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Su letteratura e politica (la penso proprio come George Orwell e Danilo Kiš)

di Andrea Inglese

Il mio punto di partenza è sempre un senso di partigianeria, un senso d’ingiustizia. Quando mi accingo a scrivere un libro io non mi dico: “Voglio produrre un’opera d’arte”. Lo scrivo perché c’è qualche bugia che voglio smascherare, qualche fatto su cui voglio tirare l’attenzione, e il mio primo pensiero è quello di farmi ascoltare.
George Orwell

Se non puoi dire la verità – taci.
Guardati dalle mezze verità.

Danilo Kiš

C’è qualcosa di male se, nell’Italia di oggi, uno scrittore che si ritiene di sinistra pubblica su di un quotidiano come “Il Giornale” o come “Libero”? Piuttosto che sopportare il silenzio, si può anche cominciare una discussione con una domanda brusca. Intorno a questa domanda, dapprima in rete, nella forma del frammentario dibattito per commenti, e poi in contesti più tradizionali e codificati, si è avviato un dibattito pubblico intorno a una vecchia questione, quella della responsabilità dello scrittore. Si è partiti dalla notizia della collaborazione di Paolo Nori a “Libero”, ma le occasioni di porsi certe domande sono state diverse. Un articolo di Tiziano Scarpa proposto a un giornale di sinistra e mai da questo pubblicato, che finisce anch’esso su “Libero”. Ma anche le scelte di coloro, come Berardinelli, che già da anni scrivono per giornali quali “Il Foglio” o“Il Domenicale”. Nonostante molte persone – scrittori, giornalisti o semplici lettori comuni – siano ormai convinti che qualsiasi forma di dissenso, scontro d’idee, discussione critica equivalga ad un puro attacco alla libertà individuale, riprendere in mano la questione della responsabilità dello scrittore, partendo da situazioni così concrete, può essere molto più fecondo che lanciare un astratto dibattito sull’impegno dell’intellettuale o sul rapporto tra lo scrittore e la realtà. Per me si tratta di un’occasione importante per chiarire innanzitutto le mie posizioni, cercando di dissipare un po’ di malintesi e confusioni. Il confronto critico con le posizioni altrui non è tanto mirato a distribuire colpe, quanto a mostrare la bontà di posizioni alternative.

Se uno scrittore come Paolo Nori scrive per “Libero”, e così facendo dimostra, alla fine, che non è uno scrittore “di sinistra”, o che non è un cittadino con una consapevolezza politica “di sinistra”, non per questo cessa di essere un valido scrittore. Ma è sempre possibile dire che, sul piano politico, Paolo Nori non sta difendendo gli ideali di sinistra o la lotta politica promossa dalle forze di sinistra. Forse, addirittura, il solo fatto di essere uno scrittore, e di credere nei valori veicolati dalla letteratura, dovrebbe rendere consapevole Nori dell’errore che egli commette fornendo legittimità culturale a un quotidiano la cui linea politica si accorda con i programmi governativi di demolizione della cultura, partendo proprio dalle istituzioni che ne garantiscono la trasmissione e lo sviluppo (la scuola e la ricerca). Ma ripeto, il caso Nori o casi affini, ci impongono di riconsiderare in modo esplicito i rapporti tra letteratura e politica.

Scrittori di quale sinistra?
Io su letteratura e politica la penso esattamente come George Orwell. Mi sembra, infatti, che settant’anni fa, Orwell, durante gli anni Quaranta, abbia chiarito meglio di chiunque altro i rapporti tra letteratura e politica, in un’ottica di sinistra, ma di sinistra “eretica”. È importante scegliersi i propri autori, le proprie fonti, a maggior ragione quando vige la gran confusione, e diventa difficile tracciare confini politici tra destra e sinistra, ma anche semplicemente definire quale sinistra. In Italia, da un decennio ormai, non sembra essere rimasto più che Pasolini come autore di riferimento, e questo sia per chi parla da destra sia per chi parla da sinistra. Ovviamente è innanzitutto responsabilità degli scrittori, di coloro cioè che hanno una qualche funzione elementare nella circolazione delle idee, porre in primo piano la questione delle eredità ideologiche, dei filoni intellettuali ancora fecondi e da valorizzare. Per parte mia posso solo consigliare di leggere senza particolari apriori i seguenti saggi di Orwell: Perché scrivo (1946), La letteratura e la sinistra (1943), Come mi pare (14) (1944), Gli scrittori e il leviatano (1948). Questi interventi di Orwell potrebbero poi essere correlati ad alcuni articoli dello scrittore ebreo montenegrino Danilo Kiš come Homo poeticus, malgrado tutto o Consigli ad un giovane scrittore – dall’anno scorso reperibili nell’edizione Adelphi che raccoglie una parte della sua opera saggistica (ahimè solo una parte!).

Perché proprio Orwell e Kiš? Sono due tra i più importanti scrittori del XX secolo. Sono due scrittori d’esperienza: hanno vissuto direttamente i traumi storici della loro epoca (Orwell partecipò alla guerra civile spagnola e Kiš ebbe membri della sua famiglia assassinati nei lager nazisti). Sono due scrittori che hanno messo al centro della loro opera l’orrore totalitario. Sono due scrittori profondamente anti-fascisti e profondamente anti-stalinisti. Sono due scrittori che hanno sempre creduto nella funzione veritativa della letteratura. Sono due scrittori che non hanno mai rinunciato ad un atteggiamento libertario, in grado di preservare la capacità critica del singolo dai conformismi ideologici delle masse (o delle maggioranze del momento).

L’articolazione fondamentale
In un saggio del 1948 (Gli scrittori e il leviatano), Orwell pone in termini estremamente lucidi il rapporto tra letteratura e politica. Mi limito a riportare di seguito alcuni passaggi chiave.

“La lealtà di gruppo è necessaria, ma è veleno per la letteratura, fintanto che quest’ultima continuerà ad essere prodotta individualmente.
(…)
E quindi? Dovremmo concluderne che ogni scrittore ha il dovere di non ‹‹immischiarsi di politica››? Certo che no! In ogni caso, come ho già detto, in un’epoca come la nostra nessuno che abbia un cervello riesce a tenersi, o si tiene in pratica, fuori dalla politica.”

[Interrompo la citazione. Quando Orwell scrive: “un’epoca come la nostra”, pensa ovviamente al secondo dopoguerra, con alle spalle i milioni di morti della guerra e dello sterminio nazista, e di fronte a sé il fosco delinearsi della guerra fredda. Ma noi, siamo forse in un’epoca definitivamente “normale”, fuoriuscita dai grandi pericoli che hanno devastato il secolo scorso: disoccupazione di massa, crisi economiche e finanziarie, razzismi e nazionalismi esasperati? Io credo che non ci sia bisogno di gridare al pericolo fascista, per constatare, dal nostro osservatorio nazionale, una grave e progressiva degenerazione della democrazia, tanto nelle sue forme di vita culturali che materiali. Un segno di questa degenerazione, anche se molti non l’hanno ancora pienamente inteso, è una triplice battaglia che in questi anni è stata ingaggiata da realtà molto diverse tra loro, una battaglia che non può essere confinata esclusivamente a sinistra. La lotta per il rispetto della costituzione (ossia, salvaguardia della separazione dei poteri, del pluralismo dell’informazione, della laicità dello stato, ecc.), la lotta per il rispetto della legalità e la lotta contro le varie forme di razzismo sono oggi battaglie condivise da persone che sono (o dovrebbero essere) trasversali alle appartenenze politiche. Questo che cosa significa? Che non ci sono più battaglie di sinistra? Io credo che ciò stia solo ad indicare una gerarchia nelle priorità politiche: prima di dividersi su politiche di destra o di sinistra, è necessario difendere – nel rispetto di un comune e condiviso orizzonte istituzionale – le istituzioni stesse da forme di deriva e degenerazione pericolosissime per tutti. Questo non esclude che ci siano battaglie che sono invece propriamente di sinistra, come quelle relative alla garanzia delle minoranze e delle fasce popolare più deboli, e sopratutto quelle contro le varie forme di sfruttamento diffuse nel mondo del lavoro. In ogni caso la nostra epoca richiede una responsabilità anche sul piano politico che lo scrittore, proprio in veste di semplice cittadino, non può ignorare.]

“Quando uno scrittore s’impegna in politica dovrebbe farlo come cittadino, come essere umano, ma non come scrittore. Non penso che egli abbia il diritto, solo a motivo della sua sensibilità, di sottrarsi alle quotidiane bassezze della politica.”

[In queste due frasi, è individuata l’articolazione decisiva per una discussione odierna sulla responsabilità dello scrittore. Voglio riportare qui un brano di un articolo che scrissi per NI il 14 aprile 2006, Postumi. Lo scrittore dopo la sbronza della fine della storia . Mentre lo scrivevo, avevo in mente Consigli ad un giovane scrittore di Kiš, ma non conoscevo il saggio di Orwell che ho citato più sopra. Eppure sono giunto per una mia strada alla stessa conclusione di Orwell. Da Postumi:

“Da tutto ciò ricavo un principio elementare, che pongo a piè di pagina dei Consigli ad un giovane scrittore di Danilo Kiš. Il fatto che vi sia una riconosciuta incompatibilità tra l’homo poeticus e l’homo politicus, non può costituire un alibi valido per qualsiasi circostanza storica. Potrebbero sempre presentarsi della situazioni, in cui continuare a voler essere homo poeticus, a costo di qualsiasi compromesso e sudditanza con il mondo circostante, può significare solo vigliaccheria, o addirittura infamia morale.

Se c’è uno scrittore novecentesco più alieno da posture da intellettuale impegnato, quello è Samuel Beckett. Eppure proprio lui, dal 1941 al 1942, nella Francia occupata dai nazisti, entra nella Resistenza. Una scelta che implicava, ovviamente, di mettere a rischio la propria vita. Quell’homo poeticus che, durante gli anni Trenta a Parigi, aveva tradotto una notevole quantità di testi in prosa e in versi dal francese all’inglese, si trasformò in homo politicus, dedicandosi alla trascrizione, all’ordinamento e alla traduzione dei dispacci informativi che provenivano da una vasta rete di resistenti nella Francia occupata e che erano indirizzati in ultima istanza allo Special Operations Executive britannico. Sappiamo poi che Beckett e sua moglie sfuggirono di poco alla cattura da parte della Gestapo e che molti componenti della sua cellula di resistenti morirono nei campi di concentramento.

Tornando ora ai postumi della mia sbronza relativa alle figure eroiche dell’intellettuale dissidente, il mio attuale modo di procedere è il seguente. Quando mi tolgo i panni dell’uomo poetico, cerco di assumere quelli del cittadino attivo e consapevole, che per me significa riprendere l’unica battaglia democratica fondamentale, quella per l’autonomia. In termini generali, l’autonomia si realizza quando le persone sono in grado di agire liberamente e consapevolmente sul proprio destino. In termini più concreti, l’autonomia riguarda la possibilità per ognuno di conoscere tutti gli aspetti importanti della realtà sociale all’interno della quale studia, lavora, usufruisce d’informazioni, di prodotti. Conoscenza che può, eventualmente, tradursi in interventi, in modifiche, correzioni, rivendicazioni, ecc. Insomma, “autonomia” è per me termine che lega strettamente la consapevolezza di sé e del mondo alla capacità di progettare per sé e per il mondo
(…)
Strumento e fine dell’autonomia è la promozione di un sapere critico, che sia capace di insinuare il dubbio e insidiare dogmi culturali vigenti. Questo è quanto mi sforzo di fare nel mio lavoro di insegnante, ma anche nelle sporadiche attività giornalistiche o nei miei interventi su un blog letterario come Nazioneindiana. Tutto questo potrebbe, ma non necessariamente deve avere un rapporto evidente e diretto con la mia scrittura, poesie o racconti. Insomma, i rischi e la libertà che mi prendo pubblicamente su questioni politiche non dipendono in nessun modo dal mio statuto di scrittore, ma da quello molto più comune di cittadino. In tutto ciò il blog ha un ruolo fondamentale, in quanto è il mezzo che mi permette di accedere liberamente, come cittadino tra gli altri, ad uno spazio pubblico.”]

Torniamo al saggio di Orwell:

“Non c’è alcun motivo per cui [uno scrittore], se lo desidera, non debba scrivere di politica anche nei termini più rozzi. Solo che dovrebbe farlo come individuo, come outsider, al massimo come sgradito guerriero al fianco di un esercito regolare. Questo atteggiamento è pienamente compatibile con l’utilità della politica nel suo uso quotidiano.”

[Si riconosce qui la figura dell’ospite ingrato, da sempre difesa da Fortini, uno dei nostri intellettuali più lucidi. Ed è importante evitare una diffusa confusione: l’ospite ingrato non è lo scrittore di sinistra in casa della destra, l’ospite ingrato innanzitutto è lo scrittore di sinistra a casa sua. Si può certo immaginare la funzione dell’ospite ingrato, come l’ha svolta lo stesso Fortini, ad esempio, sulle pagine del “Corriere della sera”. Ma come si può leggere nel resoconto di questa esperienza, Scrivere per il Corriere, poi raccolto in Extrema ratio, Fortini nei momenti più difficili degli anni della cosiddetta “emergenza” NON scriveva nella pagina culturale, NON scriveva di libri, ma – come già Pasolini su quello stesso quotidiano alcuni anni prima – scriveva di politica, di cronaca, di mentalità. Insomma, si esponeva in termini apertamente politici, ossia metteva davvero in pratica l’ingratitudine dell’ospite – lui marxista eretico sulle pagine del quotidiano della borghesia liberale.]

Quale responsabilità?
Concludo questa riflessione, con un breve articolo che ho scritto domenica scorsa per “il manifesto”. Lo riprendo qui in una forma più esplicita, non avendo limite di battute. Benedetto Vecchi, sempre sul “manifesto”, in un lucido articolo apparso sabato 23, s’interrogava sulle “forme di alterità, opposizione, financo antagonismo, di chi lavora in un’industria culturale segnata da una egemonia della destra” – tema, per altro, affrontato anche qui da Helena Janeczek. Vecchi ad un certo punto scrive: “per quanto lo si possa auspicare, è impensabile che gran parte di quella intellettualità diffusa che lavora nelle case editrici si diriga verso le pur vivaci case editrici indipendenti che della qualità, della sperimentazione e della ricerca di autori nuovi vogliono fare la loro ragione sociale. Impensabile perché la piccola editoria indipendente è spesso caratterizzata da una diffusa e radicata precarietà nel rapporto di lavoro che certo non favorisce la scelta di lavorarci. Impensabile per la fragilità imprenditoriale che non sempre riesce a garantire la continuità di una produzione diversa da quella proposta dalle case editrici mainstream”. Insomma, il compromesso tra lo scrittore e l’industria culturale è spesso obbligato, in quanto le alternative ad essa – rimanendo nell’ambito di un’attività culturale – non offrono le garanzie (economiche, contrattuali) necessarie per vivere decentemente. Insomma Vecchi tocca qui una contraddizione centrale: coloro che come cittadini difendono il pluralismo delle idee, l’autonomia intellettuale, il valore d’uso della cultura si trovano spesso, in quanto scrittori o critici letterari, a dover lavorare per un industria culturale sempre più monopolistica, gerarchica e orientata alla pura mercificazione.

L’unica cosa che non condivido nell’articolo di Vecchi è però il modo in cui mette fuori gioco il principio di responsabilità dello scrittore: “le scelte di un singolo – visto che la cultura è una merce che contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica – non sono mai neutre, né trovano legittimazione in un indefinito principio di responsabilità individuale, ma sono sempre inserite in contesti produttivi, economici, ideologici”.

Data la complessità della questione delimiterò il campo al principio di responsabilità dello scrittore nei confronti di un’idea forte di letteratura, nel momento in cui sceglie di scrivere per la pagina culturale di un quotidiano nazionale. Vorrei mostrare come, seriamente inteso, tale principio non debba sfociare in una semplice dissociazione tra sfera culturale e politica, che rende tanto tranquilla la coscienza degli scrittori, quando collaborano alle pagine culturali di certi quotidiani nazionali. Lo scrittore – non il semplice produttore di merce culturale – si trova a casa del nemico nella pagina culturale di qualsiasi quotidiano nazionale, di partito o no, di destra o meno. “Un artista si preoccupa solo di raggiungere una sua perfezione. E alle sue condizioni, sue e di nessun altro”, questo principio espresso da Salinger in Franny e Zooey – che è poi un principio libertario – dovrebbe essere condiviso da ogni scrittore degno di questo nome. (Danilo Kiš: “Non scrivere per il “lettore medio”: tutti i lettori sono medi. Non scrivere per l’élite, l’élite non esiste, l’élite sei tu”.)

Ora, un’opera letteraria riscuote l’interesse delle pagine culturali di un quotidiano a condizione di essere convertibile in “merce culturale”. Tutta la letteratura che non è immediatamente riconducibile a questa forma, non ha semplicemente diritto d’accesso alle pagine culturali. È il caso eclatante della poesia, che l’ipocrisia imperante è arrivata a distinguere dalla letteratura (si parla di “letteratura e poesia”, oppure di “scrittori e poeti”). Questo semplice fatto rende lo scrittore nemico dell’industria letteraria e delle sue appendici giornalistiche. Una tale inimicizia implica diverse modalità di convivenza con i principi della convertibilità, ma non può mai estinguersi o passare sotto silenzio. (Qualcuno potrebbe accusarmi a ragione di essere schematico, quando evoco in questi termini le pagine culturali. Ma rimane una prova evidente a favore di questo schematismo: la sparizione della poesia da queste pagine. E non solo in Italia, ovviamente. Uno dei più importanti poeti contemporanei francesi, Jacques Roubaud, che ovviamente quasi nessuno in Italia conosce, essendo “un poeta”, ha scritto un lungo articolo sull’ultimo numero di “Le monde diplomatique”, sostenendo la medesima tesi: la poesia è sparita dai giornali perché priva di valore commerciale. Noi abbiamo da anni, sulla stampa quotidiana, pagine di letteratura amputate. Naturalmente ci si potrebbe mettere il cuore in pace, sostenendo con una notevole faccia tosta che questa è la conseguenza di una totale mancanza di buona poesia in circolazione (problema che sarebbe ovviamente europeo… ). Non solo sarebbe facile mostrare il contrario, ma fin troppo facile riportare giudizi autorevoli (?) che sostengono la stessa cosa per il romanzo. Quanti becchini di romanzo si fanno avanti periodicamente? Eppure non per questo le pagine culturali si svuotano di recensioni, segnalazioni, dibattiti, intorno ad opere narrative anche molto modeste.)

Un secondo motivo d’inimicizia tra letteratura e giornalismo culturale nasce dalla responsabilità che lo scrittore sente nei confronti di una verità possibile. Nonostante certe mode letterarie postmoderne, la maggior parte degli scrittori importanti del secolo scorso hanno creduto nella funzione conoscitiva della letteratura. Ci hanno creduto, come gli scienziati attuali credono nelle loro teorie sulla realtà: non saranno in grado di certificare la loro definitiva adeguatezza, ma hanno ottimi motivi per preferirle a teorie precedenti o antagoniste dal potere esplicativo minore. Lo scrittore insegue la verità attraverso il lungo apprendistato della menzogna individuale e collettiva. La letteratura non è affermativa, la sua strategia sono il dubbio e la domanda, ma anche lo smascheramento e la critica delle identità definite, anche e soprattutto quelle ideologiche. Per questo motivo uno scrittore è nemico innanzitutto della proprie ideologia, così come lo scienziato – in un certo senso – è sempre nemico di ogni teoria vincente. Ma se questo è vero, si può ben capire come lo scrittore sia più di tutto nemico delle ideologie che non si presentano come tali, quelle che passano sotto silenzio, in abiti trasparenti: le ideologie del dopo l’ideologia e della fine dell’ideologia.

A questo punto, però, si fanno avanti direttori di pagine culturali che dicono: “Noi non siamo nemici degli scrittori, cediamo ad essi i nostri spazi, lo facciamo più generosamente di quanto lo facciano altri giornali, lo facciamo noi giornalisti di destra nei confronti degli scrittori di sinistra! E soprattutto NON li censuriamo”. Quasi immediatamente compaiono alcuni individui, presentandosi come scrittori di sinistra, e dicono: “Noi non la pensiamo come voi, non c’entriamo un fico secco con voi, ma veniamo da voi per parlare a un pubblico diverso, e nessuno di voi ci censura!”.

Tutti escludono l’esistenza della censura, ma la forma di censura più diffusa che riguarda i regimi democratici – è risaputo – si chiama autocensura. E l’autocensura, ancor meglio della più efficace censura, non lascia traccia. Bisognerebbe capire poi da dove nasce l’esigenza dello scrittore di sinistra di scrivere per un lettore che legge un quotidiano come “Libero” o “il Giornale”. Di cosa vuole parlare a questo lettore? Di “merce culturale”? Che cosa potrà dire, lui scrittore di sinistra, di diverso da quanto potrebbe dire un buon giornalista culturale di destra, parlando di uno qualsiasi degli ultimi prodotti culturali? Ma lo scrittore di sinistra va su “Libero” perché ha un discorso diverso da fare rispetto a quello che si attendono di leggere i lettori del quotidiano. È allora probabile che questo scrittore – anche se non fosse di sinistra ma semplicemente consapevole del ruolo politico che ha questo centrodestra nel disfacimento delle istituzioni culturali –, vorrà utilizzare quello spazio per denunciare non tanto la mercificazione della cultura, ma la mercificazione dell’odio, della paura, dell’ignoranza che la destra videocratica ha portato avanti, seppure in modo “resistibile”. Riuscirà a fare tutto questo sulle pagine di quei quotidiani? È poco plausibile che glielo si lasci fare. Di certo, che si sappia, nessuno ci ha ancora tentato.

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128 Commenti

  1. “La realtà acquista un linguaggio nuovo ogni qualvolta verifica uno scatto morale, conoscitivo, e non quando si tenta di rinnovare la lingua in sé, come se essa fosse in grado di far emergere conoscenze e annunciare esperienze che il soggetto non ha mai posseduto”.

    (Ingeborg Bachmann)

    @ Andrea Inglese

    lei si riempie la bocca di citazioni di Danilo Kiš, parla di verità quando non è capace nemmeno di evitare di comportarsi da villano. Mi ha invitato a discorrere con lei ed a contattarla, non solo l’ho fatto come ha richiesto, tramite la mail indiana, poi di nuovo postando nel suddetto thread. Poi tramite uno degli indiani che insieme a lei mi ha detto essere interessato a certi argomenti trattati, uno che qui in NI con un sottonick ha fatto il burbero e poi in privato in chiaro mi ha contattato anche a suo nome “A me, come a Inglese, interessa molto quella triangolazione.” e mi ha leccato. E lei non si degna nemmeno di un cenno. Un comportamento che si commenta da se.

    Ecco prenda esempio da Kiš, taccia di cose che non le appartengono.

    Mi perdoni per averla creduta una persona dignitosa, lei è solo uno snob
    prestato ad una ideologia totalitaria. I fatti tradiscono le parole, le sue non valgono nulla come ha dimostrato, è solo demagogia. La lascio al suo “impegno”.

    R.M

  2. Ogni volta che sto per scrivere o pubblicare qualcosa di più politico su NI ho sempre il terrore che intervenga la mia proprietaria di casa per farmi presente che non le ho ancora pagato l’affitto del mese trascorso. RM , vedrà che prima o poi l’affitto arriva, abbia fede se crede…
    effeffe

  3. Caro R M,

    capisco la sua reazione stizzita, ma deve sapere che, nonostante si viva in tempi di simultaneità telematica, non è possibile dare risposta simultanea a tutti gli interlocutori che abbiamo. Io ho quindi ricevuto una sua mail a me inidirizzata tramite la posta indiana, ma non l’ho ancora letta. Le chiedo quindi scusa, come lo chiedo a tutti gli amici nei confronti dei quali mi trovo, per un motivo o per l’altro, a rispondere tardivamente. Se lei è una persona intelligente, accetterà le mie scuse. E io dimenticherò le sue esternazioni inserite qui sopra. Che decide di fare?

  4. Questo è un dibattito interessante (e non privo di sofferenza, per me) sulla figura della scrittore, il ruolo, la responsabilità, l’impegno. Però non viene affrontato l’aspetto dell’opera. Tu stesso scrivi: “Se uno scrittore come Paolo Nori scrive per “Libero”, e così facendo dimostra, alla fine, che non è uno scrittore “di sinistra”, o che non è un cittadino con una consapevolezza politica “di sinistra”, non per questo cessa di essere un valido scrittore.” Io però mi chiedo se esista una scrittura di sinistra e quali requisiti possa o debba avere. Perché se il problema non si pone, o è possibile porlo, la sua importanza cambia di pesatura. Infatti gli scrittori, presi come categoria, come ruolo, hanno le loro miserie, debolezze, contraddizioni e qualunquismi. Come un idraulico, per dire, che forse potrebbe anche riflettere se è del tutto corretto andare a riparare l’impianto di riscaldamento di un’azienda che propugna i valori del capitalismo reazionario ecc. Così anche un idraulico di sinistra potrebbe rifiutarsi di intervenire. Con questo io non voglio sostenere che sia indifferente che Nori scriva su Libero. Ho già detto che mi mette tristezza e delusione. Ma se la riflessione si ferma qui, giunti a un certo punto, non si va più avanti, ci si incarta.

  5. @ Andrea Inglese

    Amico mio ma quale stizzito, lei si prende troppo sul serio, contano i fatti che produciamo, noi non siamo nulla. Non è simultanea son 3 giorni e non è solo quella mail che ha ricevuto. Mi ha invitato lei a discorrere, non l’ho chiesto io e credo conosca anche un rifiuto che ho già elargito ed il perché. Poi non vedo di cosa si dovrebbe scusare o cosa dovrebbe dimenticare, siamo in pieno thread nevvero ? Si parla di verità e bugia, smascherare e responsabilità. A me sta bene così. Buon proseguo.

  6. “Nori dell’errore che egli commette fornendo legittimità culturale a un quotidiano la cui linea politica si accorda con i programmi governativi di demolizione della cultura, partendo proprio dalle istituzioni che ne garantiscono la trasmissione e lo sviluppo (la scuola e la ricerca).”

    a parte questa frase, del tutto scorretta, (non mi sembra che la “sinistra” abbia fatto cose tangibili per istruzione e ricerca), credo che sia in gran parte condivisibile in toto questo post

  7. caro Mauro,

    1) sostenere che gli unici bravi scrittori sono scrittori che si rifanno a dei principi del marxismo, è una palese idiozia
    2) è infatti un dato di fatto che granissimi scrittori e poeti erano, sul piano politico, tutt’altro che progressisti
    3) caso a parte sono gli scrittori, di destra o sinistra, che hanno taciuto, sono stati reticenti, o hanno legittimato regimi totalitari, ma anche soltanto imperialisti

    da ciò che consegue? Per me questo fatto: come ho scritto sopra: se Nori scrive su Libero, in quanto scrittore “di sinistra” sta facendo un grosso errore politico; ma potremmo anche dire, anche soltanto in quanto “cittadino democratico” sta forse tradendo i suoi principi; in che cosa siamo avanzati? Beh, magari nel fatto che uno non consideri più Nori uno scrittore “di sinistra”, o un cittadino estremamente sensibile alla questione della democrazia.

    Nel mio caso specifico, ho letto un paio di libri di Nori e li ho apprezzati. Smetterò di leggere i suoi Libri solo perché scrive su Libero? No. Semplicemente io non credo che sia, dopo un tale fatto, uno scrittore di sinistra, di quella sinistra, almeno, i cui principi io cerco, come altri semplici cittadini, di difendere. Fare chiarezza non mi sembra voler dire incartarsi. Né come ho ripetuto mettere all’indice i libri di uno scrittore. Ma è doveroso difendere pubblicamente l’idea che vi siano dei rapporti tra certi principi e certe azioni, altrimenti vale tutto. Liberi tutti. le linee di demarcazione spariscono. I nomi e le definizioni non voglioni più dir nulla, ecc.

  8. Caro Andrea,

    se io avessi sostenuto, o anche solo pensato i punti 1-2-3 avrei appunto espresso idiozie. Quello che vorrei superare è l’enunciato dell’uomo di sinistra che scrive e quindi deve avere un’etica di sinistra. Io questo non lo discuto. Sono d’accordo. Ma arrivati a un certo punto ci si incarta. Invece può esistere una concezione della letteratura di sinistra, cioè progressiva, o perché no, rivoluzionaria? Ma non nel senso degli scrittori maoisti che dovevano per forza esaltare le conquiste rivoluzionarie del popolo. Ma come stile. Come pulizia dello stile. Come rivoluzione dello stile. Insomma, come comunicazione. Come segni, come enigma. Guarda che non è roba secondaria questa. E’ l’unico futuro possibile.

  9. poche parole: nessuna legittimità culturale a questi giornali, nessuna forma di dialogo, nessuna tolleranza verso di loro. non occorre essere democratici con chi ha un passato o un presente fascista…come sarebbe stato meglio non essere democratici prima del 1922. cercare di colpirli economicamente, non scrivendo nei loro giornali, facendo in modo che la gente non li legga, non gli dia credito, che il loro numero di copie da vendere si riduca sempre di più.

  10. @ Andrea Inglese

    Lei non ne ha mai avuto realmente desiderio e lo sa, altrimenti sarebbe bastato un educato cenno in mail – ora non posso ma ci sono -. Mente ed ha fatto una brutta figura tutto qui, cose che capitano.

    Al contrario son diverso da lei, e quel che dico lo metto in pratica, così i suoi testi li sto leggendo, ho cominciato da quello collettivo per “Le lettere”, per ora mi piace Raos. E’ il terzo volume che leggiucchio di quella collana, Cortellessa non mi piace, ma la collana non è male.

  11. Caro Mauro,

    non ritengo per nulla roba secondaria quanto dici, ma mi pare che sia ancora un altro e più arduo discorso. Bisogna intendersi quando si parla di letteratura rivoluzionaria? Ossia al servizio della rivoluzione reale, politica, in atto? Vi sono vari esempi storici di queste cose. Ma forse intende una letteratura rivoluzionaria, in quanto la rivoluzione avverrà prima nel linguaggio e nelle menti? Che è poi il grande tema delle avanguardie storiche… Io sinceramente, quando scrivo un testo poetico o in prosa, non mi pongo il problema di fare una letteratura rivoluzionaria. Cerco però spesso, come scrive Orwell, di combattere per una forma di verità, di smascheramento… Ma forse è più interessante sapere che cosa intendi tu per una scrittura rivoluzionaria, oggi?

  12. buffo che tu scriva riguardo ad Orwell: “pensa ovviamente al secondo dopoguerra, con alle spalle i milioni di morti della guerra e dello sterminio nazista”.
    In realtà orwell non pensava solo a quello … basta leggersi La fattoria degli animali e anche 1984…. pensava anche (anzi soprattutto) allo stalinismo, che odiava sopra ogni cosa, al punto che pochi anni prima di morire consegnò ai servizi segreti britannici una lista (da lui stilata) di inglesi sospetti di simpatie staliniste, lui che odiava ogni lista di prescrizione.
    Eppure tu che, giustamente, sostieni che non si debbano dire le mezze verità, hai quasi timore a scrivere stalinisti accanto a nazisti. Sicuramente è solo una distrazione, ma una distrazione molto significativa e oserei dire diplomatica :-).
    ora tu mi dirai che lo stalinismo è incluso nel “fosco delianearsi della guerra fredda” … ma forse non lo dirai, perchè tu lettore attento di orwell sai benissimo odiava lo stalinismo da sempre, e lui conosceva bene (anche in prima persona in Spagna) i crimini dello stalinismo.
    Orwell nell’Italia della guerra fredda è stato giudicato per anni “scrittore fascista”, poi è esplosa la passione per Orwell (per forza è un grande scrittore) ma direi che sia una passione uguale sia a destra che a sinistra ognuno per i suoi motivi. In vita è stato controllato da tutti i servizi segreti britannici e pure sovietici.
    Per me naturalmente è un grandissimo perchè ha delineato l’epoca che viviamo al momento quasi alla perfezione;-)

  13. cara georgia
    ho difficoltà a seguirti; e trovo un po’ spossante questo dover ogni volta correggere nei commenti le proiezioni che uno si fa su quello che un altro scrive; sono nato nel 1967; a 17 anni ero anarco-punk, e per noi tra reagan e brezhnev non c’era differenza; ho letto Salomov, Kis, “Arcipelago gulag”, insegno storia, ecc., come ti salta in mente che io possa essere reticente contro i crimini del regime stalinista? credi che tu sei la sola ad essere in possesso delle notizie che fornisci di Orwell? sono di pubblico dominio da un bel po’, e c’è stata anche un non piccola evoluzione degli studi critici orwelliani, in Italia e all’estero…

  14. Era solo per esprimere un mio stupore, visto che hai dimenticato la caratteristica principale e proprio in una frase che voleva essere esplicativa e propedeutica ;-) … poi della tua biografia, al momento, sinceramente mi importa poco, non era mia intenzione giudicarti quindi non mi devi nessuna spiegazione:-)
    Non ho mai pensato di essere in possesso di particolari informazioni (a differenza di te che alle volte ironizzi) .

  15. ciao andrea, grazie per il bell’intervento!

    faccio un’annotazione da avvocato del diavolo, che avevo già sollevato tempo fa sul profilo facebook di marco rovelli.

    in primo luogo, lasciamo da parte i nomi grossi – nori, scarpa – e concentriamoci su chi magari non può permettersi di scegliere così agevolmente.

    poi: sento spesso lamentarsi diversi scrittori giovani e giornalisti freelance che “i giornali di sinistra non pagano / i giornali di sinistra sono poco svegli sulle pagine di cultura”.
    questa ovviamente non è una giustificazione per scrivere su “libero”. però che l’eterno malumore di una sinistra che non sa costruire un’alternativa si ripercuota anche sui giornali è abbastanza vero. con le dovute eccezioni, certo.

    costruiamo ora un personaggio plausibile.
    mettiamo che io abbia ventiquattro anni, sia di sinistra, e sia pure bravo. sto cercando di prendere il patentino da pubblicista, ed è noto che per questo gli articoli pubblicati devono essere firmati e pagati.
    trovo collaborazioni qui e là, metto insieme qualcosa, cerco di costruirmi una carriera. chiedo a qualche giornale di sinistra, ma non pagano i collaboratori: però riesco a scriverci comunque e mi fa piacere perché posso esprimermi liberamente e su un territorio mio. che bello! peccato non paghino.
    poi “la padania” – per dire – mi accetta dei pezzi e me li paga. senza modificarli. cosa faccio?

    dico di no: sono un eroe?
    dico di sì: sono un venduto?

    a me sembra che il problema più grave giaccia un passo indietro: perché uno deve ridursi a essere un eroe o un venduto?
    (ricordiamoci, non sono il premio strega 2009, sono un 24enne che cerca di lottare per scrivere).

    non c’è il rischio di instillare l’idea di una “militanza assoluta” per la cultura di sinistra, e di svilire così il lavoro intellettuale?

    per dire.

    ciao

    giorgio

  16. a georgia
    “Era solo per esprimere un mio stupore, visto che hai dimenticato la caratteristica principale”

    leggi troppo in fretta, prima della frase che citi e che ti ha stupito (e non so perchè), ho scritto:

    “Sono due scrittori che hanno messo al centro della loro opera l’orrore totalitario. Sono due scrittori profondamente anti-fascisti e profondamente anti-stalinisti.”

    E ciò avrebbe dovuto rassicurarti.

  17. Caro Andrea, sono con te quando dici che, mentre scrivi, non ti poni il problema di scrivere rivoluzionario. E posso dirti che un manifesto della letteratura rivoluzionaria oggi non l’ho scritto, né, credo, lo scriverò mai. Qui su NI ho cercato di portare dei contributi sullo stile maggiore/minore, perché credo che di contenuti di sinistra ne esistano molti, e tutto sommato sia facile inserirli nell’impalcatura di un testo, ma è il “come” che gioca una partita importante. Come li veicoliamo. Come cioè poniamo i narratori (dico narratori perché io non riesco a scrivere poesia, e provo un’ammirazione incondizionata verso chi, come te, lo fa con risultati eccellenti) verso la vita, il tempo e lo spazio. Come, cioè, il narratore riesce a ripulire il proprio stile (attenzione, non “il bello stile”) dalle scorie e dalle demagogie delle letterature maggiori. Tipo la punteggiatura rassicurante, come va di moda oggi. I libri ne sono pieni. Ma è solo un esempio infimo. Però diventa una punteggiatura interiorizzata, automatica. Anche queste ultime frasi, le mie, sono conformi a questa punteggiatura. Però non voglio sostenere che bisogna scrivere per forza periodi di tre pagine, come Proust. Ma se il narratore avesse in mente la pulizia delle scorie, mentre scrive (soprattutto mentre corregge), l’obiettivo sarebbe più meno quello comunista, cioè usare lo Stato per arrivare all’estinzione dello Stato. L’estinzione della letteratura come la intendiamo oggi, con l’autore professionista o semi-professionista che fa i conti col mercato ecc. verso una letteratura trasversale che supera la condanna edipica della letteratura maggiore, che obbliga lo scrittore a estinguere se stesso nell’opera, a soffrire per rappresentare la realtà, a vedere i sorci verdi per farsi leggere o solo per capire cosa scrive e perché e per chi.

    Insomma, poiché questo obiettivo sarebbe possibile solo con un mutamento radicale della società, per cui lo scrittore sarebbe uno che cerca di vivere bene con la natura, se stesso e gli altri, come tutti (e qui ci sono elementi di rivoluzione), modestamente e generosamente, oggi possiamo cercare di infilare nei testi questi elementi, scioglierli, fonderli, attraverso la pulizia dalle scorie. Quali sono le scorie? Sono le demagogie delle letterature maggiori, che comandano, anche dentro di noi, anche dentro gli scrittori di sinistra. Le scorie sono i sentimenti bassi, i cedimenti alle sovrastrutture, come l’accettazione della punteggiatura rassicurante, come va di moda, o l’abbandono a certe logiche di mercato, per cui dobbiamo confezionare il testo come deve essere, anche se non l’ammetteremo mai, perché probabilmente neanche ne siamo coscienti. Le scorie sono le descrizioni, i simboli, i teoremi, tutti prodotti della condanna edipica della letteratura maggiore; il superamento è la personificazione del tempo, viverlo, attraverso il racconto, essere il racconto. Se sei il racconto, non te ne frega niente di scrivere su Libero.

    Non credo di essere stato particolarmente chiaro, comunque ti ringrazio di avermi posto quelle domande, perché ho avuto l’opportunità di provare.

  18. Mi sembra un ottimo pezzo, questo, per l’impostazione e per le fonti citate, che non conoscevo o conoscevo poco. Credo di condividerne lo spirito, e apprezzo la riflessione su letteratura (poesia in particolare) e media/politica, che cerca di sciogliere dei nodi che non avevo finora incontrato nelle riflessioni in rete.

    Non voglio ripetere qui le mie posizioni sull’argomento, aggiungo quindi solo riflessioni a margine.

    – Penso che collaborare con il Corriere nei ’70 da parte di intellettuali di sinistra non sia paragonabile a collaborare oggi, per gli stessi, con Giornale o Libero. Io capisco uno scrittore/intellettuale di sinistra per es. che collabora oggi con il Corriere, così come lo capisco per Pasolini nei ’70. Ma collaborare con Libero o Giornale oggi è paragonabile, per me, a collaborare con Il secolo di Italia, nei ’70 (non saprei fare esempi di giornali non di partito assimilabili, se ce n’erano).

    – Penso che possa capitare che un quotidiano di destra di oggi permetta a uno scrittore di sinistra di scrivere sulle sue colonne di “mercificazione della cultura…mercificazione dell’odio, della paura, dell’ignoranza che la destra videocratica ha portato avanti”. Un articolo ogni tanto, o un articolo seguito da un contraddittorio se lo potrebbero permettere. Non cambierebbe molto per i loro lettori, e la testata si spaccerebbe così per pluralista. Quindi anche quella sarebbe una trappola, per uno scrittore di sinistra; il quale, secondo me, oggi, su certi giornali non dovrebbe scriverci per nessun motivo.

    – Infine, se parliamo più di intellettuali che di scrittori – ma non possiamo non considerare opera intellettuale quella di uno scrittore – credo sia importante evidenziare il fatto che non è indifferente scrivere su una testata di proprietà del capo del governo – specie se è un capo di governo che sta segnando un’epoca. Un intellettuale di sinistra, secondo me, dovrebbe evitare di scrivere per B. anche solo perchè è un capo di governo che sta definendo un’epoca della vita civile italiana. Un intellettuale, se tale, non fa sconti al potere e non accetta favori dal potere. Posso capire se scrive su una testata di un capo di governo di sinistra la cui politica approva, ma lo considererei tanto più intellettuale quanto più scrivesse critiche su quel giornale, e comunque preferirei che scrivesse su altri giornali.

  19. poi “la padania” – per dire – mi accetta dei pezzi e me li paga. senza modificarli…

    appunto, ma non c’è nessuno che si chieda perché mai lo facciano ?

  20. a giorgio,

    a giorgio,
    “poi “la padania” – per dire – mi accetta dei pezzi e me li paga. senza modificarli. cosa faccio?

    dico di no: sono un eroe?
    dico di sì: sono un venduto?”

    no, non scrivere sulla padania non è eroismo, è pura decenza, senso di civiltà; l’alternativa che poni mi sembra poco plausibile: tutti mi rifiutano tranne la padania (ci sarebbe di che preoccuparsi); ci sono i settimanali di caccia e pesca, di cucina, di astrologia, ci sono tanti lavori “alimentari”, come li chiamano i francesi, senza per forza finire a scrivere sul quotidiano xenofobo e razzista del paese…

    detto questo il problema che tu poni esiste, è lo stesso ricordato nell’articolo di Vecchi, ed è importante; ma secondo me non giustifica i casi di cui stiamo parlando; semmai la domanda è: perché noi scrittori siamo così poco critici nei confronti delle pagine culturali, in particolar modo delle pagine dei giornali di sinistra? Questo mi sembrerebbe un modo più adeguato di affrontare la questione.

  21. bell’intervento con un sacco di spunti!!!
    in linea generale e anche in alcuni passaggi specifici sono molto d’accordo. su alcune cose però non mi ci trovo. per esempio nell’impostazione di orwell:
    “Quando uno scrittore s’impegna in politica dovrebbe farlo come cittadino, come essere umano, ma non come scrittore. Non penso che egli abbia il diritto, solo a motivo della sua sensibilità, di sottrarsi alle quotidiane bassezze della politica.”
    piuttosto non come vedo come si possa essere scrittori se non come cittadini (nel senso che non riesco a vedere come ci possa essere incompatibilità tra homo poeticus e homo politicus – a bene vedere tra homo politicus e qualunque altro homo). se mai si tratta di decidere che cittadino vuoi essere, in che termini vivi la tua cittadinanza, etc., e da quello derivare che tipo di scrittore vuoi essere.
    chiariamoci: non sto proponendo militanze disperate o eroismi di vario tipo (anche se, francamente, rinunciare a pubblicare per la padania, fermo restando che sei contrario alla politica che sostiene, non mi sembra un eroismo ma solo una conseguenza – di nuovo: nei casi sollevati nelle ultime settimane si tratta di libero e il giornale, non del corriere o di repubblica, per dire-). come sai vivo la mia vita da impiegato in termini “deliziosamente” piccolo-borghesi ;-)
    questo mio modo di essere, però, non è incosciente, non è subito, e l’approccio alla scrittura che ne derivo è proprio quello di quel cittadino, di quell’aspirante piccolo-borghese che, a sua volta, però, non è il piccolo-borghese consumista o l’operaio egemonizzato dalla televisione (per usare le solite figure-tipo) ma piuttosto il cittadino di ceto medio-basso che ha (cerca di avere) ben cosciente che cosa perde, e a vantaggio di chi, in cambio di quello che ha (come anche a svantaggio di chi ottiene quello che ha).
    i termini della “natura politica”, in buona sostanza, mi sembrano questi e la responsabilità, come scrittore proprio in quanto cittadino, la mia impressione è che ce l’hai proprio in riferimento ad essi.
    va beh, sbrodolai e me ne scuso ;-) cmq rispetto: ottimo pezzo.

  22. E ciò avrebbe dovuto rassicurarti.

    …non molto :-), perchè prima c’è orrore totalitario (che correttamente vorrebbe dire nazisti e stalinisti) e poi anti-fascisti e anti-stalinisti … il fascismo non era totalitario, per molti motivi, ergo anche lo stalinismo non lo era e quindi nel primo termine NON è contenuto;-)
    Oh ‘un ce l’ha detto marco, piu sotto (un po neo-lombrosianamente per la verità) che i nostri cervelli funzianono a frame precostituiti fuori controllo? ;-).
    Ad ogni modo lascia perdere, non è importante, lungi da me il volerti fare le pulci … era solo per sottolineare che pensare così grossolanamente (anche se con l’ausilio di dotte citazioni) di essere in grado di dire la Verità (e non una mezza verità se non addirittura una frazioncella di verità) è sempre una grossa responsabilità di cui è sempre rischioso caricarsi …

  23. andrea:

    in realtà cercavo di ricostruire, variandolo un po’, un fatto successo a un mio amico tempo fa con un articolo sulla letteratura americana (i settimanali di caccia e pesca e cucina e astrologia non pubblicano articoli sulla letteratura). (e poi, perché l’alternativa dovrebbe essere fra un quotidiano xenofobo e un settimanale di caccia e pesca?)

    poi ovvio, uno può rinunciare a scrivere di letteratura americana se gliela pubblica solo “la padania” o chi per esso, ma la domanda è: perché sembra che ci siano più chance a piazzare un pezzo “innocuo”, come la recensione di nori, su giornali di destra che piazzare un pezzo serio su un giornale di sinistra? fermo restando la retribuzione: scrivere gratis è tutto un altro discorso.

    infine, io sono molto critico nei confronti delle pagine culturali di sinistra. ed è proprio questo il punto che mi pare continuamente eluso: l’assenza di un’alternativa forte.

    esistono (ne ho conosciute) delle persone che scrivono sui giornali “di destra” vergognandosene, perché non hanno alternative: certo non per arricchirsi o perché gli viene assai comodo.
    distinguerei insomma fra l’ipocrita e il povero cristo.
    e se il povero cristo ha le sue ovvie colpe – perché non rinuncia? perché non punta i piedi e dice no? – mi sembra che anche tutto l’establishement culturale “di sinistra” ne abbia altrettante.

    ciao

    g.

  24. per lorenzo che scrive
    una testata di proprietà del capo del governo

    veramente (anche se penso che non voglia dire nulla) libero non è di proprietà di berlusconi, ma della famiglia angelucci che possiede anche il riformista … non che angelucci sia meglio, ma era solo per precisare ;-)

  25. Caro Andrea,
    quando scrivi
    “semmai la domanda è: perché noi scrittori siamo così poco critici nei confronti delle pagine culturali, in particolar modo delle pagine dei giornali di sinistra?”
    poni una questione importante,
    però dovresti chiarire quali sono, secondo te, i giornali di “sinistra”, qual è il loro elemento fondante di distinzione (non credo basti dire che sono quelli che denunciano “la mercificazione dell’odio, della paura, dell’ignoranza che la destra videocratica ha portato avanti”),
    con lo stesso metodo con cui hai provato, nle tuo post, a dare una definizione dello scrittore di sinistra, oggi.
    E poi, coraggio, proviamo anche a fare dei nomi.
    Repubblica è (ancora) un giornale di sinistra? Il Manifesto è un giornale più di sinistra di Repubblica? E il Fatto Quotidiano? O L’Altro?
    Oppure sono di sinistra tutti i giornali che non sono dichiaratamente schierati con i partiti al governo?

  26. Ma ha un senso classificare gli scrittori per categorie politiche? E poi piantatela con la “Padania” giornale razzista: ormai sembra il bollettino delle suore di carità!

  27. @ Andrea
    Scusa se cito a memoria (ma l’ho vista di recente): «è più difficile essere un galantuomo che un eroe, perché eroe puoi esserlo per una volta sola, galantuomo devi esserlo per tutta la vita» (Pirandello, «Il piacere dell’onestà»). Credo che quella che tu chiami «dignità» sia questo saper essere un galantuomo.

  28. solo per dire:
    devo leggere i libri o le biografie dei loro autori?
    se leggo 1984 e penso che sia solo un libro “anti-stalinista”, o che Orwell era sorvegliato dal KGB o dal MI5, non mi sto perdendo tutto il resto – tutto il libro?
    io vorrei leggere qualcuno che scrive: “la condizione dei quotidiani in Italia è disastrosa. ed è lo specchio di tutto il resto, di tutto il Paese”.
    e vorrei leggere qualcuno che scrive: “io – che posso/devo scegliere quali libri la casa editrice X deve/può pubblicare nell’anno Y – pubblico il libro a prescindere da chi l’ha scritto, dalla sua biografia e dalla sua età, e dalla sua vendibilità. scelgo i libri – perché li ritengo importanti, per la loro qualità, per il loro contenuto – e non gli autori”.

  29. @ Inglese
    Il tuo pezzo è interessante e ben articolato, considerando la mole e la rilevanza dell’argomento; però ho due perplessità. La prima riguarda questa tua frase: “Se uno scrittore come Paolo Nori scrive per “Libero”, e così facendo dimostra, alla fine, che non è uno scrittore “di sinistra”, o che non è un cittadino con una consapevolezza politica “di sinistra”, non per questo cessa di essere un valido scrittore.” Ritengo vada analizzato il contenuto del pezzo di Nori e non il contenitore (poniamo che uno scrittore scriva un pezzo contro l’Olocausto in un giornale nazista: è un’ipotesi di scuola, un credo quia absurdum, poniamo che glielo permettano per poi fucilarlo e dimostrare che fine fa chi si oppone al regime: in tal caso che succede? Si taccia comunque lo scrittore di nazismo anche se magari per aver scritto quel pezzo paga con la vita? Per tornare a questioni meno grandi e più attuali: la recensione di Nori sul libro di Ammaniti è in un qualunque modo definibile “di destra”?); e poi secondo me l’espressione “scrittore di sinistra” non ha alcun senso, fin tanto che parliamo di scrittura seria. Invece la tua espressione mi fa pensare a un preconcetto, a una gabbia mentale che esclude aprioristicamente, in qualche parte magari remota e rincantucciata delle tue facoltà critiche, chi non rientri nella casella dello “scrittore di sinistra”. E questo a mio avviso non è giusto da un punto di vista de-ontologico. La letteratura, come affermi tu e come affermano Orwell e Kis, è libera (il che non vuol dire deresponsabilizzata ma il contrario; come c’insegna benissimo Dostoevskij la libertà è la cosa più terribile da regalare a un uomo).
    La seconda perplessità riguarda la seguente frase di Orwell: ““Quando uno scrittore s’impegna in politica dovrebbe farlo come cittadino, come essere umano, ma non come scrittore. Non penso che egli abbia il diritto, solo a motivo della sua sensibilità, di sottrarsi alle quotidiane bassezze della politica.” E’ forse possibile scindere, in un vero scrittore, lo scrittore dall’essere umano? Lo scrittore non scrive in quel modo specifico proprio perché è lui e non un altro, chiunque altro, a scrivere? E non è ogni autentica opera letteraria un’opera anche civile, politica, antropologica addirittura? Insomma, la politica nel senso più alto del termine va di pari passo con l’arte; l’ideologia invece (destra e sinistra, fascismo e stalinismo, e tutti gli ismi eccetera eccetera) viene dopo. Infatti sfido chiunque a classificare un qualsiasi grande scrittore – naturalmente partendo dall’opera dello scrittore medesimo – come “di destra” o “di sinistra”.
    Ps: ho parlato, come spesso mi capita, per massimi sistemi. Non leggo Libero e non mi piace Libero e trovo odioso il giornalismo di Belpietro o di Feltri; ma qui bisogna stare attenti a non fissare delle questioni di principio troppo rigide, altrimenti dobbiamo chiudere bottega quasi tutti (il che non rappresenterebbe un’ipotesi totalmente peregrina).

  30. beh … pirandello prese la tessera fascista (e quella la presero quasi tutti) ma soprattutto la prese in un momento particolare: quando mussolini era in crisi per via del caso matteotti, la prese proprio per aiutarLO, come scrisse esplicitamente …
    Ora io penso come enpi, e della biografia mi importa il giusto … e soprattutto penso che pirandello sia un grande …. però in una discussione come questa mi sembra proprio azzeccata come citazione … ah ah ah ah

  31. L’intervento di Inglese mi sembra molto ben articolato.
    Sulla “responsabilità” (idea davvero rara in un paese fondamentalmente cattolico come l’Italia) credo di avere idee assai semplici, forse persino rozze.
    Se partecipassi a una manifestazione durante la quale a qualcuno venisse in mente, per esempio, di devastare una vetrina o incendiare un’auto, istintivamente mi allontanerei; se andassi allo stadio e a qualcuno, seduto accanto a me, venisse voglia di gridare qualche slogan razzista contro un giocatore nero, proverei un fortissimo disagio. E me ne andrei. Lo stesso disagio lo, proverei, per esempio, se scrivessi sulle colonne di “Libero”: non credo che riuscirei a non guardare alla colonna accanto o alla prima pagina senza provare disagio. Tutto qui, indipendentemente dal fatto di essere scrittore, falegname o ingegnere.
    Semplicemente per il fatto di essere cittadino.

  32. a giorgio f e a holits, e a enpi:

    1) il principio della convertibilità delle letteratura in merce culturale è universale, e permea giornali e case editrice di destra e di sinistra; ciò è coerente con l’evoluzione dell’industria culturale nell’odierno mondo capitalista: questa realtà pone già un’esigenza di critica, dal momento che non tutta la letteratura vivente è convertibile immediatamente in merce culturale;
    ma colui la cui letteratura (buona o cattiva che sia) è convertibile ha già meno ragioni di criticare

    2) non è vero che non c’è critica delle pagine culturali; molto lavoro fatto sul web da tanti blogger singoli o collettivi, o da alcune riviste militanti fa in modo più o meno palese questa critica; e non è un caso che oggi le pagine culturali della stampa vengano a pescare da noi

    3) rimane comunque vero che c’è stato un generale fatalismo per quanto riguarda il destino delle pagine di cultura dei quotidiani o settimanali di sinistra; e questo potrebbe essere un’occasione per ripensare a fondo questa faccenda;

    ma c’è un grosso problema da non dimenticare: oggi chi critica è considerato sempre e comunque un guastafeste, a destra come a sinistra; per aver criticato Nori o Scarpa che scrivono su Libero uno si prende da quelli di sinistra, prima di tutto, del fanatico estremista. Pensate se uno si mette a criticare qualche popolare penna della Repubblica o dell’Espresso o della Stampa. Provateci! Io e Raos per aver osato criticare Berardinelli sul “Foglio” (nel 2006) siamo stati trattati come dei boriosi trogloditi – da gente di sinistra, ovviamente!

    Come ha detto con innocenza una mia alunna una volta: non bisogna sempre criticare Berlusconi, perché così uno si mette dalla parte del torto.

    Chi critica oggi a torto.

    A meno che non critichi avendo al soldo una milizia.

  33. a Macioci,

    credo di aver detto abbastanza esplicitamente che il valore letterario non è conseguente alla posizione ideologica. Quindi non mi ripeto. Detto questo ha senso dire, eccome, quali sono le posizioni ideologiche di uno scrittore e di vedere come entrano nella sua opera, o sono magari da essa smentite, ecc. Quindi scrittore non è un termini assoluto, che neutralizza qualsiasi possibilità di declinarlo in termini politici.

    a Gherardo e Macioci,

    si, toccate qui un punto importante. Ma che implicherebbe un lungo discorso. Diciamo che io ho parlato di “articolazione” tra lo statuto dello scrittore e quello del cittadino. Secondo me è un errore sovrapporre questi due statuti o farne derivare uno dall’altro. Beckett disse una volta “non ho voglia di far altro che stare seduto a scoreggiare e a leggermi Dante”. Questo è un possibile programma da “homo poeticus”. Ma Beckett non l’avrebbe mai applicato (per assurdo) nella sua forma pura. Insomma, a me sembra più fruttuoso vedere una tensione tra questi due termini, sopratutto in base a certe esperienze storiche, che sono molto lontane dalle attuali. Ma vi faccio un esempio: negli anni Settanta, in statale, parlare di poesia era un’eresia. Oppure poesia col megafono (stando a testimonianze che ritengo abbastanza affidabili).

    Non sarò stato esaustivo, ma l’obiezione che mi avete fatto è valida per approfondire ancor meglio il tema.

  34. a georgia,

    le pulci me le vuoi fare eccome, mia cara… ma ogni volta in modo “grossolano”, travisando, omettendo, ecc. – in ogni caso non me la prendo a male, ma sìì almeno schietta!

    tu scrivi:
    “era solo per sottolineare che pensare così grossolanamente (anche se con l’ausilio di dotte citazioni) di essere in grado di dire la Verità”

    mentre io scrivo:
    “Un secondo motivo d’inimicizia tra letteratura e giornalismo culturale nasce dalla responsabilità che lo scrittore sente nei confronti di una verità possibile.”

    Ora, per uno scrittore scegliere un articolo indeterminativo e una v minuscola e un aggettivo come “possibile” fanno tutta la differenza che, mi dispiace, non hai colto.

  35. No, scusate, a me interessa quello che uno scrittore scrive. Come lo scrive. Non dove lo scrive. Certo, Nori l’ha fatta grossa. Per leggere i suoi articoli irrinunciabili noi dovremmo comprare Libero in edicola o sfogliarlo in biblioteca. Proposta francamente inaccetabile. Non capisco allora quale bisogno senta Nori di comunicare coi lettori abituali di Libero. Quelli che non si vergognano a tenerlo sotto braccio per strada. Io sono sempre molto disattento, ma in passato non mi e’ mai sfuggito nessuno che esibisse Libero sul treno. Certo Libero a differenza del Manifesto pare che paghi, ma i lettori di Libero, i cui titoli vergognosi esibiscono in giro aprendo il giornale, leggono Nori? E se si’, perche? La cosa comunque ha dell’inquietante, non trovate? Di sicuro turba. Al di la’ dei soliti paroloni.

    :- )))))))))

  36. mauro b.,

    il tuo discorso mi piace, in toto… quando però dici: “Quali sono le scorie? Sono le demagogie delle letterature maggiori, che comandano, anche dentro di noi, anche dentro gli scrittori di sinistra.” Io semplicemente – se ho ben capito – scriverei “maggioritarie”, perché non c’è nulla di “maggiore” in quelle letterature pronte all’immediata convertibilità…

  37. Troppo spazio alla self-righteousness con conseguente mancanza di essenzialità: di fronte al rischio di uno smottamento mondiale mi pare si pensi sostanzialmente a giustificare (sulle consuete basi etiche) un riaggiustamento della redistribuzione, quando è ciò che è da redistribuire che rischia di implodere tragicamente.

  38. @ elio

    “di fronte al rischio di uno smottamento mondiale mi pare si pensi sostanzialmente a giustificare (sulle consuete basi etiche) un riaggiustamento della redistribuzione, quando è ciò che è da redistribuire che rischia di implodere tragicamente.”

    potresti espandere il concetto ? E’ interessante questo, uno dei nodi

  39. @ Mauro Baldrati

    cosa intendi per “demagogie delle letterature maggiori” ?

    perché tra le scorie citi i “simboli” ? cosa intendi ?

    davvero non ti fa sorridere l’espressione scrittore di sinistra ?

  40. sì, sì, chiaramente la questione è molto complessa (e, per dire, ho voluto limitare il rapporto diretto ai due poli cittadinanza e idea di scrittore; il passaggio da questa idea alla scrittura è troppo metafisico perché mi sentissi di farlo rientrare nel discorso ;-).
    cmq tu dici “Questo è un possibile programma da “homo poeticus””. per conto mio è anche un programma politico, ha uno specifico valore politico, perché no?
    l’esempio della statale di milano, poi, tocca un altro gran bel punto e cioè la questione della comunità dei lettori, i rapporti che con essa l’autore sente o meno di avallare, gli sforzi che si possono fare per cercare che adunarne un’altra, tutti elementi, di nuovo, squisitamente politici, mi sembra.
    però mi limito a dire questo: non sta succedendo più o meno la stessa cosa in modo magari meno esplicito però più efficace? e non solo in statale ma nel dibattito letterario mainstream? tu come poeta non vivi forse direttamente questa cancellazione più o meno sistematica? e non è essenzialmente politica la possibilità o meno di nominare degli oggetti, di ipotizzarne i rapporti e così via? mi sto rifacendo al ragionamento di rancière – che so che ti è caro (e che mi hai fatto scoprire tu, per altro!).

    ok, sono precipitato ignominiosamente nei baratri dell’ot! fuggo folle e vergognoso :-)

  41. Lo scrittore è certo un uomo che vive nella comunità, nella società. Quindi è auspicabile che abbia idee che attraverso la scrittura possa promuovere. Vive in un contesto sociale che per una presunta “sensibilità” maggiore dovrebbe valutare e con il quale interagire. Quando un governo non valorizza il fatto culturale, uno scrittore dovrebbe criticare, lottare con i mezzi più propri, prescindendo dal colore e delle categorie ideologiche. Dal non rinchiudersi nella torre d’avorio al con-fondere necessariamente la qualità letteraria con la lotta sociale e la politica politicante, c’è in mezzo un equilibrio culturale che dev’essere conquistato giorno per giorno. Alla visione di Orwell si potrebbero contrapporre centinaia di concezioni sulla letteratura e la politica che pongono al primo punto la qualità della letteratura, non rendendola, meschinamente, variabile dipendente delle dinamiche sociali e politiche. Per essere un buon scrittore è indispensabile essere impregnato delle idee di sinistra? Oppure predicare necessariamente l’antifascismo e non cadere nella blasfemia dell’anticomunismo? Scrivere sul Manifesto attribuisce automaticamente lo stato di buon scrittore e critico? Scrivere su Libero significa precipitare nell’indegnità e perdere la qualità di scrittore e critico? L’arte, la bellezza, la cultura è, dal ragionamento di Inglese, subordinata meccanicamente alla ideologia, quindi massacrata, ridotta alla marginalità. Non è Cultura.

  42. @ Robin Masters, scusa se cito me stesso, ma per non ripetere cose già scritte, qui ho in parte affrontato la questione della letteratura maggiore e dei simboli:

    https://www.nazioneindiana.com/2008/12/27/paolo-giordano-la-solitudine-della-letteratura-maggiore/

    Lo spunto parte dalla lettura di Deleuze di Kafka, dove si cerca di sfatare la continua ricerca di simboli (per esempio, con questa metodologia si può tranquillamente utilizzare la simbologia religiosa, come fa Pietro Citati).

    Scrittore di sinistra non mi fa ridere, perché non mi fa ridere uomo di sinistra. Però vorrei andare oltre.

    Ieri sera ho letto sul manifesto un articolo interessante di Cortellessa, sempre su queste vicende, sull’egemonia della cultura di destra, che dopo il periodo del vampirismo della cultura di sinistra, ora è passata alla fase degli arruolamenti.

  43. @Andrea

    “1) il principio della convertibilità delle letteratura in merce culturale è universale, e permea giornali e case editrice di destra e di sinistra; ciò è coerente con l’evoluzione dell’industria culturale nell’odierno mondo capitalista: questa realtà pone già un’esigenza di critica, dal momento che non tutta la letteratura vivente è convertibile immediatamente in merce culturale; ma colui la cui letteratura (buona o cattiva che sia) è convertibile ha già meno ragioni di criticare”

    benissimo.
    quindi – lo chiedo seriamente: esistono major “buone”?
    e quali sono gli editori “buoni”?
    se io lavorassi per Mondadori, o pubblicassi con, e riuscissi a far passare un libro “difficilmente convertibile in merce”. e questo libro – mettiamo – stampato in tot copie, finisce poi al macero. se, insomma, nel conto economico dell’azienda Mondadori le mie azioni risultano negative, non solo non arricchisco il gruppo e il suo propietario, ma faccio perdere loro dei soldi: come la mettiamo, in un caso del genere? [anche se non lo facessi scientemente, ma con effetti comunque economicamente negativi]

    “oggi chi critica è considerato sempre e comunque un guastafeste, a destra come a sinistra; per aver criticato Nori o Scarpa che scrivono su Libero uno si prende da quelli di sinistra, prima di tutto, del fanatico estremista. Pensate se uno si mette a criticare qualche popolare penna della Repubblica o dell’Espresso o della Stampa. Provateci!”

    giusto!
    il punto è: questa è una evidenza. è evidente che le pagine culturali, in Italia, non muovono idee, sono una piccola necessità dovuta all’uso, all’abitudine. sono evidentemente destinate ad assottigliarsi sempre più, fino a “sparire”. da essere la terza pagina, dai romanzi “commerciali” a puntate, siamo arrivati alle pagine “cultura & spettacolo”, che relegano la letteratura a – a volte interessanti, sì – qualche carteggio degli anni cinquanta; poche pochissime pagine stradordanti televisione e informazioni [stasera il concerto, domani la mostra, finalmente il libro di!] pubblicitarie, comunicati stampa copincollati.
    in parte ne parlava Scarpa sulla Stampa – anche di Repubblica e della stessa Stampa: dove sono gli scrittori, gli “artisti”, le idee, nelle pagine culturali?
    secondo me Tiziano non coglie del tutto la tendenza. ovvero: ha ancora la speranza che il Corriere – per dire – ospiti idee, contenga al suo interno – per dire – Nove.

    [enrico]

  44. Non ha senso, proprio nessun senso, separare lo scrittore dal cittadino: a meno che non si creda all’autonomia dello scrittore dal mondo, cosa di per sé impossibile. Se lo scrittore agisce sulle parole – questo è il suo “campo di battaglia” – e se è uno scrittore attento alle sorti della comunità, quello che pensa lo farà entrare in qualche modo in quello che scrive. Il partigiano Beckett fu tale anche negli atti di scrittura: e le sue opere sono in prerenne conflitto (con la lingua, prima di tutto, e poi con le strutture letterarie a lui contemporanee); non c’è dubbio che i risultati della sua azione letteraria siano “politici”, in un senso che non è partitico o ideologico, ma perché, scandagliando l’essenza stessa dell’umano, riescono a far scattare “consapevolezza” (sul non senso dell’esistenza e sulla perenne frustrazione nella ricerca di senso, ad esempio). Non è certo un caso che “non venda”. La sua opera agisce come “doppio”, come negazione nascosta, come possibile altro: direi come utopia di ogni pubblicazione esistente. Questa è politica!

    Anche a me, francamente, l’idea di “scrittore di sinistra” mi fa ridere. Intanto perché si tende a evitare di definire una volta per tutte, e al di là delle frasette retoriche, che cosa ci sia dietro quel (talvolta sinistro) concetto; in seconda istanza, perché tanti di quelli che oggi vengono considerati scrittori di sinistra confezionano opere che sono perfettamente omologate allo scadimento attuale. Ha più valore l’opera o colui che l’ha scritta? Orwell, ad esempio: scrive opere libertarie e tiene comportamenti poco consoni a questa sua pratica; partecipava, a modo suo, ai conflitti in corso: da che parte? È davvero così innocente compilare una lista dei cattivi, in odor di stalinismo, e consegnarla all’IRD, braccio segreto del FO?

    Altre note sparse:

    Il problema non è che Nori o altri scrivano per Libero etc, ma che Libero etc esistano; e qui possiamo solo guardarci allo specchio e chiederci: perché abbiamo permesso che tutto ciò accadesse?

    E poi: in base a cosa stabilisco che uno scrittore è di sinistra? O lo faccio per i suoi atti nella società (perché, mettiamo, partecipa all’organizzazione di una iniziativa contro la TAV), o lo faccio per le sue opere, scavando sulla visione del mondo che contengono e mettendole a confronto con quelle che le stanno accanto. Spero non valga farlo perché, in talune occasioni mondane, dichiara di votare a sinistra …

    Gramsci votò, insieme a Togliatti e Terracini, per allineare il Partito Comunista allo stalinismo (1926, contro Bordiga). Si schierò, quindi, in modo del tutto opposto a quello di Orwell, e aprendo la strada all’affermazione di un’idea “totalitaria” (dio! che termine idiota!) dell’organizzazione, cosa che puntualmente avvenne dopo la guerra con Togliatti. Non disse niente d’importante?

    Quando Bottai chiamò gli intellettuali a intervenire, con le armi della cultura, alla vita del paese, perché non chiamò Bordiga? (lo so, era al confino! estremizzo volutamente) Forse perché sapeva quali fossero le sue posizioni sul fascismo. Se oggi Libero etc. chiedono a Scarpa o a Nori un articolo, forse è perché conoscono le loro posizioni sul berlusconismo …

    Majakovskij, che di queste questioni se ne intendeva, per aiutare la rivoluzione fece di tutto, partendo dalle sue capacità; scrisse cartelloni pubblictari, disegnò manifesti, etc; e piegò la sua scrittura alle “esigenze della lotta”, però impoverendola. A parte lo splendido poema “Di questo”, nessuna delle opere composte in quel periodo raggiunge le vette del “Flauto di vertebre”, che comunque resta ugualmente un poema “rivoluzionario”, anche se non partitico. Lo stesso Brecht raggiunge vette importanti solo nelle opere meno legate all’immediatezza (Il cerchio di gesso, Galileo, etc.). Questi sono esempi (ma se ne potrebbero fare centinaia di altri, in Italy tipi come Volponi, Leonetti etc.) di politicità agita DENTRO l’opera, e dove l’essere schierati in un certo modo influenza le scelte stilistiche. Qui avviene proprio il contrario di quanto affermato da Baldrati e Inglese, là dove affermano che quando scrivono non si pongono il problema di “scrivere rivoluzionario” … Questi autori se lo ponevano, eppure una certa qualità letteraria la raggiungono (e gli scritti politici di Brecht, ancora non del tutto tradotti, sono molto più interessanti, anche sul rapporto politica-letteratura, che non quelli di Orwell).

    L’egemonia della destra è sul corpo sociale nella sua interezza. E le responsabilità maggiori di questo sono di certa “sinistra”, che non solo ha seguito le parole d’ordine della destra, imitandole maldestramente (uauuuh!), ma ha sdoganato pratiche sino ad allora tabù: guerra (governo D’Alema), precarietà (governi Amato-Ciampi), razzismo istituzionale (Legge Turco-Napolitano), militarizzazione territorio e repressione (governo D’Alema, con l’autonomizzazione dei CC), leggi costituzionali a colpi di maggioranza (governo Prodi), legge elettorale anti-democratica (referendum sul maggioritario etc.) …

    Forse gli scrittori di sinistra, anziché porsi il problema di collaborare o meno a Libero, dovrebbero provare a guardarsi nello specchio e chiedersi che cosa significhi, oggi, essere di sinistra … Altrimenti si rischia di cadere nel ridicolo.

    sp

  45. Si può dimenticare tanto presto la nostra storia, quello che uno scrive e che continua a dire di noi? Secondo il suo stesso intendimento Pasolini utilizzò il giornale della “buona” borghesia italiana (il Corriere dei “puri” padroni diretto da P. Ottone) per intervenire con metafore devastanti come ” il Palazzo”. Ebbe modo di prendere, in quelle pagine, delle posizioni (aborto, ’68) indubitabilmente reazionarie. Ciò che conta è in realtà solo quello che rimane di un grande scrittore (l’invenzione del Palazzo, la potenza delle sue metafore, la sua lingua, ad esempio). E’ un tratto della modernità che forse ci avvicina, per l’unicità degli Scritti Corsari, alla funzione che ha avuto il giornalismo nella letteratura angloamericana nel 900…

  46. Dopo giorni e giorni di discussione @dinosauro (e altri in varie forme) può ancora scrivere:

    ” Per essere un buon scrittore è indispensabile essere impregnato delle idee di sinistra?”

    dimostrando una volta di più che pochi leggono quello che l’altro scrive.

    @Dinosauro, visto che Inglese è esposto su più fronti ti rispondo io per lui, citandolo:

    “Se uno scrittore come Paolo Nori scrive per “Libero”, e così facendo dimostra, alla fine, che non è uno scrittore “di sinistra”, o che non è un cittadino con una consapevolezza politica “di sinistra”, non per questo cessa di essere un valido scrittore.”

    Non lo ha scritto un mese fa, dieci post fa, ma qui sopra, nel post che stai commentando, apri la tua preistorica mente, è chiaro che il problema non è quello che tu credi o fingi di credere che sia.

    Leggi bene, se sei distratto, o non confondere le acque, se sei un manipolatore.

  47. @ Mauro Baldrati

    ciao e grazie per aver risposto. Aprirò con calma il link, ora non posso e ti scrivo al volo. Ti ho posto la questione del simbolo esattamente perché avevo intuito quella direzione che mi sembra tu proponga. L’ho abbandonata, non mi interessa più soprattutto per questioni di mistificazioni, poco riconosciute, da parte di Deleuze e Guattari in questo caso. Due autori che conosco sillaba per sillaba e che ho amato molto. Sarei voluto intervenire su questo già ieri su Proust, conosci il saggio di Deleuze immagino. E’ un discorso come sempre lungo e inaffrontabile qui. Si il saggio su kafka… resta per certi versi di enorme intelligenza, ma c’è un grosso MA soprattutto su quello che si è travisato e manipolato sulla questione maggiore-itario/minore-itario usi ed abusi di un pensiero intelligente, fatto da tutta una genie di piccoli ierofanti per tornaconto personale.

    Uso le parole attento al peso specifico, ho detto sorridere
    non ridere, è diverso.

    RM

  48. sp, rivendica in buona sostanza non l’esigenza della buona letteratura (certo contaminata anche di aspetti sociali e politici, non partitici), ma la necessità di recuperare la purezza dello “scrittore di sinistra”. Rientra, a mio modesto parere, nella stessa logica di Inglese. Se in questo blog si sta discutendo su un piano strettamente politico, allora ciò che scrivo è fuori luogo, se, invece, si intende approfondire quello che io considero il grande equivoco e la stridente contaddizione dello scrittore che per esserlo deve sentirsi di sinistra, deve firmare appelli, deve vivere la miliatanza politca in senso stretto, allora è appropriato. La testata giornalistica non deve concepirsi come luogo di appartenenza per uno scrittore, ma come strumento di diffusione d’idee e cultura. Soprattutto le pagine culturali di giornali come Repubblica e l’Unità vincolano ad un esercizio dello scrivere funzionale direttamente all’impostazione politico-editoriale. Può sembrare strano, invece, che Libero, il giornale, Il Foglio riservano ampio spazio ad uno scrivere libero, nell’accezione più ampia possibile. Non è, credo, una tecnica per includere strumentalmente, ma la traduzione in atto di una concezione della cultura più coerente con il suo significato originale e più profondo. Per concludere, non trovo anommalo il fatto che Eco o Consolo o Tabucchi o Scurati o Cortellessa scrivano e intervengano su questioni partitiche, ideologiche, ma perchè fanno discendere la legittimazione delle figure dello scrittore, dell’intellettuale, del letterato da una posizione e da un’appartenenza ad un’area politica.

  49. “Per concludere, non trovo anommalo il fatto che Eco o Consolo o Tabucchi o Scurati o Cortellessa scrivano e intervengano su questioni partitiche, ideologiche, ma perchè fanno discendere la legittimazione delle figure dello scrittore, dell’intellettuale, del letterato da una posizione e da un’appartenenza ad un’area politica.”

    ma non è vero, nessuna di queste persone così diversamente intelligenti tra loro, ma comunque tutte intelligenti, fa discendere la legittimazione dello scrittore dall’appartenenza a un’area politica, proprio perché non sono dilettanti.

    Tu davvero credi che non leggano Gadda? o si siano autoipnotizzati per convincersi che Gadda è di sinistra?

    La confusione tra “partitico” e “ideologico” poi, e soprattutto di questi tempi, non si dovrebbe più fare.

    Buona giornata.

  50. @ Dinosauro
    No, oddio!, no, nessuna purezza, né, tanto meno, purezza di sinistra!
    In letteratura, la gioia e la lotta sono nelle parole, nelle strutture, nello stile: Beckett vale più di un Wu Ming qualsiasi! Sempre e comunque! Se è vero che la letteratura ha a che fare con la politicità del segno, ovvero con la sua impossibilità ad astrarsi dalle cose del mondo, essendo esso stesso parte del mondo, non è vero che la qualità di un’opera si misura sulla base della concezione del mondo dell’autore. Giammai! Mi pare di aver citato autori (Brecht in particolare) che fanno del discorso politico materia letteraria, ad un alto livello compositivo; e che, sulla base del loro discorso, impostano il loro stile. Volponi e Leonetti (altri nomi fatti velocemente) non mi pare siano qualitativamente scadenti; così come mille altri autori, non “di sinistra”, hanno raggiunto vette anche più alte. MA non è questo il punto. Mi preme che si ragioni sul concetto di “sinistra” NON PER LA LETTERATURA, ma per le sorti dell’intera società. A me, della letteratura, frega ben poco, o comunque solo in quanto lettore, dunque posso concentrarmi, per mia fortuna, sulle eccellenze, che ci sono e sono tante e ben al di là del posizionarsi politico degli autori. Poi, umanamente, da cittadino, mi premono altre cose, ben più sostanziali: che l’Unità o Repubblica si facciano portavoce degli interessi di Obama, con tutto ciò che comporta, è per me ben più pericoloso che lo scadimento del discorso giornalistico e di costume di Libero o Il Giornale … Perché quel discorso agisce in profondità sul modo di intendere la struttura economica della società, che è, per me che resto ancora un accanito lettore di Marx, la base di ogni cosa. E perché ci porterà, in un futuro neanche tanto distante, ad applaudire o tacere sul prossimo attacco all’Iran. Senza nulla togliere all’importanza di contrastare lo scadimento culturale, credo però che le nostre sorti, nostre in quanto cittadini, dipendano molto di più dall’andamento dei conflitti geopolitici che non dalle piroette dell’attuale governo per salvare il Capo. Basterebbe rileggersi l’andamento della crisi per verificare ciò. Altrove ho detto che milito e continuo a partecipare al farsi concreto della politica: perché la situazione è grave. Ma quando seguo questi discorsi, e soprattutto quando li vedo fatti da persone che si dicono “di sinistra”, un po’ mi incavolo e chiedo, così, molto pacatamente: ma a quale sinistra vi state riferendo? Vedi, quando ho letto questa frase di Inglese:

    “Se uno scrittore come Paolo Nori scrive per “Libero”, e così facendo dimostra, alla fine, che non è uno scrittore “di sinistra”, o che non è un cittadino con una consapevolezza politica “di sinistra”, non per questo cessa di essere un valido scrittore”

    mi sono detto: qui c’è qualcosa che non quadra. Cosa faceva di Nori, prima di questa collaborazione a Libero, uno scrittore di sinistra? Da qui le mie precedenti considerazioni. Punto.

    sp

  51. Ricordo un fatto recente. Consolo non ha partecipato alla relizzazione di cd contenenti interventi in tivvu di Saviano, in quanto quest’ultimo, in un’intervista avrebbe osato dire:”come scrittore mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Junger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schimitt”. Molti altri esempi possono essere proposti per sostenere le tesi precedentemente esposte. Ecco, non riesco a comprendere la “contaddizione” tra il Consolo di Nottetempo e i suoi atteggiamenti (tanti) superficiali e anti-culturali, tra i quali anche quello sopra riportato.

  52. a gherardo e a sp (che ha messo tanta carne al fuoco – io focalizzo sulla cosa che ritengo più importante)

    la cosa che sottolineate voi e pure mauro baldrati è importante, ma per me si tratta di fare un passo avanti in termine di articolazione concettuale; a mio parere in Italia non si è mai fatto; per farlo, Orwell, da un lato, e Rancière dall’altro sono necessari.

    Provo a riassumere al massimo;

    1) esiste uno scrittore che, in quanto cittadino, fa politica (a destra o sinistra)

    2) esiste uno scrittore che fa un certa “politica della letteratura”;

    ora – una doverosa premessa – in un contesto del dibattito dove una parte della gente non legge quello che si scrive, se lo legge lo malintende, e va avanti per partizioni mono-blocco, questa articolazione è “sesso degli angeli”; in realtà è solo buon lavoro di concetto.

    Cos’è 1)? Lo scrittore che scende in piazza e manifesta a una manifestazione anti-razzista, partecipa alla stesura di un volantino o di un appello, è l’homo politicus che si schiera e lo fa in un gruppo, in un movimento, in un partito. Qui l’azione mira ad un obiettivo verificabile in termini strettamente politici. Ha funazionato la manifestazione? Il messaggio è arrivato? ecc.

    Cos’è 2)? E’ uno scrittore che sceglie una politica della scrittura, della figurazione, della sintassi, che può avere anche un valore politico nel senso inteso in 1), ma in modo indiretto, attraverso i tempi lunghi e non verificabili della ricezione, del mutamento di mentalità, ecc.

    So di essere troppo sintetico, ma lo dico davvero questa cosa necessiterebbe di essere chiarita in un saggio apposito. E non è detto che non lo faccia prima o poi.

    a alcor
    grazie per leggere oltre che i commenti, il post sotto cui essi sono scritti :)

  53. Grazie, Andrea Inglese. Leggendoti, pur nello sconforto, ogni volta ho un leggero, leggerissimo, sollievo (dura poco).

    Un passo tuo in particolare:

    “anche se non fosse di sinistra ma semplicemente consapevole del ruolo politico che ha questo centrodestra nel disfacimento delle istituzioni culturali”

    sintetizza bene quello che uno scrittore, sia pur moderato, sia pur non proprio di sinistra, sia pur non proprio impegnato politicamente, dovrebbe evitare di fare in tempi come questi… Pena: avere un comportamento da cinico-qualunquista che, tutt’altro che inconsapevole, sta – e fa il – al gioco del peggio: affar suo, naturalmente. Ciò non esclude che affar mio, come lettrice (e come semplice cittadina, come faceva notare “semplicemente” massimiliano manganelli), sia notarlo e appuntarmelo… Per gli anni a venire…

    Altro passo importante, di mauro baldrati:
    “Ieri sera ho letto sul manifesto un articolo interessante di Cortellessa, sempre su queste vicende, sull’egemonia della cultura di destra, che dopo il periodo del vampirismo della cultura di sinistra, ora è passata alla fase degli arruolamenti”.

    Ringraziamo, dunque, i contributi dei “nomi grossi” che hanno dato il LA ai giovani… (Giorgio Fontana: “lasciamo da parte i nomi grossi – nori, scarpa – e concentriamoci su chi magari non può permettersi di scegliere così agevolmente”: sì, ma qui il problema è che chi può scegliere sceglie male…).

    A Giorgio Fontana.
    Se uno vuole diventare un bravo giornalista e ha ventiquattro anni e vede che non gli resta che La Padania (per cominciare a far pratica: cioè per finire fin dall’inizio…), e magari ha gracile corporatura, secondo me può tentare con l’ippica, per dire.

    *

    Ah, OT: ieri, da qualche parte, su un annuncio di lavoro ho letto che cercavano badanti “con partita IVA”. Più “liberi” (di scegliere) di così… Che cosa si vuole?

  54. in un contesto del dibattito dove una parte della gente non legge quello che si scrive, se lo legge lo malintende, e va avanti per partizioni mono-blocco, questa articolazione è “sesso degli angeli”

    Quando uno che lavora con le parole non viene capito 90% è colpa dello scrivente e non del lettore … ad ogni modo anche tu fossi in quel raro 10% non è simpatico indossare sempre l’abito dell’abatino, a maggior ragione non simpatico quando si ha ragione ;-), lo trovo un modo di fare un po’ … beh diciamo teratomorfo?

  55. Credo che non sia necessario scomodare Orwell, che fra l’altro sto rileggendo in lingua madre, stilando complessi teoremi internazionali. L’Italia vive un’anomalia all’interno della cultura occidentale. Ed il suo regime non e’ propriamente fascista. In ogni caso, qui stiamo scrivendo di Nori e di Libero. Poco rappresentativi e probabilmente fuori da una tendenza piu’ generale.
    La storia e’ piu’ semplice. La collaborazione di Nori per Libero in alcun caso puo’ accreditare un giornale dai titoloni spesso triviali e dai contenuti discutibili, a solleticare i bassi istinti piu’ dei Leghisti che dei fascisti. Perche’ allora tanto clamore? Ma soprattutto… Perche’ Nori scrive su Libero? A questo punto saranno fatti suoi, suppongo…

  56. @ Inglese
    ma che importanza hanno le fonti, le eredità, i filoni di pensiero? Non è in base a ciò che hanno detto o fatto altri, in passati più o meno remoti, che si stabilisce cosa sia o meno “sinistra”. Sono gli atti concreti nel presente. E basta.

    DA CHE PARTE STAI? Questa è la domanda fondamentale.

    sp

  57. @ sp

    tu le conosci le risposte, non ti impantanare nei discorsi, non dimenticare l’origine, lo vedi da te quanto si vuole che o resti melmoso perché qualcuno ci sguazzi e articoli in un modo o che si voglia far bonifiche così la melma si articoli in modo altro ancora. Non si voglion mica far crollare i modi o le modalità sx/dx è sempre rimasticare con tutte le scuse possibili, altrimenti poi l’insieme di povera gente accampatavisi culturalmente dove lo sbarca il lunario ? (lunario anche concettuale).
    Hai letto Beckett quindi dovresti saper bene…ed a proposito lo conosci l’aneddoto di Beckett e le patate ?

  58. sp

    hanno importanze eccome, sono strumenti di lavoro… per sapere da che parte stai devi anche sapere dove vuoi andare

  59. Guardati dalle mezze verità.

    Che ve ne sia di intere da tempo dubito, risultati del microscopio a parte.
    Cioè di come gli ornament servano solo, appunto, ad ornare.

    Un saluto
    Mario Ardenti

  60. @ Robin
    quello delle patate no, però conosco quello dei ravanelli … Ogni tanto mi faccio prendere la mano dal “discorso”, lo ammetto; e se fosse solo un modo di precisare a se stessi “l’origine”?

    @ Inglese
    ti rispondo recuperando il commento di Dinosauro delle 13:08 … Se leggo l’intervista di Saviano dove cita, come punti di riferimento, Junger e Evola, e se mi fermassi a ciò, prenderei Gomorra e lo butterei dalla finestra, e se incontrassi l’autore per strada gli darei una sberla educativa. Se davvero l’acquisizione di alcune “fonti” corrispondesse a “dove andare”, ne ricaverei che Saviano mira a un sistema sociale basato sulla tradizione, fortemente conservatore, dove solo i migliori hanno diritto di esistere … No, preferisco stare sugli atti concreti. Fonti, eredità, filoni di pensiero sono solo parole, buone tutt’al più per petizioni di principio. Io ti giudico in base a quello che scrivi, non in base al tuo riferirti a Orwell …

    sp

  61. @ Gertrude Casalinga Per Forza (senza Italia).

    certo, è un problema che chi può scegliere, sceglie male: nessuno lo nega. ma è uno dei problemi, non IL solo problema.

    sull’esempio della “padania”: avrò fatto un esempio del cavolo? va bene, sarà un esempio del cavolo, per carità. ma invece di criticare l’esempio, perché non ci focalizziamo sulla realtà che nasconde?
    nessuno ha niente da dire sullo stato delle redazioni dei giornali (di qualunque partito), o sulle trafile da fame dei giovani giornalisti? sono il primo a credere nell’intransigenza dell’onestà intellettuale e dell’informazione (e del commento) corretti: e da questo punto non ho niente da ridire agli argomenti di andrea inglese. la coscienza è una e non si taglia a fette.

    semplicemente, non vorrei che ci si trovi più o meno d’accordo nel cielo del “si deve scrivere qui e non lì”, e poi (una volta finito di commentare qua) si chiuda gli occhi davanti alla terra dei fatti. che nella stragrande maggioranza dei casi non coinvolge affatto scrittori liberi di scegliere con tranquillità (leggi “potendo comunque svolgere serenamente il proprio lavoro”).

    in altri termini: è giusto giudicare, ma è anche giusto avere tutti gli elementi per formulare correttamente il giudizio.

  62. @ sp

    mica ti rimproveravo :)

    Andrea Inglese (il simulacro Andrea Inglese nella sua funzione qui) è un bugiardo, mente, (te) l’ho dimostrato fatti alla mano all’inizio e l’ho fatto ESCLUSIVAMENTE perché è importante ai fini etici, è nel thread, per questo l’ho messo bene in vista (ho preso spunto da Orwell che piace anche a me…) Sono sicuro che di persone così ne abbiamo incontrate tante, ecco prova a sentire acusticamente le parole che leggi qui, e di a te stesso, ma quando e dove le ho già sentite ? Son sicuro che qualcosa ti diranno. Ricordi il discorso su etica e qualità che ci siam fatti nel thead della Janeczek ? Quindi si ha di che valutare. Senza etica su cosucce che dovrebbero essere naturali figurati il resto. Le grandi parole, i grandi discorsi, vengono sempre da chi ha il cuore piccolo e come Baldrati ci può ricorare dal “Tempo ritrovato” Proust diceva che la grande arte si fa senza proclami, si cesella in silenzio. Politica e letteratura è una questione che ogni tanto salta fuori e l’invito all’impegno è sempre da parte di persone che nel migliore dei casi lo fanno per tornaconto personale, per figurare, e qui mi riferisco non solo ai presenti/assenti. Ricorda la polemica tra Breton contra Artaud/Bataille
    politico contra impolitico (per ultra sintetizzare). E parliamo di Breton che insomma era persona di un certo spessore, cioè fatti alla mano, opere alla mano, ci ha lasciato un paio di cosette importanti. Qui tutta sta gente che rilancia all’infinito note di un inferno personale paraideologico che cosa sta producendo in realtà ? Assolutamente niente, perché lo scopo ai diversi livelli, diverse politiche è il soldo (vedi tu come devi immaginarlo o declinarlo questo assoldare…). Come vedi nessuno si azzarda a difendere la qualità ma si difendono bacini, che poi sono bacini di utenza. Perché come tu sai un’opera d’arte degna di questo nome non ha bisogno di etichette o divise, appunto non fa la rivoluzione, non si mette li ad articolare concetti e foglietti, cesellata in silenzio, rivoluziona e basta.
    Ma passiamo alle patate di Beckett, un episodio che mi ha sempre colpito. Beckett non lasciò la Francia come sai durante la seconda guerra mondiale e aiutò la resistenza diventando, agli occhi del resto del mondo soprattutto del nemico, in un piccolo paesino di campagna, raccoglitore di patate. Di notte scriveva “Watt”. Beckett che non finge, ma raccoglie davvero patate, si uniforma al territorio, si sottrae più di quanto in precedenza. L’ho sempre trovato un aneddoto bellissimo…

  63. Quello che non riesco a capire, in un dibattito da sinistra sull’impegno politico-culturale dello scrittore o dell’intellettuale di sinistra, sono le vie d’uscita proposte nel collaborare a giornali o editorie presuntamente di sinistra che, leggendo interventi e post iniziale, si identificano, benché in modo non specificato o generico, in tutto ciò che non siano “Libero”, “il Giornale”, “Il Foglio” e il gruppo Mondadori-Einaudi. Dunque lo scrittore di sinistra si salverebbe l’anima collaborando a un qualsiasi media o editore che non sia compreso nella lista a priori dei “cattivi”. Ma siamo sicuri che dall’altra parte della barricata vi siano i “buoni”, o comunque i “neutri”?
    Le responsabilità politiche dei giornali o gruppi editoriali di “””sinistra”””, dall'”Unità” a “Repubblica”, credo siano evidenti, e sono, considerando le più recenti e più vistose, quelle di stare dalla parte della compagne politica che ha promosso la “guerra umanitaria” in Kosovo mettendosi sotto i piedi la Costituzione e facendo un grosso favore, sul piano geostrategico, agli Usa, impediti a partecipare in prima persona dal veto incrociato di Cina e Russia; di essere contrari, con ricaduta sempre geostrategica, alla joint-venture tra Eni-Gazprom (che farebbe fare un passo in avanti alla sovranità nazionale italiana) e favorevoli al progetto di gasdotto Nabucco voluto dagli Usa; di aver sostenuto governi che hanno svenduto, a partire dai governi Amato-Ciampi, quindi Prodi (vale per tutti il “caso” Sme, e non a caso c’entra il gruppo De Benedetti), il patrimonio di imprese pubbliche nzionali soprattutto a gruppi industriali anglo-statunitensi (le “privatizzazioni”); di essere favorevoli alle cosiddette “rivoluzioni colorate” in cui lo zampino Usa è oramai evidente; di essersi sostanzialmente schierati a favore della politica dei vari governi israeliani sui territori arabi occupati. Eccetera. A questo livello mi pare che, almeno sul piano politico-istituzionale, destra e sinistra siano divenute categorie manipolatorie valide a generare confusione ed equivoci, e inadatte a dar conto dell’attuale fase politico-economica. In realtà la posta in gioco in questi anni, di cui anche l’Italia è parte (o preda), è il futuro assetto mondiale, ossia il passaggio dal mondo unipolare dominato dalla superpotenza Usa al multipolarismo, in cui un ruolo di primo piano a livello geopolitico e geoeconomico lo giocheranno i nuovi paesi emegenti (Russia, Cina, India, Brasille, ma soprattutto i primi due). Messa la questione così, i vari gruppi editoriali, più che con destra o sinistra, hanno a che fare con le diverse configurazioni capitalistiche in lotta fra loro per conseguire la supremazia sul piano nazionale. Forse questo c’entra poco, almeno a livello contigente, con il dilemma se pubblicare su “Libero” o meno, ma la posizione dell’intellettuale di sinistra (non istituzionale) mi pare debba tenere conto anche di questo.

  64. robugliani, penso che il problema a breve termine sia non dare più legittimità culturale alla destra attraverso la collaborazione coi suoi giornali. non cedere su questo punto, ossia legittimare culturalmente la destra attraverso il semplice dialogo o confronto con loro. La loro è adesso una battaglia sulla cultura, che non avevano, che snobbavano, sul predominio di essa, dopo aver vinto quella politica. vogliono impossessarsi dell’ultimo residuo di resistenza. il loro discorso banalmente è se anche la parte migliore del paese, quella più sana, più intelligente, gli inellettuali, scrive con noi, ciò vuol dire che siamo nel giusto con ogni evidenza.

  65. @ mar asma

    è da stronzi :))

    il leale magnum… i pagamenti son compiti che ho affidato ad higgins, ma è momentaneamente indisposto :))

  66. @ sp

    Due precisazioni a proposito del tuo commento delle 10:38 di oggi.

    1) Scrivi: “Gramsci votò, insieme a Togliatti e Terracini, per allineare il Partito Comunista allo stalinismo (1926, contro Bordiga)”. Non è così semplice. Le divergenze di Gramsci da Bordiga datano almeno dal 1924 e il congresso di Lione ne fu l’espressione: le loro posizioni differivano su vari temi, tra cui la valutazione del fascismo, il ruolo dell’URSS, la politica delle alleanze tra operai e contadini. In particolare quest’ultimo era sempre stato un tema centrale per Gramsci, e la sua adesione, in quella fase, alla linea Stalin-Bucharin dev’essere valutata soprattutto da questo punto di vista. In sintesi, Gramsci era a favore della prosecuzione della NEP in Russia e contro le posizioni operaiste dell’opposizione trotskista. Ma questo non fa minimamente di lui uno stalinista, come è dimostrato fra l’altro (oltre che dai Quaderni del carcere) dalla lettera che Gramsci scrisse all’Esecutivo del PCUS nell’ottobre del 1926, in cui esortava all’unità il gruppo dirigente bolscevico e criticava l’eccessiva durezza della polemica contro le opposizioni;

    2) Scrivi: “Quando Bottai chiamò gli intellettuali a intervenire, con le armi della cultura, alla vita del paese, perché non chiamò Bordiga? (lo so, era al confino! estremizzo volutamente)” Estremizzando volutamente, hai scritto una cosa inesatta: Bordiga fu al confino a Ustica assieme a Gramsci fino al 1929, poi (diversamente da Gramsci) fu messo in libertà, e per tutti i quindici anni seguenti, da privato e libero cittadino, fece l’ingegnere a Napoli e non svolse nessuna attività politica di nessun tipo, né a favore né contro il regime fascista. Ci andrei piano ad additare Bordiga ad esempio di intellettuale “engagé”.

  67. Mi viene in mente un esempio. Non ho mai comperato IL GIORNALE (la cui linea editoriale mi repelle), ma leggo su internet i pezzi che Massimiliano Parente ivi pubblica il venerdì. Non sempre li condivido, ma spesso mi trovo d’accordo con le sue opinioni letterarie, anzi con una sua idea di letteratura, e quando Parente dice che un libro è un buon libro io in linea di massima tendo a fidarmi. Dovrei smettere di leggere gli articoli di Parente perché pubblica per IL GIORNALE? E’ lampante che la mia “collaborazione intellettuale” nei confronti de IL GIORNALE è circoscritta, anzi minima: io non compero e non leggo IL GIORNALE, io leggo su internet gli articoli di uno scrittore che scrive per IL GIORNALE. Però insomma, a questo punto un po’ IL GIORNALE lo leggo anch’io. Fin dove arriva dunque la censura aprioristica, la presa di posizione ideologica? Fino a quali modalità di fruizione e di collaborazione può spingersi? Questa domanda non è rivolta tanto (o soltanto) a Inglese, ma un po’ a tutto il can can del dopo-Nori-su-Libero. E poi ancora: se decidessi di non leggere più gli articoli di Parente e ne ricavassi un anche minimo impoverimento personale (perchè magari mi perdo la recensione d’un libro che, se avessi letto la recensione, avrei comperato e letto di gusto), il gioco varrebbe la candela? Oppure la mira va spostata un po’ più in là, un po’ più in alto, e va analizzato il momento storico della destra e della sinistra (che in Italia non esistono più, esiste un indistinto buio berlusconiano e di conseguenza un più contenuto ma anch’esso fitto buio anti-berlusconiano), e va stabilito un nuovo cosa, un nuovo come, un nuovo dove, un nuovo perché? Faccio un altro esempio: sto leggendo I CANTI DEL CAOS; Moresco, considerato quasi all’unanimità il più prestigioso scrittore italiano vivente, è “di destra” o “di sinistra”? Secondo me è…caos puro. L’opera principale del principale scrittore italiano odierno non ha un’impronta “di destra, né “di sinistra”. Mi si chiederà: che c’entra Moresco con la vicenda-Nori eccetera? Rispondo di nuovo: è alzando il tiro, è sollevandosi un po’ sulle punte che s’ottiene quella visione d’assieme di cui necessitiamo.

  68. @ Andrea Inglese

    hai la mia mail, te l’ha passata higgins, faresti una bella figura, con te stesso innnzitutto, se venissi a confrontarti davvero con me (per mail ed a voce) una volta tanto che incontri qualcuno che ti piglia davvero sul serio (a questo servono le critiche) e non cerca ne attenzione da te e ne ti lecca, è un’occasione… solo così vorrebbe dire che le tue scuse erano vere e non formalità, ed io le accetterei volentieri.

    @ sp

    leggi gide mi raccomando :)

    @ georgia

    non mangiare troppi tarallucci :) c’è una (foto bellissima sul tuo blog)

    madame e messeri

    il keynote sta per cominciare ed il mondo editoriale forse sta per essere rivoluzionato per davvero

    vi lascio alle favolette della buonanotte e vi saluto

    besitos

    RM

  69. robin masters

    ti ho lasciato insultarmi, perchè – almeno una volta – uno spazio terapeutico non si nega a nessuno

    io non ho nessuna intenzione di perdere tempo con te

    non solo, ma al prossimo insulto ti metto in moderazione sistematicamente

    l’unico favore che puoi farmi è scrivere il tuo nome e cognome, nel caso mi capitasse per caso d’incontarti nel mondo e sappia così come mi devo comportare con te

  70. rubugliani,

    leggi meglio il post – se ti interessa – e vedi cosa dico sulle “pagine culturali” dei quotidiani tout court; la mia via d’uscita è in parte la rete, ma solo in parte… ma io sono poco convertibile in merce culturale

  71. se uno come parente recensisce libri che piacciono anche a un lettore di sinistra allora il problema è più suo che mio.

    poi, per quanto possa essere uno stravagante, mica si mette a delirare su tutto o tutti…è in pratica il solito conformismo non-conforme della destra, scherza coi fanti ma lascia stare i santi.

  72. @ Salvatore Talia
    benissimo le precisazioni, però:

    • l’allineamento del PCd’I allo stalinismo fu cosa reale, al di là delle motivazioni di Gramsci;
    • Bordiga venne espulso dal PCd’I nel 1930 per aver difeso Trotsckij. Dopo la fine del periodo di confino, visse sotto il controllo costante della polizia fascista. Ci sono comunque le prove e le testimonianze del fatto che Bordiga strinse legami (clandestini) con diversi militanti della “sinistra comunista”, in Italia e fuori;
    • i miei esempi erano ovviamente riferiti al post di Inglese; ho citato lo “stalinismo” di Gramsci solo per metterlo a confronto con l’anti-stalinismo di Orwell; io, detto fuori dai denti, reputo Gramsci immensamente più importante di Orwell, sotto tutti i punti di vista.

    @ Robugliani
    Concordo su tutto. Il problema è proprio nel riuscire a individuare cosa si nasconde dietro le maschere, quella della “sinistra” compresa. Economia, Orazio, economia …

    @ Made in Caina
    la destra non ha bisogno della leggittimazione di uno sparuto drappello di intellettuali.

    @ Robin Masters
    Gide l’ho già ordinato; e ordinerò, appena possibile, l’iPad; ma tu, per favore, continua a rimproverarmi senza perderti in polemicucce con altri; c’è bisogno di sguardi capaci di poter discendere nell’abisso dell’ombra …

    sp

  73. @Robin
    beh, io pensavo all’ossessione che l’articolo esprime per le “posture”, pensavo a quanto poco mi interessa se la posa accuratamente delineata rappresenti o meno un’interpolazione corretta fra quei modelli più o meno fascinosi, e risulti quindi in grado di catturare una briciola del loro prestigio. Si rivendica allo Scrittore (ma di che cosa? farà ben differenza questo!) una preminenza a livello di idee: e dunque, nonostante la modestia d’obbligo, tutta operativa, pare che dovrebbero proprio essere i “comuni” cittadini a fornirgli spontaneamente un piedistallo.. mi ricorda un po’ il sognare del Maestro del Villaggio di Kafka. Cercavo faticosamente un’idea che sia una, fra tutte quelle ottime articolazioni concettuali che mirano a non so cosa, però non l’ho trovata, evidentemente mi mancano troppi presupposti. Pensavo poi che magari domani stesso qualche potentato finanziario decide il default per il debito italiano e la Cargo-Cult Economics di poeti e letterati improvvisamente si inabissa. Magari cercheremo di ricordare, intorno ai falò (di destra o di sinistra che siano): ma di cosa parlavamo in rete in quel momento? Bah, mi spiace, ma io non vedo proprio alcuna idea, ma soltanto degli estetismi adattativi, sopra schemi screditati.

  74. @ made in caina,
    per rimettere, da parte mia, la discussione sul piano cultural-contingente, faccio un esempio: Pasolini, Fortini e altri collaboravano al “Corriere della sera” sapendolo il giornale della “buona” borghesia milanese, del capitalismo illuminato o intelligente ecc., ma non si illudevano che fosse un quotidiano di sinistra, perché sempre capitalista, in sostanza, era.
    @ Inglese,
    il punto che ponevo era di natura politica nazionale e internazionale, non già di pagine culturali, che, tra l’altro, sono l’aspetto più contraddittorio rispetto alla linea politica ufficiale di un giornale. A mio modo di vedere, non credo, se si vuole fare un discorso complessivo sulla sensibilità politica di un intellettuale di sinistra, ci si possa fermare al giudizio sulle pagine culturali. Il giudizio politico deve essere complessivo, sul ruolo politico che quel quotidiano ricopre, suoi suoi riferimenti politici istituzionali, sui settori politico-economici che rappresenta. Insomma, se non mi appartiene la politica che fanno “Libero” ecc. nemmeno mi appartiene la poliitca di “Repubblica” o del gruppo RCS.

  75. @ sp,

    la destra non ha bisogno della leggittimazione di uno sparuto drappello di intellettuali.
    si……..? invece, ne avrebbero tanto bisogno.

  76. Giorgio Fontana, quello che intendevo dire è che c’è un limite a tutto…
    Nell’esempio da te riportato, piuttosto si cambia lavoro, e ciò se – e proprio perché – ci si tiene a quel lavoro.
    Comunque puoi chiamarmi semplicemente Gertrude, il doppio cognome non importa. :-)

  77. caro sp, gramsci NON fu mai stalinista.
    la lettera inviata a togliatti nel 1926, non fu mai recapitata a stalin per non creare complicazioni, anzi fu recapitata in seguito a gramsci in carcere una lettera di grieco dalla russia nella quale si diceva aesplicitamente che gramsci era il segretario del pcd’i (cosa fino ad allora segreta) cosa che costò a gramsci (a differenza di bordiga) il carcere a vita invece del confino … gramsci si arrovellò tutta la vita sul perchè di quella lettera che il giudice del tribunale speciale mostrandogliela disse: lei ha amici che le vogliono male.
    Accusare gramsci di stalinismo è una boiata colossale, certo bordiga capì prima il pericolo di stalin, ma anche gramsci lo capì ben presto … ad ogni modo bordiga e gramsci rimasero sempre amici e lo si vede sia dalle lettere dal carcere (le prime dal confino) che dalle lettere di bordiga. Lettere di gramsci che, non a caso, furono tagliate dalla prima edizione.

  78. @ Georgia
    ti prego, rileggi cosa ho scritto; magari potresti cogliere, dietro le “virgolette”, un qualcosa di diverso dall’accusa di stalinismo a Gramsci. Ho scritto che “VOTÒ PER ALLINEARE IL PARTITO COMUNISTA ALLO STALINISMO”. Punto. E questo è un fatto che nessuno può smentire. Ma usavo l’esempio per dire altro.

    sp

  79. “VOTÒ PER ALLINEARE IL PARTITO COMUNISTA ALLO STALINISMO

    Beh allora spiegamela un po meglio perchè così, virgolette o non virgolette, vuol dire tutto e nulla
    geo

  80. se dovessi tirare, ad oggi, le somme di questo thread – a parte alcune eccezioni – ce ne sarebbe abbastanza per diventare collaboratore a vita della “Padania”, ma non per ragioni economiche né politiche, ma “esistenziali”.

    Voglio comunque sottolineare una cosa.
    Nella discussione su industria culturale – scrittori di sinistra su giornali di destra, qualcuno ha storto il naso dicendo, sì vabbé Nori…, che tristezza, ma le responsabilità dei giornali di sinsitra? E qui ovviamente c’è stato molto “silenzio stampa”.

    Se si volesse parlare di questo, si dovrebbe partire da quello che io chiamo qui “principio di convertibilità”, ricordando che, oggi, un buono scrittore dovrebbe essere nemico delle pagine culturali tout court…

    Qualcuno ha tentato di sviluppare questa riflessione, anche qui. Ma il mercato è tabù anche tra i letterati ovviamente, che non aspirano che a passare le chiuse della convertibilità, per poter mettere la loro scritture nella grande circolazione. Cosa per altro comprensibile. Ma quali meccanismi impone la chiusa, il dovere di passaggio, la convertibilità? gran silenzio.

    Come è passata sotto silenzio, in quanto ormai acquisita e sacrosanta, la sparizione della poesia dalle pagine culturali. Su questo non faccio certo un discorso corporativista. Ho abbandonato da tempo le lagnanze del poeta posto ai margini del mercato. Questa condizione ha degli indubbi vantaggi: non bisogna essere popolari. Questo dà (si spera) qualche chance, non dovendo dire quello che dicono gli altri e fare quello che fanno gli altri. E però…

    E però non considererò sul serio nessuno che biasima l’industria culturale, addita il generale malcostume delle pagine culturali tanto a destra quanto a sinistra, se non prenderà atto di questa ipocrisia: la scrittura poetica espulsa dal corpo pubblicizzabile della letteratura, in quanto non convertibile.

  81. Certo, Andrea, infatti la poesia, oggi, nonostante sia fuori dal mercato, non fa altro che inseguire il linguaggio del mercato.

    Non sara’ necessario poi scrivere sulla Padania fino a quando ci saranno le pagine culturali di Libero o del Giornale.

  82. La “chiusa” è il mercato: fornire qualcosa che possa interessare sufficientemente agli altri “così come sono”, non come dovrebbero essere se (ri-)educati secondo le convinzioni dell’autore.

  83. andrea, mi sento chiamato in causa e ti dico: per quanto mi riguarda non “ho storto il naso”. ho semplicemente cercato di elaborare il problema.

    vedo che l’esempio della “padania” è stata una vera croce. non so più cosa dire. mi sembra solo che sia stata presa di mira tutta la lettera di quanto volevo dire e non lo spirito.

  84. @ sp

    scusa se insisto, ma l’affermazione che Gramsci votò per allineare il PCd’I allo stalinismo continua a sembrarmi quantomeno imropria. Forse non c’intendiamo sulla definizione di stalinismo: per me stalinismo non è tanto questa o quella particolare posizione politica (del resto la direzione di Stalin fu caratterizzata dalle giravolte più spericolate, sia in politica interna che in politica estera), bensì un metodo caratterizzato dalla prona obbedienza al Capo, dall’impiego spregiudicato e sistematico della violenza e della calunnia contro oppositori e dissenzienti e dalla rinuncia a qualsiasi pretesa d’indipendenza di giudizio o di onestà intellettuale. Ora non mi sembra, in nessun modo, che l’operato politico e teorico di Gramsci possa essere ricondotto entro questi parametri. (Da questo punto di vista gli intellettuali “organici” del centro-destra, i Feltri, i Ferrara, i Belpietro ecc. mi sembrano i veri stalinisti di oggidì e non a caso alcuni di loro provengono proprio da quella scuola).

  85. ovviamente elio c non cogli il punto; qui non si sta dicendo che la (mia) poesia dovrebbe avere più lettori, si sta dicendo che le pagine culturali dovrebbero parlare di poesia (quella ritenuta importante) anche se avesse solo 500 lettori; facendo un compromesso tra le pure esigenze del mercato e le pure esigenze della letteratura. Ma ovviamente per le legioni di sinistra, ancor prima di quelle di destra, questo compromesso è IMPOSSIBILE, anzi IMMORALE. Anche perché l’unica morale che si conosce è appunto quella del mercato: che decide non chi vende tanto e chi vende poco, ma chi è buono e chi è cattivo.

  86. a giorgio fontana,

    no, no, giorgio non pensavo per nulla a te; anche se non ero del tutto d’accordo con il tuo esempio; il problema da te toccato è giusto. Qui la Pdania c’è entrata solo come orizzonte del (momentaneo) sconforto.

  87. @ Salvatore Talia
    mettiamola così: le Tesi presentate da Gramsci (e Togliatti) a Lione rispondevano in qualche modo alle esigenze del PC russo di concentrarsi sull’alleanza con i centristi e di sostegno alla NEP e all’idea di “socialismo in un solo paese”. Per fare questo andava messo in minoranza il gruppo di Bordiga, sino ad allora maggioritario. Bordiga criticava proprio la “bolscevizzazione” del partito e dell’Internazionale, accusando gli estensori delle Tesi di voler sottomettere l’esperienza particolare italiana al “partito russo” staliniano. Ho dunque usato il termine “stalinismo” in questo senso: allineamento del PCd’I alle istanze del PC russo. Cosa che accadde puntualmente, anche al di là delle intenzionalità di Gramsci (certamente non “staliniste” nel senso da te indicato). Fortuna di Bordiga e degli altri militanti, mentre in Russia gli oppositori di sinistra venivano fucilati, loro furono solo espulsi e isolati. Ma siamo del tutto OT.

    sp

  88. […] si sta dicendo che le pagine culturali dovrebbero parlare di poesia (quella ritenuta importante) anche se avesse solo 500 lettori; facendo un compromesso tra le pure esigenze del mercato e le pure esigenze della letteratura.

    Certo, e chi sarebbe a stabilire le pure esigenze della letteratura? Ma soprattutto, quali dovrebbero essere? Credo comunque che 500 persone non abbiano nessuna copertura mediatica. Qualunque cosa facciano o qualunque cosa stimino importante.

    Chiuderei con una sana risata. Che non vuole essere niente altro. Solo una semplice e sana, istintiva, risata. Un saluto a tutti.

    :- )))))))))))))

  89. ama

    “Certo, e chi sarebbe a stabilire le pure esigenze della letteratura?”

    innanzitutto chi la fa, gli scrittori, e chi se ne occupa abitualmente, i critici.

    “Credo comunque che 500 persone non abbiano nessuna copertura mediatica. Qualunque cosa facciano o qualunque cosa stimino importante.”

    beh ti ringrazio AMA di aver espresso in modo sintetico il pensiero unico del principio quantitativo di visibilità mediatica. Ma il tuo cinismo è largamente condiviso. Sei in ottima compagnia.

  90. Certo, perche’ oggi gli scrittori hanno esigenze comuni. Pure. Come i critici del resto. La principale di queste esigenze comuni resta la visibilita’ mediatica. Peccato che questa visibilita’ mediatica la si ottenga solo dopo aver superato una certa soglia.

    Trovo inoltre che un vero scrittore o poeta non dovrebbe sbattersi piu’ di tanto per accreditarsi verso una comunita’ di 500 persone.

    Comunque buon lavoro. E sia chiaro, apprezzo le intenzioni di Andrea Inglese. E quello che scrive su NI.

  91. Andrea Inglese, ah, io però distinguerei (cinicamente) un cinismo di primo tipo (di colui che nemmeno pubblica!) da un cinismo di secondo tipo (di colui che pubblica, che così titolerei: “Dal manifesto a Libero: ‘ndo cojo cojo”).

  92. Semplicemente, a me risulta che in altri paesi – tipo Germania – dove la poesia NON viene quasi più pubblicata nemmeno dai grandi editori di qualità, se ne parla ancora sulle pagine culturali dei quotidiani. E credo che anche in Francia sia così.

  93. “Semplicemente, a me risulta che in altri paesi – tipo Germania – dove la poesia NON viene quasi più pubblicata nemmeno dai grandi editori di qualità, se ne parla ancora sulle pagine culturali dei quotidiani. E credo che anche in Francia sia così.”

    Si’, ma sulle pagine culturali di quali quotidiani? E soprattutto perche’ in quei paesi se ne parla ancora? Altrimenti scritto cosi’ non significa niente!

  94. Per tornare a “bomba”. Nel post si dice che Jacques Roubaud abbia affermato che “la poesia è sparita dai giornali perché priva di valore commerciale”. Ora, non so come Roubaud abbia articolato tale affermazione, ma così detta la trovo inesatta. Cioè, la poesia HA valore commerciale, come ogni altra merce che si produce per vendere sul mercato, compreso il suo “lato mistico” con “tutte le sue sottigliezze metafisiche e sfumature teologiche” (Marx). Semmai i libri di poesia sono poco commerciabili,ossia non offrono all’editore quel margine di profitto e di redditività che assicura un romanzo di Stephen King. I libri di poesia non hanno un (grande) pubblico, per cui anche le pagine culturali dei giornali li prendono poco in considerazione. Ma non li escludono, perché recensire, che so, un Zanzotto è considerato ancora un fiore all’occhiello per i quotidiani. Ma prima ancora che i giornali, il problema sono le case editrici che hanno tagliato dalla loro produzione i “rami secchi”, cioè le collane di poesia. E ciò nel silenzio generale, in primis degli stessi intellettuali (non poeti, naturalmente). Se in nome del profitto le case editrici hanno potuto farlo, uno Stato vero (e non l’accozzaglia di lobbies, interessi privati e vassallaggio allo straniero che è) dovrebbe intervenire, dato che non mirerebbe al profitto ma sarebbe un’operazione di prestigio culturale ( della serie: non ci sono solo gli incentivi alle rottamazioni per l’industria automobilistica e i ponti sullo stretto). E invece risulta, tanto per fermarci all’attualità, che un poeta importante (non tra i maggiori, ma d’un pedigree letterario-culturale di tutto rispetto) come, poniamo Leonetti, è costretto a pubblicare (non da oggi) con Manni, con azzeramento (o quasi) della visibilità, perché così vuole la “politica culturale” cialtrona della Repubblica. Per cui i giornali mi paiono l’anello finale della débacle, e le loro colpe sono conseguenza di altre, politiche e culturali, e del silenzio del ceto intellettuale che conta, quello di “potere”.
    Quanto poi al fatto che lo scrittore (di sinistra) si trovi a casa del nemico nelle pagine culturali dei giornali, mi pare che a casa del nemico ci si trovi nelle pagine politiche di quegli stessi giornali, sinistri o destri, almeno in primo luogo. I Pasolini e i Fortini che collaboravano alle pagine culturali del “Corriere”, credo si sentissero in casa nemica a livello politico. Resta aperta, ma non mi pare questa la sede per affrontarla, la questione su chi sia lo scrittore di sinistra e cosa faccia per essere tale.

  95. @ sp: hai ragione, siamo un po’ off topic, e probabilmente stiamo abusando dell’ospitalità di Andrea Inglese. Però si parla di responsabilità dello scrittore e si fanno (giustamente) paragoni basati sull’esperienza storica del ‘900 e delle sue dittature: e allora forse diventa utile chiarire cosa intendiamo quando usiamo termini come fascismo o stalinismo. Nei vari dibattiti on line sul caso Nori non sempre vedo questa chiarezza. Comunque OK, chiudiamola qui :-)

  96. sono in gran parte d’accordo con quanto dici qui sopra, robugliani; e ricordo che in Francia, anche se la poesia è rarefatta sulle pagine culturali più o meno come in Italia, lì esistono sovvenzioni per la traduzione, le pubblicazioni, borse per autori, ecc. insomma lo stato investe, laddove il mercato si ritira…

  97. Un intellettuale di destra mai dovrebbe sentirsi rappresentato da Libero. Un intellettuale di sinistra mai dovrebbe ritenere Libero un giornale di destra.

    Mi sembra una forzatura scomodare Pasolini che scriveva sul Corriere per storicizzare Nori che scrive su Libero.

    In Italia non si sovvenziona quasi piu’ nulla. Non si capisce perche’ bisognerebbe cominciare a sovvenzionare la poesia.
    Credo piu’ realisticamente che i poeti continueranno a torturarsi nel tentativo di acquisire una qualche forma di riconoscimento. E soprattutto quando, dopo anni di macerazione, saranno riusciti ad entrare nel Circolo dei Cinquecento, dovranno frenare le loro ambizioni.

  98. Su Leonetti che pubblica per Manni che dire? Credo che le edizioni Manni siano state ostracizzate in ogni modo, nonostante la casa pubblichi da piu’ di vent’anni. Vittima Manni come Leonetti del Circolo dei Cinquecento? Puo’ darsi!

  99. Tutti i quotidiani cosidetti seri, Alessandro. Con spazi non enormi, ma pur sempre esistenti, che possono anche allargarsi se la raccolta di tizio ai critici sembra una pubblicazione importante.
    La questione è: esistono ancora i critici. Articoli lunghi. Distinzione dei medesimi dagli scrittori. Non è solo una cosa positiva perché ovviamente porta con sé uno spirito di casta. Ma la critica letteraria sui giornali gode di una sua credibilità e autorevolezza, comunque. E riescono talvolta a imporre un autore anche se non vende. Poeta o no. Che poi, tra l’altro, prima o poi comincia pure a vendere a furia di essere consacrato. Ti cito due esempi abbastanza plateali: Durs Gruenbein e Herta Mueller.
    A questo dovrebbe conseguire un abbozzo di analisi del perché di questa differenza, ma non ho – adesso – il tempo per farlo. Ci torno però, appena riesco.

  100. @ inglese,
    forse la differenza tra la politica culturale dello stato francese e quella (ammesso che esista) dello stato italiano è data dalla loro reciproca diversità storica. Malgrado oggi, col fatto che sono nella UE, tutti gli stati si credono uguali, mentre ce ne sono alcuni più uguali degli altri, lo Stato francese ha una “anzianità”, una tradizione e una autorevolezza (nel bene e nel male, anche da puzza al naso, visto che ha avuto un Impero e all’altezza di quella “memoria” cerca di comportarsi ancor oggi, e in questo senso Sarkozy è stata una variabile non prevista…) che lo Stato italiano non ha. Noi siamo stati nei “particolarismi” e nei campanilismi fino a ieri, siamo un paese di tradizioni, anche culturali, decentrate, quel che succede a Roma non succede né guida ciò che succede nelle altre città, non siamo uno Stato forte né sovrano o quantomeno con un forte senso di dignità (anche se a livello culturale ne abbiamo di dignità da vendere, ma alla nostra politica abituata al vassallaggio la cultura importa poco) , e anche questo aspetto socio-politico forse ha conseguenze e riflessi su quello culturale.

  101. @ ama,
    non credo che la casa editrice manni sia stata ostracizzata più di tanto. ha ed ha avuto consiglieri e direttori di collane di livello, da fortini a luperini, ottimi rapporti con scrittori e critici importanti, da sanguineti a volponi a consolo alla corti, buoni(ssimi) rapporti con la regione, poi oggi piero (manni) è anche consigliere regionale in quota vendola. semmai snobbata da alcune consorterie e salotti di scrittori l’un contro l’altro armati o l’un con l’altro indifferenti, ma di ciò l’italia è strapiena, ed è questione quotidiana, fa parte del “gioco”

  102. @ helena,
    anche la questione dei critici ha un peso rilevante, assieme alla militanza politica non istituzionale è sparita, già da tempo, quella che si diceva “critica militante”, i critici dei quotidiani sono “commissionati”, cioè gli si chiedono pezzi su commissione, ciascuno nella babele si fa strada come può, e di fronte a questo cambiamento epocale (sfascio?) la balbettante, dispersa, nebulosa critica culturale e letteraria dei blog non riesce (non può?) a prendere il posto di quella militante, anche perché i tempi son cambiati e non si tratta soltanto di sostituzione, ma di creare una struttura di critica culturale e letteraria alternativa

  103. Oh bella questa, dovrebbe intervenire lo Stato per ragioni di prestigio! Eh già, commissariare le terze pagine, togliendole al controllo degli affaristi ed immettendovi dei contenuti superiori, stabiliti da una commissione di critici-letterati amici .. ne immagino già bene l’opera ed i nomi! Ritorna la cara immagine delle “macchine per l’ottundimento delle menti” che non vanno mica smascherate e rese inutilizzabili, no! vanno conquistate integre, per poi adoperarle con un diverso munizionamento, con colpi questa volta benefici, salutari, emancipanti! Ma scusate, e come si selezionerebbe una tale commissione? Con un sondaggio in rete? Aperto a chi abbia almeno lo status di redattore per un minimo di 2 anni e 3 interventi al mese su di un blog collettivo con almeno 500 visite al giorno, e certificato da un ulteriore comitato preposto alla scrematura? Per la poesia, la rete dovrebbe già costituire un Eden: visibilità, criticabilità, movimento d’idee. Però se la sua comunità non riesce – come mi sembra – a formare una gerarchia di valori condivisi che possa orgogliosamente porsi come alternativa, quale miracolo ci si aspetta dall’apparire in terza pagina? Io penso che se non “prende” su video non prende neppure sulla migliore carta.

  104. Elio, mi sembra che tu in qualche modo ti aggiri in una dicotomia tipicamente italiana che tra l’altro ha favorito l’attuale situazione politico-culturale. In altri paesi europei con una più forte cultura dello Stato e delle istituzioni, queste a vario livello (anche quello localissimo) contribuiscono a tutelare la cultura soprattutto nelle sue espressioni sottratte al mercato di massa. Con esiti, come dicevo, non privi di ambivalenze, ma senza che per questo si cada nelle logiche del pappa e ciccia, degli amichetti che favoriscono gli amichetti, cui tu alludi. Possono permettersi certo preferenze, orientamenti, ma non la gestione feudale di qualunque spazio a disposizione come è comunque tipico per l’Italia. Perché ci sarebbe il comune x, l’ente y, tizio o caio e anche gli stessi colleghi che gliene chiederebbero conto.
    E’ Italia che è anomala. Solo in Italia il libero mercato pare a molti l’unico modo per avvicinarsi all’obiettivo – in ogni campo, in tutti i sensi – che vinca il migliore. Con il risultato che spesso – invece- ci siamo trovati invece con il peggio del liberismo unito al peggio dello statalismo.
    Ovviamente nemmeno in Germania lo Stato si sogna di influenzare le pagine culturali. Si creano semplicemente dei bilanciamenti del meccanismo per il quale conta solo il giudizio del mercato. E – per me- sono utili soprattutto formando una dialettica di contrappesi (mercato vs. critici/istituzioni culturali: dove vs non sta per antitesi, ma interazione).
    Invece in Italia la situazione è grosso modo questa: da un lato il mercato che davvero è qualche volta in grado di rispecchiare le regole del liberismo anche in senso positivo (viene premiato ciò che ha la forza di imporrsi di per sé, anche senza “santi in paradiso”), dall’altro le baronie, le consorterie, i feudi.
    Meno un prodotto culturale è merce appettibile, più i suoi meccanismi di selezione rientrano qui da noi nel secondo gruppo.
    Le pagine culturali dei nostri quotidiani maggiori temo siano un misto di questo è quello. Da un lato, assecondano gli uffici stampa che sono tenuti a spingere su dato titolo (e questo succede anche altrove), dall’altro lo spazio rimanente che non è poco è messo a disposizione dei feudatari che ci scrivono per grazia ricevuta e che possono scrivere di ciò che gli pare, inclusi scambi di favori o semplici e “innocenti” idiosincrasie di cui nessuno gli chiederà di rendere conto.

  105. Era più o meno questo – credo- che volevo dire pure a AMA e Robugliani.
    Riprendo un attimo una cosa detta nello thread precedente: esiste il mercato e l’ideologia del Mercato. Il primo è uno spazio anche imprevedibile, complesso, che a volte riesce a far filtrare anche espressioni che non sembrano destinate a ottenere grandi successi, che non corrispondono a nessuno schema precostiutito di prodotto che possa funzionare. Se la mia memoria non mi inganna, nessuno dei grandi successi librai sono stati costruiti a tavolino, nessuno prometteva di diventare ciò che è diventato. E’ solo dopo che si crea il filone. Per questo, avere a che fare con il mercato “reale” dei prodotti di cultura è un’azzardo in cui vale una buona dose di intuizione.
    L’ideologia del Mercato è invece quella che asseconda solo quello che è già prevedibile e previsto, quella che è più realista del re, quella per cui il mondo si divide a prescindere in vincitori e perdenti, senza voler ammettere il pensiero destabilizzante che gli sfigati di oggi possano diventare i vincenti di domani. Questo anche perché semplicemente producono qualità. Il libro di Herta Mueller pubblicato da Keller ha venduto a oggi più ca. 60.000 copie, mi dicono. Si tratta di un’autrice che nemmeno in Germania ha mai venduto (pur essendo stata pubblicata da un’ottima casa editrice), ma il consenso critico-istituzionale ha fatto, per esempio, in modo che fosse pubblicata bene anche in Svezia, cosa che apparentemente conta sulla percezione dell’Accademia. Ora, le decisioni, del Nobel sono senz’altro sotto molti aspetti opinabili, ma in questo discorso non è questo il punto. Penso che semplicemente sia auspicabile – visto che nessun libro misura il suo valore su quanto vende, né in un senso né nell’altro – che ci sia la maggiore possibile interazioni di forze che rendano sia il mercato, sia l’insieme del “sistema culturale”capace di rinnovarsi. L’ideologia che premia, anzi riconosce solo ciò che già esiste, secondo certi criteri, non crea nessun impulso. Anzi rischia di trasmettere una noia che rasenta l’entropia

  106. @ Helena
    Condivido ovviamente i tuoi ultimi commenti. E spero che in futuro tu possa dedicare alla questione uno dei tuoi post. Un saluto.

  107. nessuno dei grandi successi librai sono stati costruiti a tavolino, nessuno prometteva di diventare ciò che è diventato. E’ solo dopo che si crea il filone

    Verissimo e direi anche del tutto normale :-) altrimenti …

    L’ideologia che premia, anzi riconosce solo ciò che già esiste, secondo certi criteri, non crea nessun impulso. Anzi rischia di trasmettere una noia che rasenta l’entropia

    e infatti in italia, a parte qualche eccezione che conferma la regola, è una noia mortale :-)

  108. @ elio,
    credo di essere meno stalinista di quanto tu possa pensare, forse mi sono spiegato male, ma l’intervento che auspicavo da parte dello stato non c’entra con le pagine culturali dei giornali, però mi pare degno d’un paese che vanta una tradizione e una ricchezza artistico-culturale di prim’ordine, superiore a molte altre, che lo stato non si fermi solo alla contribuzione per la rottamazione degli autoveicoli, ma intervenga economicamente verso gli editori favorendo, oppure creando in proprio, collane di letteratura (soprattutto poesia) di qualità. Lo stesso dicasi per iniziative sul teatro, la musica, ecc. Si verrebbero a creare, così facendo, nuove conventicole, lobbies, confraternite e quant’altro? Forse, se si lascia in mano la gestione alla politica. Ma non invece attuando controlli e trasparenza, anche dal basso. Del resto, viviamo in una democrazia il cui pilastro è la delega, tutti la accettiamo in ogni momento della nostra vita sociale, dalle elezioni alla gestione delle catastrofi ambientali, e solo in campo culturale la si porrebbe invece radicalmente in questione?

  109. @ helena e helena,
    mi pare, piccola aggiunta in tema di mercato, che si debba distinguere tra l’esistenza di un complesso (o solo complicato) sistema di vendite-consumi di merci e scambi commerciali sempre più esteso e solidificato in epoca capitalistica, ossia il mercato reale, e la bufala immaginaria del libero mercato che si autoregolerebbe, e che si vede periodicamente andare a gambe all’aria a ogni crisi economica, momento in cui banche e industria invocano o accettano l’intervento statale, che diviene di colpo benedetto. Passata la crisi, l’intervento statale ritorna maledetto, e banche e industrie riattaccano la solfa della “libera concorrenza” mentre fanno di tutto, giochi sporchi compresi, per raggiungere posizioni monopolistiche. Non so se tutto ciò è ideologia, io lo definirei ipocrisia e cattiva coscienza.

  110. @Helena e robugliani: non sono certo in disaccordo con tutto quanto affermate – anche se non prenderei proprio le banche e le corporations quali campioni del “libero mercato”, ma semmai di un mercato falsato, con l’ovvia complicità dello Stato. Però mi rimane forte la sensazione di “conti” che non tornano, la percezione di una disarmonia di fondo, di camuffamenti alla buona, non lo so.. mi sembra un’impresa disperata conciliare la spontaneità, la nudità, la radicalità priva di compromessi che dovrebbe caratterizzare la poesia, con la scaltrezza, il calcolo fra sodali, l’inganno deliberato che sono invece presupposti dalla conquista di particelle di Stato, cioè di “leve del potere”, per quanto microscopiche. E mi sembra un’incongruenza del tutto parallela, forse omologa, alla commistione fra una dimensione estetica che è chiaramente opzionale ed elettiva, in quanto legata a stili di vita, incontri, accidenti, innamoramenti eccetera, ed una componente “concettuale” verso la quale esiste invece una sorta di “costrizione etica” legata all’onestà intellettuale: se un ragionamento, stabiliti dei presupposti condivisi, “non fa una grinza” allora sono in qualche modo “obbligato” a tenerne conto, se voglio rimanere nella comunità dei pensanti. Così, io scorgo una ipocrisia implicita nella strategia che vorrebbe ottenere la forza costrittiva della seconda (che si paga in fatica, lentezza, accuratezza, apertura al rischio di una critica non addomesticata dall’apparteneza) attraverso i mezzi affabulanti e rapidamente elettrizzanti della prima, ma forse si tratta della stessa ipocrisia che deve esercitare qualsiasi élite che voglia prendersi la tutela delle masse (o di una “parte buona” in esse individuata) lanciando loro slogan e modelli estetici di appartenenza, piuttosto che favorire una (forse socialmente paralizzante) autonomia di giudizio.

  111. E comunque che lo Stato Italiano non sovvenzioni le baronie, le consorterie, i feudi. Davvero non se ne sente il bisogno. Se la cavino da soli.

  112. Scusate l’assenza, ma sono stata LONTANA da ogni connessione.
    Rispondo brevemente e poi mi trasferisco su (thread Giglioli).
    Il mercato è qualcosa di complicato e contradditorio: coesiste la spinta alla diversicazione delle offerte dove si gioca la parte per cui è stato definito libero con quella opposta verso l’omologazione e il monopolio. Semplifico ovviamente. Per questo la storia dell’autoregolamentazione ovviamente è – nella migliore delle ipotesi – una pia illusione.
    Elio, forse non ci siamo capiti: non credo che si stesse pensando (almeno per me è così) a un ruolo di potere all’interno dello Stato, tipo Commissario alla Cultura, (anche ministro), ma alla possibilità che degli organi in qualche modo istituzionali aiutino a sostenere le forme e/o espressioni d’arte meno appetibili per il mercato. Questo, soprattutto in un paese come il nostro, spesso non da’ garanzie di cose fatte bene e ci sono certi ambiti – per quel che ne so e ammetto di saperne troppo poco- dove la distribuzione delle sovvenzioni produce esiti assai opinabili: il teatro, anche il cinema. Eppure credo che non sia da contestare la prassi in sé, quanto piuttosto in modo puntale la gestione.
    Persino da noi ci sono esempi dove invece il coinvolgimento di finanziamenti pubblici sembra funzionare bene. Penso, per esempio, a Pordenonelegge che è sovvenzionato – se non mi sbaglio – si dalla Camera di Commercio che dalla Regione Autonoma. Li hanno incaricato un gruppo di persone, fra le quali anche scrittori e poeti, a mettere su una cosa che concili incontri di richiamo a un pubblico vasto con altri molto più di nicchia (poesia, saggistica “tosta”, autori stranieri semisconosciuti). E dato che quegli organizzatori non hanno mai pensato di invitare e dunque foraggiare a spese altrui solo i propri amici e amichetti, il festival ha preso piede ed è cresciuto sempre di più di anno in anno.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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