate pubblicato il post nonostante su questa scelta siate divisi al vostro interno. Apprezzo le prese di posizione chiare, e quindi è chiarificatore mettere le firme di tutti gli indiani che ritengono il post importante.

  13. MICHEL WARSCHAWSKI E L’ALTERNATIVENEWS CHIEDONO IL PROCESSO PER CRIMINI CONTRO L’UMANITA’ PER I GOVERNANTI ISRAELIANI

    That war crimes are being perpetuated by the Israeli military in Gaza is not anymore a question, but hard facts documented by tens of television programs, videos and photos.

    The Israeli perpetuators of these crimes must be tried in an international court of justice for war crimes and crimes against humanity, in particular Ehud Barak, Ehud Olmert, Tzipi Livni, Chief of Staff General Gabi Ashkenazi, and Air Force Commander General Ido Nechushtan. Their crimes are definitely not less horrible than the ones that brought Milosevic and his generals to an international war crimes tribunal.

    The Alternative Information Center has decided to join the call of one hundred civil organizations from all over the world demanding the opening of a procedure by the International Court of Justice in the Hague.

    In the meantime, and until an international court of justice will put Israeli leaders on trial, civil society throughout the world should strengthen the campaign for Boycott, Divestment and Sanctions against Israel, a state that has clearly put itself outside the framework of international law and human rights constraints.

    Impunity is what may transform international relations into a jungle. Whoever aspires to a civilized world, in which human lives and dignity are respected, must demand the immediate implementation of sanctions on the outlaw state of Israel.

    At the last minute…

    We have just heard that the Israeli forces attacked a hospital of Gaza City, which is on fire. Hundreds are buried under the rubble and the military is preventing ambulances to reach the place.

    BARAK & all the rest of them—TO NUREMBERG
    http://www.alternativenews.org/content/view/1541/389/

  14. dividere e condividere
    @lorenzo galbiati
    non ci siamo divisi affatto sull’opportunità di pubblicare questo post anche perché quando si pubblica un post basta che un redattore lo ritenga opportuno, per poterlo pubblicare. L’idea di alcuni redattori era di proporlo a firma redazione. La proposta ha raccolto alcune adesioni ma non tutte,(ad esempio la mia). Non sottoscrivere un’azione , questo è il mio caso, non corrisponde a considerare come inopportuno un pezzo, oppure opportuno. Sottoscrivere significa qualcosa in più. Per il resto sono assolutamente vicino a quanti lo hanno sottoscritto e contento che lo si possa leggere su nazione indiana. Uno lo legge e se ne fa un’idea. Anzi fa qualcosa, che è meglio.
    effeffe

  15. E’ molto delicato lasciare un commento sul post. Ma trovo l’idea buona, perché invita alla riflessione profunda. Come prendere posizione. Faccio parte delle persone che non possono allinearsi a un campo, non per viltà, ma perché mi sento smarrita. Come tutti sono ammalata di pensare ai bambini feriti; tutto cuore si stringe al solo pensiero di un bambino orfano, e non capisco l’accanimento di Israël, ma di un altro lato ho sentito che persone di Hamas si nascondono nelle scuole, in questo caso è orribile di pensare proteggersi dietro i bambini.
    I razzi mi sembrano anche una provocazione e la minaccia di Iran grave.
    Credo che la prima cosa da fare è salvare i bambini, in questo caso curare i Bambini di Palestina, aiutare le aides humanitaires.
    Poi lavorare sul progetto mediterraneo, fare unire i desideri di pace.

    L’ho già detto: mi sento una grande tristezza. Perché un solo atto di umanità potrebbe cambiare le cose e nessuna delle parte non vuole ascoltare questo desiderio di pace.

  16. Una notizia caduta vittima dell’italico boicottaggio dell’informazione:

    “Stamane, venerdì, dalla frontiera di Rafah tra l’Egitto e la Striscia di Gaza, utilizzando le tre ore di tregua quotidiana sono entrati gli aiuti umanitari inviati dalla Repubblica bolivariana del Venezuela. Sono 12.5 tonnellate di alimenti, medicine, coperte, attrezzature ospedaliere che hanno avventurosamente viaggiato per 27 ore da Caracas fino ad arrivare a Gaza a dimostrare che la solidarietà internazionalista è viva e non conosce frontiere né guerre”. (G. Carotenuto http://www.giannimina-latinoamerica.it/visualizzaNotizia.php?idnotizia=205)

  17. @lorenzo galbiati

    Ho letto qualche (pochi) intervento di Warschawski su internet e ho trovato affermazioni molto discutibili, come la classificazione degli abitanti del sud di Israele come carne da Qassam confinatì lì dalle elite israeliani residenti a Tel Aviv, facendo quindi degli abitanti di Sderot e Ashkelon delle vittime dell’aristocrazia ebraica di Tel Aviv.

    In modo analogo Warschawski ricorre a una prova distorta per marchiare come criminali Oz Yehoshua Grossman: visto che questi giustificano un intevento di difesa a per far cessare il lancio di razzi su popolazioni residenti all’interno dei confini internazionalemente riconosciuti di Israele (confini del 1967, riconosciuti anche dai paesi confinanti e dall’Autorità per la Palestina, ma non da Hezbollah e Hamas), diventano responsabili anche delle modalità con cui questo intervento si sviluppa, anche quando non condividono le modalità e anzi le contestano duramente (le lacrime da verginella di Warschawski). Sarebbe come dire che chi appoggia il diritto dei palestinesi a una loro nazione, diventa automaticamente criminale e complice di stragi per il fatto che vi sono kamikaze che si fanno esplodere nelle discoteche e alle fermate degli autobus o condivide certi slogan tipo “Più Hamas, più camere a gas”. Insomma Warschawski ricorre a un artificio retorico scadente, per cui chi non converge sul suo punto di vista è automaticamente responsabiledi tutto il peggio dietro qualsiasi altra posizione. Non mi sembra troppo chiedere a un intellettuale una analisi un po’ articolata, capace di operare qualche distinzione, che abbia una complessità superiore a una dichiarazione televisiva di Gasparri.

    Quanto all’essere pacifisti, i tre affermano che riconoscono il diritto alla guerra difensiva e quindi non si caratterizzano quali pacifisti integrali, ma neanche Warschawski lo è, visto che non mi pare contesti il diritto dei palestinesi di ricorrere alle armi. Infine è senz’altro vero che il prestigio imtellettuale dei 3 porta lustro a Israele (prestigio non immeritato, dal momento che scrivono ottimi romanzi), ma è anche vero che le loro censure hanno risonanza internazionale.

  18. @sebastian76
    1. Per Warschawski (e per me) Grossman Oz Yehoshua manipolano la realtà e si rendono complici del crimine israeliano perché presentano il massacro di Gaza come fai tu: un “intevento di difesa a per far cessare il lancio di razzi su popolazioni residenti” in Israele; e poi perché invertono temporalmente i fatti, facendo credere che i 4 morti israeliani per qassam si sono avuti prima dell’inizio dell’offensiva israeliana, e non dopo – come è realmente. Inoltre, GOY quando danno il loro appoggio iniziale alla distruzione e al massacro di Gaza (o del Libano meridionale) sanno bene dove il governo vuole arrivare, e sanno che non si fermerà subito: nonostante questo lo appoggiano per poi dire che si è andati oltre. Peraltro giusto oggi Yehoshua ha detto a Gideon Levy che non si può rimproverare Israele per la sproporzione dei morti uccisi a Gaza. Direi che di lacrime in fondo non ne versa proprio.

    2. Il massacro di Gaza non è diritto di autodifesa, è anzi una azione criminale che viola tutta una serie di diritti umani, quelli che puoi leggere nella “lettera” linkata e per i quali i pacifisti israeliani firmatari chiedono sanzioni da parte dell’ONU. Israele è la potenza occupante, e ha tutta una serie di doveri da rispettare verso il popolo che occupa. Non li ha mai rispettati, in particolare a Gaza.

    3. Warschawski contesta eccome il diritto ai palestinesi di usare le armi verso territori israeliani. Non so se si sia mai espresso sull’usare le armi contro i coloni e i militari occupanti, ma nel dubbio non possiamo dire nulla. Personalmente credo che sia un loro diritto la resistenza armata su terra occupata da Israele dal 1967. Tuttavia non li sostengo, ritenendo la resistenza armata controproducente ed eticamente sbagliata. Ritengo anche che se un intellettuale giustifica il lancio di razzi qassam come diritto di autodifesa o di autodeterminazione o di quel che si vuole si renda complice di un atto terroristico.

  19. Il testo di Hélène Cixous ha una profundo risonanza in me.
    E’ bellissimo nell’idea e nello stile.
    E’ il sentimento che provo: smarrimento, dolore e cicatrice, impressione
    di essere tagliata in due.

  20. Approvo e sottoscrivo, e visto il taglio non posso che concordare sul boicottaggio dell’economia e della politica israeliana e non degli israeliani. Grazie del post

  21. nessun commento sui migliaia di razzi lanciati contro abitazioni civili.
    hammas vuole la distruzione di israele , questo va bene??
    salviamo l’angioletto di hammas , ma se quando vengono uccisi civili nemici si fanno le feste nelle piazze. questa e la gente che difendete. vergognatevi !!!!

  22. Commento per Giusi, quindi è giusto bombardare questi selvaggi di palestinesi che festeggiano quando uno dei loro razzi artigianali colpisce una case; molto meglio l’atteggiamento egli israeliani che non festeggiano ma uccidono quasi 1500 civili di cui 400 bambini…

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Fabrizio Venerandi, autore dell'ebook Poesie Elettroniche coedito da Nazione Indiana, terrà a Genova tre incontri a ingresso libero sul...
jan reister
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Mi occupo dell'infrastruttura digitale di Nazione Indiana dal 2005. Amo parlare di alpinismo, privacy, anonimato, mobilità intelligente. Per vivere progetto reti wi-fi. Scrivimi su questi argomenti a jan@nazioneindiana.com Qui sotto trovi gli articoli (miei e altrui) che ho pubblicato su Nazione Indiana.
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