Quattro poesie di Marco Ceriani

di Marco Ceriani

.

Chi crede che la morte non ha odore
costui sappia che costei puzza d’angoscia
più dell’ignara Giocasta s’ha mai cuore
di stridere nel coito sotto coscia
all’invertito Edipo! E che la morte inveschi
più della puzza che più dell’ascellare sebo
di quel greco dirime forse in Eschilo
il gran tema che dà inizio ai Sette a Tebe?
Forse chi crede che la morte va alla morìa
come dall’ascella di colui che forbici pianta nella gola
dei galli giocolieri che dal chicchirichì alla stia
rivivono l’annuncio con un difetto di parola
Forse chi la morte crede cammini tutta sola
come colui che le forbici pianta nei bargigli
dei galli torcolieri che con un difetto di parola
annunziano al villaggio che i figli dei suoi figli…


.
.
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E nessun Cinese mai costruirebbe muri più se edere
vi si riflagellassero tra fondamenti d’assi e carpentieri in palco
e nessuna ai muri più lucertola finirà col credere
se brullo più del Geraseno, l’indemoniato dei sepolcri, in Marco
.
uno sventato solicello finirà con l’insaziatamente cedere
spiccioli d’un suo garbato sudore a una quota di neve pingue:
la lucertola ne morirà, nei lacci tesi dalla stigia cenere
e il muro si flagellerà con le sue proprie pietre come in Marco 5,5.
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.*
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Singulta con poco il pentagramma delle pigne
dei nidi se la rondine vi legge lo spartito
e sussulta come il ripetersi di un accordo tra budello e crine
della chitarra della morte che si inginocchierebbe a un vostro invito
.
ad adorarvi muta. Restano le mele iraconde di un muto autunno,
restano le messi deboli di mente per Giuseppe,
come in inedia e in ira sotto la trachea dell’unno
non tossirà un sol filo d’erba nel paradosso delle steppe.
.
.
.*
.

Se per lo scalpello che il suo marmo fa divorziare dalla cava
lo scalpellino chiede un verso tragico al suo Eschilo
Clitemnestra vuoi non chieda al suo clitoride che scavi
una via retta che dal monologo interiore porta al teschio?
.
Così dice nel cotonificio dei sudarii un vecchio a Shakespeare
e nella distilleria degli antidoti mormorerebbe un tale a Mozart:
poi i due concluderanno che non basta chi più incespica
nel patibolo a far sì che via si tolga la corda della botola.
.
..
[Le poesie sono tratte da Lo scricciolo penitente, Scheiwiller, 2002]

*

Nota:
«Dopo Iscrizioni e Sèver, passando per Fergana, il più recente dei rari e laconici messaggi di Marco Ceriani denunzia fin dal titolo l’ascesi che lo alimenta. La penitenza dello scricciolo si tempra, per 87 stazioni, alle corde di un trobar clus che strozza sul nascere i senhals chiamati a giustificarlo e del recinto epigrafico che disciplina le oltranze della mente barocca. Ma questo calvario semantico trova contrappeso (e compenso) nello strumento stesso del supplizio: la parola petrosa, compatta, tangibile (a prova di voce) colma di prestigi i crateri di cui si dissemina […] Il suo immaginario non può che riflettere quello, anonimo, del repertorio: manuali, trattati, enciclopedie, vocabolari, atlanti, bibbie, florilegi sono lì ad aspettare chi ne trascelga i cammei, le pedine attese all’alea di nuove dislocazioni. Nella sua orchestra di congiunzioni che dissociano, di interrogative che asseriscono, di avversative che annettono; nel fugato di significanti che si salutano a distanza con automatismi da fantocci sonori, il direttore è come l’ombra che asseconda la Fantasia di Walt Disney, il complice di un terribilmente serio gioco infantile, il regista eliso di un meccano che si adempie nella revocabiltà del costrutto, nell’istantanea eclissi delle epifanie […] Il suo discorso in quartine (battuto su ritmi da filastrocca il cui ipnotismo è accortamente rotto da anticipi, ritardi, scoppi che diresti proprio rubati a Stravinskij) disdegna come inane adulterio ogni logica che non corrisponda alle prensili empatie del primitivo; quindi le sue figure stravolte dall’acido di micidiali analogie sottendono il totem, assembrano un universo araldico, si consegnano alle luminazioni del monaco chagalliano.»
Antonio Pane, recensione apparsa in: Poesia 2002-2003, Annuario a cura di Giorgio Manacorda. Roma, Cooper & Castelvecchi, 2003, pp. 329-330.

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101 Commenti

  1. questa poesia non fa per me, e poco male, mica mi deve piacere tutto. Ma perché “invertito Edipo”, ma quando mai, Edipo, vittima di un atroce destino, innescato da altri, che arriva ad accecarsi per colpe non sue. La critica di Pane poi mi pare un esempio di molta forma e scarso contenuto. Oppure nulla ho inteso.

  2. Non so se, per i mei gusti, siano peggio le poesie o la recensione. Poesie inutilmente barocche, gonfie, dopate di parole a volte cacofoniche. Recensione oscura, difficile non per complessità ma per complicazione, dunque gratuita e ingannevole. La si legge, infatti, sperando in una spiegazione che non arriva. Come non arriva, nelle poesie, l’urto, la scossa che ti faccia capire perchè l’autore stia scrivendo. Ecco, quando uno leggendo per la prima volta una poesia si domanda “perchè”, vuol dire che la poesia ha già fallito; che non ha raggiunto la magia ma si è fermata al raziocinio, alla normalità d’un racconto o d’una descrizione. Nessun incanto, nessuna poesia.

  3. Purtroppo oggi la poesia in Italia, nella quasi totalità delle sue espressioni, o presunte tali, mareggia come un cumulo di merda tra due confortevoli sponde (i.e.: due cessi): quella/o dell’accademia, del leccaculismo patinato, delle antologie e dei premi ad usum amicorum, e quella/o della miriade di conventicole (allegramente e fintamente)alternative al sistema (sic!).

    Se nel primo vespasiano trova posto la crème dell’inutile e la pratica, congiunta, della masturbatio grillorum e della fellatio di gruppo, nel secondo, che pure nelle intenzioni avrebbe dovuto essere qualcosa di “diverso” e alimentare pratiche altre rispetto all’autoerotismo versicolare, sgomitano per trovare spazio liste (o lische?) e listicine di amici del giro che, convinti di inventare la poesia ogni volta che scrivono e in cerca come sono di visibilità a tutti i costi, vanno ripetendo, in rete e altrove, gli stessi rituali che, a parole, condannano.

    Quel che resta della poesia, se resta, è tutto nella penna e nella volontà di continuare a scrivere dei (pochi o molti che siano) Ceriani: quelli che si rifiutano alla navigazione e al bagno in quelle acque e, silenziosamente, praticamente ignorati da tutti (per fortuna loro e della poesia!), aggiungono nuove cellule, vive, al corpo agonizzante del fare versi.

    Dottor G. Baud

  4. Queste quattro sono le uniche quattro poesie che abbia letto di Ceriani, e le ho lette adesso adesso, quindi non è da cerianologo che mi viene da dire qualcosa.
    Prima, però, qualcosa proposito di quello che dice Diamante: Pane espone sostanzialmente 3 cose, il “calvario semantico” (1), che consisterebbe nella “strozzatura” dei senhal, che in effetti – credo – rimangono come schiacciati l’uno sull’altro in un entassement che non è barocca gioja elencatorio-catastematica, ma proprio manieristico gravame; e dice anche (2) della dipendenza di questa poesia dal repertorio, dal tesauro – che è la specialissima antienciclopedicità di questo manierismo, che si mette a disposizione moltissimi materiali, cioè la gran parte, ma esclusivamente di un determinato tipo – è un continuo sfidare, e trovare, la propria congenialità refrattaria. Dopodiché (3) dice della primitività della pulsione di questa poesia, che si sostanzia di segnali e segnacoli ma è elementare, basica nell’espresso.
    Si tratta di nozioni che sono arcinote e condivise al lettore e al critico di cose manieristico-barocche; basta ripercorrere quello che Michele Mari o Marzio Pieri hanno scritto a proposito di questi versanti per capire che le parole di Pane, che è uno studioso solidissimo, preciso, umile e certosino, non sono aria fritta.
    Anche per chiedere un perché ci vuole un minimo di presupposti.
    Anzi, la presentazione di Pane non è nemmeno particolarmente elogiativa, né ore rotundo né a denti stretti, e anche il richiamo a Stravinsky, come galvanizzatore non tanto e non solo delle griglie retoriche tradizionali, ma del mood, opportunamente ripensato, non è tanto un elogio, ma un engramma utile a fissare, esemplificando, i confini della poesia di Ceriani. E la descrizione mi sembra puntuale, financo evocativa.

    Non sarei mai così precipitoso nel definire in maniera così netta “è una stronzata” quello che non capisco. Mi càpita molto spesso di dire “è una stronzata”, ma non mi riferisco mai, in questi casi, a qualcosa che non capisco, ma a qualcosa che mi pare, proprio, una stronzata. In tutti gli altri casi dico “non lo capisco”. Sono due cose molto diverse.

    Detto questo, io (che ho solo da imparare) posso solo dire che a questa poesia, se qualcosa nuoce, è proprio la densità di riferimenti di ascendenza dotta, non perché annoino ogni sorta di gente ignorante, o perché siano pretenziose, ma perché l’anfiteatro dei mitologhemi è un anfiteatro da scienze morte, che solo un demiurgo, ossia un poeta acutamente consapevole dell’effetto disastroso che il ricorso a quest’emblematica può avere sul lettore contemporaneo, può riportare in vita. D’altra parte, non si può chiedere al lettore di “scavare” sotto questa tipologia di materiale, se non a patto di darlo come optional, cosa che all’autore suppongo non piacerebbe, e al lettore onesto sembrerebbe inaccettabile.

    Quattro poesie per me non sono abbastanza per valutare, chiaramente, tutto un poeta. Posso inquadrarlo, anche con l’ajuto delle righe di Antonio Pane, almeno per quanto riguarda questi componimenti, non di più. Mi limito a dire che sì, queste poesie sono perfettamente comprensibili a prima vista anche al lettore di media cultura, ma appunto il metro è oscillante, e questo mi disorienta leggermente. Il tono sostenuto, me ne rendo conto, può dare più d’un sospetto d’impettitura, e anche la mia reazione d’abord è stata la stessa. Le risonanze sorde, l’opacità, possono essere difetti (?) come parte integrante di un’estetica.
    Difficile dire in base a questi quattro componimenti (però quattro componimenti d’altro autore, un altro giorno, sono bastati a farmene incuriosire; non vuol dire chiaramente nulla, e vuol dire tutto).
    Non mi dispiacciono; confesso che preferirei versi regolarmente scanditi; a quest’altezza cronologica mi sembra che possano esserci solo versi liberi o servi, tertium non datur.

  5. @ anfiosso
    Non metto in dubbio la serietà di Pane, come non metto in dubbio la tua serietà quando scrivi, ad esempio: “e anche il richiamo a Stravinsky, come galvanizzatore non tanto e non solo delle griglie retoriche tradizionali, ma del mood, opportunamente ripensato, non è tanto un elogio, ma un engramma utile a fissare, esemplificando, i confini della poesia di Ceriani. E la descrizione mi sembra puntuale, financo evocativa.” Metto in dubbio la capacità tua e di Pane di farvi capire, non dubitando della mia di capire almeno l’essenziale, sin quando si parla di letteratura. Diffido da sempre dei paroloni astrusi, pur sapendoli usare, mentre adoro la critica; e come insegnano i critici più grandi, da De Sanctis a Debenedetti a Palanza, passando per George Steiner fino, chessò, a Ficara e Berardinelli (non paragonabili ai succitati ma comunque di buon livello), bisogna saper (e voler) esporre con semplicità anche le tematiche più complesse. Un critico che non sa esporre con semplicità – che non equivale a banalità o sciatteria o piattezza – è come un negoziante con la vetrina piena e la serranda abbassata.
    @ Baudo
    Vera, purtroppo, la tua analisi sullo stato attuale della poesia “ufficiale” (che sia accademica oppure di conventicola) in Italia. Su Seriani coltivo i miei forti dubbi, invece. Dov’è la sua “vita”?

  6. Signori,per un sabato di giugno se non altro ci sono ben 10 “amicieccellentiperbacco” nei Ceriani’s poems,mica uno :GIOCASTA,EDIPO;ESCHILO;TEBE;CERASENO;MARCO;GIUSEPPE; CLITENNESTRA;SHAKESPEARE;MOZART.Non se la prenda,signor Domenico Pinto, je m’escuse, niente di personale,eppoi anche volendo gli uffici del telrgrafo sono chiusi.

  7. Scusami, diamante, ma proprio non mi rendevo conto di aver usato paroloni.
    E continuo a non leggerne in Pane.
    Può darsi che lunedì mi venga voglia di spiegarmi con più – come dici tu – semplicità (l’inconveniente è che la chiarezza consistendo in una specie di inclusione dei presupposti, anche di quelli che si darebbero volentieri per scontato, richiede molto più tempo, e adesso non ce l’ho).

  8. Diamante, non è la “sua vita” che ci interessa, ma l’essere del testo che ci si offre, che andrebbe indagato solo nelle ragioni che ne rendono necessaria l’esistenza: le “sue” (del testo), non le nostre.

    Dott. G. Baud

    p.s. (O.T.)

    Potreste togliere il doppione del mio omonimo italiano? Sono rientrato in Francia…

  9. Ho un debole confesso per rime petrose, calembour e mitologhemi..detto questo le poesie non mi dispiacciono anche se, ovviamente, c’è un’eco di rinvii a specchio compiaciuti, tipico delle regole di questo gioco, ivi inclusa la prosodia, solo apparentemente stra- volta..V.

  10. Che la nota rifranga e spezzi i versi a cui segue, oppure che i versi spezzino e rifrangano la nota che anticipano, non è nostro affanno…
    La foggia pinnacolare, incassata e involuta, incinta e handicappata risveglia “razzismi”.

    Di certo siamo nell'”ascella profonda del relativismo”, non mi meraviglia che il dott. G. Baud si torca il collo ed esulti e faccia il gallo – lui che qualche attrezzo Gibaud dovrebbe pur iniziare ad usarlo, invece di stare a preoccuparsi delle conventicole accademiche e non, rivelando, alla fine, la sua vera natura: un Pippo Baudo.

    Ma comunque…

    Il Ceriani fa il giocoliere, mima la poesia; uno scricciolo lacrimoso sulle spalle dell’aquila, come da leggenda.
    Una cifra erudita a mascherare un mancante tesoro.
    Morte che puzza d’angoscia e clitoride scavatore/minatore: da non perdere. Fogli da assassinare.

  11. Hai ragione arendo, giusto: ubi cappone, minor cessat. Accomodati pure, qui sei re.

    Dottor G. Baud

  12. trovo e incollo

    Marco Ceriani il mistero della poesia
    Repubblica — 14 settembre 2002 pagina 1 sezione: MILANO

    Oggi si presenta a Uboldo di Varese l’ ultimo libro di Marco Ceriani, Lo scricciolo penitente (Libri Scheiwiller). Lo conosce solo chi ama la poesia, Ceriani, perché vive a Uboldo e il suo lavoro non ha niente a che fare con la letteratura; dunque non ha merce di scambio da far valere in questo sempre più disgustoso mercato del «do ut des», dove si è arrivati a glorificare una Mazzantini al cui confronto persino Baricco sembra uno scrittore. La poesia di Ceriani può apparire oscura, ma non lo è. Come nei sogni, dove comprimiamo nelle quattro dimensioni dell’ esperienza l’ iperspazio e l’ ipertempo che strutturano la psiche e la natura, in questi versi appaiono, con l’ impalpabilità dei fantasmi e la palpabilità del concreto, corpi e malattie, il sé e l’ altro da sé, paesaggi e città, storia privata e storia che dovrebbe essere di tutti. La mente sfoglia avanti e indietro, indietro avanti, l’ enciclopedia infinita della materia e della forma, simbolo («mettoinsieme») di infiniti simboli. Ceriani «mette insieme» Tiresia, orti di ulivi, Onièghin, averle, Beethoven, Cesare e le Idi di marzo, rose, Michelangelo, Termidoro, querceti, Caronte. Ma non è oscuro. Misterioso: del suo bosco di simboli sentiamo il mistero ma, come nei sogni, sentiamo che è un mistero familiare. Lasciamo perdere la maestria metrica e la perfezione fonico-ritmica, ne gode chiunque sa goderne. Qui c’ è disciplina e intransigenza. Qui c’ è disciplinato dolore, oro orgoglioso di un umile alchimista che sa mostrare agli omuncoli uomini quanto sia miserabile il loro nido ampolla. (Il quinto «poeta mascherato» era Giorgio Cesarano)
    – PATRIZIA VALDUGA

  13. Ultima cosa.

    Scrive Pippo Baudo:

    “Quel che resta della poesia, se resta, è tutto nella penna e nella volontà di continuare a scrivere dei (pochi o molti che siano) Ceriani: quelli che si rifiutano alla navigazione e al bagno in quelle acque e, silenziosamente, praticamente ignorati da tutti (per fortuna loro e della poesia!), aggiungono nuove cellule, vive, al corpo agonizzante del fare versi.”

    Per farla finita col piagnisteo vittimistico. Non è vero che Ceriani è ignorato, è una menzogna. Ha pubblicato con Marsilio, con Schweiller, ha curato nel 2005 per Mondadori Vladimir Holan, insieme a Giovanni Raboni. Qui sopra Viola Amarelli ha riportato la recensione di Patrizia Valduga. Ricordo di aver letto sue recensioni su “Stilos”. E’ presente inoltre su “Almanacco dello Specchio”, “Anterem”, “Atelier”, “Poesia”, “Sud”, “Colophon”, “Microprovincia”, vedo dal sito di Pagliai editore.

  14. arendo (con o senza lucina sei ridicolo lo stesso), l’unica pippa circolante in questo thread sei tu. Mi è bastato pescare, a caso, qualche altro tuo commento generosamente elargito ai lettori di questo blog per avere la conferma di un quadro clinico che mi sarebbe stato chiaro subito, già dal primo momento, anche se redigere questi referti non fosse stato il mio mestiere.

    Da tutto quanto ho il piacere di leggere di tuo in fatto di commentazioni letterarie (sic!), emerge il ritratto di uno squadristello di quarta-quinta fascia, di quelli che, inconsciamente, aspirano a sprangare poeti e scrittori, a prescindere, ma poi si limitano (per fortuna) a tirare legnate metaforiche nei blog, proponendosi come alfieri di una scrittura e di un fare letteratura che finora non si sono mai appalesati (per fortuna).

    C’è un particolare che ti sfugge, tutta-via, e qualcuno avrebbe dovuto già da tempo significartelo: le tue legnate, metaforiche o meno, hanno la stessa consistenza delle scoreggine dei neonati: non fanno rumore.

    Rilassati, dunque, mio <savonarola alla nduja e poi, al riparo della lucina azzurrina, prepara la tua pugnetta (pardon!: il tuo editoriale) settimanale.

    Vai ciccio, vai…

    Dottor G. Baud

  15. Caro Pippo Baudo, sei “ddimuratu” (si dice del pane, come sai, ma molti non sanno), passato e livido. Se ti riempi a questo modo, va bene.
    Ciao.

  16. Però, quando hai fame, in un modo o nell’altro, riempie la pancia. Non te lo hanno mai raccontato?

    Tu, invece, non hai nemmeno il piacere di servire a quello: come fa, la stessa materia di cui son fatti i sogni, a saziare in qualche modo? Puote tanto, il fumo?

    Dottor G. Baud

    ….

    Chiedo scusa a Ceriani, Pinto, NI ed eventuali lettori di questo ignobile siparietto. Mi ritiro: ubi cappone, etc. etc….

  17. Grazie ad anfiosso per il commento delle 15:53 (magari commentassi più spesso, si sopporterebbe meglio la palude definitiva – una Montagna definitiva, questa mai, eh? Pare così).

    Da ora, però, qualsiasi incursione squadrista, i travasi di “razzismo”, gli assassini della pagine (sic) – parole buone a tenere bordone, per rimandi interni, al Terrore che fa da controporta al fantasticato piano eversivo di SB -, quale che sia l’obiettivo dei farnetichi, se i commenti non rimangono sul tema proposto saranno congelati.

  18. @ Baud
    Certo che non m’interessa la via di Ceriani. Sei stato tu ad affermare che Ceriani aggiunge al corpo agonizzante della poesia nuove cellule vive. Per me, poiché in poesia Io è ASSOLUTAMENTE un Altro, la vita dell’autore è l’ultima cosa. Quanto ai testi in questione, non vedo nulla che ne renda necessaria l’esistenza; tranne il fatto, indubitabile e angoscioso (ma questo è un fatto che riguarda l’arte tutta), che quei testi oramai esistono.

  19. Sì, credo anch’io che la forma migliore di inviare messaggi resti quella del telegramma. Sono molto incline alle suggestioni barocche. Queste quattro poesie di Ceriani però non mi hanno beatificato, perché la loro Morte non mi dà estasi.

    Il bel verso su Clitemnestra poi mi fa solo pensare che la Nostra non sapesse neanche di essere dotata di un clitoride!

  20. mi domando come mai la censura abbia colpito solo il commento (oramai non più leggibile) di Diamante che chiedeva spiegazioni circa la censura stessa e non colpisca altri.
    ovviamente colpirà anche me … ma prima sarà telegraficamente giunto a destinazione.

    ossequi.

  21. I vecchi commentatori, anche quelli amanti dei troll, com’è il mio caso, hanno ben presente una delle regole della netiquette di NI che copio qui:

    “la redazione si riserva il diritto di applicare la moderazione (sospensione preventiva) ai commenti prima della loro effettiva pubblicazione, o di cancellare a proprio insindacabile giudizio e senza preavviso i commenti impropri”

    la netiquette si può leggere in altro a destra, sotto “A proposito di noi”, e può non piacere, come può non piacere la tinteggiatura del salotto della signora Tumistufi, ma fargliela cambiare è un altro discorso

  22. [Un boh! fortino]

    A Diamante non piacciono i versi di Marco Ceriani.

    A chi piacciono i versi di Marco Ceriani non piace Diamante.

  23. [fortini, anzi forti]

    L’Insetto Perfetto o Immagine (hanno detto) non verrà mai. Noi siamo quello, o gentile Crisomèla del Pioppo, Oziorrinco, Calandra, Spòndilo, Ilotrùpe. Pirròcoro, Galerùca, Sìrice, Magachìle… Squadre, eroi compagni!

  24. [Fortini a un giovane. 1985]

    ‘Non son colui, non son colui che credi’.

    ‘E altro è da veder che tu non vedi’.*

    Inf. 19, 62 e Inf. 29, 12.

  25. [Della brevità, 1971]

    Scrive lungo altra gente.
    Io scrivo corto. Rischio
    davvero così poco?

    Di stecco quasi vivo
    fungo o vischio. Di morto
    e secco, fuoco – o niente.

  26. [Piccolo sermone. 1959]

    Tu che lamenti i tempi.
    Non ci sono altri tempi per te.
    La vita che non sai vivere
    giustamente non c’è.

    Tu che lamenti gli uomini.
    Guardali. Guardano te.
    Il vero che non sai cedere
    giustamente non c’è.

  27. Inferno – Canto V

    Cerbero, fiera crudele e diversa,
    con tre gole caninamente latra
    sovra la gente che quivi è sommersa.

    Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
    e ‘l ventre largo, e unghiate le mani;
    graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.

    Urlar li fa la pioggia come cani;
    de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
    volgonsi spesso i miseri profani.

    Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
    le bocche aperse e mostrocci le sanne;
    non avea membro che tenesse fermo.

    E ‘l duca mio distese le sue spanne,
    prese la terra, e con piene le pugna
    la gittò dentro a le bramose canne.

    Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
    e si racqueta poi che ‘l pasto morde,
    ché solo a divorarlo intende e pugna,

    cotai si fecer quelle facce lorde
    de lo demonio Cerbero, che ‘ntrona
    l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.

  28. @Lucifero (alzata di genio delle 12:50):
    Il commento è stato tolto nella speranza di orientare la discussione verso l’argomento del post, cioè le poesie di Ceriani. Ho scritto a Diamante, motivando la mia scelta. Nel frattempo vedo che scrosciano commenti non pertinenti, come il tuo (la netiquette è stata già ricordata, non c’è bisogno dunque che la richiami ancora alla memoria dei lettori). Non perdiamo tempo, per favore, con le accuse di censura: non tutto ciò che uno scrive merita di essere letto, e la deriva verso la chat, i riflessi pavloviani, la violenza verbale non sono incoraggiati.
    In sintesi, ragionate sulle poesie, se volete, come fa Diamante (di cui io, comunque, non posso condividere i giudizi e la postura), ma non chattate, non litigate, non scrivete idiozie: i disegnini fateli nei bagni delle stazioni, se proprio non potete rinunciarvi, negli angiporti, sul vostro diario, ce n’è di spazio.

  29. “non chattate, non litigate, non scrivete idiozie: i disegnini fateli nei bagni delle stazioni, se proprio non potete rinunciarvi, negli angiporti, sul vostro diario, ce n’è di spazio.” [D.P.]

    “Il citazionismo? Che volgarità!” [A.M.A.]

    ***

    “di màssacro non si discute: si sorvola per negazioni, si dèpreca come si dèplora, si lacrimizza, retorici; è cosa turpe, immorale, incredibile, inudibile per caste orecchie, inaccettabile per palati callosi e mani lorde di usure, di feci e sangue, che pur si stringono, che si strabuzzano, strizzano: màssacro è parato improvvido, improduttivo, impopolare, impolitico: ma in ogni bipede, sotto, c’è una tendenza larvata di spirante massacratore in potenza: dunque il màssacro si esorcizza per cerimonie tribali spettacolo, piccolo teatro o grande cinema: ci si viene col paltorino bello, soffregando l’osso bacino la sconsolata clavicola con la compagna d’orgasmi: ci si siede su chiappe, su genitali citabili: si consuma màssacro nelle sembianze d’immagine, massacranti massacratori, massacrabili e ammassacrati, massificati e sconsolatamente massa, ci si immette per màssacro nel màssacro, perché dove due persone si riuniranno in tale nome, là ha da esservi màssacro; e ci si gira attorno, ma è inutile tentare di sfuggire, prima o poi màssacro ha da essere, e allora meglio prima, anzi subito: col màssacro non sio scherza: ci si illude eludendosi, e ci si elude illudendosi (citabili) per insplendere su parato màssacro copulatorio del bipede, variamente defunto e davere sulla sua sfera di cristallo in sparpaglio: questo è manualetto d’avvento: menologico più che podittico: fin tautologico: logico sempre, per nalisi logica màssacro da rudimento scolastico, sgrossatura del massacrante, trattamento di massacrato prossimo, di massacrabile, da non perdere d’occhio, da seguire a vista, fino al giorno della fruizione ultima del deconsumo, decompressione, demenza:

    SEBASTIANO VASSALLI, Tempo di màssacro.

    (a volte ritornano)

  30. Solatino Bluetto, se mai dovesse imbattersi nel mio Mucca tagli@ta cavallino non saprebbe neanche da dove cominciare! E qui sono il solo che su Ceriani potrebbe dire qualcosa di interessante…

    Bene, adesso vi lascio alle vostre amabili cazzate!

  31. Al messaggio di sopra mancava una virgola e pure la voglia.

    Restando assolutamente futuribile, mi limito a scarabocchiare per inerzia. Tanto non capireste comunque. Sì, stasera mi amo. Ogni tanto fa bene ricordarsi cosa si è stato in grado di produrre. E non di certo i commenti da segaiolo in cerca di visiblità.

    La visibilità? Che cosa volgare!

  32. PROLOGO:

    s’illustra dunque nel prologo già lo svariar fenomenico de’ ruderi abbarbicanti inamobili degli istituti di nèmico che si frazionano il pòppolo, la folla gravida di convulsione di scatti, scatenamenti scotennamenti eroismi protagonismi filantropi, gesti esemplari da spèrpero, sangue che scorre su ciottoli e si riversa ne’ tòmbini già predisposti da secoli per ogni spurgo di liquido, di grande onnivoro sole ch’oltre la polvere pirica o quella empirica brilla a intermittenze e balugini, di vetri grànate bambole bombole, proiettili che ci si scambiano, di strade che si disselciano per favorire l’avvento, di case in crolli nuvole e polvere calcificante calcidica, di casalinghe filosofi di venditori ambulanti di canarini di pargoli presto sepolti nel cumulo; visione azzurra di missili che si sorvolano, di pterodattili in corsa, di pòppoli che si calpestano e calcano, negli stadi contenitori domenicali che poi deflagrano, schianto

    SEBASTIANO VASSALLI, op. cit.

  33. @ Annichilito Morgillo Annichilito

    “noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere.”

    KURT VONNEGUT JR., Madre notte.

  34. Naturalmente, il dibattito sulle poesie è andato a farsi fottere da un bel po’ di commenti a questa parte. Ho la sensazione che se invece di criticare le poesie di Ceriani l’avessi lodate, tutto ciò non sarebbe accaduto. In definitiva mi sembrano due le strade possibili: lodare con qualche sbrodolamento, così che attorno ai 10-12 commenti l’opera in questione cada nel dimenticatoio dello zucchero gratuito, oppure criticare e scatenare un vespaio di insulti personali o prese in giro che nulla c’entrano con l’opera in questione, determinandone di fatto l’ignoranza più brutale. Meglio l’oblio o l’ignoranza? A Ceriani (cui molti dovrebbero molte più scuse di me che l’ho trattato da poeta) l’ardua sentenza.

  35. Da immani fumi minimali arrosti. Questo era per Stefano Agosti (giusta la rima), che peraltro a me piace molto perché ha fatto una bellissima, sontuosa rivista di poesia (che m’ha lasciato un buco, un rimpianto, il numero dedicato ai poeti barocchi in parallelo con i persiani; grazie per avermelo ricordato, il buco c’è ancòra).

    Volevo solo ringraziare alcor e Domenico Pinto per la stima.

    Anzi, volevo anche aggiungere qualcosa.

    Io, ad intermittenza, non dico che m’interesso, ma vado a spulciare, più o meno superficialmente, i canzonieri dei sonettieri moderni: notando che sono tutti, senza eccezione, barocchi – per esempio, non esistono sonettieri classicisti o neoclassici: Valduga, Rossi Precerutti &c. sono decisamente da questa sponda, e dichiaratamente (v. per la prima il fantasma del Lubrano, i petits poèmes en prose del secondo sul Blutgierige Ritter, &c.).
    Penso che questo incoraggj tutti questi poeti, anche leggendosi poco a vicenda, alla stenografia: dato che al buon intenditor poche parole, nessuno si preoccupa troppo di comunicare virtualmente a chiunque quello che ognuno dei lettori interessati ha già nel suo bagaglio. Arroge che la maniera stessa è il fine, in molti casi, essendo le implicazioni esperienziali e sentimentali il contenuto da travasare nei crogiuoli – materiale, infatti, rovente e non trasmutabile, credo; forse ha fatto bene chi si è chiesto (traduco): Mi chiedo che vita possa avere uno che scrive così. Mica saranno tutti dei morti di fame come il sottoscritto, beninteso, ma la costruzione di una retorica interessa a chi ha bisogno di sponde ben solide per far scorrere una portata d’acque sovrabbondante; posso supporre (perché neanch’io lo so) che ognuno di questi poeti abbia una scarsa propensione a dimenticare il passato – ciò che non implica affatto una valutazione di merito sul passato stesso: ognuno avrà il suo, non tutti, ribadisco, ne avranno uno sordido o doloroso o vergognoso.
    Ciò detto, non posso dire che mi sento parte di una famiglia, ci mancherebbe; anche perché certe cose m’interessano proprio perché le leggo da quel punto di vista: se poi devo valutare che cosa mi piace, posso dire che trovai la Valduga a suo tempo interessante, ma non l’amo affatto; che Rossi Precerutti spesso non mi sa di granché; che Frasca ha scritto una sola cosa (peraltro piuttosto lunghetta, Molli, quindi non si può dire affatto lo sto disprezzando, anzi) che mi ha pienamente convinto; &c.; che mi sento personalmente respinto, e qui faccio riferimento ad un’altra regione di questo non smisurato paese, ossia quello rappresentato dal versante accademico, dall’odore di UDC che promana da molta baroccologia parmense (per esempio ho letto Una stagione in Purgatorio di Pieri, e quel trascorrere, “storicamente”, dal discorso su manierismo & marinismo & Tasso per approdare a personaggj del calibro di Beniamo Dal Fabbro, Gianandrea Gavazzeni (con licenza parlando), o Gio. Franc. Malipiero m’è parso più un affondare come un rospo nel motriglio gelato che un sic simpliciterque seguire un filone. &c.: tutto questo solo ed esclusivamente a titolo d’esempio.
    Queste poesie di Ceriani mi piacciono? Non ho detto questo. Svolgono, anch’esse, una loro funzione. Innanzitutto, essendo maniera (che è poi, in soldoni, un modo proprio, personale, di “usare le mani”, uno stato-dell’-arte continuamente raggiunto), è sicuramente la tappa di un percorso di crescita; ed è una declinazione personale di materiale, retorico, metrico, emblematico, condiviso. Perciò stesso mi pare interessante, perché è una poesia che, coraggiosamente, si fa valutare, anche nei suoi fallimenti. Il grido dell’anima è indiscutibile, ma il poeta con l’anima urlante non ha una meta, non ha una direzione, non ha cose da capire, ha solo grida: e io, confesso, peno ad ascoltare le grida, perché sono una cosa fisiologica – in termini meno interiettivi, il grido in questo caso si articola in affermazioni che sono quello che sono, che devono essere prese (respinte no?) in toto: ho allergia per le cose che sono così perché sono così e così devono essere, & basta.
    Questo non impedisce che io abbia sorvolato molte poesie meritevoli, e che mi possa essere soffermato su poesie del tutto mediocri, ma se l’ho fatto è perché queste ultime (non dico di Ceriani: dico in genere, putacaso) hanno che fare col mio universo di significati.
    Posso solo sperare che sia sufficientemente ricco, coerente e interessante da coinvolgere anche altri, un giorno o l’altro; ma anche così non fosse è un percorso fatto, anche, di apprendimento, senza cristallizzazioni: qualcosa di vivo.
    Per questo rimango perplesso di fronte alla sfida (fattami sul blog; ma è una sfida? un’esortazione? proprio non capisco) di diamante (al quale chiedo scusa se l’ho scambiato per una donna; ma il nick non è trasparente) di far vedere il mio “arrosto” dopo il “fumo” di “tante inutili parole”.
    L’unica cosa che posso dire è che la mia unica aspirazione – faccio autobiografismo, e del più schifoso, ma magari sennò non ci s’intende; poi comunque chiudo qui con la domus mea – è il congeniale; che non ho mai inteso, veramente, andare oltre il meramente verbale, perché la fattualità non è nelle mie corde; e che non posso, veramente, sapere che cosa mi riserveranno i prossimi giorni, i prossimi mesi, i prossimi due o tre anni della mia vita – e non parlo di ‘vita’, parlo di scrittura.
    In qualche modo mi sento come uno che deve rendere conto – e non solo, ahimè, quanto ai ‘versi’; ma questo, appunto, è un altro pajo di maniche -, e apprezzo che altri si sia impegolato in una maniera, che, facendo poesia, o nell’attesa di farne, o in mancanza, cerchi di catturare, o di realizzare bellezza. Riuscirci o no è solo questione di fortuna, il più delle volte; non vuol dire che tutto quanto intercorre tra poesia e poesia sia da buttare nel cesso. Questa poesia nasce da una pratica, e vive grazie ad essa.

    Sono tutti luoghi comuni, che forse non giovava ripetere qui.

    [Ci si chiede il ‘perché’ si sia scritto qualcosa solo nel caso di un saggio, di una narrazione; sbaglia anche la Valduga, con la cui ideologia non sono minimamente comunicabile, a fare sprezzante riferimento a Baricco o a chi per esso nella sua recensione, non solo perché non c’entra niente, ma perché, come non è un dovere evitare Baricco, o imprecargli contro, così non è un dovere léggere Ceriani, o Shakespeare, o Rèpaci. E’ vero che la Valduga, in quel caso, fa riferimento a una fin troppo ricca filiera recensoria, un po’ da giornale culturale di rione ma tant’è, e che la sua può essere solo, e soltanto, bargillame retorico; ma l’impressione non è buona. Se leggo, posto che legga, Ceriani è per léggere Ceriani, non perché Baricco è un lurido scarparo].

    Insomma, continuerò (dopo aver assolto ai miei numerosissimi doveri) ad accozzare sillabe come prima, e a léggere poeti neobarocchi con occhio benigno, anche quando non mi piacerà quello che scrivono.

    Posso solo sperare che non sia “inutile” – anche se la mia nozione di utilità, come suppongo si sarà capìto, dev’essere molto diversa da quella di diamante -, ma, appunto, il senso del tutto è nel percorso.

  36. che accampa-menti la scrittura, fatta di segnetti meno di legnetti da bruciare e come infiamma! I-dee che vorrebbero cucire la bocca:ma a chi? E chi è eco di chi? Tracciare segni per terra, questo sarebbe il caso e che poi sparissero, per sempre. Ricordo che qualcuno lo stava facendo mentre rincorrevano una “adultera” e tutti gli altri volevano lanciarle contro un sasso oltre che una montagna di parole di pietra. Metafora? La scrittura ne è piena,ma la vita, penso…lo stesso, dipende da come la si VUOLE o la si può leggere…vivere poi non credo sia lo stesso!
    ferni

  37. Mi sono riletta tutti i commenti, a partire da Sparz, quando diventano tanti e così spesso astiosi e in gran parte incompetenti, ci si rende conto che benché si dica che la poesia sia morta, non lo è affatto, una semplice spoglia non riuscirebbe a creare tanto viscerale chiasso.
    C’è sull’idea di poesia una rissa identitaria, e anche un’irritazione egocentrica perché purtroppo i “poeti” sono legioni.
    Ma quando un testo mi è lontano, oppure non lo capisco, oppure mi sono lontani ed estranei i suoi riferimenti culturali, è inutile, non vi pare, agitare rudimentali clave, o si entra nel merito, come ha fatto Anfiosso, o è più saggio toglier mano.
    Questo non fa automaticamente di me un’ammiratrice di Ceriani, ma anch’io sono interessata a chi continua a lavorare in modo complesso, persino quando non mi è congeniale, e questo indipendentemente dai risultati.
    Mi piacerebbe, ma sarebbe forse chieder troppo, che i “poeti” che criticano qui gli altri che lavorano sulla poesia, ci dessero esempi concreti di quella poesia che praticano, per capire da quale terreno criticano e se quel terreno è altrettanto interessante, o produttivo, o non solo grido dell’anima come lo definisce Anfiosso, o anche semplice fiato di voce.
    Queste gazzarre sotto i poeti non “chiari e semplici” e addirittura sotto poeti come Arminio, che al contrario ha un dettato immediatamente comprensibile, hanno l’unico risultato di mostrare i limiti dei commentatori.
    Nessun critico serio riserverebbe a un poeta un trattamento come quelli che vedo qui, ne tacerebbe, se non lo apprezzasse, o sarebbe preciso nell’analisi.
    Ergo, non siete critici.
    Vorrei sapere se siete poeti.

  38. Soldatino Bluetto per avere una qualche forma di visibilità fittizia, commenterebbe qualsiasi cosa e replicherebbe a chiunque. Intanto questo serpentone di commenti è tenuto in ostaggio delle sue gratuite citazioni, sparate a casaccio.

    Io, da autore di Mucca tagli@ta cavallino, trovo queste quattro poesie di Ceriani degli esercizi sterili. E solo se trovo commentatori alla mia altezza spiegherò il perché.

    Spero che Diamante possa continuare a commentare senza essere soggetto a nepotismo.

    Buona continuazione

  39. Manca la solita virgola dopo il Bluetto e la voglia.

    Circa Alcor… Scusi, ma chi cazzo è Arminio? Certo, è stato definito da Saviano uno dei più grandi poeti del Paese!

    :-))))))))))))))))))

  40. Per puro caso , entrando in questo sito, mi son trovata a leggere più,
    i vostri commenti che la poesia di Ceriani.
    Vi confesso che,il fatto che una semplice poesia abbia scatenato un così divertente dibattito personle,mi ha fatto piangere per le risate.
    E’ per questo vi ringrazio:non ridevo così,dai tempi antichi.
    Un sei grande a” SOLDATO BLU”.

  41. Va bene, Morgillo, il tuo libro ti piace moltissimo, mi pare giusto, è figlio tuo, e magari è anche ottimo, ma perché non articoli meglio le ragioni della sterilità di Ceriani anche a questi poveri commentatori? Fai un gesto generoso, concediti.

    Quanto ad Arminio, c’è poco da fare, ormai Arminio c’è.
    Non basta il tuo disprezzo a cancellarlo, e neppure il giudizio di Saviano:-)

  42. grazie dell’attenzione Alcor, già che ci sei non andresti avanti con la spiegazione psicoanalitica? Visto che quello che dici tu di solito lo capisco, compreso quest’ultimo tuo ottimo commento delle 12.06.

  43. nn credo d’aver offeso ,né la poesia “xchè rispetto chiunque esprime i suoi pensieri,ke piacciano o no; anche xché scrivo anch’io poesie, o meglio riflessioni;e sò quanto può essere toccante una critica…nè
    chi ha commentato,e nè ha fatto una chat personale.Di quello ,ho riso, è nn vorrei mettermi nei panni dell’autore.SE MI DEVO SCUSARE X QUALCOS’ALTRO,CONSIDERATELO GIA’ FATTO.

  44. @ Sparz

    Dovere:-) eri il primo del thread.

    L’edipo invertito, o rovesciato, è l’edipo che non ha come oggetto d’amore la madre, ma il padre, o comunque il genitore del suo stesso sesso. Tutto qua, per un approfondimento vai a Freud ecc.

  45. Sempre per Sparz, ovviamente la mia definizione è brutalmente semplificata, ma se cominciamo anche con Freud, Lacan e compagnia cantante, non ne usciamo più

  46. Alcor ha scritto: Quanto ad Arminio, c’è poco da fare, ormai Arminio c’è. Non basta il tuo disprezzo a cancellarlo, e neppure il giudizio di Saviano:-)

    Certo che Arminio c’è! Non vedo però perché debba essere tu a ricordarmelo!

  47. Alcor cara… Credo che Sparz sappia benissimo cosa sia il Complesso di Edipo, non trovi? Superatissimo. Anche per lui credo, considerando che ironizza sul suo mito. Con intelligenza.

  48. beh, io sono una persona semplice, se Sparz mi chiede cos’è, io gli rispondo, se la sua è ironia vuol dire che era sottile, e la cosa non mi dispiace, quando all’Edipo rovesciato è un concetto po’ diverso dall’ Edipo non rovesciato come lo si sente citare in ogni bar, non tutti sono interessati a leggere Freud.

  49. Alcor, credo che tu non abbia colto la sottile ironia di Sparz

    Circa Freud… Non so cosa dicano nei bar dell’Edipo non Rovesciato. A me comunque l’Edipo Rovesciato ha sempre lasciato forti perplessità. Perché tu sei forse una freudiana? In quale secolo psicologico vivresti?

  50. @anfiosso
    Non vedo dove sia l’oscurità della mia richiesta: limpidezza nell’esposizione dei tuoi gusti, che stavolta nel post c’è. Tutto qua. Il resto – vita, poesia, vita o poesia, sonetti oppure no, ecc – mi sembra superfluo e fuori luogo. In particolare mi risulta sconcertante questa tua affermazione, perchè dimostra la distanza che ci separa: “non ho mai inteso, veramente, andare oltre il meramente verbale, perché la fattualità non è nelle mie corde”. Anfiosso: dal momento che parli, pensi, scrivi (scrivi!), sei già nel fattuale, che tu lo voglia o no. Il verbale è fattuale, anzi non c’è evento più fattuale del verbale; nemmeno la bomba atomica o il big bang.
    Ed eccoci ad Alcor la bacchettatrice: la quale esige sempre, se uno esprime un’opinione, di conoscere vita morte e miracoli, le fonti, l’opera, e possibilmente un attestato di genio da parte dei tipi di Stoccolma, lassù dove fa freddo e il sole tramonta tardi. Altrimenti, meglio rimettersi all’autorità di Arminio o di chi ha già “dimostrato” o “pubblicato” (e che quindi, nella sua ottica snob, è in gamba). Ad Alcor, cui mi rivolgo in maniera indiretta onde evitarle fastridiose orticarie, dico che la faccenda è molto semplice: qui su NI si legge, e o si apprezza o non si apprezza. Io esprimo pareri – condivisibili o meno – ma sempre motivati. Ho motivato nel primo post la mia avversione a queste poesie, e perchè mai dovrei infierire sull’autore? Per “dimostrare” cosa a chi? Quanto alle mie preferenze nell’ambito della poesia in generale, le ho esposte con chiarezza cristallina sin dal mio primo intervento su NI, vari mesi fa; mica posso stare a ripeterle all’infinito, ogni volta daccapo, per dimostrare di poter dire la mia.
    A Morgillo, che ringrazio per la “vigilanza”: non mi sento soggetto a nepotismo: magari a qualche antipatia (più di qualche?), ma c’è di peggio.

  51. cmq, una cosa la vorrei aggiungere, seppure inutilmente, perché queste posture sono pandemiche, epidemiche ed endemiche:

    “chi ha già “dimostrato” o “pubblicato” non è certo buono di per sé, ma è stato sottoposto a un vaglio, editoriale e a volte anche critico, si è esposto al giudizio, ha un percorso alle spalle, un lavoro; si può non approvare, ma rispettare quel lavoro argomentando.

    Dire:
    “Poesie inutilmente barocche, gonfie, dopate di parole a volte cacofoniche. Recensione oscura, difficile non per complessità ma per complicazione, dunque gratuita e ingannevole.”

    non è argomentare, è sentenziare.

    E viene spontaneo allora chiedersi da quale “lavoro” queste sentenze vengano emesse, alla fine di quale percorso, sulla base di quale pratica, non mi sembra di chiedere troppo, altrove sarebbe il minimo, forse è scandaloso chiederlo qui.

  52. Alcor, chi ti dice che io non sia stato già sottoposto a un vaglio, a più di un vaglio, anche severo e autorevole? Chi ti dice quanto percorso io abbia già alle spalle? Chi ti dice che chi ha superato un vaglio ufficiale (in questo Paese, in questo particolare momento storico, poi) sia necessariamente meritevole o credibile? Mara Carfagna o Sandro Bondi sono “ufficialmente riconosciuti”: ciò ne fa campioni di credibilità, di valore, di eccellenza? Oppure, per restare nelle humanae litterae: Faletti? Moccia? Mazzantini? Baricco? Scurati? Melissa P.? Fabio Volo? Chi?
    Ancora: perchè mai esprimere un’opinione netta equivale a sentenziare? E’ chiaro che quel che scrivo vale per me, il mio vissuto, la mia sensibilità. Quanto al mio non argomentare, cado dalle nuvole (senza farmi male, per fortuna [mia; tua non so]): torno a ripetere che su NI tutti quelli che hanno letto i miei post sanno come la penso, hanno avuto la possibilità di farsi un’idea di come concepisco la letteratura. Non ti sembra abbastanza come “lasciapassare”?

  53. Alcor, chiunque ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, anche sentenziandole per efficacia o ingenuità. Agli altri la possibilità di dimensionarle.

  54. Diamantecara, Alcor pecca solo di ingenuità. Circa le quattro poesie di Ceriani… A mio avviso risultano esercizi sterili con riferimenti biblici e classici poco riusciti.

  55. Porcinaglia del mondo, come putisci di morte.
    La saggezza non è nelle lacrime, ha nido
    nelle fogne dell’àdipe, nelle fetide bocche.

    Ogni cosa vuol digrumare, persino le barche hanno denti.
    Scardanelli offre cibo ai coltelli, alle cose di rame,
    rimpinza i cucchiai, va ubriacando le pentole.
    Guàtteri e vespilloni bisbigliano nella cucina di Strindberg.
    Attorno al catafalco della mensa convitati lurchi
    girano lustri con lunghe candeline,
    e anche la fiamma si imbuzza, il lumino tombale.
    Tresca buccolica, bùccina di putridi rutti:
    pure il fastidio ha fame, pure la calunnia,
    e le ali hanno fame, e gli zoccoli degli angeli,
    e i germogli, e la fragilezza, e l’opale,
    e la zavorra, il macigno, i tamburi del jazz,
    le cicalate, i cavilli, le inutili carte,
    le trombe, i pulpiti, gli altari: tutto
    anela di essere gonfio, satollo, di prendere parte
    a un eterno ed uguale festino di lutto.

    ANGELO MARIA RIPELLINO, Notizie dal diluvio.

  56. @ alcor,
    a esser-ci è facile, ci siamo tutti, anche Silvio c’e (come dicono i suoi fan)
    (arminiata # 1 in do di petto)

  57. Ah le vastali, che gioia, sacre vergini che sempre tengono acceso il sacro fuoco nel tempio.
    Ogni immunità hanno simili fanciulle, a patto che sempre si mantengano dedite e pure.
    V.

  58. non è molto importante, ma non facevo nessuna sottile ironia. Continuo a stupirmi ingenuamente che si dica edipo invertito a Edipo (in relazione a Giocasta, esplicitamente nominata), visto che lui il padre l’ha ucciso (non sapendo che tale fosse, ben s’intende) e con la mamma sua ha fatto (sempre non sospettando minimamente di chi si trattasse) quattro figli, due maschietti vispi e incazzosi e due femmine, una delle quali la grande Antigone. Acque profonde, miei cari, forse un bel bicchier di dàlmato, come diceva una vecchia canzone…..

  59. In nessun altro paese occidentale si tollererebbe ancora l’uso di “invertito”. Trovo però il commento di Sparz quasi godibile nella sua ironia.

  60. Morgillo:-))

    invertito, come “rima invertita”, “consonante invertita” ecc. o non si può più dire, rima invertita?
    complesso di edipo invertito, rovesciato

    spero che si possa ancora invertire la rotta di un aereo, in caso di guai

  61. più sovente gli aerei virano, come la navi, altro è invertire la rotta.
    espediente controproducente, spesso mossa stolta dettata dal panico, non sempre vincente, che ti porta ad avere il mare ed il vento contro.
    altro è andare contro corrente avendolo scelto.

  62. Alcor, facevo dell’ironia! Un giorno mi spiegherai il tuo interesse per Freud. Spero non ti abbia danneggiato in qualche improbabile inversione di rotta…

  63. Le filastrocche uccidono i bambini. I poeti hanno lingue di serpenti. Secernono veleni ed affini. Platone discerneva gli enti.

  64. Morgillo, la lettura di Freud e di Lacan faceva parte grosso modo della cultura letteraria di una persona della mia generazione, la spiegazione è tutta qui.
    Adesso cosa leggete?

    un giorno anche tu mi spiegherai i segnali, per me così criptici, della tua ironia

    PS la logica del discorso di numa pompilio mi pare beccheggiante, ma a suo modo graziosa, barra al centro!

  65. “La questione edipica mostra una natura complessa anche in relazione all’approfondimento del mito greco: secondo il mito, infatti, Edipo non conosceva i suoi veri genitori, essendo stato a questi sottratto ancora infante. L’uccisione del padre e il rapporto con la madre sono stati perciò involontari e causati, paradossalmente, dal loro desiderio di sfuggire al destino così come lo avevano sentito annunciare dall’oracolo. Si potrebbe parlare, in questo senso, piuttosto di complesso, o sindrome, di Laio e/o di Giocasta (i genitori di Edipo), il che riconduce alcune scuole psicologiche ad esplicitare le questioni psicodinamiche di carenza, gelosia e invidia affettive da parte delle figure genitoriali o accudenti (caregivers); in questo senso il complesso di Edipo sarebbe nient’altro che un modo per invertire le reali responsabilità delle dinamiche inconsce nelle relazioni intra-familiari.”[Wikipedia]

  66. seguendo asterischi sono andata anch’io su Wiki, anzi, dietro le quinte, e ho trovato qualcosa che non c’entra con Freud, ma che potrebbe piacervi per una sua vaga affinità con quel film tratto da Sognavo pecore elettriche di Dick (o siete troppo giovani per averlo visto?) e di cui adesso non mi ricordo il titolo.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Discussioni_utente:Kal-El

    scusa Pinto per questo OT, ormai forse l’ennesimo, ma è conciliativo:-)

  67. “Morgi’, Diamante masculo è, inutile che cce provi”:”Beh, nessuno è perfetto”.
    Tolleranza gente,tolleranza.Personalmente ho smesso di leggere Scerbanenco,per dirottare su Ecuba,quando ho visto che usava il termine invertito con la stessa frequenza di un congiuntivo

  68. Sì, ma Biondillo ha trovato il tono giusto per darmi dell’invertito, mentre Alcor, dopo un timido rovesciato è tornata all’elogio dell’invertito. Solo Sparz ha dimostrato una certa classe, soprattutto quando ha sostenuto che Edipo non poteva essere un invertito perché aveva figliato tanto. Un bel siparietto anni ’70 del secolo scorso, non trovi? La verità è che io trovo tanta ispirazione a venire qui su NI a giocare con i miei amichetti.

  69. scusa se ti ho dato del testone, ma mi è venuta d’istinto perchè non c’è verso di farti capire che si tratta d’altro e più complicato

  70. M’ero perso la risposta di diamante, adesso contro-rispondo, anzi m’affretto, ché ne vale la pena:

    In particolare mi risulta sconcertante questa tua affermazione, perchè dimostra la distanza che ci separa:

    Chiedo scusa: ma ti leggi, di tanto in tanto? Ti sconcerti di fronte a tutti quelli che sono distanti da te? Passerai la vita nello sconcerto, suppongo.
    Ti compiango; & tiriamo innanzi:

    “non ho mai inteso, veramente, andare oltre il meramente verbale, perché la fattualità non è nelle mie corde”. Anfiosso: dal momento che parli, pensi, scrivi (scrivi!), sei già nel fattuale, che tu lo voglia o no. Il verbale è fattuale, anzi non c’è evento più fattuale del verbale; nemmeno la bomba atomica o il big bang.

    Non ci siamo capìti, per nulla. C’è scrittura e c’è scrittura, quantomeno. In primis quello che dici è insostenibile, esattamente come quello che diceva la buonanima di Francesco Domenico Guerrazzi, che boastava di scrivere libri-battaglie che dovevano svolgere la loro funzione e poi potevano perire – al che il Settembrini chiedeva se un libro può valere una battaglia (“altrimenti”, diceva, “qualunque imbrattacarte può sostenere lo stesso”); in linea di massima, dato quello che hai scritto su Saviano “cattivo scrittore”, sono sicuro che concorderai, un libro non deve fare nulla che non sia chiamato direttamente a fare. E lo scrittore, scrivendo, compie il suo atto: anche su questo siamo d’accordo. Di qui ad invertire i termini della questione, trasformando la scrittura nell’unico e vero atto ce ne corre.
    La scrittura è, si voglia o no, tutta quanta conseguenza di qualcos’altro: è come un sacco in cui si raccolgono oggetti, o un cimitero. A questo punto esistono due tipi, quantomeno, di scrittura: una che cerca di avere un rapporto di circolarità continua con la vita, ossia che elabora la realtà per riconsegnarla alla realtà ed eventualmente guidare o incoraggiare l’azione, come può essere il manuale del microonde o Gomorra di Saviano (almeno per quello che è diventato); e questa è una scrittura che esiste come mezzo, a prescindere dallo stile che può essere più o meno pregevole – sempre tenendo conto del fatto che lo stile in questo tipo di scrittura non è affatto fondamentale.
    E poi c’è una scrittura che è fine, e ha senso solamente in sé stessa. Io tendo, dicevo, a fare questo secondo tipo di letteratura.
    Ei dice cose, e voi dite parole.
    Va senza dire che è quasi impossibile trovare, in letteratura, testi che appartengano solamente all’un tipo piuttosto che all’altro; ma la distinzione vale finché saranno stampate parole, specie finché saranno stampati testi meno romantici di quelli che posti tu qui sotto.

    Va (quasi) senza dire che la scrittura non è più essenziale del Big Bang. Posso accettare un pari merito, eventualmente, e ammettere umilmente di essere in grado di scrivere, ma non di fondare un universo. Sta di fatto che senza il Big Bang io non potrei scrivere, mentre l’inverso è indimostrabile.

    A proposito di quello che segue nel tuo intervento, sì: ho parlato anche dei miei gusti, ogni tanto mi càpita; ma non era questo il punto. Di là dalla mia perplessità di fronte ad atteggiamenti troppo direttivi nelle valutazioni, e soprattutto di fronte alla riduzione del significato della lettura al tuca-tuca del ‘mi piace’ / [‘non mi piace’], ammetto che queste poesie in particolare mi lasciano freddo – ma mi sembra giusto in primis far riferimento ad altre cose che Ceriani ha scritto, che sono, senza meno, splendide (mi sono state inviate via mail), dunque non si tratta, in toto, della “sua poesia”, ma di intermittenze, semmai, della musa, che si possono, anzi si devono condonare quando c’è davvero sostanza. Secundum, ed è questo che mi fa trascendere la questione dei tumultuarj mi piace/non mi piace, questi quattro componimenti sono lavorati con mano sicura, non sono affatto vuoti di significato e non sono accompagnati da una presentazione vacua. In questo tipo di poesia non è affatto necessario che piacia o non piacia, è anche laboratorio, gesto quotidiano, manualità – impotenza, intermittenza, afasia, ricerca. Tutto compreso nella poetica a cui questo poeta, come altri, fa riferimento.

    Posso dire che non mi dispiacciono, se devo proprio pronunciarmi in grezzi termini – ma a me questo non interessa, affatto; ma è quando si dice “questa roba non vale niente”, o “è inutile”, o “è vacua” che ho da ridire.

    Fa rabbia perché Ceriani s’è fatto carico, e io lo so bene, di tutta una serie di cose che pure meriterebbero di essere considerate da chi scrive o vuol farlo, ivi compresa – parrà incredibile – anche la questione comunicativa (sennò perché il ricorso agli emblemi? alle antonomasie?), insieme con una determinata concezione formale, e – vivaddio – un’estetica che, anche in questi men felici pezzi, vien fuori chiaramente (potete dire altrettanto di quello che scrivete voi, diamante, &c.?), e ha trovato ad accoglierlo frasi fin troppo facili da appiccicare qui sopra.

    Se fosse stata una qualche sorta di perfezionismo, o la difesa di qualche elevata concezione, la vostra, o di un’idea poetica più evoluta o raffinata, avrei deplorato la durezza, magari tra me, senza dire niente: ma è una posizione, quella vostra, che trovo troppo discutibile, dettata com’è da una superficialità imperdonabile – qui sopra, dove si aggirano quasi esclusivamente scrittori: dall’uso della parola “barocco” in quel senso lì, senza un minimo di misura storica, quel trovare il “vuoto” nelle parole di Ceriani e Pane, mentre laddove ci sono parole c’è sempre un pieno, che chi stronca, se vuol farlo, deve saper enucleare, al concetto tardoadolescenziale di una scrittura e una poesia (solo vagheggiata, naturalmente, e non praticata) fatte di cascami falsoromantici e preconcetti di scuola, insomma, tutto questo mi sa un po’ troppo di dilettantesco.

    Dal momento che in casi come questo repetita non juvant, affatto, è certo (così sento) che non farò più altri interventi del genere, in cui disputo con chi evidentemente non ha i mezzi per capire.
    Questa volta una replica era, se non necessaria, almeno utile – l’ho fatta fin troppo lunga e articolata -, ma una seconda volta non ci sarà.

    Anche in considerazione di tutto quello che si posta qui sopra (non si può leggere tutto, giustamente), d’ora in poi farò attenzione solo alle scritture che m’interessano (dico anche e soprattutto di quelle dei commentatori).

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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