Cartolina da Sanremo indirizzata a sinistra

di Helena Janeczek

Sanremo è Sanremo è Sanremo: come la rosa cui Gertrude Stein ha dedicato i suoi versi più celebri. Quest’anno è rifiorito. Non grazie ai giovani, ma a tre signori cui l’età non ha lasciato addosso i segni di un declino osceno che un altro volto ci ha stampato in mente. Gianni Morandi con il sorriso sempre uguale, sottolineato dalle poche rughe intorno agli occhi. Roberto Vecchioni che canta e vince con il vestito del prof di lettere. E Roberto Benigni, lui stesso e la sua arte che sembrano sottratti al tempo, capaci di volarci sopra, compiere il miracolo di far risorgere il Risorgimento. Abbiamo riconosciuto un nostro desiderio nell’onda di emozione condivisa con venti milioni di spettatori diventati concittadini. Abbiamo pensato che finalmente il festival era anche per noi e che per questa volta abbiamo vinto. Ma il tricolore e l’inno di Mameli non sono stati che la metafora del desiderio profondo che Benigni ha toccato. Vorremmo non sbattere più contro il muro dell’impossibilità di comunicare quando parliamo con colleghi, clienti, conoscenti, familiari. Siamo stanchi di essere così bloccati da divisioni che fanno male, stanchi di sentirci dire che non abbiamo nient’altro che la spocchia dei perdenti che si credono la parte migliore, stanchi noi stessi di vestire questo abito difensivo. Vorremmo un paese unito. E’ questo il miraggio che abbiamo sognato sintonizzati sul rito nazional-popolare del festival di Sanremo. Persino Luca e Paolo, il giorno dopo aver obbedito alla par condicio, hanno letto Gramsci, fondatore di un giornale che si chiama “L’Unità”. Cosa si può chiedere di più al palco del Teatro Ariston e a una trasmissione di Rai Uno?

Ho azzardato un “noi” per qualcosa che credo di condividere e capire. Capisco che ridiamo quando due col colbacco in testa prendono in giro i politici che dovrebbero rappresentarci, suggerendo che il solo che possa unire l’opposizione sia “Berlusconi comunista”. Capisco che appena ne sentiamo il nome in bocca ai due comici ci appaia come un atto liberatorio. E un po’ di par condicio, per quanto grottesca applicata alla satira, ci sembra nulla di eccezionale. Il numero su Saviano e Santoro è stato meno divertente dello sputtanamento di Gianfranco e Silvio. Fine, amen. Nessuno pare essersi accorto che quella gag batteva sugli stessi tasti dei giornali governativi, a partire dai bersagli scelti sino agli argomenti per colpirli. Saviano è il buono per definizione di cui sparlare è tabù. Ma gratta gratta, cosa dice? Che in Campania…. c’è la camorra! Banalità, cose che sapevamo. Santoro poi: quello manda il povero Ruotolo nei peggio posti d’Italia, mentre si tiene vicino la bella Giulia Innocenzi cui proprio pochi giorni fa Belpietro aveva comunicato di essere approdata a “Annozero” per meriti identici a quelli delle veline. In più, Santoro è da quindici anni che protesta che lo vogliono far fuori, mentre in realtà sta sempre lì. E mentre sghignazzi alla battuta, ti sei già scordato l’editto bulgaro, ossia i circa quattro anni in cui il conduttore era stato allontanato dalla Rai per volere esplicito di Berlusconi. Ma il punto più dolente è Gianfranco Fini, il capobranco sempre più azzoppato, messo alla berlina due volte consecutive. L’acclamato “ti sputtanerò” è stato più pesante della postilla successiva. Gianfranco e Silvio rappresentati come in un regolamento di conti in famiglia, che si tirano addosso fango a secchiate, fango che si equivale. Di nuovo, il benedetto appartamento monegasco che nella peggiore delle ipotesi sarà stato venduto da Alleanza Nazionale al genero, viene messo sullo stesso piano di uno scandalo culminato con l’imputazione di Berlusconi per due reati penali, dove in più ci sono favorite promosse a ruoli politici, nonché l’intera maggioranza parlamentare che ha avallato la palla della nipote di Mubarak. Inoltre Gianfranco Fini, nel momento in cui figura come colui che spara fango sul ex-alleato somiglia tanto a quel burattinaio di un piano eversivo quale è stato additato da Berlusconi. Non importa se qualcuno abbia mai visto sul “Secolo d’Italia” qualcosa che possa sembrare l’opposto e speculare alla campagna del “Giornale” sulla casa di Montecarlo. E’ la licenza degli artisti, la libertà dei comici.

Ma è una strana libertà, quella per cui puoi sfottere il premier solo se contemporaneamente colpisci un avversario. Se fai confusione, confusione sistematica, veicolando il messaggio che tutti hanno qualcosa di cui vergognarsi. Ridendo e scherzando, ti trovi perfettamente allineato con la linea di attacco dei fedelissimi. E infatti il successivo numero su Berlusconi, dove Luca e Paolo sono seduti a un tavolo con un fiasco di vino, a rappresentanza di un’ipotetica vox populi, non fa altro che smontare una per una le ragioni per cui il presidente del consiglio sarebbe condannabile. Le belle ragazze piacciono a tutti, avrei fatto anch’io così. Il problema non è l’abuso di una carica pubblica perché in Italia tutto funziona con il do ut des. Non ha mentito sino in fondo perché non ha mai nascosto che gli piace la vita allegra. Non ha mercificato le donne perché quelle lì erano consenzienti…Conclusione: stavolta gli è soltanto andata di sfiga. Una difesa a forma di presa in giro che nemmeno Ghedini e Ferrara insieme avrebbero saputo fare in maniera più credibile.

Voglio immaginare che Luca e Paolo non sanno ciò che fanno. Voglio credere che pensano di fare satira di costume, come hanno detto loro stessi, quando, pur affaticati dalle formalità bipartisan, hanno fatto satira politica a vantaggio di una parte precisa. Però tranquilli, non se n’è accorto nessuno: né noi, né loro, né il consigliere Rai di maggioranza Verro che li ha criticati o il consigliere di opposizione Rizzo Nervo che li ha difesi. Ernst Jandl, poeta sperimentale austriaco, ha scritto una poesia meno famosa di quella di Gertrude Stein che comincia così: “Alcuni credono/ che sestra e dinistra non si possano confondere./ Che errore!”                   

 

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25 Commenti

  1. …e se sanremo entra nei “salotti buoni”, vuol dire che mai come oggi la televisione diventa un magma indistinto, furbo e subdolo, ambiguo e ammiccante, pericolosamente qualunquista, e per questo fintamente impegnato. interessi di bottega per il popolo bue, sempre più vasto e trasversale.

    ho sentito duri e puri asciugarsi una lacrimuccia e gridare al miracolo per la celebrazione istituzionale di benigni, infarcita del più becero patriottismo, senza neanche perdere tempo a fare dei distinguo, fosse almeno per sottolineare le baggianate che ha detto sui savoia…almeno quello, se non per amor di patria (?) almeno di verità.
    mai mi sarei aspettata che benigni esaltasse i savoia, una della peggiori dinastie che ci sia mai toccata, che ha sterminato e saccheggiato (e cacciato i borbone) non per amor di patria ma per amor di fare cassa.
    (fenestrelle vi dice niente?)

    sui due comici di bottega sorvolo.

    “siamo così fusi da non renderci conto che se poco poco fossimo il famigerato paese normale di cui cianciava anni fa baffino il furbino troveremmo questo benigni imbarazzante . ora ci attacchiamo a tutto con la debolezza tipica della vera disperazione” (cit. M.L.)

    ps gino paoli sul vecchioni vincitore dive (vado a memoria) che il festival di Sanremo non c’entra un cazzo con la musica perché è solo uno spettacolo televisivo e quindi gli dispiace per roberto vecchioni. non che abbia vinto, solo che questa vincita è una patacca rispetto al suo spessore di artista, per tutto quello che ha fatto nella vita. e comunque gli spettacolini tivù non li guarda. come dargli torto?

  2. Che sollievo leggere una parola diversa ! su questo Sanremo che sembra aver fatto impazzire anche i cervelli più critici ! grazie infinite

  3. Il potere sa che la comicità è un’arma formidabile, un efficace strumento di autoconservazione.

    E riesce perfino a far credere che debba esistere una satira equidistante. Come se Aristofane non fosse fazioso.

    Ci sono comici non reazionari oggi in questo paese guasto? Comici dunque che usano il riso per disvelare la malattia, non per perpetuarla?

    Intanto il pagliaccio sul trono, impegnato in una captatio benevolentiae costante, in una seduzione tesa a capitalizzare i difetti di una cittadinanza pre-democratica e talora pre-civile, cambia il linguaggio, scende al livello della gente, finge, come fece anche Tremonti di fronte alla platea leghista esultante, di aver letto pochi libri, ripudia congiuntivi e concessive, ripete alla nausea slogan e concetti comprensibili da un settenne, eleva il bar ad agorà, fa battute razziste, sessiste, classiste e come in ogni fiction che venda bene, elimina ritualità seriose e analisi lente.

    Se ciò che conta è emozionare, non annoiare, divertire, posso anche ridere delle violenze di Hitler. Ossia tutto è lo stesso, nessuna distinzione tra merda e cibo, quello di Arcore non è peggio di altri.

    Tutto è chiacchiera e scherzo. I magistrati non erano malati mentali? Lo disse lui. Se lo beccassero a molestare una figlia o una nipote avremmo un cardinale che “contestualizza” l’incesto? Erano solo battute quelle di Gentilini sugli immigrati da impallinare come i leprotti, quelle di Bossi sui Bingo-bongo, quella di Storace che preferiva l’essere fascista all’essere frocio. Nel comico finiscono tutte le cazzate e le iniquità, come in un volgare gorgo di cesso.

    Il servilismo amorale diventa un carnevale goliardico di massa. Il potere castigat ridendo cives, denigra l’amore per il bene comune e butta tutto in vacca, sobilla il chiacchiericcio irriflesso e fazioso, insegna a ridere con la coscienza tranquilla, come chi, dopo il terremoto, si fregava le mani per i soldi della ricostruzione, come Sottile e Vespa atelefono per le puntate di Porta a Porta accuratamente cucite su Fini, come i leghisti che urlano “Più Rum Meno Rom”, come le barzellette su Hitler morto d’infarto per la bolletta del gas. E’ stato il Vanna Marchi di Arcore, durante un comizio-convention, a raccontare (e perfino a spiegare!) ai suoi ierofanti della battuta che lo appella come “Al Tappone”! E loro ridevano! Buttarla in battuta è la vendetta del potere contro la libertà di pensiero.

    Ridiamo ridiamo, ogni dramma è un falso allarme.

  4. @stalker personalmente non ho grandi problemi a rientrare nella categoria di “popolo bue”, sia perchè mi interessa capire quale è il linguaggio che fa presa su questo popolo, se esso ha ancora una parvenza di lingua propria (capacità di guardarsi e descriversi), se può sussistere un “noi”, tra l’io e il voi. Così come non ho problemi a guardare Sanremo – a) perchè la musica mi piace ascoltarla quasi tutta e potrei guardare perfino le televendite, accendendo la tv – naturale curiosità o superficialità immarcescente, non saprei; b) perchè c’erano i La Crus; c) perchè la differenza non la fa la mia mancata visione, ma, semmai, la mia mancata o parziale adesione a quel linguaggio.

    @Helena, non sono certa di concordare in toto con ciò che scrivi su Luca e Paolo (ma mi sono persa vari passaggi del festival) – più che se siano o siano stati consapevoli di se stessi, sono portata a chiedermi se sia ancora possibile fare satira sulla politica in questo paese. Luca e Paolo, che tra l’altro apprezzo abbastanza, mi hanno dato la medesima sensazione del film di Albanese (che invece apprezzo parecchio): qualcosa che inizia ad essere profondamente “sbagliato”, che mi lascia solo stanchezza e amarezza, al di là delle buone intenzioni dei comici. Non riesco più a ridere. Albanese non mi fa più ridere, Crozza non mi fa più ridere e via dicendo… ma non perchè non mi piacciono più.

    Su Morandi: in un momento simile la scelta di una brava persona è stata, se non altro, una sorta di tregua.
    Su Benigni: vorrei non essere fraintesa, perchè in questo paese di grandi emozioni come si prova timidamente a sollevare un dubbio si viene linciati. Non sono stata persuasa. Non è tanto Roberto Benigni in sè, ma di nuovo la stanchezza di un paese che conosce solo assoluti, che va preso per la pancia ed il cuore, che non può, per una volta, sì, anche parlando dell’Unità d’Italia, mitigare l’afflato lirico con la ragionevolezza, trovarsi coraggioso e rinfrancato non da una conferma di grandezza trascorsa, ma dalla possibilità di apprendere una lezione e… metterla da parte. Quando Benigni dice che occorre svegliarci per i nostri sogni, è chiaro, è “giusto” che mi ritrovi, come tanti altri, toccata. E lui ne è ben consapevole. Ma poi, ma poi – possibile che il giorno dopo l’unica cosa che ne viene fuori è che “lui è l’uomo più colto d’Italia, ah, se la storia la spiegassero così, ah c’abbiamo un inno meraviglioso”… E, non un accenno alla crudeltà dell’impero romano, alla possibilità, per esempio, che possano sussitere altri modelli dall’impero. Per prendere a caso dal discorso di RB. Intendiamoci – io credo che Benigni tutto questo lo sappia bene, non era certo quello il luogo per polemizzare sui romani per dire, e credo che sia stato anche lui a suo modo costretto in un certo ruolo (ha ripetuto 50 volte “memorabile”) – ma, ancora mi chiedo, si può provare a passare per il cuore ed il cervello, unendoli, per la memoria e una sorta di libertà negativa? Possiamo cambiare?

    Sui cantanti: la mia preferenza non va a Vecchioni (il secondo della mia lista), ma è stato bello vederlo vincere, credere, che si possa scuotere in un punto vivo e diverso dal solito, la massa televotante del consenso. Perchè a me, ad esempio, con tutta la rabbia, l’insofferenza e perfino il disgusto che mi provoca questo paese, quella massa preme ancora: poterci scorgere le sagome, i nomi.

    (grazie Helena).

  5. Ciao.
    Non faccio parte di quel noi. Sarà stata la confezione che fa sembrare tutto falso. Saranno state le canzoni, che non posso sopportare (e devo correre ad ascoltare qualcosa di rumoristico per farmi passare il mal di testa). Non so cos’è. Il festival non mi è sembrato migliore.

    Poi non sono d’accordo sul sottotesto che descrive un Berlusconi demiurgo onnipotente e maligno. Beh, maligno sì. Diciamo che non condivido l’ossessione. Perché un Berlusconi demiurgo onnipotente e maligno, quello lì, non l’altro vero e reale, siamo noi. Per carità, non perché incarna i vizi e i difetti, come vuole la vulgata. Perché rappresenta e testimonia i nostri errori. Lui è il rovescio di tutto quello che non siamo stati capaci di fare in questi anni. (Anche questo “noi”, mi rendo conto, può non essere condivisibile.)
    Ciao.

  6. @ d: “Lui è il rovescio di tutto quello che non siamo stati capaci di fare in questi anni”. Sottoscrivo. Non avevo alcuna intenzione di presentare Berlusconi come demiurgo onnipotente e maligno, e può darsi sia un limite mio, ma non lo colgo nemmeno nel “sottotesto”.
    @ tutti: grazie, sto cominciando a correre….quando ho un momento, vi rispondo. Ah ecco: buona giornata!

  7. ciao helena, finalmente, sei una delle poche persone che ha notato come il trattamento fini-berlusconi in ti sputtanerò fosse pro-cavaliere. anzi, da una parte ci sono filmini dati alla boccassini, come se la fuga di notize fosse più criminale della notitia criminis, e dall’altra montecarlo presentato come dato di fatto, non solo messo sullo stesso piano, ma anche qualitativamente innalzato evidenza inconfutabile, mentre su ruby sembrano esserci solo illazioni. luca e paolo restano iene di mediaset, dove ricci e zelig simulano l’antagonismo al potere

    detto questo, sarò iperbolico, ma per me morandi tra la belen e la canalis (solite belle ragazze che devono di mostrare di non essere solo quello) è come berlusconi in versione per tutti, non porno, senza pompetta, ma pur sempre uomo in andropausa, che vive con malariuscita ironia la sua frustrata libido, come quando alla bellucci dice che le farebbe di tutto.

    vecchioni, battiato & co tornano con canzoni che ricordano le loro vecchie canzoni, e vecchioni, per chi come me l’ha conosciuto tra i corridoi del beccaria, la peggior caricatura del professore dell’attimo fuggente. il ritorno al nazionalpopolare è stata un’illusione anagrafica. morandi, benigni, vecchioni & co erano contemporanei a quando il nazionalpopolare aveva storicamente senso. ora è come quando si guarda la nazionale, in milioni. ma per questo possiamo dire che esiste una nazione? La popolarità di un evento non basta, credo. Non ci sono valori condivisi, ma limiti che dividono: saviano, benigni, persino santoro, c’è chi li guarda a destra e a sinistra per restare a destra e a sinistra.

  8. Io con Sanremo ho un’autonomia di circa mezz’ora. Poi, devo abbandonare perché le canzoni sono così noiose che non reggo l’impatto. La mia curiosità iniziale è rivolta soprattutto alle due dame. Ho, come dire, un’aspettativa di tipo proustiana, quando il narratore aspetta con una sorta di sovraeccitazione l’apparire di una gran dama, poi quando finalmente appare non riesce a trovare conferma di quella aspettativa, e si stupisce, e si deprime di quella mancanza di conferma, e si deprime della propria depressione perché la donna idealizzata, in quanto tale, non può trovare conferma in quella reale. Così, mi addormento nella banalità delle due dame che pronunciano qualche battuta e annunciano una noiosa canzonetta. Come la banalissima intervista di uno spento Robert De Niro, l’uomo più privo di qualunque forma di verve che abbia mai visto su uno schermo (l’uomo, non l’attore). Guardo per alcuni minuti queste due dame monumentali, una diventata “famosa” perché fidanzata di un ricattatore star delle discoteche, e cerco di stabilire se mi piace più lei o l’altra, quella che recita la parte della bella statuina a fianco di una star di hollywood, e concludo che mi piace di più una giornalista di rai news 24 che legge il tg con un accento che è quanto di più erotico abbia visto o udito negli ultimi tempi.

    Ma a quel punto ho già cambiato canale o spento la tv.

  9. dite quello che volete,ma io continuo a preferire il benigni non carnascialesco,che trasuda sottigliezza ed erudizione da tutti i pori,delle interviste non concordate

  10. @ Francesca Matteoni: sottoscrivo

    personalmente non ho grandi problemi a rientrare nella categoria di “popolo bue”, sia perchè mi interessa capire quale è il linguaggio che fa presa su questo popolo, se esso ha ancora una parvenza di lingua propria (capacità di guardarsi e descriversi), se può sussistere un “noi”, tra l’io e il voi.

    poi se imparassimo anche a pensare che ad ascoltare quella banale lezione di storia c’era un buon 60% che avrebbe bisongno anche dell’ abc e che la presa del governo attuale su quelle menti sta nel fatto di aver saputo comunicare loro fino ad oggi, come noi non sappiamo fare, beh… mi auguro un prliferare di lezioncine banali, partendo dal basso per salire gradualmente un china, altrimenti precipizio.

    questa polemica diventa sempre più sterile, torno a seguire Al Jazeera. arrivederci.

  11. evviva l’italia!
    iscriviamoci in massa al
    GRANDE ORIENTE D’ITALIA DEMOCRATICO!
    un saluto alla stalker :)
    baci
    la fu

  12. @funambola

    eh sì, della massoneria se n’è scordato, che parlarne da cotanto palco sembrava brutto, magari la russa non applaudiva, in pubblico…hai visto mai??? ;-)

  13. So che si rischia il delirio dietrologico cospirativo, ma il problema è capire quanto dello showbusiness italiano fa riferimento direttamente o indirettamente agli interessi a ai valori delle massonerie. secondo me parecchio, lo dico anche per esperienze dirette. però da dove si comincia l’analisi? forse da Arezzo, che guarda il caso è la città di Licio Gelli. anche di Gianni Boncompagni, simpaticissimo per quanto mi riguarda, di Roberto Benigni stesso, che con Gelli non c’entra proprio nulla cimettolamanosulfuoco, e di Pupo, che guadapuroilcaso fa da spalla al SSavoiardo erede al trono.

    ps: istess per il Vaticano…

  14. morandi BIPARTISAN rappresenta la dc, e ciò che ci affosserà definitivamente dopo la morte (politica) di B, altroché brava persona

  15. ottimo articolo. Anche secondo me Luca e Paolo rappresentano la finta satira che fa comodo al potere. Berlusconi e Fini si sputtanano a vicenda (come se lo scandalo (scandalo è stato?) MOntecarlo eguagliasse tutti gli scnadali di Berlusconi) ma Fini dice a B “il 6 aprile al rpocesso ci vai solo tu”, quindi B passa persino per vittima! Poi la rai ha chiesto par condicio e, invece di fare una scenetta con (ad esempio) Bersani e Vendola si è fatta una finta satira dicendo che in Italia esistono degli intoccabili (Saviano, Santoro, Montezemolo e di nuovo Fini). Evidentemente i dipendenti mediaset vengono istruiti bene …

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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