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carta st[r]ampa[la]ta n.16

di Fabrizio Tonello

Travolti dalla crisi greca, due settimane fa abbiamo dovuto rinviare alcune benevole considerazioni sulla lungimiranza e la capacità di analisi dimostrate dai quotidiani italiani nel riferire delle elezioni inglesi, cominciando dal Corriere della sera.

Si avvicina il giorno delle elezioni e il Corriere del 6 maggio manda Michele Farina a realizzare un reportage da Hampstead intitolato: “Vacilla anche il regno di «Glenda la rossa»”. Il riferimento è alla celebre attrice Glenda Jackson, dal 1992 deputato laburista. L’incipit dell’articolo è in presa diretta, come nelle migliori tradizioni dei cronisti montanelliani: “«Votavo laburista. Ma vincevano i conservatori. Poi è arrivata Glenda, con i suoi due Oscar, la famiglia operaia…». Nancy Kumalo, 60 anni, infermiera dello Zimbabwe, guarda la dimessa vetrina della sezione Labour su Kilburn High Road…”.

Infermiera dello Zimbabwe? Se erano gli africani senza diritto di voto a sostenere i laburisti, per forza vincevano i conservatori. O forse Nancy originariamente veniva dallo Zimbabwe e poi è diventata cittadina inglese?

Quisquilie. Pinzillacchere. Ciò che importa è l’analisi politica che l’inchiesta sul luogo comunica al lettore: si vede che si tratta di un pezzo scritto come si faceva una volta, consumando le suole delle scarpe per vedere la realtà con gli occhi del cronista. Adesso, scrive Farina, è Glenda Jackson “secondo i sondaggi e le puntate dei bookmaker dal William Hill all’ angolo, ad arrancare al terzo posto. Con il suo cappottino rosso e la faccia tirata, incarna l’ incubo lab: scalare terzi, sorpassati pure dai LibDem”.

Il “cappottino rosso e la faccia tirata…” il concetto è chiaro: Glenda si prepara a darsi al giardinaggio. Risultati della circoscrizione di Hampstead e Kilburn, 24 ore dopo? Prima Glenda Jackson, secondo il candidato conservatore, terzi i LibDem, in calo del 6% rispetto alle elezioni precedenti.

Farina può giustificarsi sostenendo di essere in buona compagnia: non solo i quotidiani italiani ma perfino il rispettato Le Monde ha talvolta ceduto alla tentazione di pubblicare stravaganti previsioni sul voto inglese. Per restare da noi, il Giornale spiegava (15 aprile, p. 17) che “Gordon Brown festeggia l’inarrestabile rimonta”. L’inarrestabile si è poi arrestata, ma questi sono incidenti che capitano.

Sempre lo stesso quotidiano ricorreva poi a un collaboratore presumibilmente britannico, William Ward, per illustrare ai suoi lettori il funzionamento del sistema politico della Gran Bretagna: “La Camera Alta (…) non detiene il potere esecutivo della Camera dei Comuni” (20 aprile, p. 15). Il potere esecutivo… mi precipito in cantina per estrarre dal baule una copia ingiallita di Montesquieu e faccio un rapido ripasso su ciò che l’illustre teorico francese diceva sulla separazione dei poteri oltre Manica. A quanto pare, il “potere esecutivo” dovrebbe essere del governo di Sua Maestà, mentre al parlamento (Camera dei Comuni e Camera dei Lord) spetterebbe il potere legislativo. Ma forse a Londra qualcosa è cambiato e noi sciocchini non ce n’eravamo accorti.

Torniamo al Corriere. Il 30 aprile, a p. 19, Fabio Cavalera riferisce dell’incontro tra Gordon Brown e una elettrice laburista, incontro che aveva provocato una gaffe del primo ministro, sorpreso dai microfoni mentre definiva la sua sostenitrice Gillian Duffy una “fanatica”. Il corrispondente, sotto un titolo in cui si dice che la pensionata “potrebbe affondare il partito” fa una storia della sua famiglia, di tradizioni assolutamente proletarie e scrive: “Il papà di Gillian era un tipo con le idee chiare. Lo ricorda al mattino quando canticchiava sempre e solo una canzone: «Avanti o popolo, alla riscossa, bandiera rossa, bandiera rossa…». Orgoglio di famiglia il laburismo”.

L’originale signor Duffy doveva certo essere un emigrato italiano, forse si chiamava Duffi, o Tuffi, perché Bandiera rossa ha la caratteristica di essere un prodotto più lombardo che inglese, dato che la melodia si ispira a un testo che fa così:

Ciapa on sass, pica la porta,
o bruta porca, ven giò de bass
(rivolgersi a via Solferino per la traduzione).

E il signor Duffi (o Zuffi, o Puffi), prima di anglicizzare il proprio nome, certo non ignorava che il ritornello di Bandiera rossa si ispira un’altra canzone, più bergamasca che scozzese, che fa così:

Ven chi Nineta sota l’ombrelin
Ven chi Nineta te darò un basin
Ven chi Nineta te darò un bel fior
Ven chi Ninetache farem l’amor.

La melodia che il signor Duffy (o Buffi, o Guffi) canticchiava sotto la doccia prima di leggere il Daily Mirror ha anche una versione che ancora oggi si può ascoltare a Zogno (Bergamo) e fa così:

Al suna la campanèla, ghé né ciar né scür
povere filandere, pichi l’cö nel mür
al suna la campanèla, ghé né ciar né scür
povere filandere, pichi l’cö nel mür

Le strofe “Avanti o popolo, alla riscossa, bandiera rossa, bandiera rossa…” sono registrate in molte versioni e non è impossibile che il signor Duffy (o Nuffi, o Fuffi), arrivato a Victoria Station e in attesa di prendere la carrozza per Piccadilly Circus ne abbia sentita una nata durante la prima guerra mondiale che faceva così:

Avanti popolo, alla stazione
Gh’è rivà ‘l carbone gh’è rivà ‘l carbone
Avanti popolo, alla stazione
Gh’è rivà ‘l carbone n‘duma a piàl.

Esiste, in realtà, una versione della canzone nata all’estero. Forse ci siamo: il signor Duffi (o Ruffi, o Muffi) l’aveva appresa in Bosnia da una colonia di montanari della Valsugana emigrati laggiù nel 1884 e da allora rimasti senza più contatti con l’Italia, come scrive Cesare Bermani nel suo saggio Le origini di “Bandiera rossa”.

Ah, la coscienza di classe dei laburisti inglesi! Forse Cavalera, che la sera va a letto leggendo a lume di candela La situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels, si è lasciato un po’ prendere la mano.

[l’immagine è di verdoux.wordpress.com]

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6 Commenti

  1. Vabbè, esiste la “Red Flag” tradeunionista, inno del Labour e scritta una ventina d’anni prima della nostra “Bandiera Rossa” (la melodia in quel caso è quella del canto natalizio tedesco “O Tannenbaum”). Rozzamente, Cavalera ha fatto una sorta di traduzione idiomatica, dal momento che “bandiera rossa” e “red flag” hanno la stessa funzione nei rispettivi paesi. Ma ne ho lette di peggio.

  2. Mi scuso per la risposta tardiva sulle origini di “Bandiera rossa”: secondo Cesare Bermani la canzone è il risultato di varie influenze di canzoni popolari lombardo-piemontesi, alcune di protesta e altre no. Il testo si “consolida” negli anni Venti del Novecento ma è documentato per la prima volta, il forma leggermente diversa, nel 1901 in provincia di Novara. Tutte le notizie vengono da “Guerra, guerra ai palazzi e alle chiese…” di Bermani, ed. Odradek.

  3. trasformiamo l’albo dei giornalisti in albo dei romanzieri, per essere buoni.
    chiunque evoca la parola verita’ e’ in mala fede, tutti sanno che la verita’ non esiste, ma continuano a cercarla.

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