Articolo precedente
Articolo successivo

Dalla Pornocrazia alla Mignottocrazia

[Questo articolo è apparso sul numero 3 di “alfabeta2”]

di Andrea Cortellessa

Note sul regime biospettacolare di Berlusconi

Nel paesaggio in rovine, nella facies hippocratica del presente che illustra – tormentoso prima che esilarante, come pure non riesce a non essere – La Suburra di Filippo Ceccarelli, una scena in apparenza meno torrida di altre colpisce, però, con una violenza speciale. Siamo ancora in una fase primordiale di quello che, per la famiglia Berlusconi, diverrà la primavera seguente uno psicodramma vissuto in diretta sulla ribalta mediatica, nazionale e non (dopo lo scoop di «Repubblica» sulla partecipazione del Presidente alla festa di compleanno d’una giovane campana; dopo una clamorosa intervista rilasciata allo stesso giornale da sua moglie; dopo che l’“amico di famiglia” Vittorio Feltri, sulla prima pagina del posato quotidiano «Libero», ripesca dal suo passato d’attrice delle foto a seno nudo col pacato commento Veronica velina ingrata); ma già successiva a una serie di servizi fotografici documentanti i passatempi del Presidente, dopo che è stata pubblicata coram populo un’intercettazione telefonica fra lui e un ossequioso dirigente RAI nella quale Berlusconi raccomanda attrici segnalate da certe persone «con cui sta trattando» perché «sta cercando… di avere la maggioranza in Senato» (siamo agli ultimi sussulti del secondo governo Prodi, col suo risicatissimo margine parlamentare), e dopo che a séguito delle trionfali elezioni dell’aprile 2008 s’è insediata in Parlamento «una folta schiera di belle ragazze» subito dai cronisti parlamentari simpaticamente definite «Forza Gnocca» (Filippo Ceccarelli, La Suburra. Sesso e potere: storia breve di due anni indecenti, Milano, Feltrinelli, 2010, p. 21).

Mitologema cardine dell’inesauribile automitobiografia di Berlusconi (come già di quella mussoliniana) è la sua incrollabile resistenza al lavoro. A pochi mesi dall’insediamento del suo quarto governo, per dimostrare quanto fosse dedito al lavoro anziché ai già chiacchieratissimi svaghi, Berlusconi non trova di meglio che squadernare, di fronte ai soliti cronisti infidi, la propria agenda personale fittissimamente vergata: «Ecco, leggete, vedete voi tutto quello che mi aspetta». Poi però i fotoreporter «con calma e con i dovuti ingrandimenti avevano decrittato: c’erano anche impegni con due delle cinque attrici raccomandate, compariva il nome sospetto di una donna slava […]; alle 20.30 c’era addirittura una certa “Selvaggia”. Non esattamente le tribolazioni indicate con l’aria di chi non ce la fa più». (Particolare fra tutti inquietante, alla fine di quell’eterogenea lista figurava poi un ultimo appunto di proprio pugno, su se stesso quale presidente del Milan: «Il presidente numero 1, numero 1, il presidente con più vittorie, il più vittorioso della storia del calcio […] Numero 1 nella storia del calcio. Milan AC Campione del mondo»: Ceccarelli, p. 23)

Un simile acting out da delirio psicotico – performato di fronte a un’esemplare scena mediatica – nella sua potenza icastica appare un’immagine degna di passare alla storia. Ma in che senso si può considerare, Silvio Berlusconi, un fenomeno “storico”? Una parte dell’autodefinita “sinistra” da tempo invita a non sovradimensionare un personaggio che è già l’iperbole di se stesso; si ricorderà come l’ex segretario del PD, nella campagna elettorale del 2008 destinata a sancirne il definitivo trionfo, si spinse sino a censurare il nome del «candidato dello schieramento avverso». Come se ogni censura non fosse in primo luogo una preterizione: presenza tanto più schiacciante quanto più rimossa. Se i suoi fan lo idolatrano acriticamente, primo compito di chi gli si voglia opporre sarà invece quello di esercitare una critica la più possibile approfondita dell’idolo, del feticcio-Berlusconi. Anzitutto prendendo atto che è lui l’entità storica più rilevante degli ultimi sessant’anni, in Italia; e tra le più importanti in assoluto.

Lo afferma finalmente uno storico importante, Antonio Gibelli, in un breve saggio che si presenta come capitolo finale di un manuale di storia dell’immediato futuro: Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria (Roma, Donzelli, 2010). Per Gibelli è proprio con Berlusconi che viene a clamorosa evidenza un processo storico, appunto, di incalcolabile rilevanza: la privatizzazione della politica. Eloquente lo slogan berlusconiano sul «sole in tasca» che i promotori di Forza Italia devono avere, per poterlo offrire ai clienti-elettori (frase talmente tipica del leader da dare il titolo a un imbarazzante trattato encomiastico di Sandro Bondi – nel frattempo dall’encomiato inopinatamente insignito della carica di Ministro dei Beni e delle Attività Culturali – pubblicato da Mondadori nel 2009): non solo esso «richiama l’emanazione solare e divina del potere» (Ceccarelli, p. 37) ma appunto esemplifica come, nel delirio psicotico, la realtà macrocosmica possa – e anzi debba – essere messa a disposizione del microcosmo di pertinenza del singolo soggetto desiderante. Il mondo è lì per essere fagocitato, introiettato, messo in tasca appunto. Come ha scritto Franco Cordero (paragonando il caso di Berlusconi a quello di Hitler), «esistono psicosi acted out: i malati soffrono perché, disadatti al mondo, vi battono la testa; qualche rara volta adeguano l’esterno alle loro abnormi misture, sulla pelle altrui» (Il brodo delle undici. L’Italia nel nodo scorsoio, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, p. 57).

Di là da incomprovabili ipotesi psichiatriche, il cortocircuito pubblico-privato si fa evidente con la scelta – da parte dello stesso Berlusconi – di imporre, nelle liste elettorali e dunque in Parlamento, una quantità di avvocati. L’Emiciclo, si obietterà, ben prima dell’invasione delle Gnocche è da sempre affollato da Azzeccagarbugli; e d’altra parte una contiguità fra la retorica forense e quella politica si può dire sia alle origini stesse, ateniesi e poi romane, della politica occidentale. C’è però, in questo caso, una particolarità non del tutto innocente: chi più chi meno illustre i vari Previti, Ghedini, Pecorella hanno infatti in comune, nei rispettivi curricula, l’essere o essere stati difensori di Silvio Berlusconi e/o delle aziende di sua proprietà. Laddove, come scrive Gibelli (p. 81), il Parlamento dovrebbe essere chiamato a «produrre provvedimenti generali e astratti volti a stabilire regole comuni e a proteggere diritti», mentre la funzione dell’«avvocatura consiste nel difendere interessi particolari». Con congrui onorari che si sommano, nella fattispecie, agli emolumenti non minimi spettanti ai parlamentari della Repubblica.

Se a tutti è (o dovrebbe essere) evidente lo scandalo del conflitto di interessi per il quale, in una società ad altissima propagginazione mediatica come una democrazia parlamentare occidentale del ventunesimo secolo, il principale imprenditore nel settore delle comunicazioni sia anche una figura politica di primo piano – con la sempre meno celata intenzione di difendere, nella sede per eccellenza pubblica dell’agire politico, interessi che sono squisitamente privati – molto meno si è riflettuto, sino a pochi libri fa, su come questo cortocircuito non sia che la punta di un iceberg economico e politico dalla portata ben più generale.

In uno studio recente dal titolo Stato spettacolo. Pubblico e privato dagli anni ’80 a oggi (Milano, Bruno Mondadori, 2010), la storica Anna Tonelli ha ricordato come quando venne pubblicato da noi il saggio, quasi omonimo del suo, di Robert-Gérard Schwartzenberg L’état spectacle (uscito in Francia nel ’77 e in Italia, da Editori Riuniti, tre anni dopo), il prefatore Tullio De Mauro annoverava l’Italia «tra i paesi nella cui vita politica pare più povera la componente spettacolare». È lecito dubitare che tale giudizio fosse corretto già allora, ma il ricordarlo basta a misurare la distanza antropologico-culturale percorsa da trent’anni a questa parte. Tonelli ci mostra come tratto specifico della politica-spettacolo degli ultimi anni sia appunto la confusione di piani fra pubblico e privato: «crollata la fede nelle ideologie, svanito il senso di appartenenza politica, dissolto il collante delle culture politiche di massa, prevale la logica di un individualismo che si realizza nella spettacolarizzazione di sé» (p. 3). Un processo che certamente inizia al tramonto dei Settanta – un decennio tutto volto, al contrario, all’esaltazione delle «intensità collettive» – quando si fa un gran parlare di «riflusso» e «trionfo del privato» (divertente oltre che documentata un’altra pubblicazione recente sull’argomento: Paolo Morando, Dancing days. 1978-1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2009). Ma mentre gli anni Ottanta erano il tempo del ripiegamento nel privato – una dimensione “concava”, introversa e introflessa, percepita come fuga o autoesilio dalla storicamente deludente sfera “pubblica” e che farà la fortuna, a sigla di una temperie, del cinema di Gabriele Salvatores; Mediterraneo, nel ’91, ostenterà un’epigrafe tratta da Elogio della fuga di Henri Laborit – il nostro tempo, simmetricamente, appare piuttosto quello dell’estoflessione del privato: che si spinge proditoriamente “convesso” nella sfera pubblica: la invade, si fonde con essa radicalmente cambiandola di segno. (Sul numero 5 di «Micromega», nel 2009, Stefano Rodotà ha usato al riguardo il concetto lacaniano di extimité: cit. da Ceccarelli, p. 164.)

L’interfaccia che permette lo scambio simbolico fra le due dimensioni è per l’appunto lo spettacolo. La sede in cui cioè, nei format sempre più affermatisi negli ultimi anni, “si fa spettacolo” della propria intimità – a partire dal vissuto e dall’immagine corporea. La vita privata del singolo Berlusconi – un singolo “come tutti”, fisicamente e culturalmente men che mediocre, ma che secondo la leggenda da lui stesso confezionata “s’è fatto da sé” finendo per conquistarsi una ricchezza e un potere senza uguali – si fa metro di paragone e specchio dei desideri indotti nel pubblico dal suo sofisticato apparato di indottrinamento mediatico. Il più acuminato fra i moltissimi saggi che in questi anni a Berlusconi sono stati dedicati, Il corpo del capo di Marco Belpoliti (Parma, Guanda, 2009), prende le mosse proprio dall’accorta strategia comunicativa con la quale i media di sua proprietà hanno negli anni familiarizzato il pubblico dei suoi elettori coi connotati più rassicuranti dell’ambito famigliare e quotidiano del Capo, «fornendo una versione pubblica della sua interiorità: spettacolarizzazione dell’intimità stessa» (p. 13). In questa vera e propria campagna propagandistica si sono curiosamente distinti old media come i rotocalchi illustrati, ma non c’è dubbio che una simile strategia nasca e si sviluppi in un contesto mediale che ha al centro il motore primo delle fortune del protagonista: la televisione. Dove sempre, per la natura stessa del mezzo, «il privato è pubblico» (p. 89): col quotidiano introdursi nell’intimità famigliare del pubblico e, come detto, da un certo punto in avanti riproducendo quella stessa intimità come propria forma di spettacolo privilegiata.

Non è un caso, dunque, che l’egemonia berlusconiana si saldi – dopo le elezioni del 2001 – in stretta contemporaneità col successo del format del reality show. È insomma e a tutti i livelli, quello iniziato col nuovo secolo, il regime della pornocrazia. Il termine è stato coniato dal filosofo francese Dany-Robert Dufour, che nel suo libro La cité perverse. Libéralisme et pornographie (Paris, Denoël, 2009) sottolinea la nuova rilevanza politica di una «società pornografica di massa, dove pornografia significa esibizione e messa in scena di ciò che normalmente non si espone in pubblico». Così ne sintetizza le tesi Gibelli, applicandole proprio al caso di Berlusconi (p. 45).

L’evoluzione imprevista del “caso” Berlusconi – che Ceccarelli (pp. 77 sgg.) interpreta come contrappasso, anzi «Nemesi» da manuale –  consiste tuttavia nel suo passaggio dal regime della «pornocrazia» – in qualche modo fisiologica, come si è mostrato, nell’odierno regime biospettacolare – a quella che un suo già zelante reggicoda, Paolo Guzzanti, ha definito «mignottocrazia». Termine desolante, se vogliamo, in primo luogo  linguisticamente: per il trasloco nella koinè post-romanesca del Potere romano di quello che è l’étimo stesso del prefisso «porno». Ad ogni buon conto, il termine viene lanciato dal blog del giornalista all’inizio di novembre del 2008 (dopo la querela fatta dal Ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, a sua figlia, l’attrice Sabina, a seguito di uno sketch-comizio tenuto a Piazza Navona l’8 luglio precedente), e riscuote un successo immediato. Ha commentato l’artifex (in un suo lutulento dossier pubblicato col titolo Guzzanti vs Berlusconi, Reggio Emilia, Aliberti, 2009): «ebbe il suo porco successo. Cosa di cui non mi vanto, ma di cui anzi mi preoccupo, perché come autore posso solo dire di aver coniato il termine di cui la storia italiana aveva bisogno, perché la mignottocrazia era, è già nelle cose, nell’aria, ma anche nei corpi e nelle menti» (cit. da Ceccarelli, p. 203). La mignottocrazia rappresenterebbe dunque, nella privatizzazione della politica, il salto di qualità per cui nei posti di potere, nonché avvocati e altri stipendiati, vengono direttamente installate dal Capo delle meretrici – fuor di metafora,  si vuol dire – dei cui servizi si sarebbe personalmente giovato. Alla fine del 2009 il «Guardian» titola prontamente: «Politics alla puttanesca» (Ceccarelli, p. 178).

A conferma del fatto che la diagnosi non riguardi tanto le venture di un singolo più o meno disturbato imprenditore “sceso in campo”, ma sia un paradigma politico di portata più vasta, si consideri del resto che se Walter Veltroni, dimidiato emulo nel 2008 giustamente trombato dall’originale, a suo tempo tentò l’improbabile scalata ai vertici pornocratici del modello (i sin dai titoli inquietanti journaux intimes pubblicati negli anni Novanta da Sperling & Kupfer, Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale dei film: Tonelli, p. 166), la squallida vicenda del sindaco di Bologna Flavio Delbono (cfr. Ceccarelli, pp. 157 sgg.) segna il diffondersi di pratiche mignottocratiche anche “a sinistra”.

Il termine designa tuttavia anche l’infinita scia di scandali e polemiche che nell’ultimo periodo ha rappresentato, nella traiettoria ascensionale del Presidente, la più minacciosa delle battute d’arresto. Anche questo, certo, va annotato con desolazione: visto che in un quindicennio di scorribande nessuna delle ben più gravi malefatte specificamente politiche del Satrapo era riuscita a tanto. Ma siamo poi sicuri che, con tutto quel che s’è detto, sia corretto considerare estraneo ai meccanismi del Politico l’inciampo mignottocratico? Nell’estate più torrida della Suburra-Italia, mentre si andavano verosimilmente organizzando le opposizioni interne che usciranno allo scoperto l’estate successiva (quella in cui sto scrivendo) mettendo concretamente in crisi quello fra i suoi governi che pareva godere della maggioranza più solida, andava in onda su TeleLombardia anche un inaspettato commento – alla vicenda di Berlusconi – di Toni Negri, il quale ricordava come nel Trattato politico di Spinoza vi sia un passo riguardante i «gravi rischi che corrono i sovrani che vanno con le prostitute» («Lo Stato, per essere soggetto solo a sé, è tenuto a preservare le condizioni di timore e rispetto, altrimenti cessa di essere uno Stato. Infatti, per coloro, o per colui che detiene il potere, è ugualmente impossibile andare in giro ubriaco, o nudo in compagnia di prostitute, fare l’istrione, violare o disprezzare apertamente le leggi da esso stesso emanate, e insieme conservare la sua maestà»: cit. da Ceccarelli, p. 85).

Uno degli arcani maggiori dell’appeal berlusconiano è infatti la miscela paradossale di ostentata e compiaciuta amoralità, da maschio solitario e predace, e di una altrettanto esibita fedeltà – condivisa peraltro dagli altri leader della Destra, tutti divorziati e riconiugati – nei confronti dei valori sacri e intangibili della famiglia tradizionale (ipostatizzati nel mito stucchevole di mamma Rosa: la cui scomparsa, all’inizio del 2008, diede la stura al più ripugnante coro di cortigiani mediatici). Nel ’94, poco dopo la famigerata «discesa in campo», Berlusconi dichiarò solennemente che «la famiglia è il valore più alto: chi trascurasse la propria famiglia non potrebbe essere un buon governante» (cit. da Tonelli, p. 123): che idealmente si candidano a «ultime parole famose» di chi le ha pronunciate. E che sia tutt’altro che secondario, questo piano dello scontro che coinvolge anche poteri Vaticani a loro volta divisi, lo conferma la vicenda del direttore del quotidiano della CEI «Avvenire», Dino Boffo, fatto oggetto – sempre nell’estate terribilis del 2009 – di un killeraggio mediatico senza precedenti da parte del solito Feltri (nel frattempo passato a dirigere l’house organ di famiglia, «Il Giornale»; cfr. Ceccarelli, pp. 109 sgg.). Che si sia trattato di una campagna “militarmente” pianificata ed eseguita, e che di questa potenza di fuoco sempre più si voglia fare, in futuro, uso indiscriminato, lo conferma la frase spudorata pronunciata l’estate seguente dal “falco” Giorgio Stracquadanio, che ha invocato per il “dissidente” Gianfranco Fini un «trattamento Boffo» (candidamente così difendendosi, sulle pagine del solito house organ: «Una provocazione voluta, una forzatura, una metafora. Ho scelto di essere politicamente scorretto perché volevo che le mie dichiarazioni avessero un’eco mediatica»: «Il Giornale», 2 agosto 2010).

Del lessema «mignottocrazia» va peraltro registrata una significativa retrodatazione. In realtà – così almeno si legge su un autorevole sito specifico consultabile all’indirizzo, non scherzo, www.mignottocrazia.it – il conio non sarebbe di Guzzanti bensì di una curiosa figura di antropologo e psichiatra napoletano, Claudio Ciaravolo (che si presenta così: «psichiatra di nascita e napoletano di professione. Di religione catodica. Creattivo a tempo pieno. Lavora poco e si diverte molto»), il quale l’avrebbe introdotto alla fine degli anni Novanta per designare «l’imposizione», da parte dei media, «di un modello retrivo, spesso grottesco e ridicolo, di donna che si comporta e somiglia sempre più fisicamente a chi è costretta a presentare e offrire il proprio corpo come fa una mignotta». Allo stesso Ciaravolo si devono anche termini derivati: «La “mignotteria” è l’uso indiscriminato e oltranzistico della seduzione in ogni aspetto della vita: un atteggiamento ad alto tasso di erotizzazione che, rinforzato dai media, conduce alla “mignottizzazione” della società civile».

In questo senso però la prima mignotta – diciamo pure, parafrasando i termini del più classicamente “italiano” degli epiteti ingiuriosi, la madre di tutte le mignotte – altri non è, evidentemente, che lo stesso Berlusconi. Non solo «utilizzatore finale» delle procaci escort procurategli da un faccendiere pugliese, secondo un memorabile quanto sfortunato tecnicismo impiegato da uno dei suoi avvocati-consigliori-parlamentari (cfr. Ceccarelli, p. 86). Non solo riformulatore mediatico, in pieno ventunesimo secolo, dell’arcaico paradigma binario del maschilismo italico per cui le donne sono o sante-madri (a partire da mamma Rosa, ovviamente, con correlato codazzo di zie suore) o appunto mignotte da esibire sullo schermo (giusta l’impressionante denuncia di documentari come Il corpo delle donne di Lorella Zanardo e Videocracy di Erik Gandini) nonché su quella psicotica riproduzione dello schermo che è la propria vita privata. Ma qualcuno che, nel rapporto di prostituzione, si fa al contempo – paradossalmente – partner attivo e passivo. Puttana e puttaniere.

Se è vero infatti che col suo operato politico degli anni Novanta e Zero giungono a catastrofica realizzazione i paradigmi teorici, elaborati alla fine degli anni Sessanta e lungo i Settanta (quelli, guarda caso, della sua ascesa economico-finanziaria), della società dello spettacolo (Debord) e della società dei simulacri (Baudrillard) – entrambi basati, in forme e accezioni diverse, sul paradigma della seduzione – è perché è appunto all’insegna della seduzione che si gioca tutta la biografia imprenditoriale e politica di Berlusconi. Prima la seduzione esercitata in prima persona, nel corso dei più o meno piccoli cabotaggi finanziari, poi quella gigantografata dalle immani pròtesi mediatiche  di quella medesima persona.

Colpisce come nella bibliografia del Corpo del capo di Belpoliti, a parte le analisi mediologiche della scuola di Alberto Abruzzese e l’esplosivo talento collezionistico-satirico di Ceccarelli, l’unica fonte italiana importante sia un romanzo, Il Duca di Mantova di Franco Cordelli (Milano, Rizzoli 2004). Una delle intuizioni di questo libro (che sin dal titolo iscrive questa storia italiana all’insegna del melodramma, per lo stile, e appunto della seduzione proterva per il contenuto) è che la fascinazione esercitata da Berlusconi sui suoi elettori-sudditi sia di natura fondamentalmente sessuale: come quella del Duca del titolo, nel Rigoletto verdiano, nei confronti della sventurata Gilda, la figlia del suo deforme buffone. Proprio l’energia inesauribile e polimorfa del Berlusconi machista dongiovanni priapico (in omaggio a una sin troppo ovvia vulgata psicanalitica) farebbe leva, in realtà, su una segreta componente androgina («Con il ritorno del melodramma – italiano, europeo, d’Occidente e d’Oriente, il mondo è stato conquistato dalle donne, siamo tutti donne, le donne riducono donne; anche il Duca lo è, è un travestito; ciò che sommamente di lui ci disturba è la sua ostinazione a non gettare la maschera»: Cordelli, p. 209). Il volto risolutamente glabro, l’ossessione per la capigliatura e in generale per il corpo, la struttura delle pose con le quali ha sempre studiato di proporsi, lo sguardo che rivolge in camera restando, tuttavia, sempre sfuggente, mostrano un Berlusconi che con noi, in effetti, non ha mai smesso di civettare (Belpoliti, p. 62, usa al riguardo una pagina illuminante di Georg Simmel; e cfr. Gibelli, pp. 41-2).

Esemplare la più stupefacente delle ventuno foto collezionate e commentate dal saggio di Belpoliti: Berlusconi vi è ritratto mentre raccoglie l’ovazione dei suoi, a una convention di Forza Italia. Il passo nel quale lo scatto di Giorgio Lotti lo ha immobilizzato – punctum della foto, la postura dei piedi – è quello col quale l’étoile del balletto offre il proprio corpo glorioso all’abbraccio della folla entusiasta. «Un ammiccamento, un gesto di una civetteria inusuale, ma anche un chiaro messaggio di natura sessuale» (pp. 63-4). E del resto lo stesso Berlusconi una volta ha osato dichiarare: «subito dopo la partita dello scudetto del 1988, un tifoso vede la mia macchina, mi riconosce, si pianta davanti al cofano e grida: “Silvioooo, Silvioooo: sei una gran bella figa!” È stato il complimento più bello della mia vita» (p. 77).

L’arcano supremo del potere di Berlusconi consiste insomma nell’assoldare mignotte  facendo a sua volta la mignotta. Il suo tocco di Mida ha il potere di quello di Circe: rende mignotte, cioè porci e troie, tutti coloro che lo incontrano. Ha dichiarato una volta Guzzanti (all’ANSA del 20 novembre 2008): «Mignottocrazia è la corruzione che ottiene potere in cambio di favori. Ci sono anche casi di mignotte per sesso, ma io volevo denunciare quegli uomini che ottengono potere compiacendo il potente: in questo senso, le più grandi mignotte sono uomini, io non volevo fare semplicemente un’allusione sessuale. Speravo che da Berlusconi venisse una rivoluzione liberale, insieme a molti altri intellettuali come Adornato, il povero Colletti, in fondo mignotte anche noi. E ora io sono una mignotta delusa, per restare alla metafora».

Non vale ovviamente solo per quegli «intellettuali» che hanno creduto nella fola della «rivoluzione liberale». Forse solo una «mignotta delusa» – con moto emotivo non troppo diverso da quello, fuori di metafora, di alcune delle escort venute dalle Puglie – poteva riuscire a dire l’indicibile, umiliante verità storica dell’Italia dell’ultimo ventennio. Quella appunto di un’Italia prostituita. Un corpo – carnale, terreno ma anche simbolico, ideale, spirituale – trattato, prezzolato, infine acquistato. Per poi essere tranquillamente consumato. Con l’efficienza indifferente con la quale il tycoon del calcio valuta e infine si accaparra i corpi dei migliori giocatori, l’imprenditore corrompe i giudici più zelanti, l’editore illuminato assume i più intelligenti, i più spregiudicati, i più illusi collaboratori. Per vent’anni ci siamo venduti a quest’uomo. Se non ce ne siamo voluti accorgere, è perché lui ha inventato un trucco semplice e mirabile: quello di vendersi nel momento stesso in cui acquista. Così, mentre ci vendiamo a lui, insieme lo acquistiamo. E lo consumiamo: sotto forma di sia pure discutibili beni, prodotti, servizi. Sogni, soprattutto.

Berlusconi passerà alla storia, certo. Come il primo puttaniere che s’è fatto pagare, e pagare caro, dalle mignotte che ha assoldato.

Print Friendly, PDF & Email

136 Commenti

  1. ..ma basta parlare di questo “nano maiale”.. basta.. basta.. è il sistema che lo alimenta.. basta; e basta con queste scritture nauseabonde .. basta

  2. leggendo questo pezzo imponente
    pensavo al fatto che santoro uno come cortellessa non lo inviterà mai.
    mi pare che la sinistra televisiva non possa essere affidata a travaglio e vauro e floris. non è il problema cruciale, ma è un problema anche questo.

  3. “Il suo tocco di Mida ha il potere di quello di Circe: rende mignotte, cioè porci e troie, tutti coloro che lo incontrano.”
    Meravigliosamente detto.

  4. Temo che da qui a poco sarà Cortellessa, con la sua autorità critica, a potersi permettere di non invitare Santoro in trasmissione. Li conosco gli intellettuali italiani, penso di non sbagliarmi, se mi sbaglio mi sbaglio di poco, e in ogni caso, ne sono certo, mi corigerete.

  5. ovviamente non penso che per cortellessa sia un problema non avere l’invito da santore, il problema è che santoro produce una critica al sistema
    molto salutare al sistema stesso…

  6. Arminio
    Il problema è che un pezzo così, così argomentato e complesso, è di per sé antitelevisivo, per il modo stesso in cui si è assestata la comunicazione televisiva. Allora, mi chiedo, perché non provare a immaginare che i mezzi di diffusione di pensieri di questa natura siano luoghi come questo appunto, dove puoi tra l’altro rimandare (in modo diretto) anche ad altri testi e tesi che possano corroborare il tuo pensiero… che dunque non si configura più solo come il tuo singolare pensiero espresso nella solitudine di uno schermo o nel chiacchiericcio prevalente – fatto di seduzione appunto e, nei peggiori dei casi, di soppraffazione (per bucare lo schermo e arrivare al pubblico) –, ma come un’analisi feconda che rimanda ad altre analisi e permette altre riflessioni, in uno scambio tra chi scrive e chi legge davvero dialogico, e dunque anche più assimilabile a un discorso (a uno scambio di discorsi) di natura civile capace di suscitare opinioni ragionate. Magari mi sbaglio, ma ho l’impressione che più che mai oggi bisognerebbe valutare il rapporto delicato tra media e discorsi possibili o impossibili in certi media.

  7. Una volta, sarà stato il luglio ’92 o ’93, un architetto scenografo che vestiva sempre di tuttopunto allinglese e nonsudavamai, durante la lavorazione di un film, cadde in una piscina. Fu tirato su con molta professionalità, senza ridergli troppo in faccia. Neanche dietro, perché gli si voleva tutti bene, nonostante portasse la spocchia, anch’essa allinglese. Si scosse un po’, si tolse la giacca e cominciò a tirar fuori tutto quello che aveva nelle tasche, come farebbe ognuno di noi in una simile circostanza. Era fuori di sé, ma non lo dava a vedere. A un certo punto tirò fuori dal taschino interiore un pacchetto di fogli bagnati, uno di quei pacchetti che tutti noi abbiamo in tasca. Solo che non tutti noi abbiamo in tasca assegni mediaset per diverse centinaia di milioni di lire, come invece aveva lui: “ Cazzo, Larry, questi so’ immacolati! “ Voleva dire che erano, come si dice, buone intenzioni: faceva il gesto del volatile… Voleva insomma dire che erano assegni scoperti. “ Sai di chi sono? “ Mi venne un po’ paura perché tra noi a cena si parlava parecchio male del produttore del film, che doveva pagare anche me…. “ Sono di quel disgraziato di Berlusconi! Scoperti, ‘tacci sua! “ Ma poi rifletteva: “ Come si fa a portarlo in tribunale? Ci ha pagato così tanto durante questi anni! “ (cifre irriferibili). Chiusa lì, andò in sartoria ad asciugarsi e procurarsi vestiti asciutti. La notizia buona era che il produttore del film, che pagava bene anche lui, era ancora solvibile.

    Chiaramente questo è un racconto di fantasia, nel quale è detto che neanche venti anni fa B. emetteva assegni scoperti. Ci si può credere?

    A fine pomeriggio, davanti a una margherita notevolmente attraente – sempre nel racconto di fantasia – lo scenografo fu in vena di altre rivelazioni. Raccontò, per esempio, che B. aveva bandito gli operai dalle sue tv, perché deprimevano il pubblico e facevano allontanare gli inserzionisti pubblicitari. Raccontò che durante una riunione di un certo programma umoristico, alla quale era presente, B. arrivò e in pochi minuti fece fuori il comico Albanese, che in uno sketch ironizzava sui padroni indossando una tuta blu mi sembra Magneti Marelli: non per quello che diceva, che non gliene poteva fregare di meno, ma solo per via della tuta blu, che allontanava il pubblico, con l’aggravante della scritta, che avrebbe forse allontanato un possibile cliente. Gli autori e conduttori, molti di loro socialmente impegnati, non batterono ciglio, anzi, nessuno si prese la responsabilità di aver scelto quel comico per la sua bravura: fu detto che lo stavano sperimentando perché era un giovane promettente. Chiusa la questione. L’architetto è un tipo aristocratico che non si scandalizza di nulla, per nulla comunista, apoliticoanarcoinsurrezionale come tutti gli aristocratici, ma la cosa della sparizione degli operai gli sembrava grave e non riusciva a buttarla giù nemmeno lui. Buttammo invece giù la margherita e ci recammo al ristorante.

    Ho scritto questo breve racconto di fantasia perché a me sembra più grave che un uomo insolvibile sia diventato in pochi anni l’uomo più ricco del paese entrando in politica. E più grave ancora che abbia fatto sparire la società dagli scenari televisivi, a partire dalla società operaia, per sostituirla con racconti anch’essi di fantasia – nuove narrazioni, direbbe Vendola – più favorevoli ai suoi bisogni e a quelli delle sue imprese. Continuate pure a parlare di MIGNOTTOCRAZIA…

    Ps: non ricordo in quale contesto, sempre nel racconto di fantasia, lo stesso architetto mi spiegò che stava messo male (B.), che a una riunione a Montecarlo dove erano presenti tutti, lui compreso, aveva arringato la folla (migliaia di persone, tra le quali tanti di quelli che avevano nel taschino interno delle loro eleganti giacche i suoi pesanti assegni volatili), concludendo un disperato discorso che annunciava l’ingresso in politica del GRUPPO con le seguenti parole: “ Mi rivedrete vincitore o morto! “

    Ps2: spero di non aver impaurito la Fu anche questa volta, che però mi sembra sulla strada buona, visto che è passata da Cioran alle guerre massoniche, che nella storia stanno tra le guerre puniche e le guerre peniche.

  8. parentesi con annessa domanda forse ingenua. il linguaggio. ecco mentre il mio vicino di casa, se gli stampassi l’articolo (questo o altri stimabili bei pezzi, pieni di cose che meriterebbero d’essere discusse insieme) comprenderebbe “mignottocrazia”, non andrebbe oltre “facies hippocratica” e -fatto! tutte le riflessioni perse.e dire che magari invece sarebbe anche contento di conoscerle, di poterle condividere, comprendere e a sua volta discuterle. occorre pretendere che il “vulgo” si elevi, e vada a cercare le parole che non conosce, i concetti non familiari, che si sforzi, che esca dal torpore, sì, mi pare pure giusto pretenderlo, e non semplificare, sono contro la semplificazione e l’accidia. però è anche vero che occorre essere un po’ realisti: c’è una forbice che si separa sempre di più. e mentre le battutelle sapientemente piazzate (e per nulla estermporanee, come si diceva) colpiscono tutti (in bene o in male), il resto – o l’alternativa- rimane ai più lettera morta. che fare? mettendosi nell’ottimistica ottica che non tutti gli italiani siano imbecilli.sennò è dargliela vinta.

  9. il mio pensiero è molto vicino a quello di Azzurra …

    intanto, almeno solo per cominciare proverei ad ignorare reti e programmi nazionalpopolari, Grandi Fratelli, tolcsciò che danno in pasto allo spettatore solo il peggio – quanto a modi – della presunta informazione. il nano verrebbe progressivamente depotenziato e qualora ignorato quanto alle sue scopatelle al viagrablu i suoi cortigiani verrebbero automaticamente svuotati di ruolo, piazza pulita per una graduale ricostruzione di ciò che veramente deve esser messo sotto i riflettori

    il discorso è complesso – così come Cortellessa lo ha illusrato – ma intanto partiamo da un gound zero vi sembrerà il meno ma a mio parere potrebbe rappresentate un punto di partenza …

  10. Molte cose Berlusconi ci fa pagare da anni. Per esempio i suoi avvocati, che, non a caso, diventano tutti parlamentari, quindi retribuiti con i soldi dei cittadini.

  11. @ azzurra
    La sua domanda non è ingenua, è tormentosa. Io che ho scritto il pezzo desidero che venga letto (e dunque lo propongo su una rivista che va in edicola, e poi su questo sito che so essere molto letto). E tuttavia, se ha letto tutto il pezzo, superando il disdoro per la facies hyppocratica voglio dire, avrà anche visto l’imbarazzo e il disdoro miei (e conteranno pure i miei, oppure no?) per l’espressione «mignottocrazia» – che considero appunto un cedimento linguistico alla doxa mediatica incarnata dal Guzzanti padre. Eppure oggi è proprio su questo termine, magari pronto ad essere sostituito dall’ancor più semplice e insultante «bunga bunga», che si incentra la discussione fra più piani e più livelli culturali – il che in definitiva è l’ambizione, giusta o sbagliata francamente non lo so, di un pezzo siffatto.
    Milena, che è intervenuta dopo di lei dandole ragione, dice che bisognerebbe accuratamente evitare i talk show e tutta l’altra fuffa mediatica; ma allora come mai la parola «mignottocrazia» – che è stata elaborata appunto in quelle sedi – invece le va bene? Io per anni non ho posseduto un televisore, scelta che a tutt’oggi condividono molti dei miei più cari amici e interlocutori; poi me ne sono rifatto uno, del tutto casualmente, e ora capita che qualche volta quegli spettacoli li vedo, scientemente mi espongo a quelle radiazioni; e penso pure che se mi rifiutassi di farlo capirei meno del paese in cui vivo. Conosco l’obiezione: quello è il contrario della realtà. Ma è stato appunto studiando da critico letterario che da tempo ho capito che capire la finzione è uno dei modi migliori per, di riflesso, capire la realtà. In una discussione con delle femministe, qualche sera fa a una presentazione di «alfabeta2», mi stupivo del loro ottimismo a oltranza – mi snocciolavano i dati sul progresso dell’uguaglianza in termine di diritti, sulle normative le quote ecc.; e io protestavo, ma vi rendete conto che a fronte di tutto questo c’è una regressione antropologica spaventosa, prodotta dall’immagine della donna nei media? loro mi guardavano annoiate. Persone informatissime, colte, preparatissime nei riferimenti teorici ecc., ma che non avevano mai sentito parlare di Maria De Filippi. Che non avevano mai visto neppure un minuto di Uomini & Donne. Ora, a me pare che ovviamente una trasmissione di Maria De Filippi NON è realtà, è anzi l’esatto contrario della realtà; ma nondimeno, e anzi forse proprio per questo, produce effetti realissimi. Produce modelli antropologici, cioè, che gli adolescenti seguono realmente.
    Penso insomma che occorrerebbe saper parlare di Maria De Filippi senza dismettere i nostri strumenti teorici, e se necessario il nostro linguaggio; senza farci contagiare per forza dal suo linguaggio, voglio dire. Perché davvero Uomini & Donne è la facies hyppocratica del rapporto fra i sessi, oggi, in Italia.

  12. @cortellessa
    la ringrazio per la risposta accurata. i suoi imbarazzi valgono eccome, certo. nel pezzo emergono e sono condivisibili, quantomeno io li condivido. il linguaggio per parlare delle cose del e nel nostro paese è urticante e (a mio modo di sentire) umiliante. anche perché utilizzare parole che sono riduzioni, parole sminuite, riduce anche il senso che significano, mi pare. è appunto semplificare in malo modo cose complesse. mi chiedevo se si può mantenere la complessità avvicinando anche chi certi strumenti particolarmente raffinati non li ha, senza stigmatizzarlo o tagliando con l’accetta. io credo che uomini e donne, al di là di guardarlo come si guardano le cavie da laboratorio, per il fatto che diventa un qualcosa che gli adolescenti imitano veramente, qualcosa contenga. ovvero, mi chiedo, chissà se c’è un modo di parlare alle persone che non sia così basso e banale ma che pure le faccia sentire parte di qualcosa che non sia solo il “tronismo”…che permetta di aprire nuove possibilità di dialogo anche tra persone molto diverse. conosco molti che guardano la trasmissione e non sono affatto sprovveduti, né intellettualmente né culturalmente. (poi sulle femministe io ho le mie personali perplessità ma questo è tutto un altro discorso.) mi scuso ma ora devo lasciare la rete. rifletterò su quello che ha scritto, può essere che comunque sia nel giusto lei quando dice che si può provare senza dismettere i propri strumenti. mi sembra una posizione fiduciosa, spero non irreale.

  13. @cortellessa

    temo di essere stata fraintesa anche a causa della concisione del mio commento. comprendo l’importanza del guardare anche i citati programmi per le finalità di cui parla ma credo che finchè ci sarà un’audice che materialmente “mantiene” quel sistema, quel sistema di questo si ciba e di questo si autoalimento e ciò semplicemente per una legge di carattere commerciale.

    se la gente smettesse di guardare i Grandi Fratelli e i tolcsciò forse gli stessi non avrebbero più ragion d’esserecosì come sono e forse l’onda lunga della profilerazione dell’osceno privato nel pubblico a poco a poco andrebbe a calare e forse a poco a poco si potrebbe cercare di cambiare i contenuti e di promuovere informazione e valori. certo sarà un’utopia, questo non lo so visto che ci sarà sempre il celodurismo bossiano ed italico a fare del nostro Beloved Cavaliere un fenomeno mediatico.

    mi permettevo solo di concordare con Azzurra quanto alla necessità di provare ad avere un approccio più “semplice” il che non vuol dire “semplicistico” nel parlare alla gente. ma questo è un mio umile punto di vista, il suo articolo non lascia spazio a commenti quanto a profondità, sostanza e direi materia ma forse, oggi, il punto è provare a partire veramente da un ground zero prender per mano chi veramente non capisce o non vuole capire senza nessuna presunzione ma con l’URGENZA di cominciare a guardare le cose in una maniera diversa senza metafore o slogan andando al cuore del problema.

  14. sai caro larry
    cioran, l'”aristocratico”, aveva capito bene la mignottocrazia, pratica essenziale alla conservazione del potere, mignottocrazia declinata in tutti i generi, nulla di nuovo sul fronte occidentale e credo anche orientale, indi per cu, lui,i non se l’è sentita di parteciparvi attivamente e questa è stata la sua salvezza e la sua incredibile pena.
    non mi hai spaventata, mi conforta anzi uno sguardo come il tuo, e pur capendo che nulla è come pare, e pur disperandomi a tratti per i rivoli inessenziali che ci fanno percorrere e per la nostra cecità all’evidenza, confido nella mia capacità di sopravvivere grazie alla mia “bovinità”
    bacio
    la fu

  15. Uomini & Donne è la facies hyppocratica del rapporto fra i sessi, oggi, in Italia.

    ..oggi?!.

    .. a me pare che sia una trasmissione d’intrattenimento per le casalinghe che mette in scena relazioni arcaiche tra uomini e donne, vecchi stereotipi di relazione, le donne spesso , anzi sempre, ne escono umiliate. I miei adolescenti, per prime le ragazze, considerano quella trasmissione un idiozia, ma la guardano per vedere quanto quel tipo di uomini e donne sanno umiliarsi mediaticamente. Quel che attrae loro è vedere questi uomini e donne “adulti” raggiungere il fondo, in una sorta di rapporto lesionista e autolesionista mediaticamente esibito. Il più dice di tirarsene fuori e di vederlo semplicemente come momento d’intrattenimento, una sorta di esibizione circense di microcefali sessuati.

    Le ragazze sono le piu’ critiche e lucide tra gli adolescenti che circolano dalle mie parti, nell’italia di oggi.

    Forse il lavoro vero di riqualificazione va fatto sui maschietti.

    Il problema non stà in quelle fictions pomeridiane, ma nei messaggi e dalle attività della nostra politica che adotta politiche sociali e per la famiglia che ripercorre vecchi modelli, che mettono contro generazioni di uomini e donne e riaffermano vecchi modelli di dipendenza delle donne dagli uomini.

    Le sue care femministe questo l’hanno capito molto prime di lei signor Cortellessa e guardano giustamente ai numeri e cercano per quel che possono di fare quello che “grandi uomini cazzuti” non vogliono e non sanno fare.

  16. facendo zapping, che come dice bene andrea cortellessa non puoi sottrarti completamente alle radiazioni di mamma tv , se non altro per confermarti un’ituizione, girando insomma un po’ di canali mi sono imbattuta in dacia maraini che farfugliava qualcosa sul caso sarah scazzi nel telegiornale di bianca berlinguer
    anche lei, anche lei non ha resistito a dire la sua su un evidente triste inquietante misterioso massonico circo mediatico della pornografia, anche lei, non di primo pelo, non sprovveduta, anche lei caduta nella trappola dell’apparire per dire nulla, perchè se hai qualcosa da “dire” in televisione non ci vai, perchè se hai qualcosa da “svelare” in televisione non ci vai, perchè in televisione non ci puoi lavorare se ne sveli il meccanismo, come dice travaglio, che è sempre in diretta :)
    le femministe? quali? che dicono? che propongono? dove vivono?
    molti baci
    la fu

  17. @ Ares
    Mi dica, come mai questa aggressività? Se le adolescenti di oggi le sembrano vivere con relativa maturità e lucidità il proprio corpo (che chiedono di modificare chirurgicamente prima ancora che sia completamente formato) o il proprio rapporto con la sessualità o il proprio rapporto coi modelli mediatici, evidentemente viviamo in due paesi diversi. Niente di male, per carità. Solo, non capisco l’aggressività.

  18. @Cortellessa,

    niente di male, per carità, ma lei ragiona come un prete tradizionalista: nonostante i suoi fedeli si lamentino, continua a dirla la messa in latino, per non pervertirla con influenze linguistiche spurie; ma più in generale, è un fustigatore dei costumi moderni, soprattutto dei guasti antropologici prodotti dalla modernità attraverso il suo totem principale, la tv. Io non credo ci sia niente di male se le gli adolescenti fanno sesso, nemmeno se hanno voglia di avere le tette e il naso più belli, nemmeno se vogliono apparire nel totem. Penso comunque che sono fatti loro se fanno quello che gli va di fare. Sarò troppo rock?

  19. Beh, certo, sono fatti loro anche se, arrivate a 18 anni, queste adolescenti per esempio votano Berlusconi.

  20. Dottor Cortellessa ha ragione lei, bisogna tornare alla messa in latino, alle bacchettate sulle mani, alla divisa scolastica. E’ l’unico modo per battere Berlusconi.

  21. chiedo scusa per il l’off targhet a cortellesi ma vi devo dare una brutta notizia. abbiamo subito un attacco bomba al sindacato dei troll e delle minacce anonime di alcuni intellettuali. non so se riusciremo a continuare il nostro lavoro. vi dico solo che rupert toy party sta in ospedale e rotowash è sotto sciock. scusate ora devo andare in ospedale, non so se riusciremo a tornare

  22. Dottor Cortellessa, le mie proposte alternative sarebbero copiose. Mi limito alla principale: smettere di ridurre gli eventi al proprio comprendonio. Per spiegarmi meglio: smettere di considerare il proprio comprendonio qualche cosa di sacro e inviolabile. Per dirla tutta tutta: si ha dovere critico di intervenire in qualunque questione, ma si può essere considerati critici solo quando si porta una qualche novità. Cosa che in questo particolare caso non mi pare avvenuta.

    Dottor Cortellessa, non mi prenda per uno aggressivo, ma mi permetterei di dire che in questo particolare caso lei si è espresso solo per mostrare i muscoli, rigorosamente in latino. Insomma, il suo intervento conoscenza nuova nella questione non ne porta, quindi non può essere valutato dal punto di vista critico. Magari va letto in un altro modo? Gentilmente mi indica quale?

    Ps: ricordo a tutti che gli adolescenti per gli adulti sono tutti delinquenti, e per gli adolescenti gli adulti sono tutti idioti. Più o meno.

  23. @ Larry Massino
    Mi sono limitato a mettere in rapporto alcuni libri recenti che mi hanno colpito, come lettore, e che analizzavano il presente da punti di vista diversi. A me sono parsi punti di vista interessanti, e ancora più interessante mi pareva mostrare come a dispetto (e in effetti in virtù) del diverso punto di partenza, concordassero su alcuni aspetti, dello stato di cose presente, che a me (opinabilmente) paiono decisivi. Se per lei questo è «mostare i muscoli, rigorosamente in latino», vuol dire solo che non siamo d’accordo, e che lei per spiegare questo presente utilizzerebbe materiali diversi, un linguaggio diverso, probabilmente giungendo a conclusioni dalle mie diverse. Per questo, senza alcuna ironia, la esortavo a fare «proposte alternative», cioè a raccogliere le sue idee e a esporcele a sua volta. Anche non in latino, se le fa così schifo.

  24. Se questo scritto di Cortellessa ha un difetto è quello di dire troppo, non troppo poco (del resto era per Alfabeta, non per un post). Sulla fine, quando insiste sul fascino perverso dell’Immondo, è abbastanza risaputo, ma io trovo che il centro della questione sia ben espressso qui:

    In questa vera e propria campagna propagandistica si sono curiosamente distinti old media come i rotocalchi illustrati, ma non c’è dubbio che una simile strategia nasca e si sviluppi in un contesto mediale che ha al centro il motore primo delle fortune del protagonista: la televisione. Dove sempre, per la natura stessa del mezzo, «il privato è pubblico» (p. 89): col quotidiano introdursi nell’intimità famigliare del pubblico e, come detto, da un certo punto in avanti riproducendo quella stessa intimità come propria forma di spettacolo privilegiata.

    E’ da qualche giorno che anche sul mio blog propongo di tornare a riflettere su McLuhan, che aveva individuato il carattere “tattile” (extimité?) della partecipazione a quel media freddo che è la tv. Leggendolo con attenzione, si poteva prevedere che avrebbe la TV portato con sè il carattere seduttivo e carnale di una pubblicità a base di gnocca (dove pubblicità e propaganda politica avrebbero facilmente finito coll’identificarsi), e la storia ha clamorosamente inverato questa previsione a partire dall’elezione di Ronald Reagan, un attore di serie B, alla presidenza degli stati uniti. Tra un Reagan e un Berlusconi, la distanza è tutta in quello che gli studiosi di tossicomania chiamano il livello di tolleranza alla droga, che richiede dosi sempre più massicce per ottenere il medesimo effetto. Più cabaret, più gnocca, una barzelletta sempre più grassa per riscaldare il clima.
    In secondo luogo (e qui Arminio dice benissimo) che Santoro e Berlusconi, al di là della diversa semantica, appartengano pragmaticamente alla stessa destra animale e televisiva, è difficile da capire soltanto per chi si ostina ad analizzare i media per contenuti. E’ vero che mentre McLuhan spiegava che “medium is message” noi qui in italia pendevamo dalle labbra di Umberto eco che faceva sociologia in sedicesimo su Superman e Mike Bongiorno (ogni paese, oltre che i politici, ha evidentemente gli intellettuali che si merita), ma chi è che ha portato la piazza berciante e carnale in tv? Ve la ricordate Samarcanda?
    A Berlusconi è bastato far fare trecentosessantagradi alla telecamera: anzichè inquadrare la cagnara, inquadrarne il correlativo oggettivo: il duce e la gnocca, per l’appunto.

  25. A me l’articolo di Cortellessa mi è piaciuto e interessato, anche se non ho letto tutti i libri a cui si riferisce. Mi limito a discutere alcuni punti.

    1 L’icona B sarebbe “L’entità storica più rilevante degli ultimi sessant’anni, in Italia; e tra le più importanti in assoluto”. Ah sì? Più di Andreotti? Più di Cefis? E per entità storica s’intende anche un ente collettivo, ad esempio la mafia?
    2 Mi pare che la figura retorica più rilevante di questo pezzo sia l’iperbole, talora adoperata in senso ironico. Certe espressioni sono utili per capire la realtà italiana, altre mi sembrano buone come battute.

    Trovo interessante l’idea della sessualizzazione della comunicazione politica, giacchè i primi sono costretti a VENDERE una merce che non ama più nessuno. Il linguaggio del potere è quello della pubblicità commerciale. Quando la Ferilli vende i divani alludendo alla possibilità di donare il suo corpo sul quel sofà anche lei seduce e inganna, come sono costretti a fare i parlamentari dopo la trasformazione dei cittadini in spettatori e dopo l’invasione della logica mediale nella politica. Siamo tornati alla politica com’era prima dei partiti di massa, prima del Giolitti del suffragio universale maschile, un’isola remota che non interessa a nessuno a meno che non venga idealizzata con caratteristiche banali ed oscene. La politica spettacolo costringe i politici ad essere attori efficaci, fingitori emozionanti, simpatici, capaci di bucare lo schermo. E qui Al Tappone non ha inventato nulla, pensiamo almeno a Kennedy contro Nixon.

    Detto questo, mi sembrano quantomeno delle esagerazioni la “Società pornografica di massa”, la “mignottocrazia”, addirittura l’intrinsecità della mignottocrazia al Politico con la maiuscola. Di mignotte sì che ce ne sono, ministre e consiglieri regionali, ma non costituiscono un kratos. Se non sbaglio.
    Altro è misurare la portata dell’invasione della logica del marketing e dei media nella relazione tra l’oligarchia parlamentare e quei beoti che votano il più simpatico, il più sensibile, il più bello etc. Ieri il famoso Dj Moby ha detto che Obama ha perso le elezioni perchè non sa più emozionare. Cazzo, come se fosse una pubblicità.

  26. Vedo valter (e sono andata a vedere nel tuo blog) che anche tu ti sei dato alla lettura (o rilettura) del grandissimo mcluhan :-). Forse uno dei pochi ad aver capito completamente (soprattutto prima di tutti) gli effetti totalitari e totalizzanti della tv (che tra l’altro non basta certo spegnerla, come dice melania, troppo facile sarebbe). L’effetto (e la causa) del totalitarismo è la distruzione della politica, e la tv (soprattutto senza controllo come in Italia) è un mezzo totalitario che non necessita neppure più di eserciti per annientare e tacitare la nostra necessità di politica e di conflitto per liberarci. Anzi riesce a farci credere che si possa essere liberi, e si viva meglio, anche in assenza totale di politica Una volta distrutta la politica (quella vera e non quella di immagine), questa distruzione coinvolge anche chi la tv non la guarda, non c’è scampo. Questo non toglie che su animali televisivi (come ormai siamo tutti) il medium usato con intelligenza (e con anticorpi) avrebbe certo fatto meno danni e oggi saremmo più liberi. Nel pezzo che hai riportato Mcluhan scrive: “Per resistere alla TV bisogna quindi acquistare l’antidoto di media affini come la stampa”.
    Troppo tardi, ormai anche la stampa è stata corrotta dalla tv.
    Oggi però c’è un nuovo medium, la rete, che Mcluhan non conosceva, ma che, per magia di conoscenza del passato ed esperienza del presente, dialogando con l’umanità tutta e con se stesso, sembrava quasi averlo già previsto. In molti suoi scritti e analisi infatti sembra quasi che tale medium già ci fosse (ma non c’era). L’antidoto alla sinestesia totalizzante, “cioè l’unificazione dei sensi e una vita immaginativa”, era per ML la scrittura, quella scrittura che stava scomparendo e nel momento della dissoluzione dava il massimo di se stessa nella contemporanea visibilità della scomparsa e della nuova forma, come le onde sonore quando viene superato il muro del suono (formidabile similitudine di ML che avevo messo giorni fa nel mio blog). Oggi c’è una nuova scrittura-non-scrittura che non è solo lineare, una nuova stampa impura, linkata, e istantanea al mondo dell’immagine, del suono e anche della tv, una scrittura balbettante (tanto da sembrare, anzi da essere, puerile e infantile) ma pur sempre predominante sulle altre forme (a cui rimanda con link). Potrebbe questa neo-scrittura essere il vero antidoto e liberarci dalla società tribale in cui la sensorialità del suono e dell’immagine ci ha relegato e imprigionato?. Non lo sappiamo è tutto ancora da scoprire, ma certo che un ulteriore passivo e inconsapevole uso del nuovo medium potrebbe regalarci brutte sorprese ancor più di quelle che ci ha dato l’uso della televisione finita in mano a una banda di delinquenti crapuloni.

  27. @ Paolo Pisacane
    Al suo secondo punto non posso rispondere. Posso solo dire che l’unica intenzione che posso escludere di aver avuto è quella di fare dello spirito. Alla prima domanda invece rispondo con decisione: sì. Non parlo di «enti collettivi», ma di singoli individui.

  28. @georgia
    “questa distruzione coinvolge anche chi la tv non la guarda”
    Infatti, e contamina la scrittura anche, non l’atto dello scrivere in quanto tale ma l’ambiente mediatico in cui la scrittura è costretta a promuoversi e diffondersi, che è eminentemente televisivo, anche se non si tratta del gran gala del Premio Strega.
    Notate per esempio il tamburo battente con cui “Affaritaliani” di Prudenzano ci informa nel modo più gossipparo e strombazzante possibile dell’ultima intervista di Tizio che ribadisce a Caio o svela i retroscena (cioè mostra lo scoscio) del suo ultimo- prossimo libro. Astenersi da questa roba sarebbe il minimo sindacale non per un pudore ormai irreperebile ma per marcare la differenza del mezzo.
    Quante volte in Rete siamo trascinati in un thread a commentare e magari a sparlare di un libro che non si è letto (e non si ha intenzione di leggere)?
    Lo faccio anch’io ogni tanto, lo si fa tutti: non è immoralità, è la capziosità del mezzo, che oltre un certo limite diventa televisivo anch’esso, perchè il video è il video e anche qui la tendenza irrefrenabile è vedervi specchiata la propria intimità debordante o frustrata. Ci vuole un ascetismo quasi eroico per resistere,

  29. Addenda.
    Un giorno non lontano, quando si sarà spesso di analizzare la tv per i suoi contenuti semantici (il che è l’equivalente di quando si parlava della peste come di una punizione divina), si comprenderà che l’era televisiva è l’equivalente di una grande infezione collettiva, e le categorie giuste sono quelle epidemiologiche perchè essa non ostenta ma contagia. Certo, avremmo già i pensieri per pensare questa cosa.
    A parte McLuhan, chi si ricorda “Videodrome” di Cronenberg?

  30. @ Valter Binaghi
    È stato già notato dalla critica come con ogni probabilità il Cronenberg di Videodrome – il più impressionante apologo di sempre sulla “persuasione occulta” e sul potenziale virale, appunto, del palinsesto televisivo: già allora “tarato” su Sesso & Violenza – si fosse ispirato al suo geniale concittadino McLuhan.
    Su una (da altri) impensata, quanto straordinariamente produttiva, connessione Adorno-McLuhan si impernia il pensiero di uno dei saggi più suggestivi e illuminanti (e per una volta né letti né citati) prodotti dalla cultura italiana negli ultimi vent’anni: La scimmia di Dio. L’emozione della guerra mediale di Gabriele Frasca (Costa & Nolan 1996, da tempo introvabile).

  31. la capziosità del mezzo, che oltre un certo limite diventa televisivo anch’esso, perchè il video è il video e anche qui la tendenza irrefrenabile è vedervi specchiata la propria intimità debordante o frustrata

    La differenza con la tv è abissale :-) non tanto in chi scrive, ma (e questo è quello che conta) in chi legge e riceve. Non scherzare, nessuno ti leggerà mai con la passività con cui recepisce la tv :-). Qui volenti o nolenti, leggendo mettiamo in moto il nostro senso critico (chi più chi meno) e forse è proprio questo che spesso provoca reazioni doloranti se non addirittura aggressive. Qui quello che in televisione recepiremmo passivamente ci provoca quasi dolore fisico e molti reagiscono, altri più consumati sorvolano in silenzio ma altrettanto feriti e sanguinanti ;-).
    il bello della rete è proprio questo: siamo spellati al vivo nella recezione, siamo senza guscio e sviluppiamo un sesto senso protettivo che ci impedisce di venir strumentalizzati.

  32. @Cortellessa
    Ecco, questa cosa che c’è un gran libro da cercare (introvabile? vedremo) è una delle cose per cui val la pena restare al mondo.

    @Georgia
    se non condividessi in gran parte non sarei qui. la video-scrittura è anche scrittura. Anche se, tornando all’ultimo McLuhan (quello di “Il villaggio globale”), una delle cose più affascinanti che diceva è che un media ne contiene un’altro, promuove come egemone (e rende invisibile) un sensorio e ne respinge un altro sullo sfondo.
    In realtà ogni media è composito e vive una sua polarità

  33. Nonostante alcuni suoi fondamenti , McLuhan fa molto ventenne universitario a splulciare – in incognita – da Feltrinelli alla fine degli anni ’90, no?

    Adesso, voglio dire, in Italia si vive un’anomalia che ingigantisce e deforma. Ed ogni volta che sento… McLuhan lo aveva detto o George Orwell lo avevo scritto, mi chiedo quanto euforici e scomposti siano i vostri interventi.

    A me pare che gia’ nei filmettini di serie Z degli anni ’70 ci fosse il germe di Drive In. Assolutamente di sinistra. In fondo e’ stata l’Italia a creare Berlusconi, non il contrario, quale ingenuita’ solo pensarlo. Il dramma e’ che nessuno voglia fare fuori Berlusconi. Tutti devono tutelare – funanbolici – i propri piccoli interessi particulari. Ed in fondo assicurarsi una certa stabilita’…

    Senza mai dimenticare che la lingua italiana e’ di per se’ ambigua e tende alla pornografia. Altro che tv. Le stesse traduzioni dall’inglese vengono come contaminate dalla mignottagine. Lo stesso Format televisivo in Italia assume toni linguistici quasi scabrosi. Rifletteteci.

    Comunque, se ci riflettete bene bene, Berlusconi resta un prodotto della Sinistra.

  34. Senza dimenticare che molti di voi restano teledipendenti e monomaniacali. E adesso ci avete aggiunto pure fb. Bella merda.

  35. E poi, voglio dire, e’ Lele Mora, novello Pasolini, svuotato di ogni zavorra, a fare Berlusconi. Il nostro non ha colpa.

  36. E la Sandra Milo di CIROOO? Ero piccino. Guardai quella puntata a casa di mia nonna. In bianco e nero. La’ c’erano gia’ Craxi e soprattutto Berlusconi.

  37. Libri citati per descrivere come Berlusconi passerà alla storia di:

    -Ceccarelli per Feltrinelli,
    -Gibelli per Donzelli,
    -Belpoliti per Guanda e
    -Cordelli per Rizzoli.

    Ma continuiamo pure a dire che Mondadori non ha nessuna linea editoriale (neanche per narrare la storia politica dell’Italia degli ultimi 20 anni?).
    Senza contare che gli ultimi due autori hanno preferito/dovuto pubblicare al di fuori di Mondadori.

  38. McLuhan fa molto ventenne universitario a splulciare – in incognita – da Feltrinelli alla fine degli anni ’90, no?

    E’ verissimo AMA, spulciarlo da feltrinelli fa molto ventenne universitario, ma leggerlo sinceramente è un’altra cosa, provare per credere :-).
    Che berlusconi sia prodotto socialista è innegabile, senza craxi (che faceva fuori a suon di decreti i pretori rossi) non avrebbe mai avuto una televisione nazionale, figuriamoci 3 (e poi 6 + un tot di regionali) … senza contare che anche il pci non capì mai il vero potere eversivo della tv. Come del resto, in Italia, la sinistra tutta, ancora oggi, non capisce quello della rete e la usa (ad personam) in maniera molto conformistica pigiando unicamente sul tasto dell’iperbole faziosa (e con registro indignato) per autopromozione, più o meno narcisistica, personale … la rete FORSE (dico forse perchè non lo so) è tutt’altro.

  39. lorenzo scusami ma non ho completamente capito cosa vuoi dire.
    Non vorrai mica dire che, con tutto il rispetto, Ceccarelli, Gibelli, Belpoliti (quello della lagna del corpo del capo), Cordelli saranno gli “storici” che domani verranno letti per capire berlusconi vero?
    geo

  40. Per leggere McLuhan bisogna inserire prima il cervello.

    va beh, ora non t’allargare troppo, dai ;-), e non sottovalutare lo sfarfallio nei blog … e soprattutto lo scagazzio da fiore in fiore che si sa … è la causa (e il merito) maggiore del pluralismo nell’e-mondo.

  41. La tv, che in Italia ha cominciato le trasmissioni nel gennaio 1954, non sposta un voto. Dati alla mano. Fonte ninistero dell’interno.

    Camera 07/06/1953

    Elettori 30.272.236
    Votanti 28.406.479 (93,84%)
    Schede bianche 421.381
    Schede non valide (bianche incl.) 1.318.778

    DC 40,10
    PCI 22,60
    PSI 12,70
    P.NAZ.MONARCHICO 6,85
    MSI 5,84
    PSDI 4,51
    PLI 3,01
    PRI 1,62

    Camera 13/04/2008 | Area ITALIA (escl. Valle d’Aosta)

    Elettori 47.041.814 Votanti 37.874.569 80,51%
    Schede bianche 485.870
    Schede non valide (bianche incl.) 1.417.315

    WALTER VELTRONI

    PARTITO DEMOCRATICO 33,18
    DI PIETRO IT. VALORI 4,37

    TOTALE COALIZIONE 13.689.330 37,55

    SILVIO BERLUSCONI

    IL POPOLO DELLA LIBERTA’ 37,38
    LEGA NORD 8,30
    MOVIMENTO PER L’AUTONOMIA PER IL SUD 1,13

    TOTALE COALIZIONE 17.064.506 46,81

    FAUSTO BERTINOTTI

    LA SINISTRA L’ARCOBALENO 3,08

    PIER FERDINANDO CASINI

    UNIONE DI CENTRO 5,62

    DANIELA GARNERO SANTANCHE’

    LA DESTRA – FIAMMA TRICOLORE 2,43

    Stabilito che colpa della tv non è, di McLuhan nemmeno, di chi è la colpa?

  42. Ma voglio dire, va bene l’insulto gratuito, ma io NON sfarfallo proprio da nessuna parte. Perche’, dove altro mi avete avvistato?

    :-))))))))

  43. @georgia

    Tutta la finzione scenica della Sandra Milo che quel giorno grida CIROOO dopo la telefonata fake in diretta sul presunto incidente stradale del figlio… Da allora in Italia McLuhan e’ andato a farsi fottere e la tv e’ diventata un’altra cosa.

  44. ma AMA che sia ciro, o vermicino o la preparazione della guerra (con la vergognose menzogne che ci hanno rifilato fino ad oggi) o l’isterico l’allarme terrorismo, o la lettura in diretta dei deliri della fallaci (fatta da mentana al telegiornale) con dietro filmati di poveri musulmani di tutto il mondo, che il terrorismo lo subivano e non certo lo creavano, o beppe grillo e de magistris che si sbracciavano dalla piazza a santoro … insomma è “l’unificazione dei sensi e una vita immaginativa” che recepisce passivamente la tv, a creare la miscela esplosiva non certo sandra milo o altri ;-). Poi naturalmente c’è chi organizza il tutto per un fine preciso come berlusconi e company … ma questo è un altro discorso, l’unica cosa certa è che si sono trovati un pubblico già geneticamente modificato.
    McLhuan non credo sia mai stato molto letto in italia (citato forse sì ma letto poco), troppo poco usabile in maniera faziosa, ognuno lo accusava di essere al servizio dell’altro (come spesso capita in paesi culturalmente faziosi come il nostro :-).

  45. Ma c’è ancora gente convinta che la Rete sia un contraltare o adirittura contropotere della tivù? Sono basito!

  46. @Cortellessa

    mi scusi, mi era sfuggita la sua ultima risposta. Circa il ” raccogliere le sue idee e a esporcele a sua volta. Anche non in latino, se le fa così schifo. ” le dico che è quello che faccio abitualmente, sia in NI che altrove, a volte compreso a volte meno, perché anch’io uso il latino, e tante altre lingue, magari i dialetti, se ciò è necessario a rafforzare i contenuti dei miei ragionamentini. Però io non sono un critico, cerco di produrre pensiero solo a fini artistici, che spero non confliggano con i suoi né con quelli di nessun altro, e cerco di confrontarmi coi critici per afferrare sempre qualcosa di più del reale linguistico che mi circonda. Lo faccio da un po’ di mesi anche frequentando alcuni blog letterari e politici, avendone anche aperto uno per non sembrare uno che si tira i’ sasso e nasconde la mano, inserendomi nel gioco con la mia modesta produzione di elementarissimi enunciati fatti a mano.

  47. Georgia, lo sai che ti adoro, e condivido quello che dici, ovvio, ma prova a riflettere un attimo… O a sbarellare con me. Nel nostro paese sono stati gli Italiani a modificare geneticamente la tv, mentre le loro stesse vite fittizie ne venivano fagocitate.
    Fughe. Evasioni e seconde e terze vite. Questo siamo.

    E poi, voglio dire, nel momento stesso in cui Sandra Milo usa il mezzo per affermare se stessa, alzando l’audience, infrange il codice stesso del medium e lo sputtana. Poi non so…

    Su McLuhan… Per quanto questo possa essere assolutamente irrilevante, lo lessi quando avevo ancora dei neuroni. Cento anni fa. Dovevo fare un esamino sulla Teoria della Percezione.
    Credo che nel nostro paese McLuhan non sia mai stato popolare perche’ ha una visione non inquinata, quasi bidimensionale, dei media. In Italia invece li pieghiamo restandone pero’ assoggettati.

  48. Riflettete sull’uso che fa fatto del medium una tarzanella periferica come Sabrina Misseri. La nostra e’ intervenuta pesantemente a modificare la natura stessa del mezzo. Non si e’ limitata come il padre alla messa in scena della dissimulazione. Sabrina Misseri e’ un mostro. E’ andata oltre Baudrillard.

  49. @Binaghi

    Che vita! Quanto ti manca alla pensione?

    —————————————————————————–

    Direi che da Craxi in poi, alla gente interessi non tanto quello che i media mettono in scena, ma di chi e come se ne serva per modificare la realta’, non la sua rappresentazione. Siamo troppo sgamati.

  50. Georgia, lo sai che ti adoro, e condivido quello che dici, ovvio, ma prova a riflettere un attimo… O a sbarellare con me

    se si tratta di sbarellare … sempre disponibile ;-)
    geo

  51. Il televisore va semplicemente buttato e forse anche il pc. Larry Massino, stavolta mi deludi, l’idea di potere (anzi dovere) produrre idee nuove, senza essere veramente antica, è comunque la più stantia del mondo e come artista non dovresti cascarci.
    Le ragazzine deturpate da ferraglia e rumore alterano il loro campo elettrico, la chimica della pelle e i loro organi di senso, se questa è libertà…; alla fine saranno ancora più sceme delle bisavole.
    Per il resto, sviscerare all’infinito l’argomento tv mi pare davvero un sacrificio sproporzionato. E poi, chi sono i furbi che hanno saputo meglio servirsi delle analisi e dei risultati di McLuhan?
    Il buon vecchio analfabetismo, per quanto talvolta deprimente, non riusciva a sfigurare completamente gli uomini e presentava altri vantaggi che l’esposizione mediatica ignorerà sempre.
    La vita non è breve, pur sempre disponiamo di un tempo definito. Mettiamoci in salvo. Per smaltire l’intossicazione del televisore occorre parecchio tempo, anni. E’ vero, dispiace assistere al progressivo instupidimento televisivo anche delle persone che magari dovremmo amare; è triste e tragico come nel vederli perdere la ragione. Eppure ci dovremo mettere in salvo da soli. Del resto neppure in paradiso si va in comitiva, ma ognuno per proprio conto.
    Mille cose sono migliori: meditare, nuotare, dormire, guarire, scrivere, ma è necessario perseguire un certo grado di igiene, un certa purezza e anche se sarà laborioso non è impossibile. Ciò che scriveremo smetterà forse di essere fango.
    Lo scrittore può meditare proprio attraverso la scrittura e viaggiare alto.

  52. @Maurizio

    solo per dirti la mia su ” chi sono i furbi che hanno saputo meglio servirsi delle analisi e dei risultati di McLuhan? “: i dirigenti della tv pubblica e privata.

  53. “Per vent’anni ci siamo venduti a quest’uomo. Se non ce ne siamo voluti accorgere, è perché lui ha inventato un trucco semplice e mirabile: quello di vendersi nel momento stesso in cui acquista. Così, mentre ci vendiamo a lui, insieme lo acquistiamo”.
    Strano che chi è capace di scrivere un’analisi così cruda e precisa non abbia a suo tempo colto nella difesa e nell’appoggio al gesto di Mancuso un’opportunità, almeno per gli intellettuali per cominciare a uscire da questa condizione con gesti concreti.

  54. @ Francesco Pecoraro
    Forse dimentichi che al “caso Mancuso” abbiamo dedicato una lunga discussione, qui su Nazione indiana. E io ho scritto che il suo intervento aveva spostato i termini su un piano (quello coscienziale, strettamente individuale) che consentiva una lettura diversa del problema; ma che, ciò malgrado, restavo convinto che la soluzione da lui proposta (proprio perché coscienziale-individuale e non collettiva-politica) non poteva essere la mia. Non è che gli unici gesti «concreti» sono quelli che vanno bene a te. Né è sicuro al cento per cento, mi pare, che i tuoi «gesti concreti» risolvano (o contribuiscano a risolvere) alcunché.

  55. @andrea
    è stato più forte di me, leggendo le tue parole, ripensare alla vicenda Mancuso: so che ne abbiamo discusso, ma non è colpa mia se non mi sono convinto che fosse un bene lasciarlo solo: ciò che è coscienziale e individuale diventa collettivo e politico in quello che sia chiama processo di adesione et condivisione: nel gesto di Mancuso c’era un germe di aggregazione: nessuno garantiva che fosse risolutivo, né che fosse esente da contraddizioni, ma almeno ci si poteva provare…

  56. Andrea Cortellessa
    Quando dici che i gesti concreti che propone pecoraro non sono gli unici, si vorrebbe capire quali sono gli altri, per uno scrittore.
    Il gesto che hai fatto con questo articolo-saggio non sarebbe stato possibile se tu avessi voluto attingere dal più grande editore italiano: perchè Mondadori quei 4 saggi da te analizzati non li avrebbe pubblicati. Hai potuto parlare dell’era della mignottocrazia solo perchè sei potuto uscire dall’impero di B. e solo perchè altri hanno pubblicato fuori da questo impero.
    Io sto ancora aspettando da non so quanto tempo che chi rilancia la lotta dall’interno a B. e al berlusconismo, anzichè paventare digrazie inenarrabili e indimostrabili che si avrebbero abbandonando Mondadori, mi dica quali sono le azioni concrete e i risultati avuti della sua lotta.

    Quando dici se ne è discusso molto a proposito di Mancuso, fai pensare che il discutere in sè esaurisca l’agire.
    E’ una mistificazione dire che Mancuso ha portato su un piano coscienziale individuale la questione. La questione è una, punto e a capo: è opportuno per un democratico pubblicare per Berlusconi? Mancuso ha scelto di non farlo più una volta convinto che l’impero editoriale di B. sia stato ottenuto con l’imbroglio e l’illegalità e che il governo presieduto da quell’editore fa leggi per proteggere tale impero.
    Mancuso, da teologo, per sè parla di questione di coscienza, ma la coscienza è la dove risiede la conoscenza del bene e del male, come a dire: non è altro che una scelta etica una scelta fatta secondo coscienza.
    Ed è appunto di una scelta etica, con valenza politica
    (ammesso e non concesso che ci siano scelte etiche che non siano anche politiche) che si parla: decidere di non lavorare per un criminale che sta piegando la vita politica e civile italiana alla salvaguardia dei suoi interessi e della sua impunità.

    ps
    Larry Missino può davvero deludere qualcuno?
    Quando uno crede che la tv non sposta un voto non dovrebbe deludere nessuno: non ci si può aspettare nulla.

  57. @PS (Polizia di Stato) Lorenzo Sgarbiati

    Storpiare i nomi è una pratica umoristica idiota da Polizia di Stato, da Emilio Fede, da licealini come lei: mi sembrava di averglielo già detto (del resto lo so fare meglio di lei).

    Se rigurgita un po’ di bile e guarda con calma e pazienza i dati elettorali dal ’48 a oggi vedrà che il polo moderato clericale ha sempre avuto la maggioranza, e che i voti della sinistra, ammesso che si vogliano considerare di sinistra gli elettori dei partiti di sinistra, quelli di Di Pietro, per esempio, non arrivano al 40%. Questi sono i numeri, di fronte ai quali neanche l’idiozia poliziesca liceale di Stato può nulla.
    Certo, la tv può contribuire ad allargare l’area dell’idiozia, dalla quale, però, mi sembra che nemmeno lei è immune.

  58. Che il suo intervento aveva spostato i termini su un piano (quello coscienziale, strettamente individuale) che consentiva una lettura diversa del problema; ma che, ciò malgrado, restavo convinto che la soluzione da lui proposta (proprio perché coscienziale-individuale e non collettiva-politica) non poteva essere la mia

    Io sinceramente non lo so se uscire da Mondadori (la più grande casa editrice italiana) per uno scrittore (per tutti gli scrittori più o meno antiberlusconiani) sia l’azione giusta, proprio non lo so. Non so se, a parte l’effetto mediatico che un simile atto, fatto da molte persone, potrebbe avere, sarebbe la cosa giusta. Forse sarebbe meglio scrivere cose terribili e vere da quella casa editrice ed eventualmente farsi bocciare tale scritto svelando così la linea editoriale non democratica (sempre che tale linea esista) della casa editrice (ma questo a parte Saramago non lo ha fatto, e non lo farà, nessuno). I più coerenti e coraggiosi (come Carlo Ginzburg) la lasciarono subito la mondadori. Dopo queste prime uscite, uno dei casi e dei gesti più eclatanti è stato appunto quello di Mancuso.
    Non so cosa sia giusto fare, però la frase di Cortellessa mi ha letteralmente agghiacciato.
    Dunque una azione coscenziale individuale NON ha alcun valore e non potrà mai diventare collettiva politica? Dunque ognuno di noi è totalmente de-responsabilizzato, esentato dall’azione pubblica individuale (anche di un semplice gesto pubblico) fino al momento storico (e sappiamo tutti che sono pochissimi) in cui in molti “si viene risucchiati nella vita politica come per l’attrazione di un vuoto pneumatico”? Per il resto tutti … come diceva Hannah Arendt impegnati e impelagati “nelle polemiche e negli intrighi interminabili di una guerra di carta”?. La Arendt questi attivisti di carta li chiama addirittura cricche (neppure vere e proprie fazioni).
    Il gesto di Mancuso è stato importante anche perché di polemica di carta da cricca non si è trattato, e non è un caso se dopo i primi scritti tutti hanno preferito lasciarlo cadere da solo nel silenzio … per non compromettersi troppo;-). Giustificazione di questa fuga di carta da Mancuso? nessuno ha tempo da perdere per appoggiare una azione coscienziale-individuale … meglio attendere con tranquillità che diventi collettiva politica (e quindi meno compromettente)… ma chi la potrebbe far diventare collettiva politica? Varie azioni individuali o una idea che cade dall’alto dentro la caverna, da poter seguire, senza responsabilità personali, come si segue l’insegna della guida turistica? Ma questa sarebbe inutile filosofia politica e non Politica?
    Non sarebbe meglio confessare che lavorare (o non lavorare) per mondadori, o per certi giornali, non è una scelta ideologica ma di necessità, perche lì si guadagna di più e si circola di più (o perché altre alternative non si hanno) o perché lì tutto sommato non ti censurano e non ti cambiano le interviste ecc. ecc.? Beh almeno siamo nel campo del mondo tangibile e non nell’empireo delle idee.
    Riguardo a pecoraro, mi chiedo come mai abbia a suo tempo pubblicato con mondadori. Cosa è successo dopo per fargli cambiare idea? Mancuso dice di aver realizzato (quindi prima non ne era convinto) che la mondadori era illegale e che la sua coscienza gli impediva di continuare la collaborazione, ma pecoraro, come tutti noi, questo lo sapeva già. Almeno dalle sue parole dimostrava di saperlo già ampiamente. Sia chiaro che io non critico pecoraro perché ha pubblicato per la mondadori come non critico Nori che scrive per Libero (dove ieri ha scritto un bell’articolo su Tolstoi) o Raimo che scrive per il Sole.
    geo

  59. scusatemi la frase di cortellessa doveva andare in corsivo Che il suo intervento aveva spostato i termini su un piano (quello coscienziale, strettamente individuale) che consentiva una lettura diversa del problema; ma che, ciò malgrado, restavo convinto che la soluzione da lui proposta (proprio perché coscienziale-individuale e non collettiva-politica) non poteva essere la mia
    Altrimenti sembra che siano parole mie …

  60. Sig. Massino,
    da quel che ho letto di lei, a più riprese, ho capito che non è un interlocutore serio e intellettualmente onesto. Inoltre credevo fosse un anonimo ma mi sbagliavo, mi sono accorto ora che ha un link a un sito.
    Nel caso il mio giudizio sul suo commentare fosse affrettato, le dico:
    stento a credere che in Italia buona parte della popolazione sia così ignorante e ottusa da credere che la tv non sposti un voto. Se non sposta voti la tv non si capisce perchè si faccia campagna elettorale, si voglia essere presenti in tv, appunto, sui giornali, e financo nei cartelloni sui muri delle città. Non si capisce proprio perchè i partiti spendono soldi in questo. Ora se lei è davvero così ottuso, o disonesto intellettualmente, da non capire che per esempio un neo-partito che ha molto spazio in tv, prenderà più voti di un neo-partito che si conosce solo dalla scheda elettoriale nella cabina dell’urna, come dire? Le faccio i miei auguri. Se lei pensa che non abbiano influito nel 1994 nel lancio di Forza Italia, così come qualche anno dopo, nel referendum contro le pubblicità nei film, vinto da chi le pubblicità le voleva, i proclami degli showman e delle showwoman della Fininvest che assicuravano di votare Berlusconi, o che assicuravano che senza pubblicità i film non sarebbero più stati messi in onda, le faccio i miei auguri.
    Se lei crede che per dimostrare che la tv non sposta vota basti far vedere che tra destra e sinistra le percentuali cambiano poco ogni anno, le faccio i miei auguri. Cosa vorrebbe che dimostrassero le percentuali dei voti, che dessero a B. il 100%, per dimostrare che il suo impero mediatico sposta voti verso di lui? E’ uno dei tanti ottusi o disonesti che dice: se le tv spostano i voti, e se le tv le possiede o controlla B., come ha fatto Prodi a vincere in passato?
    Ora, davvero non riesce neanche a ragionare tanto da arrivare a capire che se la tv sposta voti si tratta di punti percentuali, non oltre il 10%, ma è proprio perchè la differenza tra destra e sinistra non è mai tanta, che spostare anche il 3% è influente sul risultato delle elezioni. E quindi, se Prodi ha vinto con il sistema televisivo contro, significa che senza quel sistema, avrebbe vinto più nettamente di qualche punto percentuale.
    Ci arriva?
    E quindi i dati dei voti da lei citati sarebbero tutti diversi di qualche punto percentuale, variabile ogni anno, quello sì, anche da fattori contingenti di ordine non mediatico, se la presenza in tv e l’orientamento dei programmi informativo fosse equamente distribuito tra destra e sinistra.
    Quando B. scese in campo l’Osservatorio di Pavia calcolò che la sua battaglia pubblicitaria spostò circa l’8% di voti su Forza Italia. Era una novità. Negli anni a venire, ossia quelli passati da meno tempo, ne ha spostati di meno, ma sempre di qualche punto percentuale.
    Non le dice niente che Vendola dopo aver imbastito una sapiente campagna di autopromozione candidandosi a leader del centrosinistra, cercando in tutti i modi di finire su giornali e tv, e finendo effettivamente su giornali e soprattutto su tv ossia facendo parlare di sè e facendosi vedere molto, oltrechè conquistando fiducia con la sua arte oratoria (ma se uno non ha la possibilità di andare in tv come può conquistare voti con l’oratoria?), e tutto questo a ridosso dell’atto formativo del suo partito, SEL, si sia conquistato in pochi mesi un balzo in avanti netto di un 3% che nel suo caso equivale al doppio dei voti che aveva SEL?
    Se tutto questo non le dice niente, i miei migliori auguri.

  61. Poi ci dimentichiamo una cosa fondamentale: la guerra fredda. Chiaro che il blocco democristiano era maggioritario. Tenendo poi conto del fatto che la tv era saldamente in mano dc. Una volta caduta la dc … senza le tv in mano a berlusconi avremmo avuto una situazione ben diversa … non è un caso che allora si prospettò addirittura una divisione in due dell’italia con cosa nostra che finanziava addirittura la lega … nella logica meglio mezza italia che nulla :-). Poi scese in campo berlusconi e le sue tv come corazzate.

  62. Forse Larry Massino intendeva dire che l’imbecillità conformista è una cosa che risale a molto prima dell’invenzione della TV… Certo che la TV aiuta…
    Neanche la mignottocrazia è una grossa novità.
    Berlusconi, più che una figura moderna, è un signore rinascimentale, con annessa corte e donnine. Il popolo è sempre pronto ad adorarlo o a disprezzarlo, seguendo la corrente.
    Ha portato (o riportato) la politica alla sua dimensione naturale: l’esercizio del potere a scopo godimento personale.
    Poiché il godimento collettivo è un obiettivo irraggiungibile, non vorrei che, quando B. fatalmente svanirà, ci sia in politica un rigurgito di moralismo cattocomunista. Sarebbe altrettanto intollerabile.
    Ho idea che le cronache del dopoB. saranno altrettanto tristi di quelle dell’ultimo decennio.

  63. Intanto, da socialmente sottomesso, mi inchino con la massinissima umiltà al fatto che finalmente, dall’alto della Vostra Nobile posizione Imperiale, Vi comportate da dispregiatore di classe, quasi democratico, educato e civile, direi da dispregiatore postrisorgimentale, forse in occasione della celebrazione religiosa domenicale, o più probabilmente in occasione della vicinanza con la ricorrenza celebrativa del 150° dell’Unità statale, degnandomi con pio e generoso gesto, in quanto io componente della plebaglia, di composizione non offensiva del nome. Un passetto avanti si sarebbe fatto, nel tentativo di ricomporre un tessuto sociale ordinato che disegni almeno un ipocrita reciproco rispetto… E infatti Vi dico subito che il mio sentimento di rispetto nei Vostri confronti è aumentato di molto, moltissimo, sopra di tutto per via che mi ritenete inaffidabile, proprietà che io considero un magnificente complemento, sia in questa piazza che altrove.

    Però, da quello che NON ho letto di Voi, a più riprese, ho capito che siete interlocutore degno dei commentatori più affezionati alla liturgia del luogo comune, altrove e in NI, sempiternamente maggioritari, non so se influenzati dal nefasto potere della Tv. Non Ve ne faccio una colpa, intendiamoci, anzi, Vi invidio decisamente, perché io non sono mai riuscito a sintonizzarmi sulla facilitante mediana, neanche per finta, atteggiamento dissimulatorio che avrebbe invece, secondo sacrosantissimi principi di prudenza, agevolato la mia vita professionale e sociale (neanche per il cazzo: mi avrebbe lasciato nella mia assoluta magrezza, solo e indifeso, avvolto nella miriade di prevedibile gente crassa e mediana, poco divertente, con la quale in ogni caso non c’è modo di portare in fondo un ragionamento: solo lignaggio e distintivo!).

    Vi lascio, eccellentissimo Galbiati, nella Vostra consolatoria convinzione che se il mondo è uno schifo è colpa della Tv, del resto intellettualmente accomunato a quasi tutto il cucù zzaro (ma Pasolini pensava che la Tv influenzava la società, non la composizione del parlamento… e pensava che in quanto a influenza negativa sulla società, peggio della scuola media non c’è nulla!). Prima di salutare, pazientate ancora un momento, Vi voglio far riflettere sul fatto che Thomas Bernhard, come certo sapete, se la pigliava con il popolo austriaco, tutto quanto, descrivendolo come antropologicamente nazista, senza se e senza ma; e non se la pigliava con la Tv austriaca, che sarà certamente idiota quanto quella italiana. No? Per il resto… per il resto niente, aggiungo ripresa a ripresa e non Vi leggo nemmeno questa volta. A prescindere.

    PS: (Polizia di Svago) se Lorenzo Galbiati fa parte della scuderia Sergio Soda Star, anche se no, ho fatto finta di cascare nella trappola fintamente o non fintamente offensiva. Ma è l’ultima volta.

  64. Dell’epoca nostra ultima di Kali s’era già scritto con una notevole precisione, se non ricordo male (anche), nel “Paramarthasara” di Abhinavagupta, testo del IX secolo che riprende però concezioni assai più antiche.
    Vi si dice che in quei tempi ovunque, in tutte le cariche, in tutte le funzioni della società umana, immancabilmente prenderà posto l’usurpatore; il Principe diventerà ladro e ruberà al povero; ogni gerarchia naturale verrà sovvertita; tutto ciò che ha valore sarà disprezzato; le bestie, gli uccelli, la terra e gli dèi troveranno la loro rovina; il tempo diverrà sempre più breve e inafferrabile e gli uomini agiranno ineluttabilmente, ma senza il concorso dell’intelletto.
    A questo punto si trova un’osservazione davvero interessante: …dunque
    sarà talmente madornale la stupidita e la volgarità di tutte le cose osservabili intorno a noi che persino per l’uomo meno riuflessivo sarà più agevole riconoscere la natura insoddisfacente, sconcertante e transitoria di tutti i fenomeni.
    Quando capita di sentirci platealmente e vigorosamente dalla parte della ragione come è accaduto a Galbiati, fermiamoci a respirare, potrebbe aiutarci.

  65. vorrei ricordare che il pensiero di mancuso è pensiero di teologo che fa passare per “necessità fatalistica” “naturale” l’assogettamento degli individui, vedi masse, all'”imperio della forza”
    e il fatto che questo teologo sia ben voluto da una parte della sinistra ci deve far pensare molto sulle categorie che la sinistra si è data in questi ultimi trentanni

    quando è iniziata la decadenza della sinistra a livello nazionale ed europeo?

    quando cortellessa dichiara che “Per vent’anni ci siamo venduti a quest’uomo. Se non ce ne siamo voluti accorgere, è perché lui ha inventato un trucco semplice e mirabile: quello di vendersi nel momento stesso in cui acquista. Così, mentre ci vendiamo a lui, insieme lo acquistiamo” cosa intende di preciso?

    investirlo, il tipo, di un tale potere di persuasione significa legittimarlo come “imperatore” e dichiarare non solo l’impossibilità di un’analisi profonda sul capitalismo allo stadio attuale, capitalismo finanziario globalizzato, ma soprattutto dichiarare l’estraneità della sinistra a questo processo di “universalizzazione dell’individualismo”

    cosa ha contrapposto la sinistra tradizionale, ortodossa, a questo “necessità dell’imperio della forza”?

    bombardamenti umanitari in nome dei diritti umani, timide campagne per i diritti delle minoranze, arroccamenti snobistici verso movimenti “poulistici”, accettazione delle “regole” di mercato, e un non ben identificato “ecumenismo culturale” che non è necessariamente di “sinistra”, anzi
    poi certo c’è mamma tv
    per dire che è sempre un piacere conversare con voi
    baci
    la fu

  66. @ la funambola (che opportunamente ci riporta IT) e che mi chiede
    «quando cortellessa dichiara che “Per vent’anni ci siamo venduti a quest’uomo. Se non ce ne siamo voluti accorgere, è perché lui ha inventato un trucco semplice e mirabile: quello di vendersi nel momento stesso in cui acquista. Così, mentre ci vendiamo a lui, insieme lo acquistiamo” cosa intende di preciso?»
    Intendo alludere a diverse dinamiche, alcune facilmente intuibili – altre meno. Cerco di spiegarmi meglio. «Si vende» a Berlusconi, o meglio al berlusconismo che trascende la sua persona e a sua parte politica e si è ormai diffuso pressoché ovunque, chi abdica al proprio ruolo di opposizione non in senso partitico: bensì alla propria funzione di pietra d’intralcio, di ostacolo alla doxa della fine-delle-ideologie (per cui tutte le vacche, inevitabilmente, tornano grigie), del consumismo edonistico a tutti i costi (la coazione al piacere che ha ben descritto negli ultimi anni Slavoi Zizek: del quale, anticipo, sul numero 4 di «alfabeta2» – in uscita a metà novembre – ci sarà una formidabile intervista, a cura di Antonio Gnoli e Vincenzo Ostuni, proprio su Berlusconi), dell’appiattimento intellettuale (la campagna «Be stupid!» dei jeans Diesel come eloquente segno dei tempi – esattamente simmetrica a quella dei jeans Jesus sulla quale spese memorabili pagine Pasolini) e dunque dell’inaridimento linguistico a oltranza.
    Di tutto questo – e di molto altro, che possiamo agevolmente compendiare nel concetto di “berlusconismo” – gli intellettuali erano appunto contrappeso strategico, contraltare simbolico, pietra d’inciampo opportunamente superegotica prima, e sono diventati invece mosche cocchiere, tardivi strateghi da dozzina, entusiasti apologeti poi. Il processo è in realtà più lungo e ovviamente più complesso, ma esso è cronologicamente coestensivo con l’ormai quarto di secolo di egemonia culturale berlusconiana.
    Per questo – a costo di riscivolare OT e di nuovo agghiacciare Georgia, oltretutto fuori stagione – mi pare semplicistico, oltre che politicamente cieco, l’insistente martellamento sull’«alzare i tacchi» (oltretutto fondato sull’opzione-Mancuso che ribadisco, facendo leva sulla coscienza individuale può permettersi di ignorare le conseguenze politiche del gesto; il che io non voglio permettermi, invece; e ci si agghiacci pure).
    Essere una forza culturale di opposizione non coincide neppure, sempre e necessariamente, con un orientamento politico di opposizione. Come già Engels diceva di Balzac, come sappiamo. Facciamo un bell’esempio fresco di libreria (almeno un po’ più di Balzac). Chi ha letto Autopsia dell’ossessione di Walter Siti (pubblicato appunto da Mondadori) si sarà reso conto che l’autore non è certo un moralista trinariciuto (tutt’altro!) né un ideologo antiberlusconiano (anzi il protagonista del romanzo, che invece lo è, viene presentato come un mostro ipocrita e meschino – il che ha per inciso attirato al libro di Siti le entusiasti quanto incaute simpatie del Giornale e di Libero). Eppure per me è vitale che un libro del genere esca da Mondadori. E non perché così Walter Siti guadagna di più ed è più soddisfatto (del suo portafoglio ci si può figurare quanto mi freghi) ma perché in questo modo nel catalogo di quella che resta la maggiore casa editrice del paese figura – per la prima volta dopo anni – un’opera autenticamente letteraria. Che cioè non cede in un grammo quanto a forza linguistica, implicazione strutturale, capacità di rappresentazione. In un mondo in cui le majors editoriali non fanno altro che clonare in serie le loro stesse fuffe, l’esistenza presso Mondadori di un libro del genere – diciamo per semplificare e brutalizzare al massimo: politicamente di destra, esteticamente di sinistra – è in sé e per sé una contraddizione, un ostacolo, una pietra d’inciampo. Purtroppo è anche una mosca bianca, in un catalogo che progressivamente è stato spopolato di presenze consimili. Ma se si spingono a lasciare questo presidio, gli autori che potrebbero essere al fianco o al livello di Siti, poi non ci si può appunto lamentare se lì resta spazio solo per D’Avenia (o Ammaniti).
    Ci si lamenta che sia stato lasciato solo Mancuso con le sue crisi di coscienza. Ma è la posizione stessa di Mancuso che chiede di essere lasciata “sola”! Ha senso – e il diretto interessato lo ha detto esplicitamente – solo in quanto e per quanto “sola”.
    Io non voglio lasciare solo Walter Siti, invece.

  67. Andrea, se vuoi costruire senza fatica un discorso efficace che smuova la coscienza del popolo bue, non devi prima affaticarti a raccogliere le idee, a preparare l’attrezzeria retorica, a organizzare l’artiglieria argomentativa. Prendi subito una stagista ignorante che ha letto solo Saint-Exupéry e Baricco, risvegliale l’illusione di un contratto a tempo indeterminato e appena ci crederà si metterà subito al lavoro.

  68. eh sì, il popolo bue, la stagista ignorante…
    facciamo letteratura noi, mica cazzi, resistiamo dall’interno, mano nella mano con waltersiti, e senza cedere in un grammo
    come intralciamo noi, non intralcia nessuno…

  69. La frase di Cortellessa evidenziata da Pecoraro (e ripresa dalla Fu) ha, in realtà, anche un’altro senso possibile:

    giacché è l’editore Berlusconi ad acquistare il libro dell’autore X, è gioco-forza che nel libro stesso la presenza di Berlusconi sia pressante, sino a diventare – marxianamente – il suo “segreto positivo”. A meno di credere che la merce non rifletta, nei modi suoi propri, l’essenza di chi tiene in mano le redini della sua produzione. Insomma, il libro di X, qualsiasi sia il nome reale di X, parla sempre con lingua biforcuta: parla la lingua di colui che lo produce, nel doppio senso di autore e di editore. Berlusconi ci compra anche col gesto di pubblicarci.

    Cortellessa nomina il libro si Siti … Ma le sue ricadute saranno minime, e ciò possiamo presupporlo con una buona dose di certezza. Lo saranno nel “catalogo” della Mondadori e nelle coscienze. E proprio perché i meccanismi di ricezione restano sempre in mano allo stesso Berlusconi. Mi sembra una lotta persa in partenza.

    Sull’inaridimento linguistico: siamo così convinti che la responsabilità principale sia di Berlusconi? Da quando si parla di “analfabetismo di ritorno”? Qual è stato l’impatto sul linguaggio degli eventi del Muro 1989 e della Prima Guerra nel Golfo del 1991? Cos’ha determinato, a livello di scadimento del significato della parola “democrazia”, ad esempio, il referendum sul maggioritario del 1993? E che dire dei mutamenti linguistici relativi all’accettazione del mercato e delle sue “astrazioni” vincolanti introdotti, a livello di massa, a partire dal Referendum contro la Scala Mobile (1985 e segg., sino alla legge del Governo Amato, 1992)? Etc., etc. …

    L’impoverimento del linguaggio è un processo che comincia con la repressione del 77 (in realtà, già nel 1973 ne parla Ferruccio Rossi-Landi), si afferma nei pressi della sconfitta operaia del 1980 e diventa la norma negli anni del “rinculo culturale”, ben sintetizzati dalla figura di Craxi. Berlusconi può scendere in campo e trionfare grazie a questo humus. Se oggi gli italiani sono quello che sono, insomma, è grazie a una serie di fattori intrecciati tra loro, e non tutti riferibili a Berlusconi. Berlusconi peggiora la situazione, certamente. E lo fa anche grazie alla sua attività editoriale.

    Continuo a non capire come si possa separare l’attività editoriale di Mondadori dalla propaganda di Libero e Giornale … Marxianamente: sono due differenze in un’unità … O, più prosaicamente, due facce della stessa medaglia …

    NeGa

  70. Io non voglio lasciare solo Walter Siti, invece

    Ah ecco, ora capisco! :-)…mi stavo appunto domandando (senza agghiacciare stavolta perché mi sto assuefacendo alle sue bordate da ghiacciaio in scioglimento) cosa volesse dire con questa frase: “Mancuso che ribadisco, facendo leva sulla coscienza individuale può permettersi di ignorare le conseguenze politiche del gesto; il che io non voglio permettermi, invece”. Stavo lì a pensare, prendendola sul serio, quali mai potessero essere le terribili conseguenze politiche di un suo (e di altri) abbandono della Mondadori (che io NON le chiedo, né mai le ho chiesto, per me può stare dove vuole e dove può), conseguenze talmente terribili per la comunità che lei avrebbe deciso di immolarsi per tutti noi. Mi interrogavo perplessa, ma ora ho capito:… sarebbe lasciare solo Siti. Non lo faccia caro Cortellessa, sia forte e coraggioso, si sacrifichi lei per tutta la collettività, per carità non lasci solo Siti :-).
    Va beh, secondo me lei, cortellessa, dovrebbe lasciar perdere la politica quando parla di letteratura, :-) perché mentre riesco ad apprezzarla (talvolta) quando parla di letteratura (e le devo dar atto che è anche generoso nel fornire informazioni a volte eccellenti) quando parla di politica la mia povera mente sbarella … e non riesco mai a capire di cosa stia realmente parlando e dve voglia andare a parare:-)
    Certo che c’è una visione divertente di cosa sia individuale e collettivo nel senso di privatizziamo i profitti (sacrifici al servizio della nuebulosa collettiva) e rendiamo pubblici gli oneri (coscienze individuali).

  71. Cos’ha determinato, a livello di scadimento del significato della parola “democrazia”, ad esempio, il referendum sul maggioritario del 1993?

    Maria
    moltissimo, quel referendum fu un vero e proprio imbroglio lessicale e concettuale, ci un un martellamento ossessivo sul fatto che il proporzionale fosse il responsabile di tutti i guai dell’italia, e che cambiato quello come per incanto tutto si sarebbe risolto.

    Il 17% soltanto mantenne un minimo di lucidità, ovvero di senso della complessità e andò come sappiamo….

  72. @ Alan Fard
    È annichilente la sua ironia, mi trafigge. E lei precisamente cosa fa, per intralciare? E lo fa come «Alan Fard»? Ci dica, ci dica, siamo curiosi.

  73. “Io non voglio lasciare solo Walter Siti, invece.”

    Cioè non vuoi lasciare solo Berlusconi (senza invece), di fatto.

    Non è che sia dovuto al fatto che nessuno vuol lasciar solo B., neanche chi lo vuol combattere, che lui si sta scopando tutta l’Italia?

  74. @ Nevio Gambula
    Quando parli di 1989 e dintorni non mi pare che sposti i termini della questione; a quell’altezza siamo ben dentro l’egemonia culturale berlusconiana, che io daterei dalla metà circa degli anni Ottanta. Quando invece estendi la riflessione al post-77, il discorso si fa interessante. Perché il personale intellettuale che ha lavorato “per” Berlusconi (diciamo le «mignotte» a cui fa riferimento Paolo Guzzanti, che evidentemente ne sa qualcosa) in parte (forse in grande parte) proveniva proprio dai transfughi e dai superstiti di quell’ultimo grande sommovimento o smottamento culturale. E ci sarebbe da rileggere al riguardo i documenti sul periodo 1979-80; per esempio nel bel libro di Paolo Morando Dancing Days si ricostruisce in modo appassionante un caso che all’epoca fu celeberrimo, la lettera alla redazione del Corriere della Sera di un anonimo di mezz’età che lamentava i suoi patimenti sentimentali minacciava di suicidarsi ecc. e che divenne un vero e proprio simbolo del “ritorno al privato”. Ebbene, è stato dimostrato poi (con l’esplicita confessione dei redattori coinvolti) che si trattava di un falso della più bell’acqua, un prodotto da laboratorio (con tutto il corredato cinico e spudorato degli «È la stampa, bellezza»). Per inciso (e per tornare a SB e ai suoi favolosi esordi): stiamo parlando del Corriere pesantemente piduizzato della famigerata gestione Di Bella. Quella che guarda caso rese celebre il palazzinaro SB eleggendolo a editorialista economico da prima pagina…

  75. @ Lorenzo Galbiati
    Sei libero di insultarmi, come spero tu mi conceda la libertà di non tenere conto di questo livello di interlocuzione.

  76. Sul linguaggio (e per chi non guarda la televisione), al tg della 7 ieri Mentana ha rilevato le somiglianze, e forse convergenze, del discorso fondativo del PD di Veltroni, mi pare a Spello, e quello di Fini ieri a Bastia Umbra, citazione di Saint Exupery compresa, la stessa, uguale e identica.

  77. @ Georgia
    Salto tutte le ironie liquidatorie, le continue e stucchevoli strizzatine d’occhio, gli insulti gratuiti dei quali abitualmente mi omaggi (come quando tranquillamente definisci «stupida» la discussione su Nori e Libero, poi pronta a scandalizzarti se per caso qualcuno ti risponde a tono). Mi incuriosisce invece la nota su cui concludi il tuo ultimo commento. In che senso io vorrei privatizzare i profitti e pubblicizzare gli oneri (della coscienza individuale)? A me pare che nel periodo recente il mio lavoro si sia orientato (col film Senza scrittori in particolare) a contribuire a fare in modo che i «profitti», cioè le logiche del profitto, all’interno del mondo editoriale, siano più noti al pubblico (dunque, anziché «privatizzarli», semmai contribuisco a «pubblicarli»); mentre riguardo agli «oneri» delle coscienze individuali sono dell’opinione, anche qui ribadita, che vanno lasciati al foro interiore degli individui (da me massimamente rispettato) e che dunque non possono essere fattori in gioco a livello di decisione politica. Il che, come scrivi, addirittura ti «agghiaccia».
    Ora, liberissima anche tu di agghiacciarti, ovviamente: ma almeno, ti prego, fallo per ciò che io dico e faccio davvero, non per ciò che tu capisci o credi di aver capito, dei miei comportamenti e delle mie pubbliche opinioni

  78. la lettera alla redazione del Corriere della Sera di un anonimo di mezz’età che lamentava i suoi patimenti sentimentali minacciava di suicidarsi ecc. e che divenne un vero e proprio simbolo del “ritorno al privato”

    interessante la segnalazione della bufala (e lo dico senza ombra di ironia):-) … io non ho mai saputo di questa storia, ma del resto a me sfuggono sempre le cose fondamentali della storia, si potrebbe sapere il nome dell’autore della bufala (quello vero che quello falso)?.
    geo
    P.S.
    Un po’ inquietante è che, addirittura, Morando ricostruisca in modo appassionante il celeberrimo caso, ma non sottilizziamo :-)

  79. L’egemonia berlusconiana già nella prima metà degli anni ottanta?
    Prima di Mani pulite, prima del maggioritario, prima del crollo del muro di Berlino, prima della Bolognina, ma che film hai visto?
    Quando berlusconi scese in campo non lo conosceva nessuno, perlomeno non lo conosceva il grande pubblico , ricordo l’ironia con cui fu accolto il suo discorso dai più politicizzati e acculturati, no l’egemonia viene dopo, e sono proprio questi avvenimenti che la producono e cioè la scomparsa delle ideologie, la crisi della sinistra,la dissoluzione del sistema dei partiti storici, il protagonismo introdotto dal maggioritario che mentre al centro della scena politica il “personaggio” , tanto per citare alcuni fatti di una certa consistenza.

  80. pronta a scandalizzarti se per caso qualcuno ti risponde a tono

    questo non me lo può dire, io NON mi scandalizzo, nè tanto meno mi offendo, mai (in rete).
    Il fatto è che volenti o nolenti (che piaccia o meno), il gesto di Mancuso è stato un atto politico, perchè fatto in pubblico … mentre il suo non voler lasciare solo Siti, a costo di lavorare al servizio di berlusconi, è un suo sentimento privatissimo che ci ha confessato solo oggi … lei capovolge la realtà paro paro come fa berlusconi.
    Non ho visto Senza scrittori e quindi non posso dire nulla, ad ogni modo non mi sembra di aver criticato mai il suo lavoro letterario (a parte un uso iperbolico e un po’ strumentale del povero leopardi), io mi limito a trovare non accettabili le sue posizioni “bordate” politiche almeno per come le esprime qui (e certo, lo ammetto, lo strumento commento non è dei migliori per articolare un pensiero politico). Rigurdo alla presa di posizione nei confronti di Norì, mi dispiace ma l’ho trovata molto stupida (non se la prenda ritengo stupide anche certe mie convinzioni passate, che lo scrivere in un dato giornale piuttosto che in un altro possa farci del bene o del male alla scrittura o al contenuto e che, soprattutto, sia passabile di giudizio critico).

  81. Né capisco l’uso del “lei” dopo che in passato si era usato il “tu”. Questo sì che fa studio televisivo.

  82. @ Maria
    Ha perfettamente ragione, mi sono espresso male. Intendevo dire che in quegli anni SB lavorava “per” costruire l’egemonia – nel deserto culturale però della sinistra, nel settore strategico da lui prescelto, se si fa eccezione per Guglielmi e RAI Tre.
    Io ebbi però nel 1988 – ricordo come fosse oggi la discussione notturna con un amico di allora – la netta percezione che SB era ormai il padrone culturale d’Italia. Sebbene allora mancassero ancora due anni alla sua (fraudolenta) acquisizione del gruppo Mondadori…

  83. @ Georgia
    Quanto a Morando. Se leggessi qualcosa oltre a quello che indiscriminatamente circola in rete – tipo quelle vecchie cose con le pagine di carta, i libri – non avresti bisogno di chiedere questa informazione a chi manifestamente disprezzi.

  84. Ormai in questo paese tutti dicono le solite parole che diventano così interscambiabili e leggibili politicamente solo guardando lo sfondo del palco da cui le stesse vengono pronunciate.

  85. maria ma la fininvest nasce nel 1975 anche se il nome di berlusconi appare in charo solo nel 79 quando assumerà ufficialmente (e non tramite prestanomi) la presidenza della fininvest.
    Telemilano 58, era nata nel ’74 (poi diventerà canale 5) nel 1978 entra nella loggia P2 ecc.
    Il 20 ottobre 1984 scrive questa lettera a craxi:
    “Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio”.
    Craxi aveva appena salvato berlusconi con il decreto berlusconi contro i pretori d’assalto “Giuseppe Casalbore di Torino, Eugenio Bettiol di Roma e Nicola Trifuoggi di Pescara. Le tre toghe hanno ordinato il black-out televisivo nelle regioni di loro competenza. Il motivo è semplice: la Fininvest trasmette su scala nazionale e la legge non lo consente. Le antenne private, fino alla legge Mammì del ’90, non potranno superare l’ambito locale”.
    Ci fu una insurrezione di teledipendenti (andava in onda Dallas a puntate) più o meno pilotata.
    Crdo che si possa già parlare tranquillamente di “egemonia berlusconiana” anche se noi non ne eravamo del tutto coscienti :-)

  86. @ Andrea Cortellessa
    E infatti il “ritorno al privato” è il vero nucleo centrale dell’ideologia dominante di quegli anni, sul quale si è poi innestato il berlusconismo …

    Nutro dei seri dubbi sull’opportunità di separare il “berlusconismo” dalle forme ideologiche che dipingono questo come il migliore dei mondi possibile. Il mercato, la concorrenza, il merito, gli interessi nazionali, la patria … sono concetti che vanno oltre il berlusconismo, che magari li comprende in forma particolare, ma che per l’appunto non sono riconducibili solo a questo e che anzi gli pre-esistono. E resteranno – ahi noi – trionfanti anche quando il berlusconismo sarà affossato definitivamente.

    Da quanto mi risulta, la maggior parte delle “mignotte” arrivano dall’ex PCI o dalla vecchia Lotta Continua. Il 77, al limite, ha contribuito a rinnovare le istituzioni culturali de “sinistra” (il teatro ne è pieno, il cinema anche).

    Anche per me, come dice Georgia, il gesto di Mancuso è stato un gesto politico. Dubito che sia un gesto politicamente efficace, ma questo è un altro discorso.

    NeGa

  87. oh my god, caro cortellessa … scenda da cavallo per piacere, io di carta (di “vecchie cose con le pagine di carta, i libri”) ne leggo e ne ho letto una quantita discreta (anche se, ha ragione, non è mai abbastanza) … magari non ho letto morando (e forse neppure lo farò) ma per favore vediamo di non fare una gara, non vorrei lei potesse perdere (anche se solo in fotofinish) … per lei sarebbe una umiliazione, per me non sarebbe neppure una piccola soddisfazione, anzi.

  88. Cortellessa, il punto e’ che lei -che di mestiere fa il critico letterario ed e’ uso a scrivere delle opere- quando fa politica usa lo stesso trito registro che ha portato la sinistra radicale alla sua esclusione dal Parlamento. Motivo per cui noi ironici distruttori concludiamo che forse lei non ha capito molto di quello che succede nel Paese Reale (che e’ fatto di tante Avetrana disunite) e tantomeno ha capito la portata -anche civile- di alcuni dei suoi autori, tipo ad esempio Arminio, che con la sua paesologia offre un impianto di critica sociale & proposta politica molto piu’ pervasivo e pertinente del suo.

  89. sia chiaro io non la disprezzo, anzi (ce ne fossero come lei visto il panorama attuale), pero diciamo che dopo il caso nori l’ho ridimensionata.

  90. No l’egemonia culturale, per me, ma non solo per me, è altra cosa, per realizzarla e anche per dissolverla non possono bastare pochi anni, se la nascita della fininvest fosse rimasta su uno sfondo di cui ho cercato di delineare i punti di svolta o di rottura, non avrebbe provocato la devastazione che invece abbiamo avuto con l’intreccio tra le cose che tu giustamente ricordi e che anche cortellessa nella precisazione metteva meglio a fuoco, e non ci troveremmo in questa situazione.

    La televisione commerciale poi, esiste dappertutto ma non dappertutto ha provocato quello che sta accadendo in Italia.

    Poi certo la nascita della fininvest è il primo tassello, fondamentale, che dà l’avvio a un processo sociale che però è fatto di tantissime altre cose e che produrrà l’uomo politico Berlusconi.

  91. No georgia , cortellessa non aveva detto una cosa giusta datando l’egemonia berlusconiana al 1985 e la sua replica non è rimangiarsi un concetto, un’idea, ma semmai una riflessione ulteriore e una precisazione.

    Quando si discute , se lo si fa, non si corre il rischio di rimangiarsi nulla.

  92. La televisione commerciale poi, esiste dappertutto ma non dappertutto ha provocato quello che sta accadendo in Italia

    In nessuna parte del mondo (almeno in quello cosidetto democratico) i cittadini sono stati lasciati in balia, senza difese nè protezione, della televisione cosidetta commerciale.

  93. quando la gggggente nel 1984 insorge contro i pretori (vendendo la propria libertà per un piatto di dallas) siamo già in egemonia altra da quella che, bene o male, ci aveva protetto in passato.

  94. appunto cara georgia, appunto, la nascita della fininvest non spiega tutto, si devono tirare in ballo altre cose, e m i pare anche di averle ricordate.

  95. “l’esistenza presso Mondadori di un libro del genere – diciamo per semplificare e brutalizzare al massimo: politicamente di destra, esteticamente di sinistra” scrive Cortellessa. E brutalizza troppo.
    Forse è tempo che destra e sinistra (categorie obsolete perfino in politica) non entrino in una valutazione estetica, di sensibilità e gusto e vitalità – la vera domanda è: quest’opera produce o non produce un incremento di vita? Se lo fa, destra e sinistra non esistono più, non sono commensurabili al discorso in atto; mi sembra proprio una questione d’ermenuetica di base, di codici interpretativi.
    Già una volta ebbi con Cortellessa una discussione su NI, in cui gli domandavo se potesse davvero ricondurre entro simili schematismi qualunque grande autore o grande opera; lui reagì parecchio male ma in concreto non rispose; e non rispose perchè a un livello serio e profondo ricondurre l’opera di un grande autore (con le sue risonanze insondabili, ramificate e plurisense) a una corrente politica e persino a un pensiero politico non è – fortunatamente – possibile.
    Peccato perchè le capacità critiche di Cortellessa vengono offuscate, appannate da questa nebbia ideologica. Un conto è il documentario – a mio avviso valido e socialmente sensato – SENZA SCRITTORI; un conto è la valutazione politica di narrazioni di fantasia. L’ossessione antiberlusconiana conduce a parossismi che rafforzano il berlusconismo.
    ps: non ho letto l’ultimo libro di Siti, ma di Siti ho letto parecchio; è uno scrittore che ho deciso di non amare – però ha un grande stile; eppure l’analisi di cui sopra lo mortifica, lo mette in una gabbia a immalinconire.

  96. Non si capisce se qual’è la quistione in cui vi contorcete: non vi piace il neoliberismo che in Italia ha preso le sembianze del padredipiermerda, o non vi piace il neoliberismo? Così, tanto per dire che una volta fatto fuori questo pappone gonfiato, quello che ci sta dentro, il neo(il)liberismo, appunto, rimane intatto, e una volta privato del rassicurante involucro mostrerà il suo feroce volto peggio che mai, fino al prossimo involucro rassicurante (Montezemolo).

  97. @ Enrico Macioci
    Non ricordo in merito a cosa non ti replicai, ma ti replico volentieri ora. Ho detto io stesso che la formula da te citata con disdoro era una formula semplificatoria, a fini retorici, e in quanto tale brutale. Ma nella sostanza non la rinnego. Diciamo che un’opera che “accresca la vitalità” (in tutti i possibili sensi della citazione leopardiana, non a caso filtrata però dall’introduzione di Alfredo Giuliani ai Novissimi: 1961) è per me “di opposizione”: alla fuffocrazia narrativa, s’intende, che domina nei cataloghi delle majors (ma per sineddoche, pure e soprattutto, nei confronti del “berlusconismo” culturale i cui caratteri riassumevo in quel primo mio commento). E in quanto tale voglio che un’opera siffatta conservi, malgrado tutto, diritto di cittadinanza. Che poi “di opposizione”, per me ideologico (come mi si continua a definire, storpiando in senso contrario a quello originario, marxiano, il termine in questione), si possa brutalmente tradurre in “sinistra” e per te, anti-ideologico (e dunque in realtà – guarda caso – ideologico, nel senso originario, marxiano, del termine in questione), questo sia né più né meno che un’eresia, è infine del tutto prevedibile. Mi preme però che si possa condividere entrambi che sia una battaglia di civiltà (e per me, dunque, politica) fare ogni sforzo perché la “letteratura” abbia ancora diritto di cittadinanza nelle più importanti collane letterarie. E aggiungo che mi permetto di credere che il diretto interessato possa trovare tutt’altro che una «gabbia» ove «immalinconirsi», un simile auspicio.

  98. Per capire come mai gli italiani votano SB, mi è bastato guardare la trasmissione dell’Annunziata(mezz’ora), dove il “rappresentante” del PD Bersani aveva una dialettica stantia, soporifera, era una sorta di balanzone assonnato; era divertentissimo sentire l’Annunziata che cercava di suggerire argomenti e risposte d’una qualche pertinenza al politico sui recenti fatti (Fini & C.).

    Subito dopo vedo al telegiornale Bondi che dice, a proposito dei crolli a Pompei – con una faccia di bronzo senza pari – <>.. quasi prendesse le distanze da se stesso in preda ad una sorta di schizzofrenia mediatica, sembrava imputare ad altri il suo malgoverno visto che proprio lui è il gestore del più grande patrimonio culturale del pianeta.

  99. No, non era un insulto,
    @Andrea,
    e mi scuso se così è sembrato dato che non ho nessuna intenzione di intaccare il livello personale.
    Era solo un tentativo, evidentemente maldestro, di collegarmi con l’argomento del thread che a partire dal titolo implicitamente evoca lo “scopare” di B.

    Provo qundi così: il gioire che il libro di Siti esca per Mondadori, la più grande casa editrice italiana, come hai scritto tu, il voler star vicino a Siti e quindi anche a Mondadori, in cosa differisce nella sostanza in quel che diceva D’Alema della Fininvest, patrimonio di tutto il paese, che non va danneggiato, quando ha preferito vari anni fa dare una proroga a Rete4 che per la Consulta doveva andare sul satellite? E in definitiva quindi in cosa differisce come atteggiamento, trasposto dall’editoria alla politica, rispetto a quello di chi non ha voluto fare una legge contro il conflitto di interessi?

    Io sostengo che è proprio con questi ragionamenti di “vicinanza” che B. vince, e se vince ci “frega” tutti, cioè ci “scopa” (se ora posso permettermi vista l’argomentazione e le scuse), anche materialmente, se può e siamo belle e carine e giovani.

  100. Tra le virgolette non è apparso il dice di Bondi.. azz..

    non trovo le visgolette sulla mia tastiera.. qualcuno conosce il codice ASCII per le virgolette ?

    comunque il dice è :

    “E’ una cosa gravissima, hanno lavorato male.. “

  101. @cortellessa
    D’accordissimo sul ruolo di “opposizione” ontologica delle grandi opere narrative; è un taglio intepretativo che trovo perfetto.
    Il discorso ideologico è scivoloso – io non l’avrei tirato fuori se tu non avessi inserito Siti in un discorso “berlusconiano”; era questa la gabbia che penso Siti (e forse ogni scrittore serio) soffrirebbe, anche se la tua osservazione s’inseriva in un contesto più ampio. E anche se, come tu affermi, il fenomeno Berlusconi è realmente, da un punto di vista antropologico, quanto di più “grande” sia accaduto in Italia da un bel po’.

  102. Non ho a disposizione il tempo e le forze necessarie per affrontare tutti i punti sul tappeto di questa discussione. Dunque mi limito alla sola affermazione, per quanto “brutalizzata al massimo”, di Andrea: “politicamente di destra, esteticamente di sinistra”.
    Dunque brutalizzo anch’io.
    Non c’è bisogno di essere di “sinistra” per opporsi a Berlusconi (basta essere democratici), né l’essere di “sinistra” è garanzia di tale opposizione, né la validità estetica è di per sé di “sinistra”, come non è automaticamente “opposizione al berlusconismo”, casomai, quando c’è, gli è estranea, nello stesso senso in cui la qualità è estranea alla non-qualità, l’attenzione alla disattenzione, l’accuratezza all’imprecisione, eccetera. Chi afferma che la validità estetica di un’opera è di per sé di sinistra, mi ricorda Bruno Zevi, quando affermava che la Casa del Fascio di Terragni, fervente fascista, dimostrava come il suo autore non lo fosse nei fatti, avendo costruito un edificio non fascista in sé per sé, cioè privo di stilemi totalitari (e però Mussolini era un modernista, in fondo). Cosa che si sarebbe potuta obtorto collo pure con-dividere, se non che si trattava proprio della sede del Partito Nazionale Fascista ed esprimeva la visione dell’architetto di un PNF di “sinistra”, modernista e sociale. La questione se la Casa del Fascio sia fascista o cripto-democratica, insomma, non si pone sul piano politico (è fascista), ma solo in nell’ambito strettamente disciplinare della corrisponda tra ideologia e linguaggio architettonico. Lo stesso Luigi Moretti, fascista fino all’ultimo giorno della sua vita, costruì edifici ancora oggi ammirati in tutto il mondo per la particolare declinazione (appunto fascistica) del modernismo razionalista. Ma su queste questioni si può discutere all’infinito.
    Il totalitarismo berlusconiano invece, ammette qualsiasi linguaggio – anche se per il lavoro diretto sulle menti operato attraverso la tv, usa opportunamente un linguaggio elementare e basso, sia nelle parole che nei concetti, un linguaggio universalmente nenico basato più sul bios che sull’ethos – ma teme gli atti oppositivi concreti quando hanno, o possono avere, una qualche ricaduta mediatica, quando possono arrivare là dove solo lui oggi come oggi riesce ad arrivare: l’interno della mente della gente (lui la chiama “popolo”, perché in effetti il suo obbiettivo è ridurla a “popolo”).
    Se dunque è vero che il libro di Siti, che non ho letto, è una gemma di qualità incastonata in un contesto mondadoriano di libri di cassetta, questa presenza, proprio in quanto minoritaria, non avrà alcuna ricaduta oppositiva.
    L’opposizione si fa con la politica attiva, o con l’appoggio più o meno diretto alla politica attiva, si fa facendo la propria parte in quanto cittadini (e non in quanto artisti) per quanto possibile et praticabile, si fa con gesti organizzati, meditati, collettivi, si fa cogliendo occasioni propizie e volgendole ai propri scopi, che nella fattispecie consistono nello strappare il velo di menzogna che copre l’attività del governo e anche nell’uscire dall’acqua contaminata in cui nuota, qualora vi si fosse immersi. Quella di Mancuso era una di queste occasioni? Forse sì, ma solo se attorno a quel gesto si fosse prodotto un movimento, un’aggregazione, che invece non c’è stata. E non c’è stata anche grazie alle immediate, numerosissime, anzi unanimi, obiezioni che gli sono arrivate addosso da tutte le parti, fino agli insulti della stessa Marina Berlusconi. Con il risultato che ora dell’auto-esonero dalle tasse di Mondadori nessuno parla più, la cosa è passata, abbiamo lasciato che questo ennesimo abuso scivolasse in modo liscio, senza scosse. E, ovviamente, non si rompa ulteriormente il cazzo con questa vecchia nenia.

  103. OT

    QUELLA GRAN MIGNOTTA DI GOOGLE

    Andate nel traduttore di google
    poi impostate dall’italiano alla lingua che volete e scrivete
    IO NON HO VOTATO BERLUSCONI
    google tradurrà (ad esempio in inglese)
    I HAVE VOTED FOR BERLUSCONI
    Se poi la cosa non vi disgusta abbastanza cliccate anche su ascolta e avrete il brivido di sentire in perfetto inglese che voi avete votato per berlusconi.
    Sembra che la stessa cosa accada in tutte le lingue :-(
    Come consolarsi? scrivendo: Io NON ho votato per quel coglione di berlusconi … ve lo traduce correttamente :-)

  104. Scusate l’intrusione. Quando avete finito di decidere che cosa sia più politicamente corretto e se escort è di destra e mignotta di sinistra o viceversa, se vi rimangono ancora dei secondi liberi per potervi connettere al reale, fisico, corporeo vi voglio segnalare semplicemente che da stamani Brescia sta diventando il laboratorio della democrazia negata.
    Per non disturbare il vostro confronto vi linko direttamente un sito per capire che cosa sta accadendo al di fuori di villa grazioli, dei reality e, permettetemelo, anche di questa esclusiva e dotta discussione:
    http://twitter.com/radiondadurto
    Su repubblica anche le foto… http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/11/08/news/immigrati_blitz-8866653/?ref=HREC1-12
    E se volete fare un giro a Terzigno… bè vi lascio anche lì.

  105. Interessante la diatriba se l’egemonia berlusconiana venga prima o dopo la discesa in campo (in politica) del Silvio.
    Mi fa venire in mente tre cose.
    La prima è che l’estetica è il cavallo di troia dell’etica e della politica (cioè le introduce in modo partecipativo e subliminale)
    La seconda è che forse Berlusconi (o chi per lui, gente di squadra e compasso per intenderci) è l’unico in Italia ad aver capito e realizzato “l’intellettuale organico”
    La terza è che per capire cosa sarà il berlusconismo senza berlusconi (magari cambiato momentaneamente di segno) basta vedere il programma di Fazio di stasera. L’onnivora capacità di conduttori mostruosamente simpatici di rendere digeribile tanto il potere quanto il contropotere a stomaci addomesticati.

  106. Per il momento sto alla scuola media, e ho molto lavoro, domani anche tutta la giornata, ma vorrei dire che condivido tutto del commento di Ma

  107. continuo: condivido il commento di Maria Luisa. Mi dà fastidio tutto questo inchiostro su una vicenda deplorevole. Mi chiedo quale l’impegno di un giornalista: seguire la volgarità o mettere sotto la luce fatti molti più gravi? Mi chiedo se la pratica giornalista non trovi un pubblico molto divertito con storie di sesso, e con ipocrisia si rimprova la volgarità del presidente del consiglio, ma tutti hanno fretta di raccontare e chiarire il senso di bunga bunga, di dare la parola a donne volgare, senza bellezza, passando sotto silenzio
    La prostituzione costretta delle ragazze dell’est ( stupri, terrori) fatti dalla mafia ( russa, albanese, rumena)
    La vita sotto scorta di magistrati, giornalisti…
    La mancazza di libertà
    Il crollo della cultura
    La Campania terra sacrificata
    La vita dei sans papiers
    La vita fatta in Europa degli zingari

  108. Davvero interessante il pezzo di Cortellessa, che leggo con colpevole ritardo. Impaurito dalla mole dei commenti, rinuncio a compulsarli prima di dire anch’io la mia, per cui chiedo anticipatamente venia in caso di ripetizioni o simili.
    Mi pare che l’intuizione finale circa il Berlusconi-mignotta (ed ancor più, il Berlusconi-androgino) dica molto, ma molto di più sull’essenza del potere che su quella di Berlusconi stesso (e dunque illumina ulteriormente la figura concettuale del nostro presidente del consiglio), e si presti a una lettura ulteriore di tutte le sue implicazioni. Cortellessa mi ha fatto venire in mente cioè le pagine artaudiane dedicate ad Eliogabalo, “l’anarchico incoronato” – così il sottotitolo dell’opera -, che nasce intorno a “un’intensa circolazione di sperma”; ma che soprattutto “è l’uomo e la donna. […] UNO e DUE riuniti nel primo androgino. Che è LUI, l’uomo. E LUI, la donna. Nello stesso tempo. Riuniti in UNO”. E ancora: “Tutta la vita d’Eliogabalo è anarchia in atto, poiché Elagabalus, il dio unitario, che riunisce l’uomo e la donna, i poli ostili, l’UNO e il DUE, è la fine delle contraddizioni, l’eliminazione della guerra e dell’anarchia, ma per mezzo della guerra, ed è anche, su questa terra di contraddizioni e di disordine, la messa in opera dell’anarchia”. Berlusconi mi pare in questo senso l’apoteosi – letterale – del double bind connesso alle questioni sessuali (sia nel senso del genere che del sesso), quel “godete e fate un po’ quel che vi pare” che potrebbe essere la subscriptio dell’emblema-Berlusconi -e che non è tanto la jouissance al potere, quanto il potere stesso esibito IN QUANTO jouissance, “intensa circolazione di sperma” intorno al centro vuoto del potere, che in tal modo si espande senza fine.
    In fondo, la mignottocrazia è pur sempre una pornocrazia – ovvero, il dominio incontrollato dell’assoluta visibilità di ciò che andrebbe interdetto alla vista – di grado maggiore, ovvero ancora più diffuso, e di intensità più profonda, perché prende alla lettera la sensualità latente in ogni potere carismatico e la trasforma nel suo cardine teologico-politico.
    Che poi quella “facies hyppocratica” posta all’inizio del testo possa far scappare molto pubblico potenzialmente interessato alla decifrazione della mignottocrazia berlusconiana – come si paventa in qualche commento – non mi sembra un gran male: per una critica più popolare a Berlusconi abbiamo dovizia di esempi, forse anche più efficaci (mi viene in mente per esempio il Saviano di ieri sera in TV), ma certo meno approfonditi.

  109. Interessante la diatriba se l’egemonia berlusconiana venga prima o dopo la discesa in campo (in politica) del Silvio.
    Mi fa venire in mente tre cose.
    La prima è che l’estetica è il cavallo di troia dell’etica e della politica (cioè le introduce in modo partecipativo e subliminale)
    La seconda è che forse Berlusconi (o chi per lui, gente di squadra e compasso per intenderci) è l’unico in Italia ad aver capito e realizzato “l’intellettuale organico”
    La terza è che per capire cosa sarà il berlusconismo senza berlusconi (magari cambiato momentaneamente di segno) basta vedere il programma di Fazio di stasera. L’onnivora capacità di conduttori mostruosamente simpatici di rendere digeribile tanto il potere quanto il contropotere a stomaci addomesticati.
    mamma nostra
    dacci oggi la nostra speranza quotidiana
    amen

    disfattista, pessimista, moralista, invidioso, anacronista, idealista…:)

    io, nel mentre, guardavo, centochiodi di olmi, altra speranza, altra storia, altra illusione, altra “onestà”
    bacio
    la fu

  110. Non ho visto ancora la trasmissione vieni via con me; non ho la video a scuola ( ma conosco bene wonderful che amo canticchiare). Ho la convizione che è una bellissima trasmissione. Spero vederla stasera. Sono convinta che Roberto Saviano e Fazio Fazio hanno messe tutta la sincerità, l’anima per dare un’idea di un’ Italia creativa, più libera.
    Permette a un pubblico di non sprofondare nella disperazione, la rassegnazione, ma di inventare altra manera di vivere la cultura TV, di inventare altra manera di vedere la società, la libertà, l’espressione artistica. E come molti mi piace l’attore Begnini nella sua manera di essere un poeta giochando sul riso e anche sul sogno d’amore nel cuore.

  111. “…forse Berlusconi (o chi per lui, gente di squadra e compasso per intenderci) è l’unico in Italia ad aver capito e realizzato “l’intellettuale organico””.
    sottoscrivo al 100%.

  112. @ la funambola

    ottimissima sintesi.

    Olmi è un intellettuale come piaceva a una parte di Democrazia Cristiana, quella illuminata e tanto tanto liberale che ci faceva fare quello che più ci piaceva anche contestandola a morte, e che contrastava il neoliberismo (non scordiamolo mai! Il neo liberismo si è affermato a fatica in Italia, solo dopo Moro…). Dovremo rimpiangere a lungo i bei tempi andati della Democrazia Cristiana fintamente contrastata dal Partito Comunista: praticamente il Bengodi rispetto a quello che è venuto dopo, e, temo, rispetto a quello che verrà.

  113. Per tornare alla mia idea, ho visto la trasmissione ( e forse sono fuori tema) ma mi sembra che in un commento si parleva di Fazio, Fazio) .

    Come l’ho pensavo hanno messo tutto il cuore, ho molto amato il dialogo di Begnini, la sua manera sempre tenera, umoristica di dire le cose; la sensibilità di Roberto Saviano, “la lezione” di civiltà con l’esempio di Giovanni Falcone. Ecco una TV che crea una sensibilità nel senso nobile del termine: capire la storia di un paese, riflettere alla possibilità di libertà, dare uno speranza di vivere come si desidera ( per esempio vivere la sua omosessualità), inventare la sua felicità, dare uno spazio per creare la sua riflessione.

    Tutto allontanato della pornocrazia…

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Da “I quindici”

di Chiara Serani
Allora le Barbie cominciarono a lacrimare sangue rosso pomodoro (Pantone Red HTK 57, It's Heinz!) come una Madonnina qualsiasi.

Collana Adamàs, La vita felice editore

Risposte di Vincenzo Frungillo
Continua la nostra inchiesta sull'editoria indipendente di poesia. Si parla della collana Adamàs.

Rossi-Landi: programmazione sociale e poesia

di Andrea Inglese
Ciò che oggi cerchiamo di definire come il campo della poesia “di ricerca”, è un tipo di lavoro linguistico, interno al programma moderno della poesia, ma che opera simultaneamente su almeno due fronti: quello degli automatismi linguistici del discorso ordinario e quello degli automatismi linguistici insiti nella tradizione del genere letterario a cui fa riferimento.

“La zona d’interesse.” Un paio di cose che ho visto.

di Daniela Mazzoli
La prima cosa che ho visto è stato un mucchietto di persone che usciva dalla sala con gli occhi sbarrati e le teste infastidite dal rumore che si sentiva forte anche da fuori. Come se fossero state costrette a uscire per via del frastuono assordante.

Respirare e basta

di Marielle Macé
Questo libro viene da lontano, da un lungo passato nella respirazione. Viene dai paesaggi avvelenati della mia nascita, da una familiarità con patologie respiratorie che da molto tempo colpiscono certe professioni, certi paesi, certe classi sociali...

Si levano i morti

di Massimo Parizzi
Ma, oltre a contadini, fra i protagonisti di questo romanzo si trovano ragazzini che vanno “a garzone”, scolari e scolare, studenti e studentesse, boscaioli portati via per renitenza alla leva da uomini “con il moschetto”, donne in rivolta contro i “birri”. E, in diversi momenti, a prendere la parola è l’autore stesso: a volte autobiograficamente (...); altre per ragionare di verità e libertà (...).
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: