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Per Ernesto Sabato (1911-2011)

di Massimo Rizzante

Oggi 30 aprile è’ morto Ernesto Sabato, l’autore della trilogia romanzesca composta da Il tunnel (1948), Sopra eroi e tombe (1961) e L’angelo dell’abisso (Abaddón el exterminador, 1974) e di saggi come Lo scrittore e i suoi fantasmi, Prima della fine, Resistenza. In realtà gli editori italiani avrebbero dovuto fare di più e meglio per il maestro argentino. Ma mai come in questo caso sono rimasti sordi ai miei richiami. Non che la mia voce abbia per loro un qualche peso, ma questi mirabili capi d’azienda, la cui presunzione spesso supera quella dei loro editor, la quale a sua volta supera quella dei loro scrittori, dovrebbero qualche volta alzare il naso al di là dei nostri confini e del nostro presente.
In forma di omaggio riprendo qui una piccola parte del saggio dedicato a E.S. presente nel mio Non siamo gli ultimi.

Leggendo Sabato mi sono detto: scrive come se dovesse essere letto fra diecimila anni! Un’altra idea, subito dopo, mi è balenata nella mente: Sabato è uno degli ultimi umanisti, un umanista in lotta contro la crisi dell’uomo concreto e universale.
Nel saggio intitolato El desconocido de Vinci c’è questo passaggio:

Ciò che è specifico dell’essere umano non è lo spirito ma quella lacerata regione intermedia chiamata anima, regione in cui accade tutto ciò che di grave e di importante appartiene all’esistenza: l’amore e l’odio, il mito e la finzione, la speranza e il sogno; nulla di tutto questo è puro spirito, quanto piuttosto un violento miscuglio di idee e sangue. Ansiosamente duale, l’anima soffre tra la carne e lo spirito, dominata dalle passioni del corpo mortale, ma aspirando all’eternità dello spirito. L’arte (cioè la poesia) sorge da questo confuso territorio e a causa della sua stessa confusione: Dio non ha bisogno dell’arte.

Quest’ultima frase è giustamente famosa perché è il vero emblema di tutta l’opera di Sabato, dei romanzi e dei saggi, della sua parte notturna come di quella diurna, un emblema che è un lungo elogio all’imperfezione dell’uomo. Sia che scriva su Leonardo da Vinci, Borges, i problemi dell’educazione dei nostri tempi o che inventi personaggi come Castel, Alejandra, Martín, Sabato non perde mai di vista quell’essere «ansiosamente duale» che egli, come qualsiasi altro uomo, é. Sabato sa bene che la vera patria dell’uomo è quella «regione chiamata anima», in cui si mescolano senza soluzione di continuità «le idee» e «il sangue». Ma egli sa anche che l’uomo ha abbandonato progressivamente questa regione intermedia e che grazie alla sua ansia di perfezionamento ha razionalizzato a tal punto il mondo da renderlo disumano.
Tuttavia il pensiero di Ernesto Sabato non è né tragico né nichilistico. Proprio in virtù del nostro status ontologico di esseri finiti, di esseri carnali e spirituali, possiamo costruire ponti sopra gli abissi delle nostre coscienze, partecipando così agli eventi del passato e del presente. Possiamo sempre aprire una finestra sulla nostra solitudine, sugli altri, su quelli che ci hanno preceduto nel tempo come su quelli che non appartengono alla nostra geografia. Per il fatto che è nutrita da una riflessione ontologica sull’uomo, l’opera di Sabato è refrattaria a ogni «astratta complessità», a ogni bizantinismo.
Sabato demistifica il gigantesco paradosso secondo il quale un movimento chiamato Umanesimo ha prodotto, alla fine, una totale disumanizzazione delle forme e, al contempo, cerca di preservare a qualsiasi costo l’insondabile capacità onirica dell’uomo, la sua cecità produttiva. Egli demistifica il mondo della tecnica e cerca di proteggere e difendere l’individuo, essere concreto e confuso, sospeso tra l’ansia di perfezione e i suoi istinti.
Per questo Sabato è uno degli ultimi umanisti: perché demistifica la realtà senza demitificarla.
Demistificare senza demitificare la realtà significa restare fedele all’imperfezione ontologica della condizione umana.
Ma come può l’uomo oggi raggiungere attraverso la sua parte intelligibile e le sue passioni, in un modo insieme intelligibile e appassionato, la propria imperfezione? La risposta dell’autore è di quelle senza appello: attraverso l’arte, e in particolare l’arte del romanzo.
Tradire è volgere lo sguardo verso un punto ignoto, che ci attira proprio perché ignoto. Così Sabato, dopo aver attraversato con devozione assoluta la cittadella delle scienze matematiche e fisiche, ha abbandonato le sue aspirazioni alla purezza, alla chiarezza e all’ordine geometrico, approdando su un altro territorio, incerto e pericoloso: quello dove le congetture non precedono mai le azioni e in cui le azioni, molto spesso, non sono frutto di congetture: il territorio del romanzo.
Per Sabato, questa regione intermedia in cui si mescolano senza soluzione di continuità «le idee» e «il sangue», questa «regione chiamata anima», ontologicamente ambigua, impura e propria dell’individuo finito, concreto e confuso, coincide con il territorio esplorato dal romanzo. Coincide, non confina. Per questo Sabato può dire che «il romanzo è la patria dell’uomo». Il romanzo, infatti, è il luogo in cui l’uomo, in esilio sulla Terra e lontano dagli dei, diventa amico dell’uomo, e impara a essere fedele alla sua imperfetta condizione.

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56 Commenti

  1. Segnalo anche questo articolo di Massimo Rizzante: https://www.nazioneindiana.com/2009/03/07/dio-non-scrive-romanzi-elogio-a-ernesto-sabato/.
    Sabato l’ho scoperto tardi, proprio dopo aver letto il saggio qui riportato, ed aver comprato Sopra eroi e tombe, l’anno scorso. Ho sentito che quel romanzo ribolliva di tutta la precarietà umana, che mi/ci appartenevano la follia paranoide di Vidal o il mistero sconvolgente (o è solo disagio, ansia di un vivere che è sempre ad un passo) di Alejandra, il patetismo sentimentale di Martin, una famiglia minata dalla pazzia dove non si distinguono passato e presente. Che a volte, almeno nel nostro intimo se non in modo manifesto ci si riscatta o ci si salva con gesti assurdi, roghi imprevedibili, proprio mentre tocchiamo una qualche rivelazione (se esiste, se è possibile). Un romanzo dove non c’è solo la compassione per ogni aspetto umano, ma anche il fastidio che essa provoca verso noi stessi come verso gli altri.

  2. Risvegliare l’uomo

    «Diceva Donne che nessuno riesce a dormire nel carro che lo porta dal carcere al patibolo, e che, tuttavia, tutti – dall’utero alla tomba – non facciamo che dormire, oppure viviamo come in un eterno dormiveglia.
    Una delle missioni della grande letteratura: svegliare l’uomo che va verso il patibolo».

    Cit. da Ernesto Sabato, Lo Scrittore e i suoi fantasmi (1979), trad. it. di L. Dapelo, Biblioteca Meltemi, Roma 2000.

    Se ne va un grande maestro del romanzo, e maestro di saggezza.

  3. “La vedi quella finestra illuminata, laggiù? – disse Alejandra indicando con la mano. – Sono affascinata dalle luci nella notte, sarà una donna sul punto di partorire? O qualcuno che sta morendo? O uno studente povero che legge Marx? Com’è misterioso il mondo. Solo la gente superficiale non ci bada. Parli con il vigile all’angolo della strada e dopo un po’ scopri che anche lui è un mistero”. (E. Sabato, SOPRA EROI E TOMBE)

  4. Ormai mi sembra evidente che gli editori non sono più capaci di individuare gli scrittori veri, autentici, quelli che segnano un’epoca e che sperimentano e hanno passione per la scrittura. Non esistono editori così. Einaudi aveva creato un gruppo di intellettuai interessanti e validi. C’era il gusto della scoperta dell’autore, ma oggi molti autori nascono già come bestseller , ti danno il format da seguire prima, e anche le scuole di scrittura creano dei diligenti’ autori’,che non hanno crto la forza espressiva di un Pasolini, di un Pavese ,di un calvino.
    Bisogna solo vendere.
    Sì andrebbe ricordato il grande Sabato, ma non è questo il tempo.
    Mi interessava conoscere l’opinione di una vera poeta come la Castaldi, di cui non riesco a vedere il commento….Forse bisogna cercarlo. Lo farò… ,perchè, amio avviso, è una delle migliori dei nostri anni,insieme alla Calndrone. Grazie

  5. Che tristezza… Un grazie di cuore a Massimo Rizzante, del quale avevo apprezzato molto (sempre su NI) il suo precedente “Elogio” a Sabato.

  6. “Yo fui un chico solitario, apartado de los juegos y de las travesuras que alegran la vida de los niños. Encerrado en mi cuarto, como detrás de una ventana, por las tardes veía pasar la vida. Y ya desde entonces mi salvación provino del arte. ¡Qué hubiese sido de mí sin los libros!”,
    1999.

    Fui un bambino solitario, isolato dai giochi e dalle avventure che allgrano la vita dei bambini. rinchiuso nella mia stanza, come dietro a una finestra, nei pomeriggi vedevo passare la vita, E già da allora, la mia slavezza venne dall’arte. Che sarebbe stato di me senza l’arte!

  7. (da Alias, a mia firma, con la più infinita ammirazione, perché anche questo è mio padre)

    A più di dieci anni dall’ultima ristampa per gli Editori Riuniti e a quasi quarantacinque dalla prima edizione feltrinelliana, torna nelle librerie italiane il secondo romanzo di Ernesto Sábato, e il suo più noto, Sopra eroi e tombe (prefazione di Ernesto Franco, traduzione di Jaime Riera Rehren, Einaudi, “Letture”, pp. 579, € 26,00). Allora, nel 1965, il nome dello scrittore argentino di origini arbëreshë (classe 1911) s’aggiungeva a quelli di Cortázar e del porteño Borges infoltendo la schiera di autori sudamericani che poco a poco si lasciavano scoprire dalla nostra editoria. Nella stessa collana “I Narratori” della casa milanese erano già apparsi Corpo di ballo, del brasiliano João Guimarães Rosa, e Aura, del messicano Carlos Fuentes, che doppiava così il conterraneo Juan Rulfo, il cui Pedro Paramo era stato pubblicato tra “Le comete”; tra ’60 e ’63, poi, da Longanesi e Mondadori erano stati tradotti i cubani Alejo Carpentier e Guillermo Cabrera Infante, rispettivamente con il romanzo Il regno di questa terra e i racconti di Così in pace come in guerra. A seguire, sarebbero arrivati, tra gli altri, Asturias, Roa Bastos, Lezama Lima e Arlt, preludio agli exploit di Garcia Marquez e Vargas Llosa. In mezzo a tanti, il profilo di Sábato si distinse pressoché da subito perché, a detta di Guido Piovene, l’irrealtà (o il “realismo magico”) che accomunava questa eterogenea pattuglia lui non la accettava «come un dato di fatto da cui si parte indifferenti per fare opera d’invenzione». Sábato, scriveva l’autore de Le furie recensendo proprio Sobre héroes y tumbas, quest’irrealtà «la sente come una tragedia pubblica e personale, si propone di storicizzarla, riferendola a cause molto precise nella storia, nella composizione, nei successivi sfaldamenti della società argentina; una malattia civile, che produce negli individui quei modi di pensare e d’essere, ma che avendo motivi storici può trovare rimedio». Una tragedia – e una malattia – che Sábato visse pubblicamente con l’allontanamento dal partito comunista, segnato dalla fuga a Parigi in occasione di un congresso internazionale a Bruxelles al quale un giovane Ernesto partecipò come delegato studentesco, e privatamente nello scrupolo di coscienza che, complice la frequentazione degli ambienti surrealisti e l’amicizia con André Breton e Oscar Domínguez, lo portò ad abbandonare la matematica e una brillante carriera di fisico al fianco di Irene Joliot-Curie per dedicarsi completamente alla scrittura ed al disegno. «Se si arriva alla scienza per ansia di verità e conoscenza – scrive Ernesto Franco – […] si può scoprire presto che i suoi strumenti dànno accesso a verità parziali e che la totalità dell’uomo è conoscibile solo attraverso il contraddittorio percorso dell’arte». Con una recensione a L’invenzione di Morel, di Bioy Casares, nel ‘41 comincia il lento apprendistato che sette anni dopo culminerà nell’esordio romanzesco. Circonfuso d’aria esistenzialista, anche e soprattutto perché Albert Camus volle fortemente pubblicarlo nella collana da lui diretta per Gallimard, El túnel (Il tunnel, Feltrinelli, 1967; Einaudi, 2001) anticipa, sia pure nelle sostanziali differenze di struttura e sintassi, alcuni dei motivi che torneranno tanto in Sopra eroi e tombe che in Abbadón, el exterminador (1974; L’angelo dell’abisso, 1977), a chiusura di un trittico che è, insieme, sia un dialogo serrato tra testi che si rimpallano personaggi e riflessioni che un deposito di possibilità latenti, come se da un’unica ossessione generassero e si alimentassero sensi e traiettorie imprevedibili e imprevisti. A volerne ridurre il numero, l’elemento ricorrente di quest’affresco narrativo è, come già notato da Cesare Segre, nella retta che congiunge due termini antitetici quali la partecipazione e la solitudine, cui si deve aggiungere il filo costantemente teso da Sábato tra memoria passata e esperienza presente. E se quest’ultima irrora ed allucina L’angelo, la prima impronta di sé tutta la narrazione di Sopra eroi , che difatti comincia, spacciata per un frammento di nera del giornale “La Razón”, con una nota che vale un epilogo. Da qui, a ritroso, si intrecciano le due vicende principali del romanzo: ossia, l’educazione sentimentale del giovane Martin De Castillo, diciassettenne malinconico e innamorato della stregonesca Alejandra, figlia di Fernando Vidal Olmos, e la storia della famiglia di lei, ricostruita per oltre centocinquanta anni. Perdita dell’amore, follia e decadenza di una famiglia imparentata con l’aristocrazia creola di Buenos Aires sono le metafore che Sábato sceglie per meglio illustrare quella discesa all’Averno che sembra contraddistinguere la sua intera visione della vita. Una visione cupa e sotterranea che esplode in quell’ascesso del libro, romanzo nel romanzo, che è la sua terza parte, ovvero il “Rapporto sui ciechi” stilato dal faustiano Fernando: mélange filosofica e paranoide su cui poggia la gran parte della fama visionaria dell’anarcocristiano (così si è più volte definito Sábato) di Rojas. Per Fernando (oltre Martin, l’altro personaggio in cui Ernesto Sábato, sulle piste del rapporto padre/figlio dell’Ulisse joyciano, si sdoppia fino ad attribuirgli la sua stessa data di nascita, e cioè il 24 giugno) il mondo sarebbe governato da una loggia di ciechi che tirano le fila della sorte degli uomini: «Se, come dicono, Dio ha il potere sul cielo, la Setta ha il dominio sulla terra e sulla carne». Potenza luminosa, quella dei Ciechi e dei suoi Gerarchi, che si irraggia da un labirinto di ridotti ed antri, forte di un «potere di vita o di morte che esercita mediante la peste o la rivoluzione, la malattia o la tortura, l’inganno o la falsa compassione, la mistificazione o l’anonimato, le maestrine o gli inquisitori». Quale che sia la diversa interpretazione che è stata data del “Rapporto”, nella sua aperçu cardine e negli eccessi Sopra eroi e tombe elegge e tradisce le sue origini moderniste, situandosi d’un colpo fuori di qualsiasi bagarre letteraria, oggi come allora, e attestandosi su un crinale impervio dell’esperienza artistica del secolo scorso accanto al Circolo di Stratis Tsirkas o all’Uomo senza qualità di Robert Musil, con i quali condivide l’anelito alla totalità e la rassegnazione all’incompiutezza. Valgono tuttora le parole di Witold Gombrowicz, che vide in quella di Sábato «un’opera davvero straordinaria in cui il romanticismo, la tradizione, la Storia, una sorta di anacronismo tellurico e la patologia sudamericana si combinano in uno strano modo con un medesimo tutto avanguardistico che esprime L’Argentina attuale». Una breve postilla: sulla quarta di copertina, il libro Einaudi si fregia di presentare «per la prima volta tradotto integralmente» Sopra eroi e tombe. Il che è tanto vero quanto inesatto perché il testo di riferimento è, in effetti, esemplato sull’originale apparso in Argentina per l’editore Fabril nel 1961, ma quello presentato da Feltrinelli nella versione di Fausta Leoni quattro anni dopo era, stando a ciò che vi è riportato, lo stesso che Sábato licenziò per la traduzione che sarebbe stata la prima europea del romanzo. In ogni caso, di tutto ciò non v’è traccia nel nuovo volume, orfano, fuorché per la prefazione, di apparati. E però, in un paese in cui sempre più sconfortanti sono i dati di vendita, un lettore disposto a pagare quasi trenta euro per allocare nella sua libreria un capolavoro assoluto della Weltliteratur del novecento avrebbe meritato, forse, un servizio migliore.

  8. Un grazie sincero a Massimo Rizzante da una studentessa di Fisica che ha iniziato a leggere Ernesto Sábato dopo aver letto il suo “Elogio” su queste pagine.
    Un anno fa circa ne ho scritto nella mia libreria su aNobii http://www.anobii.com/wakinglife/comments?public=1&sort=3&page=5
    riportando anche un articolo su Sábato di Claudio Magris del 2002.

    Riporto un passo da Sopra eroi e tombe, Einaudi, 2009:

    «Scrivevo quando mi sentivo solo, infelice, in disaccordo con il mondo in cui mi era toccato vivere. E ora penso che forse sarà sempre così, che l’arte del nostro tempo nasce dallo scontento e dall’infelicità. Un tentativo di riconciliazione con l’universo di quella specie di fragili, inquiete e anelanti creature che sono gli esseri umani. Gli animali non ne hanno bisogno, a loro basta vivere una vita armoniosa e d’accordo con i bisogni atavici, dalla nascita fino alla morte, non lacerati dalla disperazione e dalla follia. Invece l’uomo, da quando si è sollevato sulle due zampe posteriori, ha cominciato a gettare le fondamenta della propria grandezza, ma anche della propria angoscia. Avrebbe costruito quell’edificio strano e potente che si chiama cultura, smettendo di essere un animale, ma senza speranza di diventare il dio che il suo spirito prefigurava. Un essere addolorato e malato, condannato a vivere tra la terra degli animali e il cielo degli dèi, che avrà perso il paradiso dell’innocenza senza guadagnare il paradiso della redenzione, che si farà domande, per la prima volta, sul senso dell’esistenza. L’uso delle mani e del fuoco, e poi la scienza e la tecnica, scaveranno l’abisso sempre più profondo che separa l’uomo dalla specie originaria e dalla felicità zoologica. E la grande città sarà l’ultima tappa della sua corsa impazzita, l’espressione più alta del suo orgoglio e la forma estrema della sua alienazione. E allora questi esseri scontenti e quasi folli cercano di ricuperare l’armonia perduta, dipingono o descrivono una realtà diversa da quella che li circonda, creano un mondo in apparenza fantastico e demenziale che alla fine si rivela più profondo e reale della vita quotidiana, si risollevano per superare la sventura individuale e diventano gli interpreti e persino i salvatori del destino collettivo. […] E si servono di oggetti esterni e indifferenti, oggetti di quel mondo rigido e freddo che rimane fuori di noi, e forse esisterà prima di noi e molto probabilmente continuerà a esistere quando saremo morti, come se quegli oggetti non fossero che ponti tremanti e transitori (come le parole per il poeta) per colmare l’abisso che si apre fra noi e l’universo. […] Perché quegli oggetti dipinti non appartengono a un universo indifferente, sono oggetti creati da un essere solitario e disperato, ansioso di comunicare, che ne fa ciò che l’anima realizza con il corpo, impregnandolo dei suoi aneliti e sentimenti, mostrandosi attraverso le rughe della carne, la luce degli occhi, i sorrisi e la piega della bocca».

  9. quanti resteranno sulla terra a lottare ancora per “restare umani”?
    Grazie, Massimo Rizzante
    lucetta frisa

  10. Ernesto Sabato l’ho scoperto grazie a un articolo di Massimo Rizzante comparso proprio qui un paio d’anni fa. Uscita la traduzione Einaudi di “Sopra eroi e tombe” mi sono fiondato a comprarla, l’ho letta e ho trovato quello che secondo me è uno dei dieci romanzi più importanti del Novecento.

  11. Massimo, io Sabato l’ho scoperto grazie a te, e all’immensa biblioteca che ti faceva da casa nella nostra soffitta, condivisa in rue Beaubourg, di quando eravamo poveri e per niente felici. e di questo te ne sarò per sempre grato
    effeffe

  12. Grande scrittore, ciò che di lui dice Rizzante calza alla perzefione. Gli stava a cuore l’umano in tutta la sua tragica complessità.

  13. Per onorarne davvero la memoria bisognerebbe ripubblicare, dopo più di quarant’anni “Abaddón el exterminador” (1974) che uscì con il titolo “L’angelo dell’abisso” per Rizzoli e che da allora non è più apparso (bisognerebbe farne un’altra traduzione). Bisognerebbe, come è stato fatto in diversi altri paesi europei, pubblicare un cofanetto con i tre romanzi. Bisognerebbe farne un Meridiano. Bisognerebbe pubblicare “Uno y el Universo” (lo chiedo da anni, invano), il primo libro di Sabato, una raccolta di pensieri e aforismi che segna il suo abbandono della scienza per la letteratura.
    Chiedo ai “potenti” della nostra editoria di fare qualcosa. Non importa se poi traduzioni cure onori andranno ai soliti esperti, ai bisognosi di riconoscimento,
    ai pesci parassiti pronti a divorarsi qualsiasi pesce grosso. L’opera è ciò che ci interessa, l’opera e basta. E l’amore per la forma.

  14. Bene, trasformiamo l’esortazione di max in un atto concreto e possibile.
    Cominciamo da “Abaddón el exterminador”.
    Si faccia un preventivo. Quanto costano i diritti, quanto costa la remunerazione di un bravo e degno traduttore, quante copie biogna vendere, per andare in pareggio? 1.000 ? 2.000 ? 10.000 ?
    Si chieda ai lettori di prenotare il libro, si faccia insomma una pubblica sottoscrizione aperta diciamo per due tre mesi. Se entro quel periodo i è raggiunto il numero sufficiente di lettori sottoscrittori, si chieda loro di prenotare il libro pagandone in anticipo il prezzo.

    solo un’iniziativa comune tra lettori e autori e traduttori e critici puo’ salvare la letteratura ormai nelle mani di tecnici, p.r. esperti di marketing, scribacchini, consumatori e canaglie varie.
    realizzare l’impossibile si può: serve passione, rigore e metodo.

  15. Dell’edizione Rizzoli de L’angelo dell’abisso avevo trovato una copia proprio poche settimane fa fa su E-bay, a 9 Euro. Presa al volo, per principio.

  16. Non solo condivido l’articolo, le opinioni, le considerazioni, ma sottoscrivo pienamente l’idea che la sua scrittura rimandasse a un eternamente valido e umano che difficilmente potrei scordare. Uno degli autori più illuminanti, specie nella narrazione biografica, che abbia mai letto.

  17. rizzante con un precedente articolo mi fece scoprire l’immenso Sabato
    quelle cose che ti nutrono in silenzio e ti fanno crescere capire comprendere
    grazie a lui
    e un abbraccio a Sabato ovunque vada
    c.

  18. mi diventa difficile ora proseguire il mio masochistico e a suo modo voluttuoso gioco di: ancora non l’ho letto e quindi, se non tiro le cuoia prima, ho davanti a me qualche seria promessa di godimento: Assalonne Assalonne – Il pianeta di Mr Sammler – Sopra eroi e tombe…

  19. Purtroppo come spesso accade si parlerà molto di un autore… dopo la sua scomparsa… è una legge spietata della Letteratura che, come insegna Giulio Ferroni, è sempre postuma.

  20. Solo un’informazione: Abaddon el exterminador sarà ripubblicato da minimum fax, che aveva già acquisito i diritti, così come Antes del fin, in una nuova traduzione curata da me. Anni fa lamentavo in un profilo di Sabato pubbicato su Pulp il disintersse dell’editoria per questo autore, ma fortunatamente nel 2009 è uscita per Einaudi una nuova edizione di Sopra eroi e tombe (con molte variazioni rispetto alla precedente) nell’ottima traduzione di Jaime Riera Rehren.

  21. Generalmente l’editoria italiana, quando ha a che fare con i grandi del romanzo, nobili nel catalogo, ma di difficile lettura, aspetta che siano morti. E’ una questione di valore borsistico-editoriale. La letteratura grande, se è viva, ingombra. Se è morta, può essere capitalizzata. Sul cadavere d’autore, si muovono finalmente anche i riluttanti accademici. E il titolo sale. Nelle pagine culturali si potrà parlare di aneddoti simpatici e stravaganti. (Adelphi ha aspettato un decennio, dopo la morte di Kis, per pubblicarne i saggi (e non completi).)

    Comunque, lode, in questo caso, a minimum fax.

    Oggi su Repubblica, a pagina 18, in cronaca, con foto francobollo, un colonnino di 24 righe.

    Zankiù Rizz

  22. dico: Tres tristes tigres! Los pichiciegos… penso che Minimum potrebbe trainare un po’ l’editoria italiana verso la lett. latinoamericana (ma questa “riscoperta” è una tendenza mondiale ormai… sappiamo che gli anglosassoni sono apripista, ahimé: ci ha già pensato il fenomeno-Bolano, a cui è seguito Granta in area anglosassone – checché se ne dica, senza il boom B. quel numero di Granta non sarebbe uscito, per lo meno non adesso). Sarebbe molto interessante se Sur, oltre che di classici, si occupasse anche di autori giovani (ho visto sul sito di Anagrama che ha comprato un romanzo – minore, a dire la verità – di Alan Pauls).
    A tutti vorrei consigliare di non perdere l’uscita in trad. italiana, per Nuova Frontiera, a settembre, per ciò che mi è stato detto, di Trabajos del reino di Yuri Herrera. Herrera è, a mio modesto parere, che non conta (è abbastanza riconosciuto nella critica in lingua spagnola), il più interessante narratore messicano attuale. Tanto più perché continua (e continuerà) a pubblicare con la casa editrice indipendente che lo scoprì (Periférica, la stessa di Fogwill… e che ha pubblicato anche un libro di Celati), non volendo, per decisione esplicita, per ora, passare al mainstream…

  23. PS: io nutro sempre la speranza che qualche pazzo pubblichi Lamborghini… è difficilissimo da tradurre ed estremo, radicale a livello di mondo letterario (però c’è una linea di scrittori che lavorano lessicalmente, io azzarderei a dire, nella linea gaddiana: sono una sfida per la traduzione: la linea plurilinguista è molto viva in un continente che parla la “stessa” lingua, esplosa in milioni di rivoli nazionali, regionali, dialettali e in cui le mescolanze e il creativismo che ne può derivare è sorprendente. Penso a Daniel Sada – e, prima, Cabrera Infante, ovvio…

  24. @ eugenio. Nel primo numero della rivista CanGura, edita da Sossella e presente in rete, ho tradotto alcune poesie di Osvaldo Lamborghini. Le riviste, di carta, elettroniche, o di carta ed elettroniche, senza carta e con CD, con CD e in rete, in MP3, sotto ogni forma adempiono sempre la stessa funzione: danno il “la”, sono i diapason che ci formano ai valori.

  25. @ max rizzante grazie mille per la segnalazione, non ne sapevo nulla… non conoscevo Cangura, sinceramente (mi sono perso il post indiano). Inizio a leggerla. E Lamborghini lo conosco solo come narratore (anche se le barriere generiche, in questo caso ancora più che in altri, si fanno labili. Reperire i suoi testi è molto difficile: nell’università in cui sto non hanno…nulla. Anche in America Latina non è esattamente un autore da canone.)

  26. Credo che La Nuova Frontiera di Yuri Herrera pubblicherà anche il bellissimo Señales que precederan al fin del mundo, oltre a Salon de belleza di Mario Bellatin, che finora da noi aveva fatto solo un’infelice incursione in una collana degli Editori Riuniti con Dama cinese. E minimum fax, oltre alle riedizioni di alcuni “classici”, fra cui Onetti e il Piglia di Respirazione artificiale, riproporrà fra i “nuovi” César Aira, dopo l’abbandono di Feltrinelli. (Negli Stati Uniti con Aira stanno tentando di bissare l’operazione di marketing già riuscita con Bolaño.) Inoltre, fra poco minimum fax inaugurerà un blog dedicato alla letteratura latinoamericana da me coordinato a cui vi invito fin d’ora a partecipare

  27. Dimenticavo: per gli amanti della letteratura ispanoamericana La Nuova Frontiera ha pubblicato da poco il bellissimo I genietti della domenica, del peruviano Julio Ramon Ribeyro, e seguirà con la pubblicazione dei racconti, genere nel quale Ribeyro è considerato un vero maestro

  28. @ raul, magari può interessarti (sempre per alias, per l’ultimo numero, a mia firma)
    Ricardo Piglia
    Bersaglio notturno (traduzione di Pino Cacucci)
    pp. 249, € 16,00
    Feltrinelli, “I Narratori”
    Milano, 2011

    Come un filo rosso, la pratica del romanzo investigativo o poliziesco – il ricorso estremo ai suoi schemi, l’elusione dei suoi esiti impliciti e il superamento delle sue circoscrizioni – attraversa la storia letteraria del Novecento a tal segno da farne non solo uno dei suoi generi canonici, ma un’epitome della modernità: declinandolo rigorosamente o deformandone irrimediabilmente i paradigmi indiziario e congetturale, è tanto e tale il numero degli scrittori “maggiori” che vi si sono cimentati o dei “minori” che grazie ad esso si sono elevati – nell’immediatezza o in retrospettiva – che un elenco sarebbe superfluo e di necessità carente. Ciò che si manifesta e si fa viepiù evidente, specie ad uno sguardo d’insieme, nel capitolo di quella stessa storia che si svolge in Sudamerica ed ha come epicentro locale l’Argentina. A stabilire prospettive e tracciare diagrammi di lettura non può essere, ancora una volta, che il genio bibliomane di Borges: ogni sua pagina, ogni racconto e tutti i romanzi mancati che ha scritto sono altrettanti misteri da svelare che contengono in sé sia la soluzione che la sua confutazione; tra le attività collaterali ma non secondarie, poi, la direzione, insieme a Bioy Casares, della collana di gialli “El Séptimo Círculo” esplora l’arcipelago inedito e imprevisto di un lettore onnivoro. Come onnivori – e perciò solo borgesiani (ma non epigoni) – sono due tra i più interessanti scrittori argentini in attività, ovvero Alberto Manguel e Ricardo Piglia, entrambi cimentatisi con il genere. Di più, in Diario di un lettore il primo dedica uno dei dodici mesi che ne scandiscono l’andamento al Segno dei quattro, di Conan Doyle, mentre in L’ultimo lettore (Feltrinelli, 2007) il secondo stende un capitolo su Chandler che è, insieme, esperienza e manifesto d’un modo di intendere la scrittura e la lettura. A grandi linee, questa la tesi: l’investigatore, la cui origine, nella letteratura contemporanea, si deve alla rue Morgue di Poe (non a caso, risalendo nel tempo e con una tipica jonglerie, Cabrera Infante scopre l’etimo onomastico di «Eddy Poe» in Edipo, ovvero, per lui, nel «primo detective»); l’investigatore, dicevamo, in “Lettori immaginari” (questo il titolo del saggio di Piglia) è un paradigma non pretestuoso della condizione di chi legge, inscritto in una cornice che si costruisce intorno come si stagliano delle scene in un affresco: e queste scene sono, nondimeno, tutte scene primarie, che improntano il farsi della vicenda entro la quale il protagonista (che tale diventa l’investigatore, vero e proprio alter ego dell’autore) si muove ed agisce. Ma come agisce? La risposta è in un’altra pagina di Piglia (classe 1941, e quindi sette anni più anziano di Manguel), spiccata dal suo ultimo romanzo appena pubblicato da Feltrinelli – Bersaglio notturno (traduzione di Pino Cacucci, “I Narratori”, pp. 249, € 16,00) – e la proferisce il commissario Croce: «Comprendere […] non consiste nello scoprire fatti, né trarre deduzioni logiche, e meno ancora costruire teorie, ma solo nell’adottare il punto di vista adeguato per poter percepire la realtà […] È un po’ come giocare a scacchi, bisogna aspettare la mossa dell’altro». Pure, al di là delle esemplificazioni di una qualsiasi trama, chi è davvero l’altro nel romanzo poliziesco (o nel romanzo tout court)? Se torniamo di nuovo a L’ultimo lettore, vi troviamo quest’osservazione su Poe: «Ne Gli assassini della rue Morgue, quel che Dupin legge sui giornali è il racconto frammentato del delitto. Fa una lettura molto sofisticata delle informazioni: un’analisi linguistica delle dichiarazioni dei testimoni, trascritte sui quotidiani, in relazione alle voci udite sul luogo dei fatti [..] La lettura finisce per identificare con estrema nitidezza quella che potremmo chiamare la voce dell’altro: la voce dell’immigrato, del non francese (in un racconto scritto in inglese»; e ancora: «l’idea che il sospetto si costruisce sul pregiudizio è elaborata con estrema efficacia dal genere. Il sospettato numero uno è l’altro sociale, colui che appartiene alla minoranza che circonda il mondo bianco, al cui interno si generano versioni paranoiche di ciò che potrebbe costituire una minaccia». Tuttavia, in Bersaglio notturno (che in originale porta il titolo, ben più espressivo, di Blanco nocturno) l’alterità è duplice rispetto all’ambientazione pampera del romanzo: risiede tanto nel sospettato, Yoshio Dazai, un giovane portiere di notte di origini giapponesi, che nella vittima, il dandy mulatto Tony Durán, un americano dai natali portoricani estraneo tanto alla cultura statunitense che a quella sudamericana. Con un’aggiunta, per capire la quale si deve proseguire nello scritto chandleriano di Piglia, laddove l’autore di Soldi bruciati e Respirazione artificiale rinviene nella nuova posizione delle donne il passaggio del genere dalla sua forma classica tardo-ottocentesca (quella di Dupin e Holmes, insomma) a quella contemporanea e iper-novecentesca (Marlowe e Spade, per intenderci). Il motivo che spinge Durán da Atlantic City a uno sperduto paesino a trecento chilometri da Buenos Aires (immaginario e reale come Santa María in Onetti o Macondo in Garcia Marquez) sono le gemelle Belladonna. Come in Chandler, la loro presenza è quella di un doppio attenuato e s’accompagna, inevitabilmente, al denaro – altro confine che «marca la differenza essenziale tra il racconto di mistero e il thriller»: Ada e Sofía (così si chiamano le sorelle, figlie di una delle più facoltose famiglie del paese) conoscono Tony tra casinò e alberghi, in un estenuato e ambiguo gioco di ruolo in cui nessuno recita la parte che gli sembra assegnata dal caso. Ricostruito in questo modo, l’intreccio di Bersaglio mobile potrebbe leggersi come una dimostrazione degli assunti di “Lettori immaginari”, in cui allo schema di partenza s’aggiungono le digressioni sulle origini del piccolo paese argentino, la presenza d’un narratore testimone (il giornalista Emilio Renzi che porta, nel cognome, una traccia autobiografica dello stesso Piglia) e lo sfondo della Storia (siamo, infatti, nel 1972, alla vigilia del ritorno di Perón in patria e dieci anni prima della guerra delle Falkland/Malvinas). E però, Piglia è non per niente uno scrittore borgesiano: la sua qualità, così più pregiata perché sapientemente intessuta tra uno e centomila fili diversi, sta tutta nell’invertire i rapporti e cambiare i nessi: alle gemelle si sovrappone la coppia di fratelli Belladonna, Croce monologa con la sua spalla, Saldías, e dialoga con la sua nemesi, il procuratore Cueto; Renzi prende nota degli avvenimenti come si appuntasse spunti per un romanzo da farsi e le postille a piè di pagina non chiudono o esplicano concetti, ma aprono vie di fuga. Tutto, dunque, sembra ossequiare un’idea e contemporaneamente tradirla, prestando fede, si direbbe, solo ad una delle regole codificate ne L’ultimo lettore, ovverosia l’elaborazione costante del contrasto fra due concetti, due ossessioni: «L’enigma: ciò che non si comprende, ciò che è chiuso; il recondito allo stato puro» e «il mostro: colui che viene da fuori, dall’altra parte della frontiera e la cui voce è straniera: l’altro allo stato puro». Per Ricardo Piglia, che apre la sua raccolta di saggi con un lungo racconto-interpretazione di Kafka, «all’interno di una cultura, dice il genere, esiste un doppio confine delimitato dall’enigma e dal mostro». La letteratura, aggiungiamo noi chiudendo Bersaglio notturno, non fa che vedere, e perciò spostare, questo doppio confine.

  29. @ raul schenardi: be’, Respirazione Artificiale è un altro capolavoro, senza dubbio (non era Feltrinelli?). E sì, Nuova Frontiera pubblicherà anche il secondo romanzo di Herrera (suppongo che nel 2012).
    Ho letto dell’operazione-Aira, e meglio stendere un velo sulle operazioni di marketing che sfruttano l’onda Bolaño (non penso che Aira, oltretutto, abbia lo stesso potenziale commerciale: ma ammetto che non me ne intendo).
    Quando aprirete il blog?
    @Stefano Gallerani: Blanco Nocturno non l’ho ancora letto. Grazie per la recensione.

  30. Sono molto felice che si parli di Piglia. Si dovrebbe a mio parere parlare (e tradurre) anche dei suoi saggi.
    L’ultimo lettore è passato quasi inosservato.
    A proposito di Blanco nocturno su you tube c’è un’interessante conversazione con Rodrigo Fresan.
    @gallerani
    se mi segnali le tue recensioni, io ho una specie di blog dove tra l’altro raccolgo saggi recensioni raticoli etc sulla letteratura latinoamericana (aspettando il blog di Raul); se mi li segnali li pubblico volentieri.

  31. @ carmelo

    se ti interessano posso girartele io, direttamente. Le mie recensioni escono su alias, che non è on line.

  32. @ stefano: grazie per la recensione dell’ultimo Piglia, me la leggerò con calma, anche perché vorrei/dovrei intervistarlo per il prossimo numero di Pulp, e se vuoi girarmi quanto scrivi sui latinoamericani, con il tempo e via via mi piacerebbe pubblicarli sul blog di sur

  33. @ Eugenio: no, Respirazione artificiale era uscito per Serra e Riva editori nel 1990, nella bella traduzione di Gianni Guadalupi. Per il potenziale commerciale di Aira sono d’accordo con te, così come sul fatto di stendere un velo/meglio: un telone pietoso sulle operazioni di marketing intorno a Bolaño. Aira oltretutto è molto diseguale, ogni tanto pubblica piccoli capolavori (Come mi feci monaca, tradotto da me per Feltrinelli, ma anche Un episodio en la vida del pintor viajero o Varamo), ogni tanto libri assolutamente dimenticabili.
    Quanto all’apertura del blog, è imminente, anche se le prime uscite del marchio Sur saranno in autunno

  34. Era un grandissimo narratore, ma dal punto di vista politico spesso le sue uscite erano irritanti e risibili. A me infastidì molto vedere cosa scrive di Severino Di Giovanni in “Sopra eroi e tombe”. Per non parlare del suo astio verso gran parte degli esuli durante la dittatura, soprattutto quelli del peronismo di sinistra… Anche il suo rapporto Nunca mas in molti ambienti dei diritti umani è considerato un lavoro di facciata, tardivo, riassumibile nella ridicola formula della “teoria dei due demoni”…

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