Articolo precedente
Articolo successivo

Canzoniere brasiliano 3 – Banane a Hollywood

carmen miranda 2 di Sergio Pasquandrea

Carmen Miranda è per un brasiliano quel che spaghetti-pizza-mandolino è per un napoletano: uno stereotipo irritante, e allo stesso una marca identitaria da esibire con orgoglio. Il personaggio, con la sua commistione di autenticità popolare e di lustrini ad uso dei turisti, può in effetti rischiare di ricadere interamente nel kitsch: ma le cose non sono così semplici.

Innanzi tutto: la cantante che è diventata uno dei simboli internazionali del Brasile non era nata in Brasile.

Maria do Carmo Miranda da Cunha, questo il suo vero nome, vide la luce il 2 febbraio 1909 a Várzea da Ovelha, un villaggio nel nord del Portogallo. La famiglia emigrò dall’altra parte dell’oceano poco dopo la sua nascita e “Carmen”, come era soprannominata fin da bambina, crebbe a Rio de Janeiro, nel quartiere popolare di Lapa, dove il padre aveva aperto una bottega di barbiere.

Fu costretta a lasciare presto la scuola per lavorare prima come sarta e poi come commessa in un negozio di cappelli. Dava anche una mano nella pensione gestita dalla famiglia, e proprio lì cominciò ad esibirsi cantando sambas, choros e maxixes che aveva imparato dalla viva voce degli interpreti di strada. Venne notata dal compositore Josué de Barros, che le fece firmare un contratto radiofonico. Nel 1930 arrivò il primo successo, intitolato “Ta Hi!”, e nel decennio successivo Carmen divenne rapidamente una star di fama nazionale, interpretando anche una serie di fortunatissimi film musicali.

A essere onesti, non disponeva di grandi mezzi vocali, ma era un animale da palcoscenico, possedeva verve, musicalità e un innato senso del ritmo. Celebre la sua capacità di snocciolare i testi a velocità vertiginosa, con le sue erre sonore e la sua pronuncia nella quale serbava lievi tracce portoghesi, che alle orecchie dei brasiliani suonavano piacevolmente esotiche.

Fu negli anni Quaranta, però, che il suo personaggio diventò quello della Carmen Miranda che tutti conoscono, e il grande salto non avvenne in Brasile, bensì negli Stati Uniti, dove era sbarcata nel 1939. I produttori di Hollywood non tardarono ad accorgersi di questa donnina dalla statura minuscola (un metro e cinquantatré) ma dall’enorme presenza scenica, che si prestava alla perfezione per incarnare un generico immaginario di esuberanza latina.

Non mancò neanche un incoraggiamento di natura politica: in quegli anni gli Stati Uniti erano impegnati ad arginare i movimenti filofascisti e filonazisti che si stavano diffondendo in Sudamerica (Brasile compreso) e Theodore Roosevelt aveva lanciato la “Good Neighbor Policy”, mirata a rafforzare i legami tra gli USA e il Sud del continente, attraverso l’esportazione dei prodotti culturali americani, le iniezioni di denaro sotto forma di prestiti e investimenti e un (più o meno velato) controllo sui regimi politici in carica.

Carmen era la candidata ideale per fare da trait d’union fra Stati Uniti e Brasile. Le sue mises eccessive, i tacchi vertiginosi e i fantasiosi copricapi decorati di ananas e banane divennero in breve tempo una vera e propria icona. Si guadagnò soprannomi quali “the Brasilian Bombshell” o “the Lady in the Tuttifrutti Hat” e girò pellicole che avevano titoli come “That Night in Rio”, “Weekend in Havana” o “Down Argentine Way” (evidentemente, per gli americani le differenze tra Brasile, Cuba e Argentina erano materia troppo sottile per darsene pensiero).

D’altra parte, l’allegria e la solarità della sua immagine fecero anche il gioco del regime allora in carica in Brasile. Nel 1930 era stato eletto presidente Getúlio Vargas, che nel 1937 aveva confermato il proprio potere con un colpo di stato (vi restò fino al 1945, quando fu rovesciato da un altro golpe, stavolta di natura militare). Tra gli obiettivi di Vargas c’era anche la propaganda della cultura e dell’identità brasiliane: una politica che negli anni Quaranta generò la nascita di un vero e proprio sottogenere del samba, il “samba-exaltação”, centrato sulla celebrazione delle bellezze del paese. L’esempio più noto è la celeberrima “Aquarela do Brasil”, scritta nel 1939 dal grande Ary Barroso.

Negli anni Quaranta, Carmen fu una delle donne di spettacolo più pagate degli Stati Uniti, e il 24 marzo 1941 andò ad apporre le canoniche impronte di mani e piedi sul selciato di fronte al Grauman’s Chinese Theatre, sull’Hollywood Boulevard. In “Copacabana” (1947) recitò accanto a Groucho Marx. A proposito: quella che canta e balla con Paperino e José Carioca in “I Tres Caballeros” (1945) non è lei, ma sua sorella Aurora.

Nel 1947 sposò un produttore di nome David Sebastian: matrimonio di breve durata, dato che si trattava di un alcolizzato rozzo e violento, interessato solo ai suoi soldi; ma lei, fervente cattolica, non accettò mai di chiedere il divorzio. Viveva a Beverly Hills, in una villa sontuosa, fianco a fianco con le più grandi star dell’epoca. Fu in questo periodo che, pressata dal successo e dalla carriera, cominciò a fare un uso sempre più incontrollato di alcool, tabacco, anfetamine e barbiturici.

Negli anni Cinquanta le sue fortune andarono declinando. La sua ultima comparsa sul grande schermo è del 1953, nel film “Scared Stiff” (in Italia “Morti di paura”) con Jerry Lewis e Dean Martin. Poi gli stravizi e la depressione cominciarono a far sentire il loro peso. Il 4 agosto 1955, dopo un’apparizione televisiva al “Jimmy Durante Show”, Carmen si sentì male, ebbe un collasso e il giorno successivo morì d’infarto nella sua villa, a soli 46 anni. La salma, secondo la sua volontà, fu riportata in Brasile, dove venne proclamato il lutto nazionale. Mezzo milione di persone parteciparono al funerale.

Ma i rapporti con il suo paese non furono sempre idilliaci. Da una parte, la Miranda era (ed è tuttora) una delle icone più note e riconoscibili del Brasile; dall’altra, non pochi le rimproverarono (e ancora rimproverano) di aver diffuso del Brasile un’immagine falsa ed edulcorata, se non addirittura di aver offeso i brasiliani dipingendoli con ridicoli stereotipi.

La verità, come sempre, sta un po’ da entrambe le parti. È vero che il suo successo dipese molto dai suoi vestiti stravaganti, dalle canzoni spiritose, con testi spesso demenziali, dal suo personaggio di donna sudamericana, allo stesso tempo ammiccante e solare. È vero che lei stessa rimase intrappolata in quel personaggio. Ma è altrettanto vero che Carmen seppe anche interpretare un’anima autenticamente brasiliana, con un’indiscutibile abilità di consumata showgirl. Basta guardarla mentre canta e balla “O Que È Que A Bahiana Tem” (è il 1939, prima della partenza per l’America; la canzone è di Ary Barroso) o mentre esegue il suo celebre “Tico Tico”.

E basti pensare che quando, nel 1968, Caetano Veloso incise il suo primo disco da solista, lo aprì con “Tropicalia”, una canzone-manifesto, costruita come un provocatorio collage di simboli del Brasile, con brutali accostamenti fra antico e moderno, aulico e popolare, sublime e kitsch. Ebbene, la canzone si chiude con l’evocazione, in un ironico mantra, proprio del nome di Carmen (“viva a banda-da-da-da / Carmen Miranda-da-da-da-da”, dove la ripetizione dell’ultima sillaba potrebbe essere un’allusione al dadaismo). Lo stesso Caetano, in “Verità tropicale” (Feltrinelli 2003), ha definito quella citazione come “una bomba da parte dei guerriglieri tropicalisti” e ha rivendicato, con un po’ di ironia ma neanche troppo, il valore del kitsch, una cartina di tornasole che può trasformarsi in più autentica autoconsapevolezza della propria identità nazionale. Nel 1992, incidendo “Circulado Vivo”, Caetano vi inserì la cover di uno dei brani più famosi di Carmen, “Disseram que eu voltei americanizada”. E proprio con questa canzone mi piace chiudere.

L’episodio è tra i più tristemente famosi della vita di Carmen Miranda. Nel 1940, tornata in Brasile per una serie di concerti, ricevette un’accoglienza fredda, critiche, persino fischi. La accusavano di essersi “americanizzata”, di aver perso il suo spirito e la sua genuinità, insomma di non avere più niente di brasiliano. Lei rispose con questo chorinho, il cui testo è pieno zeppo di modi di dire, giochi di parole, oggetti e gerghi che più brasiliani non si può. (Per la cronaca: in seguito quest’episodio, Carmen non mise praticamente più piede in patria).

Dopo il video, trovate la traduzione del testo e qualche nota esplicativa.

Buon ascolto.

Disseram Que Eu Voltei Americanizada (1940)

Hanno detto che sono tornata americanizzata,
carica di soldi, che sono molto ricca,
che non sopporto più l’assolo del pandeiro (1),
e che inorridisco quando sento una cuica (2).

E hanno detto che mi preoccupo delle mie mani (3)
e va in giro, lo so, una maldicenza:
che io non ho più spirito, né ritmo, né niente
e dei balangandan (4) non ce n’è più nessuno.

Ma verso di me, perché tanto veleno?
Posso io diventare americanizzata,
io che sono nata con il samba e vivo all’aria aperta (5),
tutta la notte in compagnia della vecchia batucada (6)?

Nelle rodas dei malandros (7), le mie preferite,
io dico sempre “eu te amo”, e mai “I love you”.
Finché c’è il Brasile, all’ora di mangiare
io sono per la zuppa di gamberi con il chuchu (8).

NOTE:

1. L’assolo del pandeiro (o breque do pandeiro) = “breque” è l’adattamento portoghese dell’inglese “break” (fermata, sosta); il “samba de breque”, molto popolare nella prima metà del Novecento, era uno stile nel quale, in certi punti, la musica si fermava e i musicisti si scambiavano battute e motti di spirito. Il pandeiro è il tamburello con sonagli, talmente tipico del samba da essere diventato uno dei simboli di questa musica.

2. Cuica = tamburo a frizione, simile al “putipù” napoletano.

3. Mi preoccupo delle mie mani = allude alla gestualità di Carmen quando danzava; intende dire che la si accusava di essere ormai ossessionata dalla sua immagine, di aver perso spontaneità.

4. Balangandan = ciondoli decorati con amuleti e portafortuna, di probabile origine africana, indossati dalle donne di Bahia; i variopinti costumi di Carmen Miranda si ispiravano proprio ai vestiti tradizionali delle bahiane.

5. Vivo all’aria aperta = allude alla vita notturna, bohémienne, dei sambisti.

6. Batucada = genere di samba caratterizzato da una forte enfasi ritmica; è considerato il più “africano” tra gli stili del samba.

7. Rodas dei malandros = la roda è il cerchio di musicisti che eseguono il samba per le strade; il malandro è il personaggio-simbolo del samba, metà guappo metà playboy, una sorta di dandy dei bassifondi.

8. Chuchu = Sechium Edule (in spagnolo “chayote”), cucurbitacea che dà frutti commestibili, molto usati in vari paesi sudamericani; la zuppa di gamberi con il chuchu è caratteristica della cucina popolare carioca.

Print Friendly, PDF & Email

3 Commenti

  1. Che meraviglia! Mi dà la brama di ballare. Mi ha messo festa nel cuore.
    Carmen Miranda mi piace per la sua sensualità, il sorriso, la vivacità del suo canto. Incarna un’immagine del Brasile colorata, (cliché), ma bella e lieta. E’ finalmente lo più importante: ascoltare una voce e sentire il cuore più leggero :-)

  2. molte grazie.
    penso cmq che quello di caetano ( mi riferisco al mantra finale di ‘tropicalia’) più che ‘una bomba’ era un ‘bouquet’ ( bomba floreale?), un omaggio più che un matricidio.
    poi il kitsch è per lui una sorta di liquido amniotico nel quale galleggia magnificamente ( in questo assai simile alla Carmen Miranda da-da-da-)

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Geografia umana dell’alterità e migrazione del corpo. Su “Isola aperta” di Francesco Ottonello

di Teresa Tommasini
Con un verso di Hart Crane «la memoria, affidata alla pagina, è stata rotta» si apre l’arcipelago di poesie che compongono Isola aperta Isola aperta (Interno Poesia, 2020, pref. Tommaso Di Dio, Premio Gozzano e Premio Internazionale di Letteratura Città di Como Opera Prima).

La traduzione del testo poetico tra XX e XXI secolo

a cura di Franco Buffoni «Come riprodurre, allora, lo stile?» è la domanda che poco fa abbiamo lasciato in sospeso....

XV Quaderno di poesia italiana contemporanea

Franco Buffoni Prefazione “Come si riconosce una poesia?” si chiede Antonella Anedda presentando in questo volume la silloge Diritto all’oblio di...

La “Bestia divina” di Mario Fresa (e i suoi fiori caduti nell’ansia di un labirinto)

di Prisco De Vivo   "Colui che farà ricorso ad un veleno per pensare ben presto non potrà più pensare senza veleno." Charles...

Reading Natalia Ginzburg

Editor's Introduction Stiliana Milkova   Natalia Ginzburg (1916-1991) was an Italian writer, translator, playwright, and essayist. She worked as an editor at...

La propria lingua

Due prose di Alexandrina Scoferta   I. A volte ho la sensazione di vedere le clienti di mia madre camminare fuori dalla...
Andrea Raos
Andrea Raos
andrea raos ha pubblicato discendere il fiume calmo, nel quinto quaderno italiano (milano, crocetti, 1996, a c. di franco buffoni), aspettami, dice. poesie 1992-2002 (roma, pieraldo, 2003), luna velata (marsiglia, cipM – les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), le api migratori (salerno, oèdipus – collana liquid, 2007), AAVV, prosa in prosa (firenze, le lettere, 2009), AAVV, la fisica delle cose. dieci riscritture da lucrezio (roma, giulio perrone editore, 2010), i cani dello chott el-jerid (milano, arcipelago, 2010), lettere nere (milano, effigie, 2013), le avventure dell'allegro leprotto e altre storie inospitali (osimo - an, arcipelago itaca, 2017) e o!h (pavia, blonk, 2020). è presente nel volume àkusma. forme della poesia contemporanea (metauro, 2000). ha curato le antologie chijô no utagoe – il coro temporaneo (tokyo, shichôsha, 2001) e contemporary italian poetry (freeverse editions, 2013). con andrea inglese ha curato le antologie azioni poetiche. nouveaux poètes italiens, in «action poétique», (sett. 2004) e le macchine liriche. sei poeti francesi della contemporaneità, in «nuovi argomenti» (ott.-dic. 2005). sue poesie sono apparse in traduzione francese sulle riviste «le cahier du réfuge» (2002), «if» (2003), «action poétique» (2005), «exit» (2005) e "nioques" (2015); altre, in traduzioni inglese, in "the new review of literature" (vol. 5 no. 2 / spring 2008), "aufgabe" (no. 7, 2008), poetry international, free verse e la rubrica "in translation" della rivista "brooklyn rail". in volume ha tradotto joe ross, strati (con marco giovenale, la camera verde, 2007), ryoko sekiguchi, apparizione (la camera verde, 2009), giuliano mesa (con eric suchere, action poetique, 2010), stephen rodefer, dormendo con la luce accesa (nazione indiana / murene, 2010) e charles reznikoff, olocausto (benway series, 2014). in rivista ha tradotto, tra gli altri, yoshioka minoru, gherasim luca, liliane giraudon, valere novarina, danielle collobert, nanni balestrini, kathleen fraser, robert lax, peter gizzi, bob perelman, antoine volodine, franco fortini e murasaki shikibu.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: