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E perché mai un albanese non dovrebbe valere meno di un italiano?

di Marco Rovelli

Non ci sono molte buone ragioni per contestare la sentenza del giudice di Torino che ha deciso che la morte di un operaio albanese debba essere compensata con un ammontare di denaro minore di quello che compenserebbe l’analoga morte di un operaio italiano. Il giudice si è basato su un tabellario che parametra i poteri d’acquisto nei diversi Paesi del mondo. Quel che conta, insomma, è la quantità di merce che può essere comperata. La vita di un uomo viene finalmente valutata per ciò che essa è effettivamente nel mondo “reale”: la sua capacità di consumo. L’essere umano vale in quanto consumatore: ecco, finalmente una sentenza che dichiari fuori dai denti, esplicitamente, questa verità che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, e che viene asserita in quanto valore ogni giorno.

Certo, rimangono alcuni problemi: la morte di un operaio di Palermo allora non dovrebbe essere valutata meno di quella di un operaio di Milano? Certo che lo dovrebbe, secondo logica capitalista vuole. Ma finché il criterio resta quello dello Stato nazionale (e nella globalizzazione, per quanto “imperiale” possa essere, lo Stato nazionale resta l’elemento chiave entro la divisione internazionale del lavoro), si deve parametrare e liquidare di conseguenza. Finché, almeno, la secessione nordista non sarà compiuta.
E poi, la questione di fondo – l’unico buon motivo in punta di diritto, direi: non avrebbe l’operaio da vivo mandato rimesse al paese in euro? E non avrebbero allora i suoi familiari ricevuto un ammontare di denaro che eccedeva il potere d’acquisto albanese? Ma il giudice di Torino avrà pensato che non è sulle ipotesi che si sorregge il diritto ma sui fatti, e qui i fatti sono: un corpo morto e un denaro vivo.
Insomma, è inutile eccepire alla sentenza secondo valori “umanitari”: essa è perfettamente coerente ai valori fondanti del sistema – unico, assoluto, globale, e oserei dire rotondo come rotonda è la verità di Parmenide – entro il quale viviamo. Contestare la sentenza del giudice di Torino, allora, non ha alcun senso se non si rimettono in discussione i principi stessi del nostro capitalismo globale.
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13 Commenti

  1. In realtà la sentenza può essere contestata, sul piano tecnico, perché stiamo parlando di criteri di liquidazione di un danno non patrimoniale, che nulla hanno a che fare con il diverso potere d’acquisto della moneta, in Italia e in Albania. Nel caso risolto dal giudice torinese si trattava di un danno subito dai familiari di un operaio, come si dice, iure proprio, non correlato alla perdita di una fonte di reddito, per cui la moneta, al valore nominale, doveva servire solo a ‘quantificare” il ‘dolore’ in termini ‘monetari’ e in via equitativa, non come sostiene il giudice (la giudice) torinese, a compensare i familiari dalla sofferenza, con l’uguale possibilità di acquistare in Albania lo stesso ammontare di merci acquistabili in Italia, tenuto conto del diverso costo della vita nei due paesi. Da questo punto di vista, la giudice torinese, nel liquidare il danno non patrimoniale da ‘morte del familiare”, avrebbe dovuto tenere conto del fatto che l’operaio lavorava all’estero, delle maggiori difficoltà di avere ‘contatti’ da parte dei familiari, si insomma di vedersi, etc., insomma volendo c’erano altri modi, anche presuntivi, per commisurare il danno in via equitativa in modo ‘formalmente uguale’, senza richiami, in questo caso subdoli, all’uguaglianza sostanziale, violata dall’uguale somma risarcitoria, in termini monetari, a disparità di potere di acquisto della moneta in Italia e in Albania. Poi certo Marco, hai ragione a dire che la sentenza esprime una logica, direi, ‘da bottegai del dolore’. Il ‘denaro’ non è un buon mezzo per ‘riparare i torti’, quando parliamo di lesioni di diritti della persona, quasi che si possano permutare dolore per la morte di qualcuno e ‘acquisti ai grandi imagazzini’. Mi viene in mente anche il diverso ‘valore’ attribuito dai tribunali americani alla vita di un marine, rispetto a quello attribuito, in termini economici, a un civile iraqueno. Il problema è a monte, giusto, è di sistema. Bel pezzo, hai una grande capacità di leggere le sentenze, davvero! Saluti.

  2. qual è stato il metro di misura per risarcire , per esempio, i familiari dei caduti per ustica
    e quelli caduti per le altre stragi di stato
    quanto vale la vita in occidente?
    ti bacio caro marco
    la fu

  3. Se però a morire fosse stato, ad esempio, un operaio americano, dubito che la famiglia sarebbe stata risarcita dieci volte di più.Eventualità come questa non saranno rientrate nelle valutazioni del giudice solo perché -come suggeriva Rovelli – puramente ipotetiche?

  4. marco ottima domanda, me la sono posta anche io appena ho appreso questa notizia…sconcertante.

    a questo punto, seguendo queste logiche, cavillando, le aziende potrebbero chiedere di versare meno contributi ad un lavoratore albanese, visto che molto probabilmente con le rimesse si è costruito una casa nella sua terra, ed andrà a passarci la vecchiaia e potrebbe bastargli una pensione più bassa.

    concordo anche con i dubbi di simona

  5. pare che sia una pratica generalizzata: il nonno di una mia amica venne investito e perse la vita, ma il risarcimento fu esiguo perché, secondo l’assicurazione (secondo le “tabelle”) un vecchio “vale meno” di un giovane.
    un criterio a dir poco barbaro, già.
    ma se pensiamo che il paese si regge per buona parte sugli immigrati, sulle badanti, sul lavoro nero, e sui nonni che fanno da baby-sitter vien da pensare che neanche lo applicano tanto bene…

  6. Mi permetto un’opinione dissenziente. Credo che il post di Revelli si basi su un’idea non praticabile e cioè che un danno possa essere risarcito dallo Stato secondo modalità diverse da quello del risarcimento pecuniario. Quando egli scrive: “Contestare la sentenza del giudice di Torino, allora, non ha alcun senso se non si rimettono in discussione i principi stessi del nostro capitalismo globale” scrive una cosa che ha poco senso perché i sistemi risarcitori pecuniari sono stati finora gli unici esperibili e anzi un passo avanti rispetto alla legge del “taglione”. Il denaro, per la sua fungibilità (può essere scambiato con tutto) e liquidità (cioè per la capacità di quantificare) è il migliore degli strumenti che FINORA abbiamo per risarcire un danno. Il diritto altro non può fare e scambiare il diritto per la giustizia, magari con la G maiuscola, è un ‘ingenuità. In che altro modo la famiglia dell’operaio poteva essere risarcita? Vostro, BD

  7. BD, il discorso che fai potrebbe aprire un altro fronte interessante, ma il discorso che facevo io non insisteva su questo terreno. Non verteva sulla giustezza o meno del denaro come veicolo di compensazione, ma sulla diversità di questa compensazione a seconda della nazionalità.
    [comunque sono Rovelli, non Revelli :-)]

  8. Caro Rovelli, mi scuso anzitutto per averLe involontariamente storpiato il cognome. Riguardo alla diversità della compensazione (che certo ripugna alla coscienza e, aggiungerei, al gusto) essa discende da due principi di garanzia: 1) con il primo si vuole che il processo non diventi uno strumento di arricchimento da parte di chi se ne possa avvalere pretestuosamente (è chiaro che la legge detta ipotesi generali e astratte e qui il “pretestuosamente” non è certo riferito all’operaio o alla sua famiglia). 2) con il secondo si vuole che il giudice rimanga terzo e imparziale, affidando alle parti le richieste risarcitorie: nel caso specifico è emerso che è stata la controparte (la danneggiante) a chiedere la valutazione del risarcimento del danno secondo criteri proporzionali e non la “difesa” dei familiari dell’operaio che, assurdamente, non ha opposto alcuna eccezione (si veda la sentenza qui: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/25/news/operaio_albanese-8422050/ a pag.10 del pdf.). Il giudice ha deciso, con fermo rigore e altrettanta mancanza di sensibilità, una sentenza in base a ciò che era stato ad esso richiesto e non può né deve fare diversamente secondo la legge. Personalmente non vedo alcun collegamento tra la logica adottata in questa sentenza e le perversioni del capitalismo se non il fatto che si tratta di un incidente sul lavoro occorso a un operaio. Suo, BD.

  9. Non ho letto la sentenza, sarebbe interessante poterlo fare.
    Sei sicuro che si parla si è calvolato il ‘valore’ di un uomo in base al suo potere d’acquisto ?
    A me risulta che le compagnie di assicurazione liquidano tale valore in base all’attualizzazione dei redditti prodotti o producibili dalla persona colpita..
    quindi se lavori per esempio come impiegato in Romania invece che in Svezia lo stipendio medio è minore perchè la Romania è un paese in una fase economica diversa dalla situazione in nord Europa, come la Svezia
    Parlo in base alle mie conoscenze universitarie in Economia

  10. @fabiandirosa, se segui il link di @BetteDavis trovi anche il pdf della sentenza, la cui lettura curiosamente provoca sentimenti contrastanti, di sdegno da un lato [la morte dell’operaio viene definita a un certo punto “privazione del bene-famiglia] e al tempo stesso di consapevolezza del tentativo, inadeguato ma in fondo tenace e vincolato alle leggi non solo nazionali, di dare una compensazione al danno e alla morte.
    Quando studiavo ho fatto un esame complementare in diritto, la materia era il danno, per l’appunto, uno degli esami più interessanti che mi sia capitato di dare, tanto che ho sempre pensato che prima o poi mi sarei presa anche una laurea in legge.
    E’ con questi strumenti che vengono regolati i rapporti tra gli uomini, se li si vuole diversi bisogna operare sulla legge, cambiarla.
    Taccio sulla impossibilità da parte di poveri genitori di un emigrante di procurarsi un avvocato capace, ché leggendo la sentenza non sono convinta che abbia fatto un buon lavoro.

  11. A leggere la sentenza sembra però che gli avvocati dei famigliari se la siano proprio dormita su quanto avanzato dall’assicuratore. A pagina 9 si legge:

    La terza chiamata FONDIARIA-SAI oppone la necessità di equilibrare il risarcimento al reale valore del denaro nell’economia del Paese ove risiedono i danneggiati […]

    La parte attrice non ha contestato tali allegazioni né ha preso posizione alcuna in fatto o in diritto sulla questione.

  12. Letto la sentenza. Nel precedente intervento mi riferivo ai danni materiali, non quelli morali. Non sono avvocato ma una cosa suona proprio strana, se non ingiusta: se le tabelle di Torino non vanno applicate (per evitare indebito arricchimento), invece di utilizzare dei coefficenti di conversione del potere d’acquisto forniti dalla Fondiaria, perchè non si è applicata la ”tabella di calcolo diretto” analoga a quella in uso presso il Tribunale di Torino e presumibilmente esistente nella giurisprudenza albanese posto che i familiari vivono in Albania?

  13. Vi ricordate la sentenza di qualche anno fa che stabiliva la scarsa risarcibilità per la morte di un ragazzo, figlio di contadino, perché su di esso non potevano aversi aspettative particolari? Ebbene quella era una bella implicita denuncia al nostro sistema egualitario, dalla scuola al lavoro, un atto di verità anch’esso, a suo modo: se non nasci ricco difficilmente lo diventerai, perché nessuno ti aiuterà (e tanto meno le assicurazioni).
    Ma il dramma di questa sentenza di cui si discute adesso è un altro: chi più assumerà un italiano se assumendo persone che provengono da economie meno floride potrà ottenere un bello sconto sull’assicurazione? chi assumerà qualcuno a tempo indeterminato se un contratto con scadenza annuale dà una minore prospettiva di arricchimento e quindi minor diritto di risarcimento?

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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