Errorismo di Stato

di

Sergio Bologna

Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato. Laterza, Bari 2010.
Nemmeno i negazionisti erano arrivati a tanto. Si erano limitati a dire che i campi di sterminio non erano mai esistiti, ma non si sono spinti a dire che gli ebrei avevano gasato i nazisti. I tre autori di questa nuova prova della miseria italiota vanno oltre il negazionismo. L’arresto di Toni Negri e di molti suoi compagni il 7 aprile 1979 è stato il primo atto di una persecuzione giudiziaria e di un linciaggio mediatico che non aveva precedenti nella storia d’Italia dal 1945 ad allora e non ha avuto eguali nei trent’anni successivi. Nel libro in questione Toni Negri appare invece come un criminale dal volto ancora sconosciuto, grazie alla “copertura” dei servizi di Stato deviati e golpisti. “Getti la maschera” continua a gridargli Calogero, “scopra finalmente il suo volto”, “esca dal suo nascondiglio”! E questo lo grida a un uomo bersagliato per mesi da titoli cubitali dei giornali come l’ispiratore di 17 omicidi (così recitava il primitivo mandato di cattura stilato da Calogero), a un uomo del quale sono stati gettati in pasto alla folla affetti personali e appunti sul notes, agende telefoniche e abitudini quotidiane. Toni Negri tra galera e domicili coatti si è fatto 11 anni. E qui viene definito come uno che lo Stato ha colpevolmente protetto.
Sono passati poco più di trent’anni da allora e trent’anni esatti dalla sconfitta della classe operaia Fiat dopo l’occupazione durata 35 giorni. Trent’anni lungo i quali tanti fili si sono spezzati, tante sequenze sono state interrotte, tranne una sola: l’umiliazione del lavoro. A leggere oggi certe testimonianze su come vengono trattati i giovani laureati negli stages, a scorrere le cronache sui 35 operai morti nelle pulizie delle cisterne, a navigare sui blog dove centinaia di giovani italiani raccontano d’essersene andati da un Paese per loro invivibile, viene da dire: “Sono stato di Potere Operaio e ne sono orgoglioso”.

Potere Operaio voleva dire che il lavoro non si deve lasciar umiliare, e se qualcuno – chiunque sia – vuole umiliarlo, il lavoro deve ribellarsi, deve alzare la testa. E’ l’unica condizione perché in un Paese ci sia democrazia. E’ l’unica condizione perché un Paese possa valorizzare le sue risorse umane, è l’unica condizione perché nell’impresa ci sia innovazione, è l’unica condizione perché il servizio pubblico sia rispettoso dei cittadini, è l’unica condizione che permette alla maggioranza di vivere meglio. Perché la maggioranza dei cittadini di questo Paese vive del proprio lavoro.
Ma forse c’è un’altra sequenza che non si è mai interrotta: la disinformazione. Non si è mai fermato il degrado dell’informazione quotidiana, un degrado morale e linguistico. Basta poco, basta sfogliare un grande quotidiano italiano e un grande quotidiano tedesco, britannico, francese, americano, spagnolo. C’è un abisso. “Il ritorno dei cattivi maestri”, titolava l’altro giorno in prima pagina “La Stampa” l’articolo di un suo giornalista. Torna la solfa dei cattivi maestri. E torna non a caso in un momento di crisi politico-istituzionale che apre una fase oscura, inquietante, dove quel poco di Stato che ancora esiste ed esiste perché c’è della gente che ci dedica tutti i suoi talenti, le sue energie, gente che cerca di arginarne lo sfascio, rischia di sgretolarsi. Si fregano le mani in tanti che Berlusconi sia al tramonto, ma troppi tra questi hanno dato una spinta perché il lavoro venisse umiliato. Non solo c’è un’opposizione inesistente ma anche quella che sembra più intransigente, ci marcia con la solfa dei cattivi maestri, affonda le mani in questa melma. Sul blog di Beppe Grillo si poteva da settimane leggere le affermazioni di un giornalista, un certo Fasanella non nuovo a questa bravate, che anticipava le tesi di Calogero e accostava le “coperture” di cui avrebbe goduto l’Autonomia padovana a quelle che rendono ancora insoluto il mistero di Ustica. Abbiamo perduto amici, alcuni dei quali erano come fratelli, morti prematuramente, logorati dalla persecuzione giudiziaria, da carceri preventivi: Luciano Ferrari Bravo, Emilio Vesce, Augusto Finzi, Sandro Serafini, Guido Bianchini. Non possiamo tollerare che le loro tombe vengano insozzate in questo modo!
E’ un brutto momento e può succedere di tutto. Se è vero che l’imbeccata di questa nuova campagna contro i “cattivi maestri” è venuta da alte cariche dello Stato c’è da stare in guardia, vuol dire che la crisi politico-istituzionale è più grave di quanto appaia. Proprio in questi giorni esce nelle librerie l’edizione completa, digitalizzata, della rivista “Primo Maggio”. Ecco il volto dei cattivi maestri, ecco le loro parole. Volete scoprire la loro faccia? Leggete, banda di miserabili. A 30 anni di distanza quei lavori di ricerca, di analisi, quelle inchieste, conservano la loro dignità intellettuale e spesso sono ancora attuali. Abbiamo saputo prendere le distanze allora da pratiche e discorsi dell’Autonomia e dei partiti armati. Lo abbiamo fatto per coerenza d’idee, non per opportunismo, ed è questo che determina oggi l’interesse di tanti giovani per i nostri scritti di quel tempo. Il filone di pensiero che parte dall’operaismo è uno dei pochi che ha dimostrato di resistere alla sfida della globalizzazione e del postfordismo, è rimasto al passo dei tempi. Forse perché al fondo aveva un principio saldo ed elementare: il lavoro non deve lasciarsi umiliare. Abbiamo difeso il lavoro altrui, noi che operai non eravamo. Oggi dobbiamo difendere il lavoro cognitivo, il nostro lavoro, il lavoro intellettuale, più disprezzato e umiliato di quello manuale. Per questo dobbiamo affrontare le infamie della carta stampata a viso aperto, anzi, a brutto muso.

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17 Commenti

  1. A Primo Maggio aggiungerei Quaderni Piacentini, altro luogo di dibattito intenso e lucido di quegli anni. Temo che sull’umiliazione del lavoro non abbiamo visto ancora il fondo buio, quello che sta già cercando di distruggere l’unità operaia dal di dentro.

  2. Mah, un po’ ve lo meritate, dico come classe intellettuale, a prescindere da Bologna, perché avete sdoganato il teorema giudiziario come efficace metodo di giustizia.

    In un paese civile si debbono perseguire i reati reali, non quelli immaginari, si deve perseguire chi ha commesso un reato, non chi gli è vicino, per motivi affettivi, lavorativi o geografici. Ma qui in un paese civile non siamo: lo Stato italiano, con il consenso dell’intera classe intellettuale, ha di fatto reso ordinario il sistema di emergenza persecutorio messo in piedi negli anni ’70, con la scusa del terrorismo e della lotta alla Mafia. L’effetto primario della legislazione di emergenza, a partire dall’aberrazione del reato di associazione esterna, è bandire il pensiero, quello di Toni Negri, per esempio, rispettato ovunque, perfino nei ” liberticidi ” Stati Uniti. Lo scandalo italiano è che quando uno come Negri cerca di parlare di centralità del lavoro… sembra venuto da Marte! Ma che lavoro! Qui siamo intellettualmente avanti, si parla di centralità della giustizia e, come pensatori, si esaltano ministri come Maroni, che definire di destra autoritaria è poco. E guai a chi si permette di criticare, perché ci hanno la scorta e rischiano di essere uccisi da esaltati, dalla mafia e dai terroristi. O dallo Stato, non si è mai capito bene…

  3. Ma l’idea di Calogero della etero-direzione del terrorismo (per spostare a destra l’asse della politica italiana) non è peregrina. E non è solo sua: anche molti compagni la pensavano così. A distanza di anni possiamo dirlo in tutta tranquillità: la lotta armata e l’accettazione, da parte del “movimento”, dell’innalzamento del livello dello scontro, hanno favorito la repressione e l’annichilimento di ogni pensiero critico. Che poi questo processo sia stato “naturale” – per le posizioni di chi lo regolava dall’interno – o indotto dall’esterno – dalla CIA e dall’intelligence italiana – è materia della ricerca storica. Insomma, non so se Negri sia stato o meno coperto dai Servizi (da Craxi sì); tuttavia conosco i danni fatti dai suoi mastodontici errori teorici (“messianesimo insubordinazionista cialtrone” lo definì Aurelio Macchioro).

    Che poi ci sia un legame tra la crisi istituzionale (e sociale) odierna e i richiami contro i cattivi maestri, è indubbio; il senso è – in tutta evidenza – preventivo.

    NeGa

  4. All’epoca disprezzavo Calogero, ma più di lui le forze politiche (e ce n’erano molte, in pratica tutto l’arco costituzionale) che stavano dietro al suo “teorema”, e che serviva a quelle forze politiche per giustificare o nascondere ancor più i loro scheletri negli armadi. Adesso continuo a disprezzarlo, ma rispetto ad allora non è più nessuno. Non per questo, però, apprezzo il percorso politico di Mr Negri. In tanti militanti ci sono rimasti, e non hanno mai conseguito la sua attuale rispettabilità. Ma non è il solo, se guardiamo la crema dei dirigenti politici dei gruppi extraparlamentari di allora che posti rispettabili hanno oggi. Ma gli altri, i militanti di base, dove son finiti? Ci vorrebbe anche un bel post su questi signor nessuno, che ne racconti la vita. E che non hanno nemmeno il “privilegio” mediatico di essere considerati “cattivi maestri”, perché sono i prescindibili.

  5. D’accordo sulla disinformazione e sulla criminalizzazione che è stata fatta ai danni dei movimenti cosiddetti extraparlamentari. D’accordo anche sull’uso disinvolto, di poteri deviati dello stato, sull’suo delel stragi e anche sull’uso della mafia come mezzo per arginare l’avanzata della sinistra.
    Ma non condivido affatto l’analisi che Bologna fa dell’esperienza di quei movimenti che lui cita (potere operaio e poi la cosiddetta autonomia), che mentre proclamavano annunciavano la rivoluzione alle porte, non si accorgevano dei radicali mutamenti della società e dell’economia. Una società e un’economia che restavano e restano, arretrate e arcaiche, e per molti versi pre-capitalistiche.
    Ma ovviamente la mia è solo un’opinione

  6. @ carmelo,
    negli anni ’70 il mondo era ancora bipolare (cosa geostrategicamente molto deteminante), internet era ancora faccenda del Pentagono, dei telefonini nemmeno l’ombra (adesso sembra di parlare di una società troglodita…), l’industria dell’auto era ancora settore capitalistico di punta (e non quello decotto di oggi), le sette sorelle (altro settore strategico, quello enegetico) andavano alla grande e le multinazionali organizzavano colpi di stato qui e là per il pianeta (con preferenza latinoamericana). E l’ipotesi di colpo di stato prese corpo anche in Italia, secondo una analisi che si rivelò errata (ma a cui credette anche un grosso editore di sinistra), e vi fu chi, anziché limitarsi a prepararsi, volle anticipare i tempi e fare la mossa per primo, col casino che poi è successo. In quel periodo settori importanti della magistratura erano in sintonia (eufemismo) con gruppi di potere (a volte contrapposti) politico-economici (questo ancor oggi), per cui più che di destra, definizione fenomenica, tali settori si potevano definire la longa manus dei suddetti gruppi di potere, ne erano organici. Quest’ultimo aspetto la dice lunga sui deliri attuali sui magistrati “rossi”, ma anche (visto che in vari casi sono anche anagraficamente gli stessi) sulla presunta indipendenza della magistratura. Tutt’al più la magistratura è indipendente dal cittadino, ma non dai blocchi di potere politico-economici. Ed è in quel contesto e con quei “favoreggiamenti” che sono fioriti i “teoremi” di cui sopra.

  7. Il sostituto procuratore Calogero nel 1971 aveva anche archiviato le dichiarazioni di Lorenzon su Ventura, racconta il giudice Stiz…

  8. si potrebbero dire tante cose sugli anni settanta.
    la rivoluzione, la lotta di classe, così come la immaginavano i gruppi “extraparlamentari” era un’esercizio retorico, pura illusione. L’utilizzo meccanico di modelli ideologici ottocenteschi ha prodotto solo aria fritta, perchè piu’ che una lente e’ stata una benda che ha impedito di vedere le trasformazioni reali della società.
    Per esempio quando si diceva classe operaia si aveva in mente l’operai della grandi fabbriche che grazie alle lotte aveva conquistato diritti salario e tutele.
    Ma non ci si accorgeva che si stava sviluppando l’economia della cosiddetta “terza italia”, l’economia dei settori maturi, che fondava la sua competitività sul lavoro, nero, irregolare e flessibile. Tutti citavano Marx e nessuno leggeva Massimo Paci o augusto graziani, che spiegavano in modo chiarissimo questa nuova formazione sociale un modello di sviluppo che peraltro incontrava il consenso di una parte delal domanda (la piu’ debole, ovvero le donne e gli operai espulsi o non assorbiti dal mercato del lavoro ufficiale )
    io che sono vissuto in qugli anni e studiato nelle marche ho potuto vedere con i miei occhi questi processi che coinvolgevano tutta la societa’.
    Così quelli che nelle università si attribuivano il ruolo di avanguardia della classe operai, erano o figli degli ex calzolai oppure venditaori di bombole, che stavano tirando su imprese familiari che avrebbero fatto soldi a aplate, oppure figli di quei lavoratori dei dipendenti irregolarim, flessibili, magari con il doppio lavoro
    poi c’erano i figli della piccola borghesia mercantile, dei professionisti (avvocati medici, commercialisti, consulenti, infermieri, giornalisti, etc..) che si godevano la rivoluzione ben sapendo che avrebbero ereditato il lavoro dal padre.
    Per la verità c’erano anche i figli dei dipendenti pubblici (la SIP) o delle banche che male che andasse anche loro avrebebro ereditato il lavoro dal padre.
    Ma di cosa parlavano quei rivoluzionari quando parlavano di classe operaia?

  9. Toni Negri fu figlio di una famiglia estremamente povera e suo padre fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano. Qui si sta facendo vero revisionismo storico a suon di pettegolezzi, con tutto il rispetto.

    Tra l’altro, insieme a pochi altri, fu tra i pochi ad anticipare il fenomeno delle partite IVA, come forma di liberazione dallo sfruttamento della fabbrica, prevedendo le proporzioni che avrebbe avuto in seguito il fenomeno.

    Saluti,
    c.

  10. chi avrebbe fatto del revisionismo e pettegolezzi su toni negri?
    mi sono permesso di esprimere un’opinione sull’esperienza concreta dei gruppi della cosidetta autonomia, che considero fallimentare, come succede quando si semplifica la realtà applicando meccanicamente schemi ideologici astratti: dal sogno si passa alla farsa, dalla farsa alla tragedia.
    quando gli autonomi teorizzavano il 18 garantito non mettevano in pratica il programma di chi vuole svuotare la scuola di ogni contenuto e ridurla a mera fabbrica di titoli di studio ? non toglievano di fatto alle classi subalterne l’unica possibilita’ di emancipazione ?

  11. Non so, quando scorro uno dei numerosi interventi di Carmelo qui e in altri forum e blog simili (ah, avere tutto quel tempo libero…), ho sempre quest’impressione di un attento, anzi maniacale, lettore di giornali che inghiotte tutti i luoghi comuni mediatici del momento (di sinistra ma non solo: per esempio i suoi interventi in questa discussione potrebbe venire direttamente dal Corriere della Sera o dal Sole24Ore) e li rigurgita online con impegno degno di miglior causa. Non si tratta di un troll in senso stretto dato che pare evidente che lui creda in quel che scrive e ci metta pure impegno: è che la quantità non è proprio indice di qualità in questo caso. Ormai dev’essere un incubo per alcuni: qualsiasi intervento su Nazione Indiana o Alfabeta2 può contare su una vasta quantità di gas digitale da parte dell’ineffabile Carmelo (‘ti ha risposto qualcuno? No, solo Carmelo’)…

  12. @sascha
    mi piace discutere e confrontare le mie idee. Quali sono le tue a parte le tue accuse di essere un ricettacolo di luoghi comuni degni di porta a porta rigurgitati on line ?

  13. @ Carmelo

    “Così quelli che nelle università si attribuivano il ruolo di avanguardia della classe operai, erano o figli degli ex calzolai oppure venditaori di bombole, che stavano tirando su imprese familiari che avrebbero fatto soldi a aplate, oppure figli di quei lavoratori dei dipendenti irregolarim, flessibili, magari con il doppio lavoro
    poi c’erano i figli della piccola borghesia mercantile, dei professionisti (avvocati medici, commercialisti, consulenti, infermieri, giornalisti, etc..) che si godevano la rivoluzione ben sapendo che avrebbero ereditato il lavoro dal padre.
    Per la verità c’erano anche i figli dei dipendenti pubblici (la SIP) o delle banche che male che andasse anche loro avrebebro ereditato il lavoro dal padre.
    Ma di cosa parlavano quei rivoluzionari quando parlavano di classe operaia?”

    Queste cose sono balle qualunquiste, soprattutto se applicate alla figura di Negri.

    Libero di continuare a diffondere disinformazione,
    saluti,
    c.

  14. @nuvoleonline
    io non ho mai parlato di negri ne’ delle sue analisi teoriche (che peraltro se mi è concesso non condivido)
    io ho parlato dell’esperienza concreta dei cosiddetti gruppi dell’autonomia protagonisti della stagione del ’77.
    Un’esperienza fallimentare. Di quella stagione l’unica cosa da salvare è la tensione ideale, la voglia di cambiamento, che la sinistra tutta non è riuscita a trasformare in azione politica efficace. Osservo anche che alcuni di quegli esponenti, guarda caso, sono andati a finire nelle file berlusconiane.
    Se tu hai un’esperienza diversa o positiva io sono qui per ascoltare e capire.

  15. Liberissimo di non condividere il pensiero di Toni Negri, che mica è una bibbia intoccabile. Ma tu non sei intervenuto qui commentando nel merito dell’articolo di Bologna, ma dando commenti del tutto personali, per carità legittimi – ma fuori luogo qui -, sul tuo rapporto con il ’77.

    La penso molto diversamente da te, è evidente, e non ho voglia nè bisogni di convincerti di nulla.

    Quello che hai scritto non tocca minimamente i temi di cui parla l’articolo che hai commentato, e questo si chiama essere dei “troll”. Cerchi la lite spacciandolo per confronto di idee, ma le tue sono stereotipi, dovrei essere solo io a far la fatica di metterle insieme e risponderti, perché tu hai già un sacchetto pronto di luoghi comuni da sfoggiare.

    Il filone di pensiero che parte dall’operaismo è uno dei pochi che ha dimostrato di resistere alla sfida della globalizzazione e del postfordismo, è rimasto al passo dei tempi.

    Questo dice Sergio Bologna, e mi vede d’accordo. Tu rispondi con pettegolezzi, con “quelli dei movimenti degli anni ’70 son tutti figli di papà” e con l’esperienza del ’77 che sarebbe stata concretamente fallimentare. Non contraddici il pensiero esposto dall’articolo, ma getti fango sulle persone.

    Cosa avremmo da dirci?
    Son mica in internet per fare nuove amicizie, inizio ad avere un’età.

    Saluti,
    c.

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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