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Fare lobby

Un labirintico sproloquio sulle classifiche del premio Dedalus di Gianni Biondillo

Partiamo dai dati bruti… a questa tornata del Dedalus ho votato:
1) Sartori nei romanzi,
2) Raos nelle poesie,
3) De Michele nei saggi,
4) Mozzi-Binaghi nelle altre scritture.
Sei punti ciascuno. Si riconoscono subito: tranne Sartori, votato anche da altri, i restanti autori campeggiano solitari col loro, in fondo, magro bottino di sei voti.
Questi scrittori li conosco tutti, personalmente. Sono amici miei. Alcuni carissimi amici. Due di questi sono redattori di Nazione Indiana. Ci sono tutti i presupposti dietrologici per parlare di inciucio, mafietta, camarilla, etc. etc.
Ci sto pensando da alcuni giorni.
Sorvolo su De Michele (lo voto perché voglio tenermi buono il gruppo di Carmilla?), o sull’accoppiata Mozzi-Binaghi (sono nel profondo un ateo devoto?) e cerco di entrare nel cuore del discorso.
Il romanzo di Giacomo, per dire, so per certo che non è stato apprezzato da uno degli organizzatori del premio (non stiamo qui ora a fare gossip, è il ragionamento che mi interessa), lo ha trovato, anzi, “orribile”. Io mi fido abbastanza della sua capacità critica. Ma resta il fatto che io Sartori l’ho votato. Perché era amico mio? Perché è un redattore di Nazione Indiana?
Potrei rispondere molto semplicemente: perché m’è piaciuto, e morta lì (ed infatti è esattamente così, m’è piaciuto: l’ho trovato grottesco, allucinato, un’immagine perfetta di un “tipo” d’italianità, tutta chiacchiere e distintivo, che è congenito nel nostro popolo).
E Raos? Nella vulgata un romanziere (come me) legge al massimo un libro di poesie l’anno, quello che gli regala l’amico poeta, come può mettersi a votare in quella categoria? Con quale competenza?
Fermo restando che anche se fosse, che se anche avessi letto un solo libro di poesie non capisco perché non dovrei segnalarlo (e, viceversa, se un poeta avesse letto anche un solo romanzo all’anno che gli è piaciuto, per quale ragione non dovrebbe rendercelo noto?), potrei comunque star lì a fare ragioneria. Se leggo un libro di poesia l’anno com’è che ogni due mesi ne voto uno differente?
Be’, certo – è la possibile risposta – voti i poeti di Nazione Indiana. La ragioneria dimostrerebbe il contrario; ho sul comodino Milo De Angelis, ho votato nei mesi appresso Galimberti, Pusterla, Franzin, etc. poeti che non so neppure che faccia abbiano, tanto per dire.
È che a me il volumetto di Raos è piaciuto davvero, al punto che gli ho “rubato” una poesia e l’ho criptocitata (tutta intera! Potrebbe denunciarmi per plagio!) nel mio romanzo.
Così come ho votato Inglese. O Buffoni. E Janeczeck, Matteoni, Rovelli, etc.
Faccio lobby?
Potrei insistere con le giustificazioni. Io Sartori, per dire, lo scoprii e lessi in tempi non sospetti, lo recensii quando ancora neppure mi immaginavo che sarebbe diventato un redattore di Nazione Indiana …
[Inciso: non so se ve ne siete mai accorti ma su Nazione Indiana è vietato, vietatissimo, che un redattore parli di un altro redattore, che si pubblichino recensioni dei nostri libri, etc. Su Nazione Indiana ho parlato di Vasta o Garufi solo quando erano ormai usciti dalla redazione…]
Detto ciò: fino a che punto, mi chiedo, devo autocensurare le mie opinioni sui libri che leggo e che mi piacciono? M’è capitato più di una volta di rifiutare di scrivere addirittura su libri del mio stesso editore per evitare possibili sospetti di inciuci o chissà cos’altro. Ma, a dir la verità, non ce la faccio più.
Se scorro l’elenco dei lettori del premio Dedalus mi accorgo che inevitabilmente con buona parte di loro ho avuto od ho un rapporto, una conoscenza, uno scambio epistolare, etc. insomma “li conosco”. E li leggo, ovviamente. Così come, ovviamente, non leggo mica tutto quello che viene pubblicato in Italia, sarebbe un incubo. Quali sono perciò i libri che decido di votare?
Quelli che leggo, chiaramente, quelli che mi piacciono – spesso, spessissimo di autori dei quali non so nulla (i libri che preferisco, perché sono davvero novità per me) – quelli che mi vien voglia di rendere noto ad altri. (per dire: ci sono state occasioni dove non ho votato. Dove, o perché leggevo libri “fuori dal regolamento” – autori stranieri o pubblicati fuori tempo massimo – o perché gli italiani letti – magari anche amici o conoscenti – non m’erano piaciuti).
Basta?
No. Non basta.
Perché mettiamola come vogliamo, alla fine si legge anche per vicinanza. Perché è più probabile che io apra un libro di Chiara Valerio che di un perfetto sconosciuto. Non è giusto, ma è umano. Anche per questo, come dissi mesi fa, spesso a guardare le classifiche del Dedalus sento una certa “aria di famiglia”. Credo che sia inevitabile. E non è solo una bassa questione di “voto di scambio”: tu voti il mio libro, io voto il tuo. Nessuno me l’ha mai chiesto, non l’ho mai chiesto a nessuno. Vero, potrei fare come fa Flavio (Santi). Autoescludermi dalla votazione. Ma, mi chiedo, se lo facessero tutti i giurati non solo escluderemmo centinaia di libri dove la probabilità (non la certezza, ovvio) che siano “validi” e perciò votabili è alta, ma diventerebbe un incubo, ogni volta, leggere, scorrere l’elenco, depennare chi sì e chi no. (tenuto conto che si fa aggratis, per amor di patria).
“Aria di famiglia” dicevo. La stessa classifica, se fatta con 150 giurati differenti, sarebbe ben diversa. E avrebbe una sua, particolare, “aria di famiglia”. Qui, in questa, la probabilità di vedere Alan D. Altieri – autore che vende meno di Tabucchi, Parrella o Covacich – ai vertici è assolutamente pari allo zero assoluto (anche se – per me – lo meriterebbe molto di più di tanti altri) “di là”, nell’altra ipotetica classifica, la possibilità di leggere il nome di Frasca sarebbe deflagrante, rivoluzionario.
Il Dedalus, così come ogni esperienza di questo tipo, si basa sulla credibilità dei suoi votanti e sul presupposto di onestà, di mancanza di doppi fini.
Io, sia ben chiaro, ho apprezzato fin da subito questa idea. Mi sembrava un buon modo per sentire il polso – la temperatura – dei miei “vicini d’interessi”, dei miei colleghi. E un buon modo per dare visibilità a testi che non trovano spazio, dare suggerimenti (anche per questo ho sempre evitato di frammentare il mio voto).
Anche di libri, quando è capitato, scritti da amici. E da redattori di Nazione Indiana.
Faccio, inconsapevolmente, lobby?
Forse dovremmo intenderci sul termine.
Dato che la cosa non si fa nel segreto di alcuna stanza, con patti di sangue o cose così, e dato che queste classifiche non spostano migliaia di copie ma probabilmente neppure qualche decina, non credo di essermi affiliato ad alcuna loggia massonica. Però sarei disonesto se non ammettessi che nel mio piccolo io “faccio lobby”. Gruppo di pressione.
Faccio parte di una realtà, Nazione Indiana, che da anni – nella sua ingovernabile anarchia (dovreste leggere la nostra mailing-list interna per capirlo), nella sua molteplicità di sguardi (s’è litigato e anche duramente fra di noi) – cerca di proporre un modo “nostro” di intendere il campo della cultura qui in Italia. E negli anni, a partire dai testi, dai post, dai libri, dagli articoli prodotti, s’è creata una sensibilità – per quanto nebulosa – comune (alcuni redattori sono cari amici, altri non li ho mai visti neppure in faccia, per me esistono solo nei testi che producono). Un rispetto reciproco, una reciproca attenzione.
È inevitabile. Succede qui su Nazione Indiana, succede ovunque, in qualunque gruppo, blog, rivista. Per il rispetto reciproco che s’è sviluppato attraversando temi e battaglie, non per scambi di favori che non sono mai avvenuti (anche perché, molto grevemente, non c’è alcun potere da esercitare da nessuna parte).
Il difetto, se lo vogliamo trovare a tutti i costi, che sta nel manico del Dedalus è che chi vota non ha letto tutti i libri. Ma sarebbe semplicemente impossibile. Allora che fare? Preselezionarne una decina e darli da leggere? E chi li preselezione? Con quale diritto, con quale pre-giudizio? Non sarebbe ancora più passibile di critiche? Con che diritto escludere gli altri libri?
Io, come redattore di Nazione Indiana, parlo per me sia ben inteso, credo che sì, ho sempre votato libri che mi piacevano, che volevo suggerire, che volevo far conoscere, ma mi rendo conto che, piaccia o meno, mi ritrovo spesso nei libri di altri redattori di Nazione Indiana. Mi ci riconosco. Non suggerirli per questo ulteriore scrupolo lo trovo incomprensibile. Dire che votandolo non stia facendo lobby, sarebbe però ipocrita. Io, per quel centocinquantesimo che pesa il mio voto, io, votandolo, faccio lobby.
Così come tutti gli altri gruppi di pressione facilmente identificabili nell’elenco dei votanti (e in quello ipotetico di un altro eventuale gruppo, etc.).
Quello che conta, in fondo, è scoprire testi suggeriti da altri dei quali magari neppure ne conoscevo l’esistenza. Libri nei quali altri “gruppi di pressione” che l’hanno votato si riconoscono.
Qui la cosa si fa semplice: o mi fido di questi libri, perché mi fido dell’onestà degli sconosciuti che l’hanno segnalato, o immagino mafie e dietrologie rassicuranti per evitare di prendermi la briga di leggerli.
Essere però oggetto di sospetti, di calunnie, di maldicenze, inizia a stufarmi. Sono stato un lettore del Dedalus senza retro pensieri. L’ho fatto con piacere senza cercare un mio ritorno di alcuna natura (e poi, siamo seri, ma quale ritorno? L’eventuale primo posto nel Dedalus potrà pur far piacere, ma vendere come Volo, per uno che ha da pagare le bollette di casa, ne fa molto di più). Dopo tutti questi anni però mi sono scocciato di dover giustificare l’ingiustificabile. Siamo gherigli innicchiati nel guscio di noci convinti d’essere padroni del mondo. Ridimensioniamoci, per piacere. Sgonfiamo i toni polemici. Un manipolo di libri che dovrebbe fare massa critica, “di qualità”, riesce invece a creare solo fronde interne e inimicizie. A questo punto la domanda, la più semplice ed auto evidente, è: ma chi me lo fa fare?

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110 Commenti

  1. Ciao Gianni, prima sorrido, sorrido perché immagino il giramento di balle. Dico la mia, in breve. Ho fatto fatica (perché mi perdo, mi distraggo) a comprendere i meccanismi di voto di Dedalus; me l’ha spiegato Massimo Gezzi una volta e, in seguito, qualcun altro. L’ho capito, poi l’ho dimenticato di nuovo, forse perché non me ne importa. Mi importa che molti dei “lettori” siano autori di cui ho stima e mi importa soprattutto che grazie a questa “famigerata” classifica ho scoperto alcuni libri che non conoscevo e che poi ho amato. Sono stato contento quando ci ho trovato libri che, invece, avevo letto pensando: bravi. Il resto si avvicina molto all’inutilità del discorso, non esistono meccanismi perfetti, soprattutto se applicati a una classifica. Tutti leggiamo prima i libri degli amici, per piacere e comodità, tutti scegliamo più o meno. Se lo si interpreta così, credo che il Dedalus sia una buona cosa. E’ bene segnalare, piuttosto, di volta in volta, libri esclusi dalla classifica che meriterebbero – magari – di starci. Concludendo, che ho detto? Boh! Un saluto

  2. ciao Gianni. Sono d’accordo con te, credo sia quasi impossibile essere un votante al di sopra di ogni sospetto. Io non sono così introdotto nell’ambiente, tant’è che degli altri giurati ne conosco solo pochi, però per la narrativa ho votato “Hotel a zero stelle” di Pincio, che è pure l’autore della fascetta elogiativa del mio romanzo, e quindi mi si potrebbe accusare di scambio di favori. Potrei obiettare che il voto è segreto (tranne per gli organizzatori), e che avrei potuto dare le mie preferenze a chiunque altro senza temere che questo venisse reso pubblico, ma la verità è che me ne sono fregato. Per me quello era, fra i pochi che avevo letto negli ultimi mesi, il miglior libro di narrativa italiana e l’ho votato. Il punto è un altro. Il tallone d’Achille di questo tipo di giurie non è tanto lo scambio di favori o il conflitto d’interessi (per es. io sono sia votante che votato), quanto il numero dei giurati. Dedalus in questo senso somiglia allo Strega: ne ha tanti, e centinaia di giurati significa deresponsabilizzazione. Senza contare che non c’è maggior individualista di uno scrittore, e questo produrrà grande astensionismo (se si contano i voti espressi si capisce che più della metà non ha votato). A questo punto basta che un piccolo gruppo coeso di giurati, anche solo 7-8 persone su 200 (e c’è, so che c’è), faccia blocco, si metta previamente d’accordo su chi votare, e questo piccolo gruppo sarà in grado di determinare il primo classificato in ogni categoria. Un primo classificato magari non solo votato da pochissimi, ma addirittura letto da pochissimi. Ecco perché preferisco il metodo francese tipo Goncourt, in cui quel piccolo gruppo viene allo scoperto, non si nasconde fra centinaia di cani sciolti e astensionisti, e solo contando sulla propria autorevolezza legge tutte le opere selezionate ed esprime dei voti chiari ed espliciti.
    Per inciso: dico questo sapendo che di una giuria ristretta io non avrei fatto parte, perché non sono così importante, e reputando la classifica di dedalus un’ottima iniziativa, qualcosa che mancava e che era giusto fosse fatto; soprattutto adesso che vi compaio anch’io :-)

  3. Le classifiche del Dedalus sono apparse fin dall’inizio malate di consorteria. Succedeva l’inverosimile. Un autore pubblicava per Le lettere e dominava la classifica della narrativa per un semestre, l’anno dopo cambiava editore e nessuno se ne accorgeva piu’. Purtroppo il conflitto generato dalla necessita’ dei favori reciproci non e’ stato mai affrontato seriamente, con la conseguenza che queste classifiche passano ormai del tutto inosservate, con buona pace dei Frasca e dei Garufi che magari meriterebbero davvero.

  4. Gianni, mi pare che tu qui esponga tutte le ragioni per le quali, dopo esservi entrato solo a forza di gentilissimi spintoni da parte di Andrea Cortellessa, mi sono poi precipitosamente tolto dalla lista del 150 grandi lettori del Dedalus. La più forte è questa: che io, se devo scegliere tra leggere un’opera letteraria di Gianni Biondillo e leggere quella di un perfetto sconosciuto, scelgo quella dello sconosciuto. E’ una scelta professionale (sono uno scout, perdiana!) ma è prima di tutto la forma della mia curiosità.

    Sono convinto che le classifiche di Dedalus e il relativo premio (al di là del micragnoso snobismo di mettere un premio di 1 euro: mi ricordo quando lo vinse Laura Pugno, e io c’ero, e dopo tutti i discorsi e le carinerie in una sala semideserta lei pretese il pagamento dell’euro, e tutti gli organizzatori si frugavano nelle tasche alla ricerca della monetina…) abbiano un senso proprio perché mostrano com’è fatto un pezzo della Repubblica delle lettere italiana. Un pezzo molto diverso, ovviamente, da quello che non solo premia con enormi vendite Fabio Volo, ma indefessamente ricerca e cura e produce e inventa autori come Fabio Volo.

    Solo che lo scopo che il Dedalus si dà esplicitamente non è quello di mostrare com’è fatto un pezzo della Repubblica delle lettere italiana. E’ tutt’altra cosa: è affermare che quanto si fa in un certo pezzo della Repubblica delle lettere italiana va bene, e quanto si fa in un altro pezzo non va bene. Dalla “Dichiarazione d’intenti”: “Fino a qualche decennio fa esisteva una “società stretta”, per dirla con Leopardi: una comunità di lettori che sapeva quali fossero le opere da leggere. Oggi non è più così; è venuta meno qualsiasi proporzione fra libri d’intrattenimento e libri di qualità” (vedi). E’ evidente che le due categorie “libri d’intrattenimento” e “libri di qualità” sono due categorie disomogenee, e quindi non confrontabili (vi ricordate di Provolino? Quello che “ha sommato alle pere / quattro mucche e un contadino”? Ecco: qualcosa del genere).

    Spacciare per “classifica di qualità” quella che è semplicemente la “classifica dei libri da leggere secondo una società stretta è insomma, secondo me, un errore. Non serve a niente (mi rivolgo a Carlo Cannela), sostenere che “le classifiche del Dedalus sono apparse fin dall’inizio malate di consorteria”. Non serve a niente perché il campo letterario funziona così, e stop. Possiamo essere convintissimi dell’onestà personale di Gianni Biondillo – io ne scono convinto, come sono convinto dell’onestà personale di pressoché chiunque -, e tuttavia si potrebbe dire facilmente che Gianni non ha fatto altro che descrivere, da dentro e con un certo candore, proprio il funzionamento di una “consorteria”. Mi sembra inutile formulare giudizi morali. O meglio: formulare giudizi morali, magari molto duri, è utile per posizionarsi in un certo modo. Anche il moralista gode di una rendita di posizione: magari miserabile, se è un moralista onesto e non un Tartufo, ma è quella che a lui sembra giusta e piace.

    Quando tu scrivi, Gianni: “Sono stato un lettore del Dedalus senza retro pensieri. L’ho fatto con piacere senza cercare un mio ritorno di alcuna natura”, io non dubito della tua sincerità. Tuttavia sospetto che quanto dici non sia vero. Essere nel Dedalus è già di per sé un “ritorno”, la cui natura è chiara: manifestare qual è la tua posizione all’interno della Repubblica delle lettere italiana. La posizione chiara di chi sta dalla parte della “qualità”, di chi sta in compagnia di una quantità di persone le cui capacità artistiche e intellettuali sono davvero ammirevoli.

    Tu, Gianni, tanto tempo fa, sei stato invitato a scrivere in Nazione indiana. Non ci pensavi, non ci speravi, non hai accettato per averne un “ritorno”, non avevi doppi fini: sta di fatto che scrivere in Nazione indiana è cosa che dà – ripeto: in una certa parte della Repubblica delle lettere italiana – il beneficio di un posizionamento prestigioso, in compagnia di persone le cui capacità artistiche e intellettuali sono davvero ammirevoli.

    Naturalmente ciò comporta, simmetricamente, una perdita di prestigio presso le istituzioni e le persone di altre parti della Repubblica delle lettere italiana. Ma tant’è: ciascuno, secondo il proprio genio, scelga di stare dalla parte dell’ “intrattenimento” o dalla parte della “qualità”.

    Nell’articolo apparso qualche ora dopo il tuo (vedi), Francesco Forlani rampogna (assai condivisibilmente) il povero Francesco Piccolo, reo di aver detto una cosa secondo me piuttosto credibile: che, in certe parti della Repubblica delle lettere italiana, a firmare appelli e prendere posizioni sulle sorti del Paese si ha anche (e, aggiungo io, e con questa aggiunta finisco col dire qualcosa di completamente diverso da quello che dice Piccolo: a prescindere da qualunque intenzione o doppio fine o calcolo di opportunità) si porta a casa un “risultato”.

    La tua domanda finale, “Ma chi me lo fa fare?”, potrebbe quindi essere così riformulata: “E’ davvero questo il posizionamento che voglio tenere?”. O anche: “E’ questo il posizionaemnto giusto?”. O anche: “Mi conviene ancora tenere questo posizionamento?”.

    (Un posizionamento l’ho scelto anch’io, come tutti).

  5. Giulio, sostenere che una cosa non vale la pena dirla solo perche’ non serve a niente non mi sembra una grande intuizione. Di cose che non servono a niente e’ pieno il mondo, ad esempio scrivere storie. Un fine in sé, diceva Kant. Se il campo letterario funziona cosi’ io non lo so, probabilmente si, visto che ci sei dentro da vent’anni e hai esperienza in materia. Il fatto e’ che gli intenti dei proponenti delle classifiche sono chiari: un coefficiente di qualità con cui ordinare i libri, evitare di ridurli a ruolo ornamentale, opporsi allo strapotere del mercato. Nulla dicono di societa’ strette e di consorterie. Essi rivendicano piuttosto un ruolo definitivo nel capire cosa sia la qualita’ e nel proporla ai lettori. Il mio, dunque, non e’ un giudizio morale, e’ una constatazione. Ci hanno truffato.

  6. Carlo: non serve, intendevo dire, a capire.
    Ad esempio, dopo che hai detto “Ci hanno truffato”, ne sappiamo forse qualcosa di più? A me pare di no. Addirittura, mi pare che ne sappiamo di meno: perché abbiamo attribuito un’intenzione (l’intenzione di truffare), la quale dovrà pure avere uno scopo (perché, per quale utile ci hanno truffati?), eccetera; e tutto questo mi pare distolga dal capire.
    (Ah: di “società stretta” parlano nelle prime righe della dichiarazione d’intenti).

    Faccio un esempio che spero funzioni. Siamo in spiaggia. Due bambini giocano nell’acqua, si danno spinte eccetera. Cadono entrambi. Hanno la testa sott’acqua. La madre di uno dei due si getta in acqua e porta in salvo il proprio figlio. Il giornale titola: “Pensa solo all’interesse suo e lascia annegare il figlio dell’amica”.
    Ecco. Quel “Ci hanno truffato” a me suona un po’ (solo un po’: perché l’esempio è esagerato) come questo titolo di giornale. Un atteggiamento meno moralistico ci permetterebbe invece di capire che il mondo va così: le madri pensano sempre prima al proprio figlio; e forse, addirittura, va bene che sia così.

    Io parlerei piuttosto di cecità. Una cecità che mi par di trovare anche in questo pezzo di Gianni (e che non ne lede l’onestà).

    Se un’élitedi critici e scrittori si riunisse e dicesse: d’ora in poi publicheremo mensilmente la classifica delle opere letterarie che a noi dell’éliteci piacciono, e che ci piacciono in quanto noi siamo un’élite, perché i gusti dell’élite non sono quelli della massa, se non altro perché i prodotti d’élite non sono la stessa cosa dei prodotti di massa – certo la cosa sarebbe stata più limpida.

    D’altra parte: oggi come oggi, è complicato dichiarare: “Cari voi, io faccio parte di una élite“. Anche perché all’idea di élite è associata (ed è un’associazione falsa) l’idea di una vita facilitata, semplificata, agiata ed agevole; e l’idea di una vita facilitata, semplificata, agiata ed agevole è terreno di coltura per l’invidia.

    Me lo sono sentito dire anche oggi: “Beato te, che scrivi, scrivi, e non hai bisogno di lavorare”.

    Comunque: io faccio parte di una élite. Una delle funzioni di questa élite è: decidere, immettendole sul mercato, le opere letterarie che il pubblico potrà leggere. Ovviamente ciascun membro di questa élite è preso in un groviglio di relazioni (e rimando al pezzo di Gianni).

    Quindi? Ci mettiamo la mano sul cuore e diciamo, tutti in coro, che l’appartenere a questa élite è irrilevante, perché noi tutti di questa élite non ci facciamo influenzare dal fatto di conoscerci, volerci bene, avere debiti o crediti di gratitudine, educarci reciprocamente, consigliarci, eccetera?

    Per carità, no.

  7. Una opinione dall’esterno (che si somma a un’altra che ho già dato qualche anno fa, quando si poneva lo stesso problema oggetto di questo post)

    Se il voto è segreto, se si può votare anche per se stessi, se si leggono pochi libri tra quelli che si possono votare, e quindi ovviamente si leggono i libri di chi si conosce di persona (e si apprezza) o per sentito dire (in modo favorevole), non vedo come si possa evitare il sospetto sull’onestà del voto. Se questo voto non fa cambiare di molto le classifiche di vendita, non significa che non conferisca prestigio agli scrittori, almeno entro certi contesti, come ha ben spiegato Mozzi. Se si dà per buono che non si vota chi non si legge, è del tutto evidente che il valore del voto e quindi del punteggio finale della classifica dipende principalmente da quanti legami personali ogni autore ha con i votanti, solo in seconda istanza dipende dalla qualità del testo (se si crede alla buonafede dei votanti).

    Questa classifica, quindi, più che una classifica di qualità, è la classifica di chi ha più legami personali nell’ambito di questa “lobby di qualità”.

    Se si volesse fare una classifica di qualità, si dovrebbe cambiare tutto.
    Faccio il primo esempio che mi viene in mente. Ogni libro letto dovrebbe avere un voto, e alla fine si potrebbero fare due classifiche: una dei libri più letti (classifica di popolarità, considerazione di un autore) e una che metta i libri in ordine di media dei voti, decidendo una soglia minima di votanti per considerare significativa la media (classifica di qualità). I votanti potrebbero avere inoltre il buon gusto di leggere autori con cui non hanno o non hanno avuto rapporti di collaborazione.

    Se si vuole tenere la classifica così com’è, occorrerebbe come minimo dire chi sono quelli che hanno letto i libri in classifica.

  8. Mi colpiscono, in questa discussione, e mi fanno un po’ tremare i polsi, due opzioni di fondo:

    1. giudicare una ‘repubblica delle lettere’ implica di per sè moralismo, cioè una rendita di posizione. Tutti hanno una loro rendita di posizione, anche il moralista, il problema è comprendere, capire come funzionano le cose, e prendere coscienza di dove si è già. La valutazione critica del sistema nella sua totalità significa a priori fare del moralismo, cioè essere già parte del sistema (Mozzi)

    2. Sono una persona sincera e lo dico in modo chiaro: appartengo a una consorteria e non me lo fa fare nessuno, non ci guadagno nulla, lo faccio per passione (Biondillo)

    Non lo so. Apprezzo in ogni caso chi sceglie di leggere il manoscritto di uno sconosciuto, accanto a quello di qualche amico che magari stima e con cui si sono create affinità culturali nel tempo, questo si, però entrambe le opzioni mi sembrano intrise di un misto di realpolitik e sensibilità emotiva, che forse alla lunga stona, fa corto circuito, diviene qualcosa di autoreferenziale, e sopratutto presuppone l’immutabilità storica a oltranza della consorteria, forse siamo molto vicini all’ontologia, quanto a rime forzate.

  9. @ Lorenzo Galbiati
    «se si può votare anche per se stessi». No, non si può votare per se stessi. Non ne posso più di dover ripetere ogni mese questa ovvietà, possibile che non se ne tenga memoria? Se n’è già discusso tantissimo qui su Nazione indiana a più riprese, e ora anche su Le parole e le cose (http://www.leparoleelecose.it/?p=1688).
    @ Sergio Garufi
    «Il tallone di Achille […] è il numero dei votanti»: «centinaia di giurati significa deresponsabilizzazione» e poi «basta che un piccolo gruppo coeso di giurati, anche solo 7-8 persone su 200 (e c’è, so che c’è), faccia blocco, si metta previamente d’accordo su chi votare, e questo piccolo gruppo sarà in grado di determinare il primo classificato in ogni categoria». Non capisco questo tuo ragionamento, che è inverso al mio nonché (temo) al senso comune. Maggiore è il numero dei votanti, più ampia la rappresentanza di aree culturali (e geografiche, e generazionali, e politiche) diverse, minore è la possibilità che le lobbies pesino sui risultati finali. Infatti sforzo costante dei promotori delle Classifiche è stato precisamente quello di ampliare & diversificare il Lettorato onde appunto mitigare il coefficiente lobbistico. Il quale,
    @ Gianni Biondillo,
    è sì comprensibile nonché, entro certi limiti, legittimo – per i motivi, più che ragionevoli, che allinei nel tuo pezzo. Ma non può essere un fattore dominante. Per esempio non è ammissibile che si legga un solo libro, entro uno o più dei quattro settori, e si voti quello. Perché questo sì che è un giudizio dettato unicamente dalla “prossimità” (culturale, e geografica, e generazionale, e politica). Perché, anche se è vero che come dici tu «il difetto […] che sta nel manico del Dedalus è che chi vota non ha letto tutti i libri», è necessario che un giudizio (e questo vale per me sempre, al di là delle Classifiche naturalmente) lo si possa dare proprio perché si confrontano gli oggetti da giudicare uno con l’altro. Infatti la moral suasion che, sino ad ora senza farne oggetto di regolamento, abbiamo tentato di applicare ai Lettori, era quella di “iscriversi” solo alla valutazione di quello o quelli, fra i quattro “generi”, che di norma seguano come lettori.
    L’idea nasce dalla volontà di dar forma alle preferenze di un certo numero (possibilmente considerevole) di lettori forti di letteratura italiana contemporanea. Un lettore che in un bimestre legga un solo libro di poesia, o un solo romanzo italiano, non si può dire un “lettore forte” (anche se su questa definizione sarebbe opportuna una lunga parentesi, che proporrei di rinviare).
    @ Giulio Mozzi
    Tu, che sei probabilmente il lettore in questo senso più “forte” in circolazione, eri (e saresti) infatti il Lettore ideale delle Classifiche. E le ragioni che anche qui adduci per essertene voluto andare non mi hanno mai convinto. Dici di averlo fatto perché tu «se devi scegliere tra leggere un’opera letteraria di Gianni Biondillo e leggere quella di un perfetto sconosciuto, scegli quella dello sconosciuto», e con ciò ti contrapponi alla modalità enunciata di contro, nel suo pezzo, dallo stesso Biondillo («mi pare che tu qui esponga tutte le ragioni per le quali […] mi sono […] tolto dalla lista del 150 grandi lettori del Dedalus» – ora, per la cronaca, divenuti circa 200). Ma anche questo diverso atteggiamento, fra te e quelli come Biondillo, o altri ancora, rappresenta una differenza culturale, all’interno del “campo” delle Classifiche, che ai miei occhi va salvaguardata e incentivata (e che la tua dipartita, invece, ovviamente contribuisce a impoverire). Va pure sottolineato che questo diverso atteggiamento dipende anche dalle diverse attitudini, professionali o meno, con cui leggiamo un libro. Tu per es. lo fai non solo ma anche per il tuo ruolo di editor (e, se mi passi il termine spiacevole, talent scout); io lo faccio non solo ma anche per il mio ruolo di critico, e via dicendo. Ma anche questi diversi ruoli, infatti, sono tutti contemplati all’interno del Lettorato, e anche questi vanno il più possibile diversificati e allargati. Perché insomma il nostro sforzo è stato sempre questo: di arricchire qualitativamente e allargare quantitativamente un gruppo di persone che all’inizio, è vero, si conoscevano quasi tutte fra loro ma che, col tempo, hanno raggiunto (e ancor più raggiungeranno, in futuro) lettori e gruppi di lettori del tutto idonei al ruolo di Lettori, e che nessuno dei promotori conosceva prima. Il che valga a cominciare a rispondere, anche se il suo tono non lo meriterebbe,
    @ Carlo Cannella,
    il quale icasticamente sostiene che (le Classifiche) «ci hanno truffato» perché «gli intenti dei proponenti delle classifiche sono chiari: un coefficiente di qualità con cui ordinare i libri, evitare di ridurli a ruolo ornamentale, opporsi allo strapotere del mercato. Nulla dicono di societa’ strette e di consorterie. Essi rivendicano piuttosto un ruolo definitivo nel capire cosa sia la qualita’ e nel proporla ai lettori». Sulla prima parte di questa definizione non ho nulla da eccepire. Sul fatto che non si sia parlato di «società stretta» invece strabilio, perché proprio Mozzi, al quale Cannella si rivolge, aveva appena citato nel suo commento il nostro manifesto iniziale dove appunto di «società stretta» (e non di «consorteria») si parlava. Il termine è preso da Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani (1824) e designa qualcosa di simile a quella che la sociologia del secolo seguente avrebbe definito appunto «élite» (@Giulio Mozzi: se non parliamo di «élite» non è perché ci si vergogni del termine, ma perché – appunto secondo la definizione che ne davano Pareto, Mosca e compagnia cantante – nell’accezione invalsa il termine designa non solo una «società stretta» in senso leopardiano – che cioè conosca i valori professati dai propri componenti e, senza necessariamente condividerli, li sappia apprezzare e appunto valutare – ma anche una condivisione di privilegi appunto sociali, e di censo, e di potere/prestigio, che non mi pare oggi i letterati italiani, e comunque certo non i Lettori e i Promotori delle Classifiche, possano vantare). In ogni caso, per dimostrare il fatto che «Le classifiche del Dedalus sono apparse fin dall’inizio malate di consorteria», lei Cannella fa il seguente esempio: «Succedeva l’inverosimile. Un autore pubblicava per Le lettere e dominava la classifica della narrativa per un semestre, l’anno dopo cambiava editore e nessuno se ne accorgeva piu’». Dal momento che citando Le Lettere si riferisce evidentemente a me, pur senza nominarmi, e alla collana fuoriformato che dirigo dal 2006, la prego di farmi esempi di tale «inverosimile» evenienza. L’unico caso in cui un libro della mia collana abbia «dominato la classifica della narrativa» (non per un «semestre», ma in due successive votazioni) è quello di Cristi polverizzati di Luigi Di Ruscio, primo nella classifica di giugno e in quella del luglio 2009. Successivamente, e prima della sua scomparsa, il 23 febbraio di quest’anno, di Luigi sono usciti due altri libri, La neve nera di Oslo (Ediesse) e 50/80 in collaborazione con Angelo Ferracuti (Transeuropa). Quest’ultimo non l’ho visto e dunque non ne posso dire niente, quanto al primo si tratta senz’altro di un libro notevole ma niente a che vedere con Cristi, libro scritto nell’arco di almeno trent’anni e che secondo me è il capolavoro del suo autore (nonché uno dei libri più straordinari che abbia mai letto).
    Ricordo poi Ogni cinque bracciate di Vincenzo Frungillo, quinto ex æquo nella classifica di poesia a luglio 2009; Prosa in prosa di Bortolotti-Broggi-Giovenale-Inglese-Raos-Zaffarano, secondo nel febbraio 2010 e terzo nell’aprile successivo; Una fede in niente ma totale di Claudio Parmiggiani, sesto ex æquo nelle altre scritture del dicembre 2010 e del febbraio 2011. Ebbene, in questi tre ultimi casi i rispettivi autori molto semplicemente non hanno più pubblicato altri libri, dopo quelli usciti in fuoriformato. Ovviamente sì, presi individualmente, i sei co-autori di Prosa in prosa: e infatti trovo Andrea Raos quinto in poesia nel giugno 2011 (Arcipelago), Andrea Inglese primo in altre scritture nell’aprile 2011 (La camera verde), Marco Giovenale quarto ex æquo in poesia nel dicembre 2010 e nel febbraio 2011 (Donzelli).
    Dunque, continuo a chiederle esempi dell’«inverosimile» di cui parla. Altrimenti sono costretto a concludere che chi «truffa» i propri lettori è proprio lei.

  10. Marco, diciamo che ai giudizi morali sintetici preferisco i giudizi morali analitici.
    No, la consorteria non è “storicamente immutabile”. (Tant’è che, ad esempio, Gianni Biondillo sta meditando – pubblicamente: cosa notevole – un riposizionamento).

    Negli ultimi anni, negli ultimi due soprattutto, comunque dal 1996 in poi, c’è stato un frenetico lavoro di riposizionamento nella Repubblica delle lettere italiana. Si sono formate nuove riviste (da Doppiozero a Le parole e le cose), è rinata Alfabeta, eccetera. Si tratta, è vero, per lo più di movimenti interni a una parte della Repubblica – una parte che, dieci anni fa, si sarebbe ritrovata più o meno tutta (e in parte si ritrovava effettivamente) all’interno di Nazione indiana.
    Che cosa ha provocato questi movimenti, questi riposizionamenti? La mia ipotesi (è solo un’ipotesi) è questa: la scarsità di risorse e di opportunità. Fin che ce n’è per tutti, non è così necessario distinguersi. Quando le risorse e le opportunità (oddio, mi par di parlare un linguagggio da Monopoli…) scarseggiano, è necessario farsi la concorrenza – cosa che comincia con la scelta di distinguersi, di marcare una posizione.

    Lorenzo: pensa a quante volte sono state cambiate, negli ultimi vent’anni, le regole dei concorsi universitari. E la faccenda va sempre allo stesso modo, mi si dice.

  11. Andrea, ci siamo incrociati. A proposito delle élite tu scrivi: “se non parliamo di «élite» non è perché ci si vergogni del termine, ma perché […] nell’accezione invalsa il termine designa non solo una «società stretta» in senso leopardiano […] ma anche una condivisione di privilegi appunto sociali, e di censo, e di potere/prestigio, che non mi pare oggi i letterati italiani, e comunque certo non i Lettori e i Promotori delle Classifiche, possano vantare”.
    Io invece, guarda un po’, godo di notevoli privilegi sociali (frequento persone di alto livello intellettuale: come te, ad esempio, o Gianni Biondillo, o Carlo Cannella: di tutti e tre ho il numero di telefono nell’agenda, e questo non è da tutti); di privilegi di censo (non che guadagni molto, in generale, ma ogni tanto riesco a farmi pagare bene o vinco un premio letterario eccetera); un pochino di potere editoriale ne ho, e se ne ho pochino e non tanto è perché non ho badato molto a incrementarlo; e di prestigio ne ho da vendere, anzi da regalare. Se confronto la mia vita con quella (dignitosissima) del mio vicino di casa, indubbiamente io sto in una élite e lui no.

    Ricordiamoci che il primo privilegio, nel far parte di una élite, è appunto il fatto di farne parte.

    (Non sarà per questo, forse, magari, cioè perché io appartengo a un’élite, che mi sono precipitosamente tolto dal numero dei Grandi Lettori? Non sarà forse che mi son tolto perché non avevo bisogno di stare in quel numero, non avevo bisogno di posizionarmi lì?).

  12. @ Gianni

    ma come non sai che faccio ho?? se alla festa di NI ti ho fracassato le palle per farti leggere il mio libro! :)

  13. @ Andrea Cortellessa
    Non ho capito il riferimento ai “miei” lettori, io non ho lettori, caso mai leggo (molto). Per il resto e’ evidente che l’inverosimile sta proprio nel caso Di Ruscio. Dire che la neve di Oslo non meritasse la stessa attenzione di cristi polverizzati o per lo meno maggiore attenzione di quella che gli e’ stata data, non mi sembra un’affermazione condivisibile. A me viene spontaneo pensare che sia stato determinante nel primo caso il peso dell’editore, o meglio la sua influenza. Penso male? Dimostriamolo con i dati. Ci consegni l’archivio dei voti dal 2009 a oggi, ci permetta di vedere chi ha votato gli indiani, chi i romani, chi gli einaudiani, chi ha dato il suo voto a uno scrittore che a sua volta glielo aveva dato in precedenza, chi ha sempre posto la sua attenzione sulle pubblicazioni di un editore specifico, eccetera. Sarebbe la migliore soluzione per capire se per l’appunto di truffa si e’ trattato o se sto qui a dire stupidaggini.

  14. @ Carlo Cannella
    No. Non le consegno questi dati perché 1) non sarebbe giusto (il patto coi Lettori è che il loro voto sia segreto, e pubblicabile solo da parte di loro stessi come ha fatto nella presente occasione – ma non è la prima – Biondillo) e perché 2) non li ho. Non ho infatti questa ossessione dietrologica che ha lei, non ho mai fatto statistiche, controlli incrociati, intercettazioni riguardo a chi vota chi. Sono pronto a convenire che in alcuni casi la componente “lobbistica” abbia avuto un peso, e proprio per questo come ripeto ho lavorato e lavorerò per ridurlo; ma non l’ho mai calcolato “scientificamente” e, ciò malgrado, sono convinto che tale componente non sia mai stata decisiva.
    Quanto a Di Ruscio lei ha sostenuto una cosa diversa nel suo commento (a quello alludevo parlando dei suoi «lettori»), e cioè che – ripeto – «Succedeva l’inverosimile. Un autore pubblicava per Le lettere e dominava la classifica della narrativa per un semestre, l’anno dopo cambiava editore e nessuno se ne accorgeva piu’». Semplicemente non è vera, questa cosa che lei ha scritto. Punto.
    Quanto a Di Ruscio, se parla così evidentemente è perché lei non ha letto Cristi polverizzati. I libri seguenti hanno avuto diffusione ancora minore di questo (che certo non è stato pubblicato da una major) tanto è vero che il secondo citato, quello pubblicato da Transeuropa, non sono riuscito a vederlo neppure io – malgrado sia così convinto dell’importanza del suo co-autore.
    Non è la prima volta che purtroppo faccio esperienza di un livore programmatico simile al suo, nelle discussioni sulle Classifiche, ma – confesso – mai m’era capitato di avvertirlo così freddo e scostante come nelle sue parole, nelle sue pretese, nelle sue intenzionali inesattezze. Cioè nelle sue truffe.

  15. @ Giulio Mozzi
    Quando i sociologi di primo Novecento parlavano di élites, non lo facevano in senso relativistico ma assolutistico. Non è un caso che devoto uditore delle lezioni di Pareto, a Ginevra, fosse un certo Benito Mussolini.
    Invece tu hai della condizione elitaria un’idea relativistica. Tu e io siamo, socialmente parlando, dei privilegiati (e chi lo nega?) rispetto al minatore del Sulcis, mentre siamo degli sfigati (e chi lo nega?) rispetto al jet set internazionale, o anche solo al fighettismo dei caffè alla moda nelle provincialissime capitali italiane. Lo stesso dicasi rispetto al censo e al potere/prestigio. In particolare rispetto a quest’ultimo, e nel campo editoriale che ci compete, non credo che nessuno dei Lettori sia in grado di spostare le politiche (o, come dicono lorsignori, le filosofie) di scelta e promozione e distribuzione ecc. ecc. ecc. (discorsi che abbiamo fatto infinite volte). Dunque uno dei connotati che semmai accomuna i Lettori medesimi è la sproporzione fra la rispettiva competenza in materia letteraria e l’individuale facoltà di spostare quegli equilibri (leggi: potere). Con le Classifiche s’è pensato (anche in questo caso leopardianamente, mi viene da pensare ora) che quella facoltà, quel potere, potesse aumentare col sommare quello di centinaia di persone: componendo appunto una comunità, o lobby se si preferisce, che aspira a farsi sufficientemente ampia da potersi dire (mi piace questo gioco relativistico) «società stretta».

  16. @ Andrea Cortellessa
    se vuole le invio una fotografia del libro con la mia faccia accanto. o se preferisce le porto la mia copia a Fermo sabato prossimo con tanto di autografo dell’autore. In quanto al resto, vabbe’, ho capito. Sono una persona ossessionata dai complotti, rancoroso, ostile, truffaldino, adesso me lo scrivo.

  17. Caro Andrea, sono certo che nelle intenzioni il gran numero di giurati dipese dalla volontà di allargare la rappresentanza e di diminuire il peso di una lobby particolare, ma il risultato sembra andare nella direzione opposta. Credo che sia una mentalità tipicamente italiana, e anche per questo citavo la diversa composizione del Goncourt (pochi e noti vs. tanti e anonimi, come allo Strega o al Dedalus). Non succede lo stesso con lo scaricabarile dei vari uffici pubblici quando succede una c.d. calamità naturale: chi diede il permesso di costruire sul letto di un torrente? chi non ordinò di abbattere quegli stabili? Più uffici sono coinvolti, meno è facile trovare un responsabile. Se a questo si aggiunge l’individualismo congenito degli scrittori (l’egotismo ipertrofico, lo svolgere un lavoro solitario), e si guardano i voti presi dai primi classificati (da 50 a 80 circa), si capisce come basti un gruppetto di pochi giurati (e c’è, non è una mia ipotesi), che concordano previamente il proprio giudizio, per determinare i primi posti della classifica. Ecco perché, a questo punto, preferirei che la lobby venisse allo scoperto (tipo al Goncourt) e si prendesse la responsabilità d’indicare dei nomi, senza nascondersi nell’anonimato e facendo supporre che sia la volontà di 200 persone.

  18. Dunque tu e io, Andrea, e anche Gianni eccetera, apparterremmo a una (relativa) “élite senza potere” (formula, credo, di Alberoni; o da lui divulgata – Elite senza potere è un suo libro del 1963, ma entrato nella circolazione di massa nel 1970 con l’edizione nei tascabili Bompiani).

    Come può sostenersi una élite senza potere? In genere, lo fa inventandosene uno. Ad esempio, il potere – che le spetterebbe in virtù della “competenza in materia letteraria” degli appartenenti – di stabilire che cosa è “di qualità” e che cosa è “intrattenimento” (distinzione che, ripeto, a me pare piuttosto provolinica).

    Naturalmente questa élite, poiché si contrappone a chi si presume il potere ce l’abbia, si autodefinisce come “élite senza potere” (e magari è fiera di non averne); mentre coloro che sono altrettanto senza potere ma non vengono inclusi nella élite la attaccano accusandola di avere potere (e gestirlo per i propri loschi fini) e rivendicando (quasi come un titolo di nobiltà) la propria carenza di potere. (Tutto questo è un discorso molto semplificato, spero lo si capisca).

    Proprio per questo a me pare nuova, rispetto all’attuale panorama, l’iniziativa Tq: perché nasce – così mi è parso di capire – dal riconoscimento del possesso di un potere: il potere del professionista (ci ragionavo qui).

    Rivolgendoti a Carlo scrivi: “Sono pronto a convenire che in alcuni casi la componente ‘lobbistica’ abbia avuto un peso, e proprio per questo come ripeto ho lavorato e lavorerò per ridurlo; ma non l’ho mai calcolato “scientificamente” e, ciò malgrado, sono convinto che tale componente non sia mai stata decisiva”. Ti propongo una logica diversa: esaltare la componente elitaria della faccenda. Chiunque deve sapere che se legge i libri apprezzati dagli ormai 200 Grandi Lettori è in sintonia con una competentissima élite e ne fa virtualmente parte. (Oppure può limitarsi a diventare “amico di Dedalus” in FaceBook: è poco, ma è già qualcosa).

    Aggiunta:
    Un paio d’anni fa proprio Alberoni, riflettendo sul proprio lavoro del ’63, scriveva (qui): “[…] Quella che avevo chiama­to l’élite senza potere oggi in realtà ha preso il potere su tutti i mezzi di comu­nicazione di massa. […] Non sono più le uni­versità, i filosofi, il clero a dare modelli di comportamento. Il popolo se li fa da sé guardando e discutendo ciò che vede alla televisione. Ma a decidere chi arri­verà sullo schermo e prenderà la paro­la è una élite formata dai grandi con­duttori, divi, cineasti, cantanti, giorna­listi, comici che si cooptano fra di loro. Essi si presentano come modelli da imi­tare, poi giudicano, danno consigli, lan­ciano slogan, animano e dirigono i di­battiti. Il tutto poi viene ripreso dai quotidiani, dai settimanali e da inter­net. Non esistono perciò più una élite del potere ed una élite senza potere, ma due élite del potere: quella politica e quella dello spettacolo”.
    Facile notare come questa sia una sintetica descrizione di un pezzo di quel fenomeno chiamato “berlusconismo” (che Alberoni conosce – ma non lo dice ovviamente nella sua riflessione – dal di dentro). Ma a me interessano le parole “guardando e discutendo”. Il “popolo”, non avendo più una élite che gli dica tout court che cosa deve credere e pensare, è costretto a decidere da sé: e lo fa “guardando e discutendo”. Questo punto, cioè il bricolage dei “consumatori”, mi sembra spesso trascurato, a vantaggio dell’invettiva contro la passività dei teleutenti (che viene assunta spesso acriticamente come dato di fatto).
    Ho il sospetto che una certa cecità nei confronti del bricolage del “popolo” (con conseguente svalorizzazione ecc.) sia costitutiva nella logica di élite. Ma è solo un sospetto.

    Dichiarazione preventiva: non saranno accettati argomenti ad personam contro Alberoni. I suoi lavori fino a Movimento e istituzione (1977-1981) sono assai utili.

  19. il grande lobbista Giacomo Sartori, visto che è stato tirato in causa, qui di seguito dichiara sul suo onore (non proprio immacolato, ma pur sempre sfoderabile al bisogno):

    1) che era a conoscenza che Gianni Biondillo e Franco Buffoni, notori lobbisti insensibili alla qualità letteraria dei testi narrativi, e appartenenti come lui alla lobby Nazione Indiana, hanno votato per lui nella classifica Dedalus, in quanto i due loschi personaggi (chiamarli grandi lettori è certo un’impostura) in questione glielo avevano detto, peraltro accompagnando la confessione con delle lodi, certo ingiustificate (dovute insomma al fatto che i tre lobbisti appartengono alla stessa lobby già citata), pur senza specificargli quanti preziosi punti gli avevano assegnato (lui non lo aveva chiesto, perché come rivelano i suoi stessi illeggibili testi, è un po’ idiota, e forse anche un po’ autista);

    2) non ha la minima idea di quali altri appartenenti alla lobby Nazione Indiana, tutti notoriamente insensibili alla qualità letteraria dei testi narrativi, e pigrissimi lettori, abbiano votato per lui alla suddetta classifica Dedalus; loro non glielo hanno detto, e lui non glielo ha chiesto;

    3) questo vale anche per il lobbista Andrea Inglese, che pure è suo amico e col quale bazzica a volte certi malfamati baracci (sede di loschi traffici forse anche proprio letterari), pur ritenendo che il suddetto non capisca nulla di narrativa, essendo come è noto un poeta che non ha mai letto un romanzo in vita sua (quindi le lodi che ha ricevuto da lui non le tiene nemmeno in conto);

    4) ha mandato a sue spese (notevoli, vista la destinazione) al notorio lobbista Andrea Raos, senza però sapere che faceva parte dei grandi lettori della suddetta classifica; non può però apportare nessuna prova a questa affermazione (tranne quella, deboluccia, di non disporre di collegamento ADSL, il che limita drasticamente le sue navigazioni su internet);

    5) ha mandato a sue spese il libro a cinque persone, una storica e quattro critici letterari, da lui stimate, pur senza sapere che facevano parte della lista della suddetta classifica;

    6) il sottoscritto notorio lobbista riconosce quindi di essere stato votato solo per motivi che nulla hanno a che vedere con le qualità del suo testo (inesistenti); ma per i limiti e le deficienze più sopra citate ne è egualmente contento, e anzi in un certo qual modo fiero.

  20. ho letto tutti commenti con grande attenzione. Non conosco personalmente nessuno degli intervenuti ma di tutti ho stima. Ho scoperto da poco di avere degli amici fra i “lettori”, cosa che ignoravo. Resto convinto che sia buona cosa il Dedalus quando mi presenta nella veste di classifica (ma per me è un elenco), quasi sempre libri di qualità, molti dei quali mi sarebbero sfuggiti. Da lettore questo mi interessa. Credo sia inevitabile (ma non giusto) che restino fuori dei libri altrettanto validi. L’unico parametro d’esclusione dovrebbe essere la bassa qualità. Mi pare che allo stato dei fatti non sia questo l’unico parametro o comunque l’unico possibile. In generale quando occorrono troppe spiegazioni qualcosa non funziona. In questa maniera le critiche e i sospetti verranno sempre. Il differenziale fra numero di “lettori” e libri letti mi pare un po’ basso, forse si può lavorare in quella direzione. Pensarci almeno

    saluti

  21. Mi permetto di insistere, e lo faccio cercando solo di introdurre un ragionamento che si basi unicamente sul valore oggettivo che ha o meno una classifica come questa dal punto di vista della statistica.

    Ribadisco: il punto dirimente non è chi vota chi.

    Il punto è chi legge chi.

    (E in seconda istanza chi vota chi; in terza il numero dei votanti, ma non vorrei distogliere l’attenzione dal primo punto).

    E’ su questo che si capisce, caro Andrea, caro Giacomo, che la qualità è, prima di ogni altro criterio, una questione di quantità. Perché i libri non letti o letti da pochi hanno meno probabilità di entrare in classifica di quelli letti da molti (l’esempio che citi tu, Andrea, di Biondillo è quello estremo, ma si deve applicare a tutti i casi). E in base a che cosa un giurato decide quali libri leggere? Non è già questa una preselezione? Il punto non è, Giacomo, se Gianni Biondillo, che ha votato per il tuo libro, sia sensibile o meno alla qualità: il punto è perché ha letto il tuo libro e non un altro. C’è una diversa sua (sua e di ogni altro giurato) sensibilità verso di te e verso tutti quelli che ha deciso di leggere rispetto a quelli che ha deciso di non leggere.

    Quindi, se proprio non si vuole dare un punteggio a ogni libro letto e pubblicare la classifica in ordine di punteggio medio ottenuto, che almeno si risponda a queste domande:
    Quanti e quali votanti hanno letto (non dico votato) i primi dieci classificati di ogni categoria?
    Suppongo tu non lo sappia, Andrea. Ebbene, per me sarebbe doveroso quanto meno che ogni giurato dica pubblicamente i libri che ha letto (se proprio non si vuol dire quelli che ha votato). Così forse scopriremo che (dico a caso) il primo libro in classifica è stato letto da un numero di giurati dieci volte più grande di quello dei giurati che hanno letto il sesto, e allora quando guarderemo il punteggio finale del primo e del sesto faremo le nostre comparazioni, lo leggeremo in un’ottica diversa.

  22. @ lorenzo galbiati, e non solo

    il problema della quantità, come la chiami tu, c’è in tutti i paesi “ricchi”, non solo in Italia; in tutti i paesi le molte centinaia di romanzi e testi letterari che escono nelle “lingue madri” (= senza considerare le traduzioni) superano di gran lunga le capacità di lettura anche dei critici meglio intenzionati, ammesso e non concesso che volessero e potessero dedicare tutto il loro tempo a smazzarsi tutti i testi che escono;
    diciamo che in molti paesi con comunità letterarie più sane della nostra ci sono vari tipi di filtro che aiutano a selezionare, anche con criteri diversi (perché tutti sappiamo che i criteri di giudizio possono essere anche molto differenti, e questo anche restando della “letteratura di qualità”, difficilissima e forse impossibile da definire ma facilissima da riconoscere nell’operazione empirica di lettura), e naturalmente ciascuno con i propri limiti e pecche; questi filtri sono:

    1) i premi; in Francia, checché qualche grosso premio sia criticato, questa funzione dei premi grandi, medi e anche medio piccoli è molto evidente; credo che si possa dire tranquillamente che le migliaia di premi presenti in Italia, a cominciare dai più grossi – e anche qui con qualche bella e sporadica eccezione – non svolgono alcun ruolo, con una sua qualsiasi logica efficacia, di cernita;

    2) le pagine culturali, ne abbiamo parlato tanto, non costituiscono da noi un filtro con una qualche affidabilità; lo sanno tutti, a cominciare dai lettori, che non le “utilizzano”;

    3) le scelte e le politiche editoriali delle stesse case editrici: con pochissime e belle eccezioni, nessuna casa editrice italiana non è più una garanzia non si dice di una qualche qualità, ma anche di una qualche anche pur vaga e/o molto aperta linea editoriale; un romanzo Gallimard, con tutti i limiti, è un romanzo Gallimard (a cominciare da un certo standard qualitativo minimo), e è molto diverso da un romanzo Minuit (anche troppo riconoscibile, per i miei gusti), etc.;

    4) i librai; il ruolo di filtro dei librai in Francia, con la loro stampa, i loro premi, la loro cultura e passione, e nonostante la concorrenza della grande distribuzione, è ancora fondamentale: basta entrare in una qualsiasi libreria per rendersi conto che la gerarchia delle vendite è spesso completamente e eroicamente sovvertita; se si entra in una Feltrinelli, o anche in una piccola libreria indipendente della provincia italiana, ci si mette ahimè piangere: l’unica gerarchia è quella delle vendite, nella versione più bassa e idiota;

    è chiaro per me che la classifica Dedalus ha moltissimi limiti, a cominciare proprio dal fatto che la maggioranza dei “grandi lettori” leggono in realtà piuttosto o molto poco (l’idea che mi sono fatto anch’io è questa); tanti altri limiti, molti dei quali conseguono secondo me da questa prima e ineluttabile pecca, sono stati messi in luce in lungo e in largo nel corso degli anni qui su NI (basta riguardarsi le discussioni sotto le varie puntate della classifica); e certo il meccanismo di selezione sarebbe migliorabile, in particolare introducendo la trasparenza dei voti e domandando una motivazione di qualche riga, anch’essa accessibile pubblicamente;
    ma per me nel suo piccolo costituisce pur sempre un minuscolo e sano filtro; che va preso secondo me, per quello che è, con i suoi limiti intrinseci; parlo anche agli organizzatori: un po’ di umiltà, per piacere; un solo filtro, per perfezionato che sia, non rimpiazzerà mai la compresenza di filtri di vario tipo e tutti in qualche modo affidabili; ma ben venga la loro iniziativa, che suppongo richieda non poco lavoro, per carità;

  23. Dove si mette il “mi piace” nel punto dove Cortellessa dice che Cristi Polverizzati “è il capolavoro del suo autore (nonché uno dei libri più straordinari che abbia mai letto).”?

  24. Gianni Montieri scrive: “In generale quando occorrono troppe spiegazioni qualcosa non funziona”. Non è detto che il “qualcosa che non funziona” stia dalla parte di chi parla: può stare dalla parte di chi ascolta.

    Giacomo Sartori scrive: “Per me nel suo piccolo [la classifica Dedalus] costituisce pur sempre un minuscolo e sano filtro; che va preso secondo me, per quello che è, con i suoi limiti intrinseci; parlo anche agli organizzatori: un po’ di umiltà, per piacere; un solo filtro, per perfezionato che sia, non rimpiazzerà mai la compresenza di filtri di vario tipo e tutti in qualche modo affidabili; ma ben venga la loro iniziativa, che suppongo richieda non poco lavoro, per carità”.
    Sospetto addirittura che il riconoscimento dei “limiti intrinseci” possa essere utile a una valorizzazione della classifica stessa.

  25. @ Giulio Mozzi & Giacomo Sartori
    Sul riconoscimento dei «limiti intrinseci», che sarebbe «utile a una valorizzazione della classifica stessa» (Mozzi). Quello su cui molti qui concordano (coloro che votando nelle Classifiche esprimono un giudizio non lo fanno avendo letto i medesimi libri) è stato a più riprese riconosciuto – nel corso di diversi dibattiti qui in passato, qui ora e poco fa su Le parole e le cose – dal sottoscritto. Mi spiace che questo riconoscimento non ci venga… riconosciuto.
    Mi pare che, con una certa dose di «umiltà» (Sartori) si sia sempre detto, sino a sgolarsi per la verità, che queste Classifiche non sono il Giudizio Universale, apodittico e arrogante, che vi vedono i livorosi a tassametro (proiettando su di noi le proprie, apodittiche e arroganti, valutazioni).
    È solo uno strumento, a mio parere notevolmente interessante, che sempre a mio parere sarebbe utile che i mezzi di comunicazione (tipo il supersupplemento del CdS, 48 pagine da riempire tutte le settimane!) riprendessero almeno accanto alle, se non in sostituzione delle, classifiche di vendita (quelle sì diseducative e corruttrici a tutti i livelli). Uno di tanti strumenti che, sempre a mio parere, dovrebbero essere messi in campo a concorrere per supplire al venuto meno ruolo di mediazione e indirizzo svolto in passato dalle quattro agencies elencate da Sartori (premi, critica, editoria, librerie). Vorrei che i demolitori a priori ci dicessero, qui, che cazzo hanno fatto, loro, se non concepire i loro maniacali teoremi complottistici. Io nel mio piccolo mi sono dato da fare sui primi tre fronti (il premio Dedalus, che è nato prima ma ora discende dalle Classifiche; la mia personale attività di critico; fuoriformato) e ora, col lavoro entro TQ, sto cercando di attivarmi anche nel quarto. Anche questo sforzo non viene mai riconosciuto, Giulio; al contrario ne ricevo solo insulti, pernacchie, sospetti, aggressioni gratuite – oppure, da persone che stimo tantissimo come te, un vietnam di distinguo cui non riesco a star dietro (e alle volte è proprio questa la reazione che più mi scoraggia; e il mantra del CHIMELOFAFARE, su cui concludeva Biondillo il suo intervento, io ormai me lo ripeto un giorno sì e l’altro pure).
    Soluzioni, a questo specifico limite? Non ne vedo. Non è pensabile che le case editrici mandino duecento copie di un libro aggratis (anche se in parte a molti dei Lettori già le mandano, ma non necessariamente degli stessi libri), anche se ne sprecano molte di più, in media, per altre forme di rappresentanza. D’altra parte, rovesciamo il ragionamento. La formula teoricamente “corretta” è quella secondo la quale tutti coloro che esprimono una valutazione hanno letto, o hanno avuto la possibilità di leggere, gli stessi libri. Per questo noi non abbiamo mai definito “giurati” i Lettori delle Classifiche (lo sono invece coloro che – i coordinatori e gli ex vincitori – a partire dai primi classificati delle Classifiche, eleggono poi ogni due anni i vincitori del Premio Dedalus. Non so più chi, temo fosse proprio Mozzi, qui diceva che detto premio è una roba snobistica in quanto consistente di un euro. Non è snobistica: è quello che passa il convento di Pordenonelegge. Se potessi dare diecimila euro, a Laura Pugno o a Franco Arminio, sarei molto più contento di darglieli.) Ma tale meccanismo è per l’appunto quello dei premi “tradizionali”. I quali sono però l’istituto sputtanato che sappiamo.
    Io richiamo sempre, al di là dei metodi e dei loro limiti, agli esiti (e non capisco perché anche questo non venga mai riconosciuto, se non in negativo: ricordo che in un’altra occasione intervenne Marco Lodoli per dire che le Classifiche erano ridicole e non credibili in quanto non avevano contemplato un singolo libro, a suo modo di vedere imprescindibile; il risultato fu che nella classsifica seguente quel libro si trovò piazzato; le Classifiche nascono anche come stimolo al dibattito, e appunto al prendere contezza di altri libri, altri valori ecc., e col suo meccanismo tanto criticato prevede anche la possibilità di recuperare, in una seconda occasione, quello che può essere sfuggito nella prima). Confrontiamo sistematicamente, please, il Primo nelle Classifiche Dedalus con il primo nelle classifiche di vendita. E magari il vincitore biennale del Dedalus con il vincitore dello Strega (confronto che peraltro si può fare solo nella narrativa: nella saggistica, nella poesia e ovviamente nelle “altre scritture” non esiste un premio della notorietà e del ruolo sociale dello Strega). Poi vediamo chi e che cosa rappresenta davvero una «truffa».

  26. Solo perche’ chiamato in causa. Io, oltre a concepire maniacali teoremi complottistici e a scaricare il mio livore a tassametro sulle migliori menti della mia generazione, pubblico libri di autori di qualita’ (qui la qualita’ la giudico solo io, societa’ stretta in assoluto), su cui normalmente perdo dei soldi.

  27. @ Carlo Cannella
    Non mi riferivo nello specifico a lei. Gli insulti che ho preso da lei («truffa», le ricordo) sono zuccherini rispetto ad altri che mi sono sorbito in passato qui. Comunque, se lei svolge l’attività che dice, potrà capire quanta frustrazione può intervenire se qualcuno spunta a chiederle: Ma perché sceglie proprio quest’autore invece di quest’altro? Cosa c’è sotto? Mi può dimostrare che quell’autore è migliore di qust’altro? Mi può dimostrare che non l’ha corrotta? Sarebbe così gentile da fornirmi il suo estratto conto per vedere se per caso non ha ricevuto bonifici da lui? Favorisce i suoi tabulati?
    Buon lavoro, AC

  28. a giulio mozzi e non solo
    “Gianni Montieri scrive: “In generale quando occorrono troppe spiegazioni qualcosa non funziona”. Non è detto che il “qualcosa che non funziona” stia dalla parte di chi parla: può stare dalla parte di chi ascolta.”

    Anch’io sono d’accordo che tante spiegazioni non servano, ma perché le classifiche Dedalus sono nate a partire da un principio vecchio come la letteratura moderna, che ha sempre funzionato, e finché esisterà qualcosa che assomiglia alla letteratura che conosciamo da circa due secoli continuerà ad esistere.
    Baudelaire l’ha riassunto in uno dei suoi saggi critici in una battuta: “la fama letteraria sta nelle casse dei librai e nel riconoscimento dei propri pari”. Due criteri indipendenti, che possono sommarsi o meno, ma entrambi indispensabili.
    Tutte le giustificazioni intorno alla “qualità” sono superflue e in parte fuorvianti. Il geniale delle classifiche Dedalus (non parlo del premio, che è più usuale faccenda) sta nel rendere pubblico il giudizio dei pari, andando a individuare dei verosimili pari dell’ambiente letterario. Il principio sui cui si fonda il Dedalus è quindi giusto e indispensabile al funzionamento della letteratura. Se tutte le grandi opere tra Ottocento e Novecento avessero dovuto aspettare le casse dei librai, i direttori di collana, gli elzeviristi culturali, i critici accademici, ecc., saremmo a palato piuttosto asciutto. Le casse dei librai fanno il loro lavoro, ma non possono fare “tutto” il lavoro che c’è da fare. Per la pittura e le altre arti vale ovviamente discorso analogo: Theo Van Gogh comprava non solo i quadri del fratello Vincent, ma anche di Gauguin, quando nessuno se li filava.

    Si può fare una classifica basata sul principio del riconoscimento dei pari con le stesse caratteristiche con cui si fanno le classifiche di vendita o quelle dei giurati di un premio?
    No. Quindi le classifiche Dedalus saranno sempre imperfette, e incespicanti, perché non possono pretendere un’attenzione disinteressata, cioè senza presupposti di prossimità poetica, o addirittura etico-poetica. Inoltre i pari possono prendere fischi per fiaschi in buonissima fede così come le casse dei librai.
    Fare il Dedalus ha voluto dire non tanto modificare impossibili rapporti di forza editoriali o giornalistici, né scoprire la pietra filosofale della qualità, ma ricordare a tutti quest’altro criterio, quest’altro principio di giudizio, che ha poi una ricaduta fondamentalmente psicologica. Io le chiamerei oggi “classifiche di sostegno psicologico agli autori non commerciali”, perché servono anche e sopratutto a questo. Ad aiutare un autore valido nei momenti duri, quando è particolarmente esasperato dall’ottusità degli editori, dal conformismo dei critici, dall’idiozia dei giornalisti culturali, dalla popolarità ben poco meritata di scrittori mediocri. Si è detto, però, che la classifica serve anche a far conoscere ai lettori qualche buon libro non altrove recensito e pubblicizzato. E’ senz’altro vero, ma questo accade in tante circostanze: il passaparola, qualche recensione di rivista specializzata, il lavoro dei blog letterari.
    Di certo, vantaggi materiali rilevanti non ce ne sono. Lo dico con cognizione di causa. Un mio libro pubblicato per una piccola casa editrice è finito una volta primo in classifica nella sezione “Altre scritture”, ed è stato votato anche in seguito. Qualcuno può davvero credere che ciò abbia modificato sensibilmente la diffusione del libro, aumentando il numero di vendite, allertando direttori di collana, risvegliando il super-io dei critici militanti? Ma penso che pretendere reazioni del genere sia ingenuo. Quel risultato di classifica diceva a me: nonostante da anni scrivi e pubblichi cose per un numero ristretto di persone con tutti gli svantaggi del caso, almeno tra i pari sei in grado ormai di suscitare un certo interesse. Nei lettori delle classifiche, quel risultato avrà voluto dire: nonostante Andrea Inglese sia uno scrittore semi-ignoto che scrive probabilmente cose pallose e difficili, che non si trovano in libreria e di cui mai parlano le pagine culturali dei quotidiani, deve fare un lavoro abbastanza serio se lo si ritrova in questa classifica.
    A volte le classifiche Dedalus possono avere addirittura un effetto collaterale disastroso. Un’antologia di un poeta francese che avevo curato per un’altra piccola casa editrice è arrivata terza nella classifica delle traduzioni. Lì, grazie davvero alla generosità dei miei pari, che hanno voluto sostenere un lavoro importante e utile (la prima antologia italiana di uno dei poeti più stimati in Francia, delle generazione tra le due guerre). Ma il libro ha venduto pochissimo, e gli specialisti in materia, gli studiosi di letteratura francese contemporanea, non se lo sono proprio filati. (Il curatore, d’altra parte, è fuori dal circuito universitario e soprattutto non ha i titoli ufficiali del francesista.) (L’effetto collaterale è dato in questo caso dal risultato un po’ denigratorio: come?! tanta stima per un libro che non si è filato poi nessuno?!)

    Per tutti questi motivi il Dedaus è una buona cosa, i cui effetti benefici, però, sono limitati. Spesso coloro che lo criticano ferocemente gli attribuiscono degli effetti molto più rilevanti di quanto non abbia.

    Dopo essere stato lettore e sostenitore del Dedalus, oggi ho chiesto però di cancellarmi dalla lista. Tra i motivi che mi hanno spinto a questa scelta, ve n’è uno che ha contato più di tutti. Chi mi ha dissuaso è stato paradossalmente uno degli organizzatori del premio, Andrea Cortellessa. Ho avuto con lui uno scambio su un libro che volevo recensire, e che è stato votato a più riprese nelle classifiche. Io conosco l’autore di questo libro e lo stimo, conosco tutta la sua produzione letteraria, e ho già scritto su di lui. Sono quindi, da questo punto di vista, un lettore Dedalus modello: cerco di votare ciò che meglio conosco e cerco di parlare pubblicamente di ciò che voto. La reazione dell’amico Andrea è stata per me incomprensibile. Mi ha detto che io mi ero sbagliato a votare, perché quello non era un libro che meritava di andare votato. E che, siccome ciò era un fatto oggettivo e indiscutibile, me e quelli come me che l’avevano votato l’hanno fatto in mala fede. Insomma, una doppia lezione: di gusto e di onestà. Io ho risposto all’amico Andrea che: 1) nessun giudizio estetico è inappellabile e 2) che se lui pensava che ci fossero delle votazioni in palese malafede era importante rivolgersi ufficialmente ai sospetti e chiarire con loro l’accaduto. Purtroppo questo gesto di chiarezza non è avvenuto. Inoltre, io mi sono chiesto come mai l’organizzatore di una classifica debba lui decidere chi vota bene o chi vota male. Naturalmente, tutti possiamo prendere cantonate in fatto di giudizio estetico. Lo stesso Andrea ha sostenuto tempo fa un libro di Aldo Nove considerato quasi unanimemente un fiasco, dai pari e dalle casse dei librai. Naturalmente, rimane il dubbio che si siano sbagliati i pari e i lettori, e che avesse ragione Andrea, ma diciamo che nessuno è al riparo dal prendere solenni cantonate in fatto di gusto.
    Da tutto ciò ne ho dedotto una cosa. Forse, almeno per uno degli organizzatori, le regole del gioco della classifica Dedalus sono cambiate. Non è più il giudizio dei pari a valere, nella sua relativa affidabilità. Forse ci sono dei pari che sono più pari degli altri, ecc. In ogni caso non mi sono messo a fare dietrologie di sorta. Non capendo più bene che si voleva da me, me ne sono andato.

  29. Scusate se m’intrometto: solo per rivendicare l’introduzione del termine “lobby”, che, come ormai sarà chiaro, non voleva essere affatto offensivo, semmai provocatorio, per indurre tutti alla chiarezza. Non c’è niente di male a sostenere questo o quell’amico che si stima, purché sia evidente che lo si fa con un intento politico-culturale più ampio e non esclusivamente sulla base di una presunta “qualità”, alla fine sempre piuttosto opinabile. Complimenti all’autore di questo articolo, onestissimo e pieno di brio!

  30. Scusate il mio protratto silenzio, dovuto da impegni che mi tengono lontano dal computer. Oggi pomeriggio, poi, parto alla volta degli Abruzzi e probabilmente non leggerò nulla fino a domenica notte. Al di al di tutto voglio ringraziarvi per la qualità della discussione.

    Cerco di rispondere sinteticamente ai più mentre scorro i vari commenti:

    Lorenzo, ammetto la fascinazione della tua proposta, ma sospetto, come detto da Giulio, che a smontarlo il giocattolo si trova il difetto. Di primo acchito mi pare comunque farraginoso.

    A Carlo m’ha anticipato Cortellessa: sarebbe da provare quello che dici. E per farlo occorre un lavoro difficile, lungo, interpolando voti, etc. io di certo voglia non ne ho (sono, en passant, uno che Frungillo/Le Lettere l’ho letto e votato. Ma da quel che so – verrò subito smentito – null’altro ha pubblicato).

    Sergio, dici: “si capisce come basti un gruppetto di pochi giurati (e c’è, non è una mia ipotesi), che concordano previamente il proprio giudizio, per determinare i primi posti della classifica.”. Be’, evitando a questo punto di dire e non dire, in puro dietrologismo deresponsabilizzante, facci l’esempio palese. Quale gruppo s’è messo d’accordo? Chi ha fatto “l’inciucio”? Facendo la gloria di chi?

    Andrea, dici: “non è ammissibile che si legga un solo libro, entro uno o più dei quattro settori, e si voti quello.” Il problema è: come fai a dimostrarlo? A chi l’onere della prova? A chi esprime il voto o a chi lo raccoglie? Io giurato devo ogni volta dimostrare di avere fisicamente in casa tutti i libri di poesia letti per giustificare di conseguenza il voto espresso? Tu redattore del premio vieni a controllare la mia libreria, i volumi, le sottolineature? E poi, ontologicamente: quanti libri della stessa categoria occorre aver letto ad ogni tornata per poter parlare di una concorrenza fra pari? 10, 5, 2? 1000? Chi si prendere l’onere di questo stato di polizia delle letture?
    (poi, appunto, cosa sia un “lettore forte” è un bel problema. Se io ogni mese leggo 10 libri di autori stranieri, o cronologicamente fuori dai termini del premio, oppure decine di manoscritti inediti, e un solo romanzo “valido” per la premiazione, non sono un giurato valido? Chi fa l’esame di idoneità a chi?)

    Gianni (Montieri) trovo illuminante la tua affermazione: “In generale quando occorrono troppe spiegazioni qualcosa non funziona”. Io per primo sto spiegando troppo. Alla fine mi accorgo che tutto sta nella domanda formulata all’inizio da Giulio: “E’ davvero questo il posizionamento che voglio tenere?”

    No. Credo di no. Chiederò agli amici delle classifiche del Dedalus di depennare il mio nome dalla lista.

  31. @ Andrea Inglese & Gianni Biondillo
    Scrive Inglese: «se lui [cioè io, AC] pensava che ci fossero delle votazioni in palese malafede era importante rivolgersi ufficialmente ai sospetti e chiarire con loro l’accaduto. Purtroppo questo gesto di chiarezza non è avvenuto». Scrive Biondillo: «come fai a dimostrarlo? [scil.>/em>: che il Lettore, in una delle votazioni abbia votato per l’unico libro italiano contemporaneo, appartenente a quel determinato settore, da lui letto nel corso di quel bimestre] […] Io giurato devo ogni volta dimostrare di avere fisicamente in casa tutti i libri di poesia letti per giustificare di conseguenza il voto espresso? Tu redattore del premio vieni a controllare la mia libreria, i volumi, le sottolineature? E poi, ontologicamente: quanti libri della stessa categoria occorre aver letto ad ogni tornata per poter parlare di una concorrenza fra pari? 10, 5, 2? 1000? Chi si prendere l’onere di questo stato di polizia delle letture?». Nei confronti della coazione all’inchiesta poliziesca ho già risposto in un commento precedente, Gianni. Quanto alla domanda «ontologica», nel definirla tale già l’hai svuotata di senso. Empiricamente: non basta leggere un solo libro, e votare quello. A me pare abbastanza chiaro. Proprio Andrea (I.) mi ha detto, nel corso della discussione telefonica qui riferita (non senza qualche forzatura alla netiquette, direi), che per es. in un’altra occasione, aveva letto e votato un solo libro di narrativa italiana contemporanea, di autore a lui non legato in alcun modo (peccato che gli abbia nell’occasione dovuto riferire la notizia – che al Segretario delle Classifiche era evidentemente sfuggita, nell’accogliere quel suo voto – che il libro in questione non era votabile in quanto riedizione telle quelle di un libro del 2002…).
    Se non ho fatto le rimostranze che Inglese invoca, è precisamente perché
    non ho mai fatto le indagini che qui qualcuno pretende io faccia o debba fare. Non faccio parte in alcun modo dello «stato di polizia delle letture» (e questa, fra le tante accuse che mi ha attirato sta maledetta attività, è davvero la più odiosa). Né, Andrea, ti ho detto di aver votato «in mala fede»: semplicemente ti ho detto di aver avuto, in questa e in alcune precedenti occasione, l’impressione che l’aspetto “lobbistico” descritto da Gianni (e che in una certa misura ho definito, proprio qui, comprensibile) facesse eccessivamente aggio su una considerazione “di qualità” (che non è mai pura, appunto concedo, specie fra scrittori non può non risentire cioè di assonanze di poetica, consuetudine di letture reciproche ecc., insomma tutta la fenomenologia utilmente chiarita da Gianni; ma non deve neppure, a mio parere, passare totalmente in secondo piano). Siccome si parlava di quel determinato libro, libro che avevo letto con attenzione, mi pareva di poter parlare con cognizione di causa. Nessuno, mi pare, ti ha proibito di votarlo comunque; s’è semplicemente discusso dell’opportunità di votarlo – cioè di un giudizio, evidentemente diverso, fra due dei Lettori. Proprio il tipo di discussione che si vorrebbe (e anch’io vorrei) avvenissero in pubblico.
    Stringendo: non mi pare sensato di voler uscire per questi motivi dal Lettorato. Se poi vorrete farlo comunque, come in passato hanno fatto altri autori per altri motivi (dall’impazienza generalizzata nei confronti del lavoro dei loro coevi all’impazienza, più che comprensibile, proprio per questo genere di incomprensioni), ovviamente vi ringraziamo per l’aiuto che avete comunque voluto darci in questi due anni. Non senza – aggiungo a corollario della discussione sul “riconoscimento” di cui nel precedente commento in dialogo con Mozzi – personalmente assai rammaricarmi per aver fruito, ancorché in minima parte, degli effetti benefici di questa travagliata creatura senza voler continuare a sostenerla anche ora.

  32. Andrea dici: “non ho mai fatto le indagini che qui qualcuno pretende io faccia o debba fare.”
    Infatti la mia era una reductio ad absurdum. Sia ben chiaro, per i dietrologi, che mai una volta alcuno del premio mi ha mai chiesto il conto delle letture, o mai è venuto ad indagare nella mia libreria di casa.

    Non ho capito cosa intendi quando parli di chi ha “fruito, ancorché in minima parte, degli effetti benefici di questa travagliata creatura” e quindi, non avendolo capito, non vorrei aver frainteso. Io so di certo di non aver fruito di nulla. Continerò a consultare le classifiche, così come continuerò a leggere i libri come facevo prima e dopo. Alcuni recensendoli, altri suggerendoli, altri regalandoli, come ho sempre fatto e farò.

    Forse è che le cose devono finire prima o poi. Se non provo più entusiasmo per le classifiche, se non ce l’ho più, parafrasando il mio concittadino, non posso di certo darmelo.

  33. Faccio un ultimo tentativo prima di togliere il disturbo.

    Le domande che ho posto, e che non hanno avuto neanche la parvenza di una risposta sono queste:

    1) Perché ogni votante non dà un voto a ogni libro che legge e poi si fa una classifica in base al voto medio e un’altra in base al numero di letture?

    Rinunciando all’opzione 1) e quindi, per quanto riguarda la statistica, rinunciando a un criterio che sia prossimo a quello della qualità, si potrebbe almeno mettere in luce i limiti intrinseci dell’attuale classifica relativi alle sue qualità e trasparenza:

    2) Perché non si rende noto per ogni libro votato chi sono (e quindi automaticamente anche quanti sono) i votanti che l’hanno letto?

    3) Perché non si rende noto chi ha votato ogni libro?

    Si potrebbe anche chiedere, in definitiva:

    4) si vuole che questa classifica abbia un significato comprensibile solo per la lobby che vota/scrive o si vuole che lo abbia per tutti i lettori interessati alla letteratura di qualità? Perché se si risponde la prima che ho scritto, allora scusate l’insistenza nel chiedere.

  34. scusa caro Andrea Cortellessa, ma qui forse bisogna parlarsi più chiaro: trovo assolutamente presuntuoso e arrogante il tuo atteggiamento:

    “Siccome si parlava di quel determinato libro, libro che avevo letto con attenzione, mi pareva di poter parlare con cognizione di causa.”

    in altre parole, tu sei sicuro, armato del tuo giudizio, che se qualcuno ha votato il mio libro può averlo fatto solo per motivi che non hanno a che vedere con la qualità dello stesso;

    Giulio Mozzi, per citare una persona che ha partecipato a questa discussione, e che non fa parte di NI, e nemmeno dei “grandi lettori”, stima molto questo libro, e si è molto dato da fare perchè fosse pubblicato; come lo stimano molto altre persone, in Italia e fuori;

    io ESCLUDO NEL MODO PIU’ CATEGORICO che qualche appartenente di NI, lasciamo stare Gianni e Franco B., che me ne aveva informato, abbiano votato per il mio romanzo per il fatto che io faccio parte del blog; perchè se fosse così me lo avrebbero detto, perchè tra di noi non abbiamo questo tipo di rapporto, perchè sono tutte persone che leggono tanti libri, e che hanno tanti amici “pubblicanti” ben più vicini di quanto lo sia io per loro; tu forse non puoi concepirlo, ma io sono una persona molto isolata, vivo all’estero, frequento un ambiente di ricercatori scientifici …

    devi rassegnarti al fatto che se qualcuno di NI (sei tu che hai fatto quest’accusa, quindi adesso non puoi sostenere che non guardi i voti) o non di NI ha votato per me, io non lo so (a parte le 2 persone che ho citato) è perchè ha un giudizio sul mio libro differente dal tuo;

    trovo davvero incredibile che puoi “ricuperare” il voto discordante dai tuoi giudizi e desideri solo in questo modo:

    “Nessuno, mi pare, ti ha proibito di votarlo comunque; s’è semplicemente discusso dell’opportunità di votarlo – cioè di un giudizio, evidentemente diverso, fra due dei Lettori. Proprio il tipo di discussione che si vorrebbe (e anch’io vorrei) avvenissero in pubblico.”

    sono, ti assicuro, senza parole;

    vado a prendere l’aereo

  35. purtroppo non riesco a dedicare a questa discussione il tempo che merita. rimango però un po’ sorpreso che parte della stessa verta sul numero di libri letti. si suppone che i componenti di una giuria “di qualità” valgano per lo “sguardo” specifico (appunto la qualità, al di là dell’alta o bassa) della loro lettura, non tanto per l’ampiezza del “territorio” su cui viene steso. parlo pro domo mea ovviamente, dato che di novità editoriali, se ne leggo, non superano di molto la dozzina all’anno.
    sulla questione “posizionamento”, impostata in molto sostanzialmente corretto da mozzi, rimarrebbe comunque molto da dire. se ce la faccio, al prossimo giro.

  36. @ Lorenzo Galbiati
    mi pare di averti risposto, quando ho detto – non a te, ma speravo leggessi anche i commenti non personalmente a te rivolti – che non fa parte della mia mentalità, né dei miei desideri, né dell’ordine delle mie possibilità, chiedere a ciascuno dei Lettori cosa effettivamente hanno letto. Non sono neanche interessato a sapere chi vota chi, se non per aiutare a dirimere le questioni di votabilità o meno nei casi controversi. Del resto, se non hai interesse nel tipo di servizio che rendiamo, perché per te non è sufficientemente trasparente (ohibò), non hai che da evitare di valertene. Il voto è segreto, questo l’ho ripetuto sino alla nausea. Chi vuole rendere i suoi voti palesi lo fa personalmente. Non è prevista deroga a questo principio, mi spiace. Né penso che se tu cominciassi un’attività sulla base di un principio concordato, saresti contento ove chi la coordina a tale principio derogasse.

  37. ps: trovo anche un po’ confusa la questione della presenza o meno di una lobby all’opera. agitare certi sospetti non è cosa da poco, no? sarebbe stato meglio, anche come dibattito al di là della singola occasione, proporre la cosa pubblicamente.

  38. ma chi parla tanto di lobby lo sa almeno cosa sia davvero una lobby?
    Non è un delitto (e naturalmetne in questo caso è anche offensivo) usare questa parola per un gruppetto di lettori più o meno qualificati?
    Lettori che poi leggono solo i libri che gli vengono inviati perchè chiaro che uno (pur lusingato di far parte della giuria) non può spendere i soldi per comprarsi tutti i libri per non parlare poi del tempo a disposizione.
    La classifica, e lo dico fin dall’inizio, è esagerato chiamarla di qualità (quella è una auto-attribuzione che si sono dati gli stilatori) è una classifica come molte, fatta in base a criteri che alcuni condividono altri no (come tutte le classifiche, sia quelle che rendono che quelle fatte aggratis).
    E’ una classifica che serve, anche se magari uno se ne frega della posizione in cui vengono messi i libri. Serve perché senza di essa molti libri uno non saprebbe neppure che sono usciti.
    L’unico errore è stato quello enfatico di chiamarla appunto classifica di qualità, ma una volta accertata questa piccola debolezza perchè mai continuare a parlare di lobby? boh
    Un eccesso di trasparenza può far impazzire il mondo.
    sapere cosa abbia letto biondillo (o altri) e cosa abbia votato, … ma davvero è cosa di così grande interesse? Magari se leggo un libro brutto posso anche minacciare che se becco quel bischero che lo ha votato lo obbligo a leggersi tutti i libri di vespa, ma di più non oserei … e, al contrario, se il libro è bello che me ne frega se biondillo lo ha votato per convinzione, per amicizia, per dipendenza psicologica o per interesse?
    Molti libri ottimi magari manco arrivano sul tavolo dei giurati di qualità, ma anche questo è abbastanza normale, ognuno ha il suo settore e la sua competenza senza che per questo diventi adepto di una lobby.
    Il lettore dopo un po’ lo capisce bene e continua oppure smette di seguire la classifica in base ai propri gusti.
    Forse esiste anche la lobby dei fruitori di classifiche …

  39. Caro Andrea,
    il mio contributo l’ho dato, e nonostante esso termini per ragioni che per me sono sufficineti, non muta il mio giudizio favorevole che ho espresso più sopra sul principio del Dedalus.
    Quanto agli effetti limitatamente benifici di essere stato oltreché un votante anche un votato, li ripeto qui.

    “Quel risultato di classifica diceva a me: nonostante da anni scrivi e pubblichi cose per un numero ristretto di persone con tutti gli svantaggi del caso, almeno tra i pari sei in grado ormai di suscitare un certo interesse. Nei lettori delle classifiche, quel risultato avrà voluto dire: nonostante Andrea Inglese sia uno scrittore semi-ignoto che scrive probabilmente cose pallose e difficili, che non si trovano in libreria e di cui mai parlano le pagine culturali dei quotidiani, deve fare un lavoro abbastanza serio se lo si ritrova in questa classifica.”

    Per me sono reali benefici, certo di carattere simbolico e psicologico, più che materiale. Ma chi ha mai detto che gli unici benefici che uno può trarre sono di carattere materiale?

  40. Ma infatti, Andrea. Ne abbiamo già discusso, se ben ricordi, a proposito di Giuliano Mesa. Ci sono libri che vengono pubblicati, sì, ma fuori da ogni circuito distributivo e anche fuori da ogni “nicchia”. Che si sia votato in tanti per il tuo libro kubrickiano, che è un libro davvero riuscito, o per un libro per me importantissimo come quello di Mesa, dal mio punto di vista è un vantaggio non per gli autori (GM non è qui per valersene, purtroppo) ma dei lettori. Ivi compresi i lettori che svolgono il ruolo di Lettori. Il quale è un ruolo di servizio, prima che uno status symbol (come ritiene Giulio Mozzi). Non mi pare fra l’altro così gravoso come ruolo, francamente, dato che le persone in questione leggono per professione con continuità e dunque si prevede che intercettino, fra le loro numerose letture, un certo numero (che nessuno ha mai quantificato, ma che è mia opinione non possa essere una sola) di opere italiane contemporanee. Si chiede loro cosa hanno preferito, c’è un segretario che verifica che siano opere congruenti al profilo (opere di autori viventi, che scrivono in italiano, pubblicate negli ultimi sei mesi) e compila un elenco di tali preferenze ordinandole per numero di segnalazioni e insieme per il gradimento espresso dalle medesime. I famosi punti. È il segretario che si fa il mazzo, soprattutto, già più dei coordinatori. E certo più dei Lettori. A fronte di questa fatica assai relativa, il corrispettivo che offre il meccanismo è la segnalazione, nel tempo, di libri che abbiamo valorizzato per primi o per… unici (da quello di Vasta, con cui abbiamo cominciato, al tuo, passando per quelli di Mesa e Di Ruscio e tanti altri ancora). A me non pare poco, e soprattutto non è una cosa da mandare a remengo per una differenza di vedute come quella che stiamo discutendo qui. Ma io, appunto, sono parziale.

  41. @ andreaingle’

    di questo premio ti poni all’esterno
    ma non e’ detto che passi l’inverno
    se prima o poi rimpiangi l’interno
    non resterai ribelle in eterno

  42. a andrea
    sei tu che rischi di mandare a remengo il tuo progetto se ti comporti come ti sei comportato con me; comunque nel fatto che un lettore se ne vada dopo due anni non ci vedo nulla di apocalittico; l’idea di turnazione, di lettori che vanno via e di altri che arrivano mi sembra piuttosto sana; basta che poi non li tratti a pesci in faccia come in questo caso è accaduto, sennò neanche due mesi ci resistono. Per me comunque la faccenda è chiusa. Sai bene che di progetti condivisi ne abbiamo avuti e ne abbiamo ancora in corso con altri compagni di strada.

  43. a andrearà

    se l’olio sulla polemica hai allungato
    in ritardo per la fiamma sei arrivato

    nell’argomento a casaccio metti naso
    così assomigli soltanto a bertolaso

  44. Andrea Cortellessa
    Avevo letto tutti i tuoi commenti ma non ritenevo una risposta quel che avevi scritto e non la ritengo nemmeno ora. In pratica mi hai scritto che non fai quanto ho proposto perché non fa parte della tua mentalità. Il problema è che quanto io ho proposto più che far parte della mia mentalità fa parte del come ottenere una classifica di qualità che sia una classifica… di qualità. La trasparenza su quante letture ha avuto un libro votato è necessaria al fine di valutare la sua qualità da un punto di vista più oggettivo, statistico. Non invoco la trasparenza perché ho una (malsana) curiosità di sapere cosa legge tal votante.
    Non capisco poi che problema ci sarebbe da parte tua nell’approntare un cambiamento delle regole del voto. Ciò che è stato concordato può subire variazioni, in modo concordato o per decisione di chi ne ha il potere: chi non approva se ne esce; altri magari si uniscono.

    Trovo peraltro curioso che tu voglia lasciare tutta questa libertà ai votanti per poi ritrovarti a far loro delle osservazioni (magari giuste) su come votano (verso Gianni B., che ha letto un solo libro di un settore e che poi l’ha votato) o su uno specifico libro che votano (in relazione a A. Inglese e non ho capito cosa è successo, e sembra molto grave, con Sartori). Va a finire che il tuo non voler “indagare” mettendo quelle che invece sarebbero regole di trasparenza funzionali a una classifica di qualità ti porta al dare “consigli” (eufemismo) sul piano personale.

    Comunque, per me non c’è problema. Il problema a leggere questo articolo e questi commenti è tutto di chi fa parte della lobby, da Gianni che dice di essere stufo dei sospetti per come vota, a Giacomo che dice che i suoi voti se li è meritati perché non tutti hanno il tuo giudizio sul suo libro, a Inglese ecc. A te stesso che dici di ricevere insulti.

    Epperò nessuno cerca di proporre cambiamenti a questa classifica, a parte forse Sergio Garufi. E quindi non si capisce di che cosa ci si lamenta. Questa classifica ha ben poco della classifica e del criterio della qualità. Non è neanche ottenuta in modo trasparente. Per un lettore esterno alle logiche della lobby come me, che cerca di esprimere un giudizio spassionato, questa “classifica di qualità” non riguarda i libri in sé ma la considerazione e il numero di legami personali (positivi) che gli autori dei libri hanno nell’ambito della “lobby di qualità” cui appartengono i votanti; solo una volta considerata questa imprescindibile contestualizzazione si può instaurare un lontano legame tra la classifica e la qualità dei suoi libri, legame che potrebbe essere molto più prossimo se almeno si facesse l’operazione di trasparenza che non si vuol fare. Ribadisco queste mie considerazioni con maggiore convinzione, dopo aver letto questi commenti, e scusate per il tempo che vi ho rubato.

  45. Chiedo scusa, Andrea (Cortellessa): non mi sono spiegato. Il fatto che non tutti i Grandi Lettori leggano gli stessi libri non mi pare rilevante: è ovvio che sia cosi; è proprio per questo, ossia per esplorare la varietà, che i Grandi Lettori sono duecento e non dodici. Lo “specifico limite” da valorizzare, secondo me, è il fatto che la classifica non è “una classifica di qualità” (che è, comunque la si rivolti, una formula “assolutistica”) ma “la classifica ci ciò che sembra interessante a una élite” (che è una formula “relativistica”).

    Scrivi: “Non so più chi, temo fosse proprio Mozzi, qui diceva che detto premio è una roba snobistica in quanto consistente di un euro. Non è snobistica: è quello che passa il convento di Pordenonelegge. Se potessi dare diecimila euro, a Laura Pugno o a Franco Arminio, sarei molto più contento di darglieli”. Sì, l’ho detto io. Lo snobismo non consiste nel dare un euro anziché diecimila; consiste nel dare un euro anziché nulla (a parte il prestigio del premio: che se non ci fosse denaro sarebbe tutto, e invece viene da quell’euro – benché sia un euro ironico, parodistico – diminuito). Così mi sembra.

    Quello che a te sembra “un vietnam di distinguo”, Andrea (sempre Cortellessa) a me non pare tale. La mia sensazione è che tu non riesca a vedere una cosa che ti sta davanti al naso. Ciascuno ha le sue cecità.

    Andrea (Inglese, ora): “La fama letteraria sta nelle casse dei librai e nel riconoscimento dei propri pari”. Dice benissimo il Baudelaire che citi. Diciamo allora che la classifica Dedalus è uno strumento di inclusione sociale: serve a dire chi è considerato “pari” da un eletto gruppo di persone “competenti”.

    Gianni, leggo: “Alla fine mi accorgo che tutto sta nella domanda formulata all’inizio da Giulio: ‘E’ davvero questo il posizionamento che voglio tenere?’
    No. Credo di no. Chiederò agli amici delle classifiche del Dedalus di depennare il mio nome dalla lista”.
    Ovvero: l’onerosità del “lavoro di servizio” (non il leggere, ma il dover sopportare le dicerie, le accuse ecc.) ha ormai superato per te il vantaggio dello “status symbol”.
    Oppure: quello “status symbol” lì non ti si addice più; il lavoro di “sostegno psicologico agli autori non commerciali” (battuta di Andrea Inglese che apprezzo assai, perché mi pare dica una cosa vera) potrebbe oggi – oggi che non sei più lo scrittore sgarrupato di una volta – risultarti non più conveniente dal punto di vista dello “status symbol”. Chi vuole crescere socialmente sa che, a un certo punto, deve cambiare salotto. Anche perché i “lavori di servizio” che si possono fare quando si attinge uno “status symbol” superiore possono essere davvero importanti e belli.
    Gianni, la tua onestà personale qui risplende: dici esplicitamente in pubblico ciò che di solito si dice, al massimo, obliquamente tra pochi intimi.

    [Mi viene in mente un amico artista (no, non uno scrittore) che una volta si confessò. Non ne posso più di stare con B., mi disse (B. sua moglie), non ne posso proprio più; tutta la mia vita è diventata diversa, in questi ultimi cinque anni, ormai ho una dimensione internazionale, B. non lo capisce, B. è sempre lì a parlarmi dell’asilo di G. (il figlioletto), e dell’idraulico da chiamare, e di quando potremo finalmente farci una vacanza insieme, anche lunga, adesso che ce lo possiamo permettere; e non capisce, B., che adesso, proprio adesso, una vacanza lunga proprio non ce la possiamo permettere, perché la mia vita è questo, ormai, è uno stare perennemente in contatto con questo ambiente, sarà ridicolo, lo so, è anche infame e tremendo, lo so, ma è tutto un trovarsi e un ritrovarsi, tra noi che stiamo facendo dei passi avanti, un gruppo ristretto, che si restringe ogni poco, perché è dura, bisogna tener duro, (e a me, che ci ho sempre un’immaginazione un po’ horror, mentre l’amico diceva questo veniva in mente l’attacco del capitolo xxxiii dei Promessi sposi: “Una notte, verso la fine d’agosto, proprio nel colmo della peste, tornava don Rodrigo a casa sua, in Milano… Tornava da un ridotto d’amici soliti a straviziare insieme, per passar la malinconia di quel tempo: e ogni volta ce n’eran de’ nuovi, e ne mancava de’ vecchi”), e non è possibile essere così casalinghi, così provinciali, non si può non capire che questo è il momento clou di una carriera, di un’intera carriera, che se ne esci ora è la fine, dopo non rientri più, ma proprio più, finisci a fare i quadri per gli arredatori, altro che storie; e così, cosa vuoi, quello che succede è che non ci parliamo da mesi, non ci tocchiamo da mesi, e intanto a me è successa una cosa bellissima, sì, bellissima: che mi sono innamorato. (La persone di cui si era innamorato l’amico mio artista era, ovviamente, una persona che viveva nel suo stesso ambiente; che poteva condividere con lui certi valori che B., la moglie, stentava addirittura a concepire)].

    Da questo punto di vista il romanzone di Proust è un manuale ancora oggi indispensabile.

  46. Caro Giulio, i tuoi distinguo possono essere di volta in volta un vietnam o un soffice quanto crudele côté de Guermantes; ma, per stare al punto che mi ha punto, ripeto che non si tratta di snobismo. Il premio Dedalus, in quanto simbolico, si serve di un simbolo (la moneta da un euro), che simboleggia appunto il riconoscimento sociale e monetario che, a parere di chi dà quel premio, i premiati meriterebbero ma, stanti le condizioni che stanno, non siamo in grado di dare. (E preciso vieppiù: la situazione che vedesti tu, tre anni fa a Pordenone, non si doveva al fatto che non si era preparati a dare l’euro a Laura, ma al fatto che uno dei tre eurofori se l’era dimenticato; la cerimonia, ironica quanto se vuoi sciocchina, era stata preventivamente concordata fra premiati e premianti.) Quanto al riconoscimento sociale ecc., la tua analisi è come al solido lucida e, appunto, appuntita. Ma mette in primo piano quello che per me è un sottoprodotto, un effetto collaterale. Lo scopo col quale sono state concepite le Classifiche è quello di segnalare libri meritevoli (e nessuno, qui, risponde alla mia semplice domanda: ci siamo riusciti, in questi due anni? qualcun altro lo ha fatto meglio – cioè con più continuità – di noi?), non quello di fare un club di illustri letterati la sola inclusione nel quale costituisca un premio. Prova ne sia che, in tale club, insieme a letterati (autori e critici) assai noti (che semmai, riconoscimento per riconoscimento, fanno loro un favore a noi, a lavorare per le Classifiche…), ci sono critici assai meno noti, spesso giovani (giovani per l’Italia, eh!), che conoscevamo da tempo o che abbiamo conosciuto in questi due anni, che spesso lavorano da precari nelle Università, oppure collaborano saltuariamente a giornali e riviste o addirittura a blog (prossimamente saranno inclusi gruppi di molto giovani, o piuttosto di giovani davvero, che organizzano già letture collettive e collettivamente esprimeranno il loro voto). Come per il principio di inclusione dei Libri da Leggere (leggere quelli delle majors insieme a quelli delle nicchie) vale per noi il principio di inclusione dei Lettori (come dicevo all’inizio, ampliare & diversificare & in tutti i sensi – l’euro famoso… – arricchire). Dopo di che è vero che si verificano gli effetti sociali che tu descrivi con tanto sadica precisione, ma sono ripeto un effetto collaterale. Non più fastidioso, appunto, degli insulti, dei sospetti, delle giornate passate a ripetere sempre le stesse cose.

  47. Andrea, scrivi: “Lo scopo col quale sono state concepite le Classifiche è quello di segnalare libri meritevoli […], non quello di fare un club di illustri letterati la sola inclusione nel quale costituisca un premio”.
    Sono sicuro che è proprio così come dici, Andrea: il vostro scopo non era quello. Non mi sognerei mai di metterlo in dubbio.

    Ma il mio ragionamento non è sugli scopi o sulle intenzioni. A me pare che, di fatto, eccetera eccetera. E non vedo niente di male in questo: mentre ho l’impressione che la cecità su ciò che è di fatto la cosa ne limiti le potenzialità.
    (Gli inventori di Slow Food, per dire, sapevano benissimo che un buon modo per convincere una certa parte di pubblico a comperare cibi o servizi di ristorazione più costosi di altri era: associare tali consumi a un incremento di status symbol).

    Scrivi anche: “Nessuno, qui, risponde alla mia semplice domanda: ci siamo riusciti, in questi due anni? qualcun altro lo ha fatto meglio – cioè con più continuità – di noi?”. Non so rispondere. Posso dire che le classifiche di Dedalus segnalano in genere libri che mi sono già noti per altre vie: ma io non sono un lettore normale.

    Nella classifica di ottobre 2011, gli unici libri che non ho già in casa sono “Nel nosocomio” di Rosaria Lo Russo, “La catastròfa” di Paolo Di Stefano e “Quando Kubrick inventò la fantascienza” di Andrea Inglese. In omaggio ho ricevuto “A nome tuo” di Covacich e “La mente paesaggio” di Laura Pugno. I libri che ho comperati, non li ho comperati certo perché li ho visti nella classifica di Dedalus.

    E’ interessante il passaggio “meglio – cioè con più continuità”. Da un lato mi vien da dire che che un lavoro di segnalazione è “meglio” di un altro lavoro di segnalazione se azzecca dei giudizi più validi; dall’altra non si può negare che la continuità, in questi tempi di presenze intermittenti e occasionali, non abbia un suo valore.

  48. “Chi vuole crescere socialmente sa che, a un certo punto, deve cambiare salotto. ”

    non so se è più cinica questa battuta o meschina la storia dell’amico artista :-DDD

    cmq come dicevo la questione del posizionamento mi sembra posta correttamente ma gli manca anche un pezzo, credo. cioè che questi giochi di posizionamento e riposizionamento (che a parlarne così sembrano il frutto di chissà quali strategie ma, nella maggior parte dei casi, sono solo il risultato automatico della distribuzione dei ruoli in un qualunque dibattito o gruppo sociale – dal circuito letterario ai convitati di una pizzata tra colleghi) trovano il loro senso nella stipulazione a monte di uno spazio comune, di un campo riconosciuto da tutti in cui le coordinate (io sono lo scrittore marginale di talento, lui è l’autore mainstream e pacchiano, tu sei il romanziere corretto di medio livello) vengono lette allo stesso modo da tutti, anche perché tutti seguono più o meno il lavoro di tutti.

    mi sembra invece che il tessuto comune si stia parecchio sfilacciando e anche questa polemica, sul numero dei libri letti e sulla lobby fantasma che forse c’è ma forse no, prende un po’ il sapore paradossale di un grosso equivoco tra passanti che si scambiano vicendevolmente per qualcun altro, salutandosi con calore per il motivo sbagliato. allo stesso modo ho l’impressione che quei posizionamenti di cui parla mozzi siano leggibili solo da una parte degli stessi soggetti che si sono posizionati, per non parlare poi di chi non è nel supposto campo ma vi si affaccia solo come spettatore (v. per esempio i commenti di galbiati).

    quindi anche tutte le conclusioni sui “guadagni” simbolici o concreti finisce per suonare un po’ a vuoto. non del tutto, sia chiaro, anch’io seguo il ragionamento di inglese (avendo avuto una vicenda analoga come autore nella storia delle votazioni dedalus). e tuttavia questo ragionamento di strategie, riposizionamenti, status symbol sembra più l’ombra ingigantita di uno oggetto effettivamente ben più piccino.

  49. tuttavia questo ragionamento di strategie, riposizionamenti, status symbol sembra più l’ombra ingigantita di uno oggetto effettivamente ben più piccino

    :-) credo sia la definizione più esatta.
    Ad ogni modo è buffo perchè voi state parlando in pubblico, ma lo fate come se foste in una chat privata (sindrome di facebook forse), state parlando, tutto sommato, di fatti vostri e questo visto da fuori è molto divertente, perché sembra di essersi inseriti, senza volerlo, in una telefonata privata. Divertente per tutti, fuorché appunto per lorenzo che appena vede una finestra un po’ appannata da cui non sia possibile vedere in trasparenza tutto l’interno, va subito in paranoia e arriva alla conclusione che simile luogo non possa che essere il covo di una mitica oscurantista lobby.

  50. @georgia: è vero, è buffo e però è anche un sintomo della situazione attuale, mi sembra, che non è tanto quella di un ripiegamento nei circoli ristretti, nelle lobby o nelle elite ma una specie di riconfigurazione dello spazio pubblico. sindrome da facebook ma anche da rete in generale se vuoi ma forse, ancora di più, da nuove comunità.

  51. ma una specie di riconfigurazione dello spazio pubblico. sindrome da facebook ma anche da rete in generale se vuoi ma forse, ancora di più, da nuove comunità

    Riconfigurazione dello spazio pubblico, nuove comunità?
    dici stecco :-), sembrano cose facili, e in effetti nel recente passato lo sono obbiettivamente state, ma solo per la nascita di quel formidabile nuovo e rivoluzionario media che è stato la rete e internet.
    Oggi mi sembra un po’ più dura creare nuove comunità. In quanto allo spazio pubblico da ora in poi potrà solo essere ristretto e non ampliato.
    Naturalmente parlo di livello puramente e veramente pubblico (nel senso DI TUTTI), è chiaro che invece privatamente, per le singole persone o gruppi, potrà essere allargato il proprio spazio pubblico (come in ogni epoca naturalmente), basta intendersi cosa sia lo spazio pubblico. Mozzi ne ha dato la sua cinica e realistica definizione (che io NON condividerei mai) ed è una definizione valida per TUTTE le epoche.
    Forse da qui nasce l’umorismo della situazione, proprio da questo eccesso di seriosità nell’affrontare in pubblico una diatriba personale (come se si fosse dalla Filippi). E’questa palese contraddizione che strappa la risata in chi osserva un fatto privatissimo discusso nella pubblica rete.

  52. Caro Giulio, ho capito la distinzione che fai. Però io non sono d’accordo con quanto tu ora precisi, e cioè che sarebbe meglio se il sottoprodotto snobistico-classistico-elitistico del Lettorato Dedalus non fosse inconsapevole e preterintenzionale ma viceversa intenzionale e auto-propagandistico. Forse gioverebbe alla propaganda (e non sono insensibile all’argomento, visto che per me il limite maggiore di tutta st’operazione è che i media generalisti non se ne vogliono dare per intesi), non lo nego, ma non gioverebbe alla mia coscienza. Come dicevo a Lorenzo Galbiati, ci sono cose che ripugnano alla mia mentalità (prima che alla mia ideologia, o al mio desiderio di “posizionamento sociale”). Io non ho mai fatto parte, né ho mai chiesto di far parte, di un “club”. Devo dire che per gran parte della mia esistenza ho evitato di far parte di qualsiasi cosa. Poi ho cambiato idea. E ne sono venute fuori esperienze di lavoro di gruppo, più o meno valide più o meno (umanamente) arricchenti, che hanno più o meno funzionato (la prima, e quella che funzionò meglio, fu l’antologia Parola plurale, l’ultima è stata TQ): ma che ai miei occhi sono accomunate appunto dall’essere esperienze di lavoro, non “posizionamenti”, auto- o etero-. Se io stesso percepissi queste esperienze come club, lobbies, ecc., non ne vorrei mai far parte (e lasciamo stare per una volta Woody Allen o Groucho Marx che sia). Dunque se tu mi dimostrassi, come mi pare che tu voglia dimostrare, che le Classifiche sono essenzialmente questo, o primariamente questo, sarei io il primo a volermene andare. E invece cocciutamente insisto a pensare che siano utili (che siano, appunto, dei “lavori”).

  53. Scusate se scrivo ancora ma come spesso accade, quando uno dichiara finiti i suoi interventi, poi scorrettamente si sente tirato in causa da qualcuno.

    Vorrei fare presente a georgia che sarà divertente per lei, e per chi come lei ama il pettegolezzo e farsi inopportunamente gli affari degli altri, sentire una telefonata privata o leggere questi commenti come una chat privata.

    Aggiungo (a georgia occorre quasi sempre fare notare che cose che imputa a te le hanno dette altri o se le è inventate lei) che il titolo di questo articolo è fare lobby e che di posizionamento o di elite o comunque di gruppo ristretto o concetto analogo hanno parlato quasi tutti i commentatori, io mi sono limitato a usare lo stesso concetto per riferirmi all’oggetto in questione. Il fatto stesso che lei consideri chat privata una discussione che mostra bene i meccanismi con cui si arriva al voto di una classifica pubblica è significativo del fatto che ci troviamo di fronte esattamente a quello che dice il titolo, il come fare lobby.

    Anche se in questo caso assistiamo a prese di distanza dalla lobby.

    C’è poi chi come Mozzi sostanzialmente giudica queste classifiche come me ma è più interessato a una questione nominalistica sul come chiamarle e sul come delimitare e rendere pubblica la lobby che la elabora anzichè proporre correttivi sulle procedure con cui si perviene alla classifica in modo che essa risulti effettivamente di qualità e non espressione dei legami di una lobby.

    E anche tutto questo mi sembra molto significativo.

    Perché alla fine, Andrea C., a te questa classifica, questo lavoro, sembra utile, ma dovresti chiederti l’utilità che ha per chi è al di fuori di questa lobby (o comunque tu voglia chiamarla) e che è davvero interessato alla letteratura di qualità contemporanea. Io che ne sono certamente al di fuori per esempio ti ho già detto come considero questa classifica.

  54. Caro Lorenzo, per me è utile. E, ho detto, utile non per me (e quelli come me) soltanto. Bensì per chi vuole essere informato su libri italiani di qualità. Per te no. Tu eri e sei sempre informatissimo su questa cosa. E lo sei evidentemente attraverso altri canali (che a me sfuggono; eppure i giornali li leggo anch’io, sui blog perdo tempo anch’io). Vuol dire che non siamo d’accordo, pace. A volte ho l’impressione che o si è d’accordo con te («o si riforma la cosa così e cosà o non è trasparente, è una lobby, è una mafia, non serve a niente») o si è l’Impero del Male. Le ragioni per cui gli emendamenti che proponi io non li posso fare te le ho dette. Fai tu una cosa, analoga o diversa, che ottenga risultati analoghi, o migliori, seguendo le regole che consideri giuste tu. Nessuno te lo vieta. Al massimo verrò a commentare i tuoi risultati dicendo che le regole non mi stanno bene perché ecc. ecc.

  55. Il problema Andrea è che qui al di fuori della cerchia si sono espressi:
    – Montieri, dicendo che la classifica gli è servita ma in modo vago, e senza capire bene come viene stilata
    – Canella che critica su tutta la linea
    – georgia che dice che serve a sapere che alcuni libri esistono ma non è una classifica di qualità
    – io: la mia considerazione parte dal fatto che hai a disposizione un numero elevato di lettori/votanti che si prestano a questa classifica e non gestisci i dati che hai a disposizione per renderli realmente utili all’esterno della cerchia. Io avrei bisogno come tanti altri di una vera classifica di qualità, non è vero che ho altri canali, se non in modo molto parziale, ed è proprio alle persone come me che una classifica così si rivolge, credo, perché chi legge Fabio Volo e Carrisi e altri in vetrina per lo più non sta a considerare classifiche come queste.
    Questa è la mia opinione, ovviamente, e tu puoi dissentire senza essere l’impero del male, io ti ho chiesto se ti sei posto il problema di quanto ritengono utile una classifica come questa lettori come me e come gli altri tre che si sono espressi ossia lettori al di fuori della cerchia. Lettori che sappiano il meccanismo con cui questa classifica viene elaborata, sia chiaro. Io sarei curioso di saperlo, per ora so solo l’opinione dei suddetti e quella di qualche mio amico nella mia stessa posizione (e sono uguali) che segue NI. Magari però molti altri lettori come me si esaltano quando sanno come stili queste classifiche, e allora avresti ragione tu a tenerla così. Ma almeno dovresti porti il problema. Invece sembra che non solo non ti poni il problema ma consideri le regole che hai posto non modificabili se non addirittura le uniche possibili, perché pare che l’unico criterio che adotti per adottarle sia la tua “mentalità”. Ma forse la tua mentalità rende utile questa classifica più che altri a te. Forse ci sono regole che potrebbero apportare maggior oggettività alla classifica, se prevalgono giudizi simili ai miei, rendendola più utile a tutti. Bisognerebbe chiederselo, se ci interessa saperlo. Questo sempreché, come ho già scritto, si voglia che questa classifica abbia un significato comprensibile non solo per la lobby che vota/scrive ma per tutti i lettori interessati alla letteratura di qualità.

  56. Dialoghetto fuori-classifica

    A – Hai votato la fiducia?
    B – Monti non ci salverà dall’affondamento; tutt’altro. Appena si scoprirà il volto tutti potranno vedere il già-masticato.
    A – Hai letto, di recente, Nazione Indiana?
    B – Qualcosa, di sfuggita. Una droga che si sta esaurendo.
    A – Però sono certo che non hai mancato lo “sproloquio” di Biondillo sulla classifica Dedalus.
    B – L’articolo più divertente dell’ultimo anno. Manca poco che si azzannino bevendo champagne. La cosa più evidente è che nessuno se la gode. Un gioco di società dove tutti si prendono seriamente.
    A – Un gioco di società?
    B – Sì; una sorta di scacchiera allargata. Alcuni autori si ritrovano a casa di qualcuno, poniamo di Cortellessa, e mettono le pedine: si posizionano, come dice Mozzi. Un gioco poco eccitante, parrebbe; almeno viste le reazioni.
    A – Se parlano così tanto di lobby, allora la lobby esiste.
    B – Certo; una lobby grande come un’unghia. A me, francamente, che uno voti per un altro che conosce, non disturba; il problema, semmai, è che la classifica si basi proprio su questa conoscenza reciproca. Siamo dentro un conflitto d’interesse allargato, grande almeno quanto il tavolo da gioco. Quando ho fatto parte della giuria di Miss Italia, una delle concorrenti è stata esclusa perché è risultata essere mia cugina di quarto grado …
    A – Hai fatto parte della giuria di Miss Italia? Non ci credo.
    B – No, ma mi piacerebbe. Nulla è più divertente del Nulla.
    A – Biondillo mi è parso molto scazzato.
    B – Forse il gioco non gli piace più. Hai presente una delle scene classiche di Tex Willer? I giocatori con lo sguardo sulle carte, mentre intorno imperversa il vociare confuso degli spettatori. Non potendo chiedere all’arbitro di far tacere le chiacchiere, Biondillo preferisce lasciare il tavolo.
    A – Potrebbe comprarsi un paio di tappi per le orecchie.
    B – Credo ci sia anche dell’altro. Lui parla di “aria di famiglia”, Garufi dice di conoscere l’esistenza di “un piccolo gruppo coeso di giurati”, finché arriva Inglese e …
    A – … e ci va giù duro, con Cortellessa …
    B … molto duro. Però c’è qualcosa che non torna. Se Inglese ha riferito il vero – e non c’è motivo di dubitarlo – l’immagine che ne esce è quella di un coordinatore che esprime il suo parere rispetto al voto dato a un certo libro, fino a discutere con alcuni dei votanti “dell’opportunità di votarlo”.
    A – Un modo di influenzare il voto.
    B – Esatto. Ora, Inglese è un tipo coriaceo, e ha reagito nel modo che abbiamo visto; pensa però a un altro giurato, magari fresco di nomina … Proprio per il “peso” che ha Cortellessa, il fatto che si esprima in quei termini con uno dei votanti può inficiare l’autonomia del voto. Ma c’è dell’altro. Lo stesso Cortellessa, rispondendo a Inglese, dice “di aver avuto, in questa e in alcune precedenti occasione, l’impressione che l’aspetto ‘lobbistico’ […] facesse eccessivamente aggio su una considerazione ‘di qualità’” … Come a dire: la lobby esiste e vota compatta per promuovere autori che non lo meritano.
    A – E infatti si è arrabbiato Sartori, che evidentemente è l’autore votato da Inglese e non gradito da Cortellessa.
    B – Comunque, direi che il sospetto dell’esistenza di una qualche lobby, a questo punto, è legittimo.
    A – E allora diventa legittimo pensare a qualche giocatore scarso fatto entrare in campo per compiacere il procuratore.
    B – Se non ti dispiace, adesso devo seguire il mio funerale.
    A – Un funerale di qualità?
    B – Il migliore. E proprio per la sua solenne qualità, accetto l’onta di non vederlo apparire in classifica.
    A – Tu hai votato?
    B – Sono estraneo ed anche ostile.
    A – Un lettore eminente come te non può mancare il voto!
    B – Io sarei felice di colpire gli autori; una bella freccia qui, nel cuore.
    A – Una raffinata freddezza … O la volgarità che non riconosce la qualità?
    B – Come preferisci. Apparire in classifica è consolante. Come dice l’Inglese, un beneficio “simbolico e psicologico”. Che sia anche utile alla letteratura, ho i miei dubbi. E poi mancano davvero tanti libri, alcuni dei quali immensamente più interessanti dei presenti; e ci sono, tra i votati, libri talmente banali e insulsi da rendere la classifica nient’altro che un noioso gioco di società.
    A – Ma è impossibile dare conto di tutto.
    B – E allora è la classifica in sé a non avere senso. Se in dieci corrono, qualcuno si classifica al primo posto e gli altri a uno dei restanti nove. Se in cento corrono e solo in dieci figurano nella classifica, c’è qualcosa che non quadra.
    A – Sono confuso.
    B – Mettiamola così: questa classifica testimonia del gusto prevalente in una data porzione di lettori. Una fotografia parziale e sfocata.
    A – Dunque ritieni che non sia “utile”?
    B – Un gioco di società è utile per chi gioca. Chi guarda, al limite, si diverte a vedere le contorsioni del viso dei giocatori o la marca di birra che ordinano durante la partita. Io, per dire, mi diverto molto a leggere le discussioni sulle classifiche; sono un ottimo bagaglio di informazioni sociologiche. Gli intellettuali italiani sono incapaci di fabbricare universi.
    A – Ah, ti stai arruolando tra i “demolitori”.
    B – Per carità! Non ha senso demolire una casa che sta cadendo; ed è anche stupido, non ti pare?
    A – Senti, lo sappiamo che sei innamorato di te stesso; e che ti auto-specchi nei tuoi insulti assolutamente sublimi; però, insomma, che cos’hai fatto tu, morto nel tuo volgare nulla, se non concepire i tuoi maniacali teoremi complottistici?
    B – Che cos’ho fatto in che direzione?
    A – Della “qualità”, e che diamine! Cortellessa, nel suo piccolo, si è dato da fare in quattro modi diversi, TQ compreso. E tu?
    B – Stare sul Nulla, adoperarlo, essere il Nulla. Solo questo ha dignità.
    A – Dici così perché il tuo libro non ha ricevuto nemmeno un punto.
    B – Ebbene sì: sono frustrato nella mia vana onnipotenza …

  57. Georgia, scrivi: “Ad ogni modo è buffo perchè voi state parlando in pubblico, ma lo fate come se foste in una chat privata (sindrome di facebook forse), state parlando, tutto sommato, di fatti vostri”.
    Eh no: non stiamo parlando di fatti nostri. Tutte queste cose – anche le varie strategie di posizionamento e riposizionamento, la decisione di Gianni Biondillo di stare dentro o fuori il gruppo dei Grandi Lettori, ecc. – sono eventi se vuoi minimi, ma ciascuno di essi influenza un po’ il funzionamento della Repubblica delle lettere italiana. Ad esempio, influenza le scelte circa cosa si pubblica e cosa no, cosa può essere sostenuto dalla “casta” di Nazione indiana e/o dalla “casta” del Dedalus, eccetera. E influenza le “carriere” di singoli autori.

    Stan: “Un gioco di società è utile per chi gioca. Chi guarda, al limite, si diverte a vedere le contorsioni del viso dei giocatori o la marca di birra che ordinano durante la partita. Io, per dire, mi diverto molto a leggere le discussioni sulle classifiche; sono un ottimo bagaglio di informazioni sociologiche”.
    Condivido.

    Gherardo Bortolotti: la battuta non è cinica, è proustiana. Son d’accordo con ciò che scrivi; e ovviamente tutti questi “giochi sociali” non sono comprensibili se non da chi ci è dentro (ogni tanto assisto allibito alla narrazione di “giochi accademici”, e non ci capisco nulla; per dire). Proprio per questo, diversamente forse da come pensa Georgia, ha senso ed è interessante che questi ragionamenti siano fatti in pubblico.

    Lorenzo Galbiati, scrivi: “C’è poi chi come Mozzi sostanzialmente giudica queste classifiche come me ma è più interessato a una questione nominalistica sul come chiamarle”, eccetera. Non sono minimamente interessato a una questione nominalistica su come chiamare queste classifiche.
    A: “Ma cosa stai facendo?”.
    B: “Sto sbucciando la mela, non vedi?”.
    C: “Ma quella non è una mela! E’ tua cugina!”.
    B: “Chiàmala come vuoi, non mi interessano le questioni nominalistiche”.

    Andrea Cortellessa: “Se io stesso percepissi queste esperienze come club, lobbies, ecc., non ne vorrei mai far parte”. Non ne dubito.
    Adesso esagero, Andrea:
    – è appunto per questo che ti rendi cieco verso la natura sociale di queste esperienze: altrimenti dovresti abbandonarle;
    – è appunto per questo che parli di “sottoprodotto snobistico-classistico-elitistico del Lettorato Dedalus” come se non fosse normale per ogni iniziativa collettiva essere osservata anche con un occhio sociologico (ciò che c’è tra la mia amata e me è vero amore; il che non gli impedisce di essere un evetno leggibile anche nell’ottica della biochimica, della fisiologia, della psicologia, della sociologia…);
    – è appunto per questo che ti appigli così saldamente alla purezza delle tue intenzioni. Io non ho alcun dubbio su tale purezza, Andrea. Ma se c’è qualcosa che mi spaventa più della retorica delle intenzioni, è l’attaccamento alla purezza. (Cf. antiche dispute con Moresco, ecc.).

    Parola plurale mi pare un bellissimo lavoro (le due copie che ne posseggo sono continuamente in giro a prestito). Ed è, inevitabilmente, anche un lavoro di “creazione di canone”. C’è chi è dentro Parola plurale, e chi ne è fuori. C’è qualcosa che non va, in questo? No. E’ possibile descrivere delle reti di relazioni tra i curatori di Parola plurale e i poeti antologizzati e criticati? Presumo di sì (è solo questione di tempo). Si può supporre che tali reti non abbiano avuto alcun influsso sulle scelte? Direi di no. (D’altra parte, ci sono anche reti che si costruiscono sulla base della pura e disinteressata stima). Sarebbe però ben bizzarro se qualcuno considerasse il lavoro di “creazione di canone” fatto da Parola plurale come un “sottoprodotto snobistico-classistico-elitistico”.
    Riesco a spiegarmi?

  58. Ho seguito questa discussione, forse mi sono perso qualche passaggio e continuo a non capire, Giulio, mi sembra che a tratti il tuo ragionamento si risolva in un mero prendere coscienza di ciò che si è, e in una sua valorizzazione, per cui è giusto che i ‘migliori’ si posizionino e che si sviluppino tra i’ migliori’ medesimi sane relazioni interpersonali, secondo la logica del chi è dentro è giusto che stia dentro perché nulla vi è di male o di sbagliato nel fare gruppo, e chi è fuori, o forse altrove, in altri luoghi o gruppi della repubblica delle lettere, se ne stia per conto suo e formi la sua rete di culturalmente affini e premi letterari e antologie poetiche fondative di canoni. Ma allora non capisco a maggior ragione quale sia il problema che sollevi (non mi pare ci siano critiche di fondo da parte tua al sistema):voglio dire se a tuo avviso è giusto il mero prendere coscienza di ciò che si è o si ritiene di essere finendola una volta per tutte con l’illusione della purezza e con il moralismo di chi vede solo lobbies nel lavoro culturle, il tutto nel nome di un’èlite autolegittimata da una sorta di autocoscienza assiomatica della propria intelligenza e del proprio talento e della propria posizione sociale, allora perché hai scelto di tirarti fuori da un premio come il Dedalus? Qual è il problema reale di cui si discute in questo post? Le posizioni? A tratti fra te e Andrea Cortellessa mi è sembrato di assistere a un dialogo fra Stavrogin e Raskolnikov…
    Sono contento, in ogni caso, che di queste cose si parli pubblicamente.

  59. Mozzi, c’era anche il seguito: perché allora non proponi un meccanismo più oggettivo, statistico di valutazione? Perché non proponi la trasparenza (libri letti e voti dati da ogni votante) se è interessante quel che si legge qui per far venire alla luce i meccanismi della casta?

    Proponendo un meccanismo oggettivo (media dei voti che ha ottenuto ogni libro letto) e la trasparenza (dichiarare da quanti votanti è stato letto ogni libro in classifica) i meccanismi lobbystici del gioco di società utile solo per chi gioca e comprensibile solo a chi gioca verrebbero ridotti al minimo e la classifica potrebbe chiamarsi di qualità a ragion veduta. Non sarebbe perfetta (altri potrebbe suggerire ulteriori accorgimenti che io non vedo, oltre a quello che ogni libro sia letto da tutti i votanti, che però è impraticabile) ma comunque decisamente più utile per chi sta fuori dalla lobby come me per farsi una idea equa, oggettiva, statistica della qualità dei libri secondo i votanti e anche della considerazione che riservano verso gli autori.
    Perché non chiedi una riforma come questa? La prima volta che mi hai risposto hai liquidato la mia proposta con una frase all’insegna del fatta la legge trovata l’inganno: dimostramelo. Dimostrami che la mia proposta non apporta nessun miglioramento statistico, matematico e insomma oggettivo alla classifica nel senso della qualità dei libri in esame e della trasparenza su come si raggiunge tale risultato.

  60. Eh no: non stiamo parlando di fatti nostri. Tutte queste cose – anche le varie strategie di posizionamento e riposizionamento, la decisione di Gianni Biondillo di stare dentro o fuori il gruppo dei Grandi Lettori, ecc. – sono eventi se vuoi minimi, ma ciascuno di essi influenza un po’ il funzionamento della Repubblica delle lettere italiana. Ad esempio, influenza le scelte circa cosa si pubblica e cosa no, cosa può essere sostenuto dalla “casta” di Nazione indiana e/o dalla “casta” del Dedalus, eccetera. E influenza le “carriere” di singoli autori.

    appunto mozzi, FATTI VOSTRI ;-).
    Vi sono grata che ce ne fate partecipi, grata e divertita, ma nulla di più.

    Mentre invece, caso incredibile, sono perfettamente d’accordo con te quando dici: “Ma se c’è qualcosa che mi spaventa più della retorica delle intenzioni, è l’attaccamento alla purezza“.
    Detesto l’attaccamento alla purezza quando, per rispettare l’attaccamento a questa, ci si dimentica l’essere umano reale che ci sta accanto e che naturalmente non può essere concepito astrattamente, obligandolo ad essere, come vorremmo che fosse noi (questo è comunque l’inferno in terra, ma in letteratura è veramente una cosa da idioti). Nello stesso tempo detesto l’attaccamento al cinismo (che spesso riscontro in te), insomma la totale abolizione della purezza può essere ancora più infernale dell’eccesso di attaccamento.
    Poi c’è il caso estremo di lorenzo che da giorni tenta disperatamente di misurare al millimetro l’interfaccia della battima, e va fuori di matto perchè ogni volta la linea dell’onda non corrisponde con quella dell’attimo prima. E’ stravolto, ma non si arrende e continua a cercare il meccanismo oggettivo, la formula matematica, che difenda dalla casta, dalla lobby, dalla cricca, che per lui NON è in questo caso il clan berlusconi, le quattro italiche mafie, ma quattro moschettieri (più o meno idealisti) dediti alla lettura dei libri. L’attività di leggere (ancor di più se anche si scrive) dei libri di solito preferisce andare a cercare fra i simili, fra gli amici (se sono bravi), è chiaro (è cosa del tutto normale) che ci si intenda di più tra simili, ma da lì ad essere scambiati per una mafia ce ne corre. A me sinceramente cosa e chi voti biondillo o altri non potrebbe fregarmene di meno. Per me contano i risultati. Io seguo e uso la vostra classifica che, dopo una iniziale perplessità, trovo utile, spesso compro libri dopo averli visti segnalati nella lista, mai quelli ai primi posti e forse non è un caso, ma questo è solo perchè io NON sono molto simile a voi, ma ho solo alcuni punti di contatto.

  61. Non credo di aver capito tutto, mi era sfuggito il commento di sartori che forse è la chiave di tutta la discussione :-).
    Insomma, altro che purezza vs cinismo, qui è peggio che al premio viereggio … ah ah ah ah
    geo

  62. Per me, questa classifica, è già utile così com’è. Per me, dico, che la uso per vedere un po’ cosa c’è in giro nel mercato librario che potrebbe valere la pena di leggere. Ma non mi baso mai esclusivamente su questa, anzi, è solo uno degli strumenti che determina le mie letture, né è il più importante. Per migliorare, a mio avviso, la cosa più appropriata, al limite, sarebbe di dare un numero di segnalazioni ad ogni votante, e non un punteggio da 1 a 6. Si ritiene valido un libro e lo si segnala. Più il libro viene segnalato più va in alto in classifica. Il punteggio rispecchierebbe il numero di segnalazioni ricevute. Forse così si segnalerebbero meno libri, non ho idea. Ma certo si eviterebbe che magari pochi lettori, diciamo 7 (su 150) dando 6 punti ad un libro, lo facciano arrivare in vetta alla classifica. Chi vota cosa, in fondo, non mi interessa. Comunque, ripeto, per quanto mi riguarda le classifiche spostano molto poco le mie letture, le incrocio sempre con altri tipi di informazione.

  63. georgia,
    certo per me
    (e solo per me, non anche per mozzi, cui ti eri appena riferito, e che aveva appena scritto che se Cortellessa si accorgesse della natura lobbystica della classifica se ne andrebbe)
    i votanti della classifica di qualità sono una mafia, come no.

    Ora, vista la tua completa ottusità nel capire quel che scrivo, o se preferisci vista la tua perseveranza nel voler stravolgere scientemente quel che scrivo, potremmo fare un patto che nessuno di noi commenta l’altrui commento? Eh, ce la fai? Perchè qui sei stata tu a intervenire citandomi e stravolgendomi quando io non mi sono rivolto a te e avevo appena detto che non avrei più scritto. Io non commenterò te, non ti tirerò in ballo, come del resto avevo già fatto in questi commenti, riesci a fare altrettanto?

    Perché mi sono rotto i cojoni di dover leggere una anonima che continua a rispondere e commentare cose che si inventa lei e mette in bocca a me. Se ce l’hai con me perché me ne sono andato via dai commenti del tuo blog perhè ho visto quanto ti piace dialogare con anonimi che si divertono a diffamare morti come arrigoni, questo non ti giustifica dal continuare a intervenire per stavolgere i miei messaggi con il tuo tono non so se più sarcastico o da maestrina come ti è stato detto o forse solo da saccente petulante. Resta in compagnia dei tuoi amanti del pettegolezzo e della diffamazione.

    In ogni caso io non mi rivolgerò più a te, e se lo farai tu, avvertirò i lettori che per quanto mi riguarda sei un troll, che si diverte a intervenire per depistare la comprensione di quel che scrivo.

  64. andrea branco,
    mi sfugge il tuo ragionamento. in che modo il segnalare cambierebbe la classifica favorendo la qualità? i 7 lettori che hanno dato 6 punti a un libro, come da ipotesi, probabilmente segnalerebbero quel libro, no?

  65. Torno domani -se posso nell’argomento – ho molto lavoro da settimane- impegni diversi e non posso scrivere come voglio purtroppo…

  66. Mi è sfuggito l’invio.

    Tra l’altro,

    Branco,

    tu dici che si eviterebbe che pochi lettori, 7, su 150, dando 6 punti a un libro lo mandino in alto alla classifica. Ma perché si dovrebbe evitarlo? Se 7 su 7 danno a quel libro il massimo punteggio (ora non ricordo se 6 è il massimo ma supponiamo) forse quel librò è un capolavoro, di cui pochi si sono resi conto. E’ proprio dicendo che i 42 punti che ha raggiunto sono il frutto di soli 7 votanti (la trasparenza che non si vuole avere) che si darebbe la misura di questa possibilità del capolavoro, perché il voto medio di quel libro è il voto massimo; esplicitando il numero di votanti, si direbbe nello stesso tempo che questa opinione è comunque molto limitata, statisticamente incerta, condivisa da pochi perché gli altri non lo hanno letto. E ogni lettore della classifica deciderebbe se fidarsi di quei 7 o no. E qui allora si capisce perché sarebbe utile sapere anche chi sono quei 7: chi li conosce e li apprezza, sa di condividerne i gusti, sarà a maggior ragione invogliato a leggere quel libro. Forse, però Branco ha insinuato che quei 7 stanno spingendo il libro di un amico, visto che ha scritto si “eviterebbe”: beh, svelando chi sono quei 7, chi li conosce sa anche che hanno votato il libro di un amico, ed è legittimato ad aver dubbi sull’obiettività del loro voto (io in genere non dubito). In ogni caso, sapere che sono 7 ad aver votato un libro con 42 punti, rende molto intelligibile, e per tutti, la classifica di quel libro. Sapere poi chi sono quei 7, rende ancora più interpretabile quel punteggio per chi conosce un po’ dei votanti.

  67. @lorenz, io ce l’ho con te???? ma sei matto?
    E addirittura perché non commenti da me? ma sei matto due volte? :-)
    Non ti passa per la testa che magari, molto più banalmente, stai dicendo delle cose che a me sembrano paradossali come quelle della lobby, della casta, di lettori?
    ma se le lobbies e le caste sono queste, allora possiamo dormire fra due guanciali ;-)
    Poi figuriamoci se pensavo che tu non commentassi più perchè NON ho bannato uno dei commentatori (certo che la rete sta diventando strana davvero, ognuno a voler imporre regole, le PROPRIE, naturalmente), di solito io con i commentatori mi limito a discuterci e non certo a volerli rieducare.
    Io sinceramente non amo più molto i commenti (quindi fai benissimo a non commentare) visto che per la maggior parte sono solo sfogatoi personali (di uno o dell’altro), semmai se dovessi nutrire poca simpatia per te, ultimamente, sarebbe solo per il tromentone del fatto che secondo te sarei una reproba senza diritto di esprimere le mie opinioni solo perché non sono in rete con il collare con la medaglietta con nome cognome numero del telefono e del cellulare. MA CHE TE NE FREGA? mica ti devo vendere una macchina usata.
    La tua è una ossessione davvero.
    vedi di rispondere alle cose che uno dice, se ti va, altrimenti fregatene. Se poi pensi che io sia un agente della cia, del kgb, del mossad della goldman sachs … tranquillazzati :-)))).
    Ma tu semmai mica sarai un questurino vero?

  68. i votanti della classifica di qualità sono una mafia, come no.

    maria
    Lorenzo visto che sai maneggiare le parole credo che dovresti usare il termine mafia con più cautela, visto quello che storicamente significa in Italia.

    Riguardo poi al blog di georgia non mi pare che si faccia del gossip
    o peggio della diffamazione.

    Mi riferisco in particolare alla discusssione su Vittorio Arrigoni circa alcune sue idee e scelte di vita e anche alle circostanze della sua morte, dove, appunto, alcuni commenti erano molto distanti dai tuoi senza per questo essere diffamatori o illegittimi.
    Te lo dico perché, come ricorderai , anch’io presi parte a quella discussione.

  69. @ Lorenzo Galbiati: non intendevo dire che quei ipotetici 7 avrebbero spinto un amico, ma solo che si eviterebbe che il giudizio di pochi contasse più che quello di alcuni di più, ma con punteggio minore. Mi spiego meglio:
    Non guardo una classifica per sapere se persone che stimo, o che conosco, hanno votato un libro. Se mai ne leggo le recensioni, o gli articoli, o magari ci parlo di persona, o via mail. E se non posso fare queste cose, amen. Vuol dire che questi lettori si limitano a dare un voto senza parlare dei libri che amano da altre parti.
    Inoltre, ci sono persone che stimo, ma i cui gusti non sempre combaciano coi miei, e magari ci sono persone che seguo meno, o chi sa, e invece potrebbero segnalarmi un libro da amare, e se magari sapessi chi ha votato cosa, mi indirizzerei verso il già noto, ovvero il consiglio della persona che stimo, e non verso altro. Questa, del leggere cose consigliate o scritte da persone vicine è per altro una delle cose per cui tu vorresti che il voto fosse palese. Ma lo vorresti per capire se persone che conosci e apprezzi hanno letto il tal libro, così da comprarlo? O per evitare il libro perché pensi sia stato votato da quella persona, che pure apprezzi e conosci, solo perché tale persona conosce e apprezza chi ha scritto il libro? E se il libro fosse effettivamente un bel libro? Se fosse un bel libro, in quest’ultimo caso te lo perderesti perché l’avresti evitato, e magari ci arriveresti tra anni. Se fosse brutto, e però l’avessi comprato, penseresti che il voto è stato dato per amicizia, etc. Non diventa troppo complicato, così? Si finisce col non fidarsi più di niente e nessuno, mi pare. Poi magari è una mia impressione, boh.

    Riguardo al togliere il punteggio da 1 a 6:
    ognuno ha metri di giudizio diversi, e magari a due persone piace lo stesso libro, ma uno decide di dargli 6, e l’altro vuole magari segnalare anche un altro libro, e così dà 4, per dare 2 ad un altro. Non è che ha abbassato il voto per fare un’altra segnalazione? Il voto “giusto” sarebbe stato 6 o 4? Se hai due segnalazioni, è vero che non puoi pesarle, ed il singolo lettore ha meno scelta, ma sulla quantità dovrebbero venire comunque fuori i libri ritenuti migliori da molti. Il problema della valutazione sulla quantità di lettori è che, causa distribuzione (per distribuzione intendo tutte le varianti per cui un libro può capitare in mano ad una persona), un libro venga letto da 30 persone, e un altro da solo una. Ma questa è una cosa che accade anche ora, e si vedono libri con 1, 2, 3 punti (evidentemente votati – forse anche letti? – da 1 persona, o 2 o 3).

    Per chiudere: ci ho messo un po’ a capire come funzionano queste classifiche. Non credo siano perfette, e penso che “di qualità” sia di troppo ma, detto questo, mi fido. Penso che vengano segnalati buoni libri perché ne ho letti alcuni e li ho trovati buoni. Certo, non uso solo questa classifica per scegliere le mie letture. Tutto qua.

  70. Lorenzo Galbiati: “Mozzi, perché allora non proponi un meccanismo più oggettivo, statistico di valutazione?”.
    Perché la determinazione di un “meccanismo più oggettivo, statistico di valutazione” è un falso problema.

    La classifica già mostra, oggettivamente, quali sono i libri più interessanti del momento per una “società stretta”, ossia per un gruppo di persone che si sono autoproclamate – in nome della loro indubbia “competenza” – difensori della “qualità” contro l’ “intrattenimento”.

    Georgia: eh no. Che cosa si pubblichi o che cosa non si pubblichi, è cosa di rilievo per tutti. Che cosa venga sostenuto e che cosa non venga sostenuto, è cosa di rilievo per tutti.
    O no?

  71. Dirò a premessa che farò deliberatamente l’ingenuo, ignorando gli aspetti già da altri evidenziati di regolamento dei conti di questo dibattito.

    Secondo me, come dice Mozzi con altre argomentazioni, la questione è inerentemente senza soluzione.
    La finalità sembrerebbe quella di superare il conformismo del mercato, perchè il concentrarsi delle vendite su alcuni libri è in ultima istanza una forma di conformismo.
    Purtroppo, ad un conformismo, se ne può solo sostituire un altro quando si opera collettivamente, solo il singolo individuo può nel suo operare uscire da tale conformismo: come dire che non esiste soluzione collettiva a questo problema, e bisogna che il singolo, se vuole rappresentare un lettore non conformista, si deve arrangiare da sè.

    Se quindi ogni classifica non può che essere di parte per definizione, ciò che si può fare è soltanto entrare nel merito delle scelte operate.
    Nella narrativa, la cosa si presenta alquanto complessa, il gusto personale può costituire la differenza.
    In saggistica però le cose sono sicuramente meno soggettive.
    Così, vorrei citare il caso di un libro che, avendo ottenuto (non so davvero come ciò sia potuto avvenire) dieci voti, si è collocato alla nona posizione. Si tratta del libro scritto da Franco Cassano e intitolato “L’umiltà del male” che ho avuto la sfortuna di leggere e che trovo pessimo, come ho tentato di argomentare sul mio blog:

    http://ideologiaverde.blogspot.com/2011/07/recensioni-lumilta-del-male.html

    Forse, se si trovasse il coraggio di fare critiche circostanziate riferendole a soggetti specifici, si potrebbe uscire dalle accuse generiche, mettendo a nudo nella maniera più efficace le magagne vere o presunte di una determinata classifica e magari anche di chi ci sta dietro.
    L’omertà è in Italia un problema maggiore del crimine in sè.

  72. Che cosa si pubblichi o che cosa non si pubblichi, è cosa di rilievo per tutti. Che cosa venga sostenuto e che cosa non venga sostenuto, è cosa di rilievo per tutti

    SI’ CERTO. Detta così non potrei che darti ragione, ma, forse per mia incompetenza, non mi sembrava questo il caso in discussione.
    La classifica sostiene libri già usciti e pubblicati indipendentemente da quella che lorenz chiama, con grande senso dell’umorismo, “lobby”, mentre la suddetta mini-lobby tenderebbe soprattutto a sostenere i libri dei vari componenti (anche allargati) della “società stretta”.
    E questo salta all’occhio senza bisogno di tanti discorsi, e non capisco come mai stavolta abbia un tasso polemico in più. Noi fruitori della classifica (a differenza di voi “ristretti” che magari vi ci accapigliate) il più delle volte (anzi sempre) ai primi 10 classificati diamo poca importanza. Non ai singoli naturalmente, ma alla classifica. Se leggiamo i primi 10 è solo perché lo avevamo già deciso in precedenza non grazie alla lista che anzi fa quasi sempre da deterrente.
    Per me sarebbe meglio un ordine alfabetico invece del punteggio, ma so che la maggior parte delle persone vuole la gara, vuole vedere il sangue nell’agone ;-) e quindi la cosa mi è del tutto indifferente.

    Ora la classifica che ne viene fuori (con il fruitore che si attiva in proprio per giudicare) è di interesse generale (e l’ho già detto), ma le dinamiche interne, i criteri di selezione, il voto, i permali, le liti ecc, sono SOLO fatti vostri che voi gentilmente (ma credo per motivi personali interni) ci rendete pubblici pulendo, alla meno peggio, il vetro della finestra per permetterci di guardare meglio ;-).
    NON ESISTE (se dio vuole) UN CRITERIO OGGETTIVO come non è possibile misurare, una volta per tutte, l’interfaccia dell’onda sulla battima.
    Ognuno, in circoli chiusi, quando sceglie o vota, è influenzato dalla vicinanza (che va dall’amicizia personale ad un scrittura, e concezione del mondo, che gli somiglia). Questo, che solo apparentemente è un handicap, potrebbe essere superato ed addirittura eliminato solo da una macchina, ma c’è qualcuno ancora in testa che vorrebbe, in questo preciso caso, sostituire l’affascinante errore umano con l’esattezza di una macchina? io NO.
    L’unico criterio immune da queste dinamiche è il passa parola, che a volte ha esiti incredibili, e anche devastanti, come per Saviano che quando i “poteri forti” editoriali (anch’io mi metto a fare iperboli) hanno iniziato ad attivarsi era già alla 4° edizione per il solo passaparola.
    A proposito qualcuno sa qualcosa dell’attacco veramente stalinista nei confronti di saviano? Un attacco che gira in rete sotto forma di lettera in inglese (firmata 99%) indirizzata ai “fratelli e sorelle” di Zuccotti Park, per metterli in guardia. E’ una lettera-linciaggio vomitevole e veramente vergognosa.
    Dico stalinista perché purtroppo circola, in ambienti di sinistra (o che tali si definiscono) ma i metodi e lo stile sembrano davvero camorristi. Io penso che questo paese sia davvero sull’orlo di una devastante crisi di nervi, e che la cultura del linciaggio, inaugurata da Berlusconi nei confronti dei “comunisti”, ma poi diventata invasiva, ci stia avvelenando tutti.
    geo

  73. @ Lorenzo Galbiati
    Dico solo che qui, dopo essere stato accusato di essere un “truffatore”, ora lo sono, esplicitamente, di essere un “mafioso”. Da parte di una persona che poi si arrampica a proporre delle sue intelligentissime, laboriosissime riforme al meccanismo. Cioè a riformaree la “mafia”. Divertente.
    @ Stan
    Molto divertente. Una inesattezza, però. Da come ha ricostruito lo scambio di battute fra Inglese e il sottoscritto, pare che lei creda che col mio peso preponderante avrei cercato di impedire uno dei votanti, il peso leggero Inglese appunto, di votare un determinato libro. Non è così, mi duole doverla correggere. Inglese lo aveva già votato, e in una discussione abbiamo commentato questo suo (e di altri) voto. Di nessuno dei Lettori è mai stato messo in discussione il voto prima di farlo entrare in classifica (a meno che il segretario delle Classifiche o uno dei coordinatori si accorga che detto libro non è votabile in quanto riedizione, o uscito prima dei termini, o di autore non vivente ecc.).
    Dopo di che, le auguro di perfezionare vieppiù il dignitosissimo Nulla di cui si compiace.
    @ Giulio Mozzi
    La similitudine che fai tra gli effetti collaterali di Parola plurale e quelli delle Classifiche Dedalus è molto imprecisa. Io sostengo che il fine (nonché l’esito principale) di queste ultime è segnalare autori e opere di qualità, e che l’esito collaterale e preterintenzionale è quello (che tu consideri invece principale, se non unico) di comporre una mappa della società letteraria (o, direi, della post-società letteraria) italiana. Dopo di che io cito il precedente lavoro di Parola plurale, sostenendo che suo fine (ed esito) sia stato quello di segnalare autori e opere di qualità. Le due esperienze, a mio modo di vedere, sono accomunate dall’essere caratterizzate da un giudizio critico espresso non da un singolo ma da una comunità (la cui natura evidentemente cambia con le sue dimensioni, ma andiamo avanti). Tu rispondi che le due operazioni (definendo Parola plurale «un bellissimo lavoro», e di ciò ti ringrazio molto) sono accomunate dal produrre un «canone». Su questo termine potrei discutere a lungo, ma rinviamo questa discussione. Però, se di «canone» si può parlare a proposito di Parola plurale, è degli autori antologizzati, non (mi pare) dei critici che si presero il compito di antologizzarli. E dunque, se proseguiamo in questa similitudine, converrai che il canone (fra tutte le virgolette del caso) delle Classifiche non può essere quello dei Lettori bensì quello degli autori e delle opere segnalate. Sbaglio?

  74. Come volevasi dimostrare l’azione di troll di georgia ha avuto effetto: si è accodata Maria e ora anche tu

    Cortellessa,
    hai avuto un abbaglio. E’ georgiamada (commento delle 13.25 del 19 novembre) che ha paragonato il fare, l’essere una lobby a essere una “mafia”, e ovviamente l’ha imputato a me. Io le ho risposto ironicamente (parafrasi) “come no, per me è una mafia la classifica, e per me solo, mica per mozzi che scrive di rendere pubblico fin dall’inizio che si tratta di una lobby (il posizionamento) al cui discorso (al suo, al titolo di biondillo, a quello di garufi) io mi sono attenuto fin dall’inizio” ecc.

    Ho scritto a georgia che non le avrei più risposto proprio perché sta facendo il troll e depistando la discussione. Ora visti gli effetti la mando cordialmente affanc…

    Prego Andrea di confermarmi di aver letto queste righe.

    Ps le proposte da me fatte non sono intelligentissime né laboriosissime, sono banali, semplici applicazioni della statistica che farei io così come altri miei amici interessati alle classifiche di qualità con cui discuto spesso sui meccanismo dell’editoria. Purtroppo tu prendi come un fatto personale quello che invece è un interesse vero e condiviso (almeno da me e da chi conosco) per un meccanismo di votazione che sia più oggettivo e meno dipendente dal numero di letture che ha ogni libro e che è determinato da conoscenze personali o dalla considerazione di cui gode l’autore nell’ambiente (due cose che influenzano direttamente la classifiche: un libro più letto di altri consegue, statisticamente, maggior punteggio di altri).

  75. Mozzi
    “La classifica già mostra, oggettivamente, quali sono i libri più interessanti del momento per una “società stretta”, ossia per un gruppo di persone che si sono autoproclamate – in nome della loro indubbia “competenza” – difensori della “qualità” contro l’ “intrattenimento”.”

    E’ esattamente vero, “interessanti” per una “società stretta”, perché nell’interessare è compreso il legame personale, la considerazione del nome dell’autore e insomma la scelta del chi leggere, . Ma se la classifica vuole essere di qualità, e non di interesse per la cerchia ristretta, allora, è esattamente quello che tu metti in luce il problema: che invece di valutare la qualità dei libri, e di porgerla ai lettori fuori dalla cerchia ristretta si valuta l’interesse. Tu cosa chiedi, cosa auspichi che sia questa classifica, una classifica di qualità, e cioè una classifica che serva a chi è fuori dalla cerchia, o una classifica sugli interessi dei votanti, che serva solo ai votanti per determinare la loro considerazione dentro la società stretta?

  76. @andrea branco
    “non intendevo dire che quei ipotetici 7 avrebbero spinto un amico, ma solo che si eviterebbe che il giudizio di pochi contasse più che quello di alcuni di più, ma con punteggio minore”
    Innanzi tutto ti faccio notare che rendendo tutto trasparente tu non avresti questi dubbi su come un libro ha raggiunto 42 punti. Sapresti se è stato letto e votato da 7 persone (7×6) o se è stato letto e votato magari da 21 persone (21×2). E allora, a questo punto, se il criterio per te più importante per determinare la qualità è il numero delle letture, leggeresti il secondo. Tenendo conto che però nessuno dei 21 ha dato a quel libro un punteggio alto: forse è un libro molto buono per tutti ma non eccellente. Io invece preferirei correre un rischio, e leggerei quello letto da 7 per vedere se è un capolavoro come dicono quei votanti o no. Se non mi piacesse dovrei dedurre che: 1 io e loro abbiamo gusti molto diversi o opinioni critiche sulla letteratura molte diverse —- oppure 2 loro hanno spinto un libro non meritevole evidentemente perché ha prevalso un voto basato su aspetti affettivi e non critici. Tendenzialmente non sono un tipo portato a sospettare o vedere malafede facilmente, quindi probabilmente sarebbe la 1. Postilla la 2 prevede anche un voto condizionato affettivamente ma in buonafede.

    “Non guardo una classifica per sapere se persone che stimo, o che conosco, hanno votato un libro.”
    Nemmeno io. Per esempio, io conosco un po’ l’ambiente di NI e degli scrittori milanesi. Se un libro di un autore di NI ha un punteggio alto, vorrei sapere se a votarlo son stati in gran parte altri di NI o votanti non legati a NI. Nel primo caso non sarei molto motivato a leggere quel libro, nel secondo sì. E questo non perché pensi male dei votanti di NI ma perché in generale dovendo scegliere preferisco il giudizio di chi vota libri di autori con cui non è in stretto contatto. Se i votanti di NI votassero quasi tutti un libro di un autore del tutto distante da NI, probabilmente lo leggerei.

    “Questa, del leggere cose consigliate o scritte da persone vicine è per altro una delle cose per cui tu vorresti che il voto fosse palese. Ma lo vorresti per capire se persone che conosci e apprezzi hanno letto il tal libro, così da comprarlo? O per evitare il libro perché pensi sia stato votato da quella persona, che pure apprezzi e conosci, solo perché tale persona conosce e apprezza chi ha scritto il libro?”
    Ti ho appena risposto.

    “E se il libro fosse effettivamente un bel libro? Se fosse un bel libro, in quest’ultimo caso te lo perderesti perché l’avresti evitato, e magari ci arriveresti tra anni.”
    Statisticamente ritengo più sicuro il voto verso il libro di un autore con cui non si ha stretto contatto. E del resto stimo di più i votanti che leggono soprattutto libri di autori che non conoscono di persona e di cui non hanno neanche una idea precisa per sentito dire. Io se fossi un votante farei così (come credo sostenga anche Mozzi) perché è esattamente questo che secondo me vuol dire fare un servizio a un pubblico di lettori di qualità.
    Comunque, se anche non si volesse rendere palese chi ha votato chi, si potrebbe segnalare il numero di letture di ogni libro, già questo aiuterebbe la scelta, come descritto nel primo punto.

    “Se fosse brutto, e però l’avessi comprato, penseresti che il voto è stato dato per amicizia, etc. Non diventa troppo complicato, così? Si finisce col non fidarsi più di niente e nessuno, mi pare. Poi magari è una mia impressione, boh.”
    Non mi interessa tanto decidere perché è stato dato un voto, bensì arrivare al meccanismo più oggettivo e trasparente in modo che la scelta del lettore di qualità sia consapevole.

    “Riguardo al togliere il punteggio da 1 a 6:
    ognuno ha metri di giudizio diversi, e magari a due persone piace lo stesso libro, ma uno decide di dargli 6, e l’altro vuole magari segnalare anche un altro libro, e così dà 4, per dare 2 ad un altro. Non è che ha abbassato il voto per fare un’altra segnalazione? Il voto “giusto” sarebbe stato 6 o 4? Se hai due segnalazioni, è vero che non puoi pesarle, ed il singolo lettore ha meno scelta, ma sulla quantità dovrebbero venire comunque fuori i libri ritenuti migliori da molti.”
    Il problema sarebbe risolto alla radice se tu dovessi dare un voto da 1 a 6 a ogni libro che leggi, come propongo. La classifica sarebbe la media dei voti, indicando anche il numero dei votanti (sotto una certa soglia di votanti il libro non entrerebbe in classifica, ma si potrebbe anche fare una classifica degli esclusi per poche letture). Così potremmo correlare voto a numero dei votanti, senza più il problema di distribuire il punteggio. Nota bene. La classifica non sarebbe perfetta perché ci saranno votanti di manica stretta e votanti di manica larga, chi dà 6 come niente e chi lo dà solo a Kafka. E i votanti non sono equamente distribuiti nelle letture. Quindi neanche le medie producono una classifica perfetta. Però ammetterai che questo difetto è tutto sommato trascurabile vista la casualità della distribuzione dei votanti nella classifica delle letture e in ogni caso è un difetto molto minore di quello che produce l’attuale sistema di voto, dato che non dice neanche il numero delle letture di ogni libro.

    “Il problema della valutazione sulla quantità di lettori è che, causa distribuzione (per distribuzione intendo tutte le varianti per cui un libro può capitare in mano ad una persona), un libro venga letto da 30 persone, e un altro da solo una. Ma questa è una cosa che accade anche ora, e si vedono libri con 1, 2, 3 punti (evidentemente votati – forse anche letti? – da 1 persona, o 2 o 3).”
    Benissimo, la distribuzione influenza la lettura. Rendendo trasparente il numero di letture di ogni libro si può pensare che un libro letto e votato da pochi sia un libro che magari vale ma che è di autore poco conosciuto nell’ambiente o che pubblica per un editore carente quanto a distribuzione, come appunto penserei io (la terza ipotesi: è un libro spinto da amici ho già detto che è l’ultima che considero).

  77. Per me la poesia di Andrea Raos è la riva su laquale è nato il desiderio di conoscere la lingua italiana come se fosse la mia- di terra nativa.

    Il lirismo trattenuto di Andrea Raos viene della danza precisa della lingua, del ritmo che il dolore di “essere” imprime.
    L’assenza dell’emozione è in realtà presenza acuta, interiorità cosi profunda che ogni elemento della natura – di preferenza liquida o minerale- assorbisce l’anima.

    La poesia di Andrea Raos annuncia la catastrofe umana- profetica- si alza un paesaggio caotico in un vertigine di silenzio- in intermittenza la parola della nostra tragedia. La natura è il teatro della guerra che il desiderio non appaga nel rifiuto del linguaggio affetivo, la sua impossibilità.

    E’ l’avvento della lingua come dramaturgia- dell’uomo- speranza di unire nella lingua rifiuto e accettazione-abbandono e fedeltà- disordine e armonia
    distruzione e costruzione.

    Andrea Raos è un dei più talentuosi poeti italiani- il mio preferito.

  78. Giulio, dici di me in un tuo commento:

    Ovvero: l’onerosità del “lavoro di servizio” (non il leggere, ma il dover sopportare le dicerie, le accuse ecc.) ha ormai superato per te il vantaggio dello “status symbol”.
    Oppure: quello “status symbol” lì non ti si addice più; il lavoro di “sostegno psicologico agli autori non commerciali” (battuta di Andrea Inglese che apprezzo assai, perché mi pare dica una cosa vera) potrebbe oggi – oggi che non sei più lo scrittore sgarrupato di una volta – risultarti non più conveniente dal punto di vista dello “status symbol”. Chi vuole crescere socialmente sa che, a un certo punto, deve cambiare salotto. Anche perché i “lavori di servizio” che si possono fare quando si attinge uno “status symbol” superiore possono essere davvero importanti e belli.

    Giulio, più la prima delle tue ipotesi che la seconda. Vedo ad esempio come il buon Lorenzo cerchi di portare avanti un sistema “quanto più oggettivo” di votazione, e sono certo che se lo applicassimo comunque qualcuno avrebbe da ridire. E probabilmente non solo per malignità o dietrologia anche se sembra, a leggere certe reazioni, che non si riesca a uscire dal sospetto. Su questa cosa ci penso da anni, ben inteso, non da ora. Succede in ogni tipo di gruppo, ristretto o meno, eliltario o meno. Ma forse ogni gruppo, per quanto numeroso, è elitario, in quanto interessato “per davvero” (o per ragioni sue) ad un argomento che non interessa a “tutti gli altri”. Ti faccio un esempio, l’ho chiamato “l’effetto IBS”: i commenti su un libro, nel sito di IBS, se il libro ha una certa visibilità (anche minima) si sviluppano spessissimo nello stesso modo. I primi sono lodi. Di lettori entusiasti, ammiratori, etc., dopo un po’, inesorabilmente, arrivano i commenti negativi. Ma negativi in modo aggressivo, violento. Dietrologici, allusivi, volgari. Non solo nei confronti del libro, o dell’autore, ma persino nei confronti dei commentatori entusiastici. C’è qualcosa di malato in tutto questo che probabilmente non si può sanare. Qualunque sia la dimensione del “gruppo”.
    Quindi sì, ad un certo punto uno si scoccia. Forse questo sistema, il Dedalus, con tutta la buona volontà (e io gliela riconosco) non potrà mai portare con sé se non sospetto, maldicenze, cattiverie. Chissà, forse è così anche con altri tipi di gruppi e discipline. C’è chi ci sguazza, chi ce la fa, chi proprio non ci riesce. Io ho capito che il lavoro di “sostegno psicologico agli autori non commerciali” forse lo posso fare in un altro modo. Come ho sempre fatto, cioè: leggendo e consigliando, diffondendo, recensendo, parlandone in giro, etc. Mi prendo la responsabilità della mia opinione senza il bisogno di dare un voto dentro una classifica che viene sistematicamente contestata. E d’altronde ogni giurato ha il suo sistema di votazione, (ovviamente più che lecito). Tranne le prime votazioni io decisi quasi subito di concentrare il mio “pacchetto voti” su un solo libro per categoria (tranne rarissimi casi,che spesso avevano a che fare con la scadenza dei termini di votazione). Cioè: anche se avevo, per dire, letto 5 libri di una categoria, sceglievo di dare visibilità ad uno solo. Perché? Per un mio piccolo calcolo che forse era sbagliato, ma era il mio. Libri che probabilmente nessuno ha letto (immaginavo, senza controprova), libri di autori che meritavano di essere nominati, di case editrici che non hanno normalmente visibilità, o giovani scrittori, o saddiocosa, ma ogni volta che ho dato 6 punti non ho pensato “ecco, questo è un capolavoro!” Mica ho la fortuna di leggerne uno ogni 2 mesi! Era un metodo giusto di votazione? Non lo era? Vedi? Io stesso ho dubbi su di me, figuriamoci sull’intera impalcatura.
    Quindi, davvero, la seconda tua ipotesi, per quanto affascinante, purtroppo (per me) non è valida. Data la mia condizione di scrittore relegato dai critici laureati (che non mi leggono, e lo dico senza acrimonia, ma con la certezza delle prove oggettive) nell’alveo degli autori di monnezzoni, il mio ego estetico dovrebbe sopportare gli oneri del “lavoro di servizio” pur di stare in un gruppo ristretto che in qualche modo mi concede un vago lucore che assomiglia ad uno status symbol. Mi conviene stare “qui dentro”. Anche perché l’altro “qui dentro”, quello dei “generisti che odiano la letteratura d’elite perché l’unica letteratura che racconta la realtà è quella del genere” non mi ama. Troppo scritto, troppo letterario. È una situazione demenziale, se ci pensi. Che non ho vergogna a dirti che ogni tanto mi fa soffrire, è come se non trovassi requie, riposo, come se fossi il Calimero della situazione. Però, poi, guardando da fuori tutto ciò, quando mi arriva a casa un bollettino della Agenzia delle Entrate, per dire, mi guardo, guardo le mie piccole ossessioni, il mio desiderio di piazzarmi in questo o quel divano di questo o quel salotto proustiano (d’accordo con te, Proust ha già detto tutto su ciò) e mi sento appunto un gheriglio innicchiato nel guscio di una noce convinto d’essere padrone del mondo. Non so, sarà che sto passando un periodo depressivo, ma tutto ciò non ha senso. Per me, ora, non ha senso. Mi guardo e mi sembro ridicolo.
    Nessuno sarà mai fuori da nulla, è certo. Nessuno può tirarsi fuori, ognuno si posiziona, hai ragione. Non so neppure se questo mio “posizionamento” mi sarà utile o meno. Più semplicemente passo la mano. I libri continuerò a leggerli e consigliarli. Mi prendo le mie responsabilità, fuori da un gruppo di persone rispettabilissime (e che ammiro) mettendoci nome e cognome in fondo. Il mio.

  79. @Gianni
    Ci sono cose che scrivi qui e in cui riconosco molti miei pensieri, non recentissimi devo dire, perchè all’idea di appartenere a una società letteraria ho rinunciato (con sofferenza, perchè mi pareva di avere qualcosa da dire) ma prendendo atto che si nutre di alleanze e frequentazioni più che di opere, e io ho già fin troppo poco tempo per scrivere. Ho rinunciato anche a leggere sistematicamente e a recensire quel che mi piacerebbe, anche se quest’ultima cosa mi sembra buona e giusta. Troppi libri non hanno chi li presenti, e se lo meriterebbero: una volta lo si faceva nei giornali ma oggi le rece sembran tutte marchette uguali e i critici seri (tipo Cortellessa, che scrive praticamente su tutto) non han mica una giornata di 64 ore e poi ci hanno i loro gusti, poveracci. Così ci sono i 150 lettori o 200 di Dedalus, ma anche questo è un pollaio messo insieme per affinità, e ci ha pure ragione Giulio, a dire che l’universale è un’altra cosa. Un gruppo di amici che consiglia i propri sodali e fiduciari va bene, ma una giuria di qualità che pontifica erga omnes dovrebbe avere uno sguardo a 360 gradi su tutto ciò che si pubblica, ma anche valorizzare secondo le intenzioni, che non sono sempre di lasciare un segno nella storia delle patrie lettere ma magari di scrivere una storia che lasci un segno nell’anima, e per me per esempio letteratura è più questa seconda cosa, e leggo più volentieri Biondillo e Avoledo che la perenne gravidanza di soggettività post-moderne, così ti restituisco il favore che mi hai votato il librino e siamo ancora pappa e ciccia più di prima, ma quand’è che si beve una cosa insieme con il Franz?

  80. @giulio:
    ormai la discussione ha preso tutta un’altra piega e, a parte notare che proust non lesinava certo quanto a cinismo, mi limito a segnalarti che sostenevo l’esatto contrario: il punto non è che chi è “fuori” non sa leggere questi posizionamenti (questo è ovvio) ma che ormai non riesce veramente a leggerli nemmeno chi è “dentro”. e non per accecamento ideologico più o meno in buona fede, come intendi tu rispetto a cortellessa e biondillo, ma perché il tessuto connettivo di quella che una volta era la civiltà delle lettere, o il dibattito letterario, o il circuito della produzione letteraria, mettila come vuoi, si sta sfilacciando. e lo prova, secondo me, questa vicenda del dedalus che, in teoria, dovrebbe comporre soggetti che ancora riconoscono quel tessuto e sanno leggere quei posizionamenti ma a conti fatti mostra come i convenuti (e mi prendo come esempio) non si muovano tutti sullo stesso piano e in base a interpretazioni comuni.

  81. @ Lorenzo Galbiati
    Ho letto la frase di cui mi chiedi ricevuta. In ogni caso, sia pure in forma di preterizione, la parola “mafia” l’hai pronunciata. Ma credimi, non te ne voglio. Ci siamo conosciuti e credo che siamo sicuri l’uno della buona fede dell’altro. Il guaio è che il concetto, se non la parola, circola a me attribuito da quando questa cosa qui l’abbiamo fatta cominciare. Sono convinto che molte persone lo pensino in buona fede, ancorché accecate dal risentimento e dalla frustrazione personale. Ma sono altresì convinto che ci sia chi lo dica appunto per far salire l’irritazione e la frustrazione di chi porta avanti questa cosa sino al punto che il MA CHI ME LO FA FARE l’abbia vinta. Ed è proprio per far soffocare nella bile questi, che insisto. Perché invece a costoro con tutta evidenza brucia, che ci sia una cosa così e che tutto sommato (in tutti i sensi) FUN-ZIO-NI. Prova ne sia che nessuno risponde alla mia archi-domanda: in questi due anni ha funzionato? ha segnalato libri validi o libri-truffa? lo ha fatto con continuità, spaziando dalle proposte delle majors a quelle della nicchia? A questa domanda facile facile non si risponde perché qui stiamo discutendo fra persone che sono “dentro”, o credono di esserlo, dentro una “società stretta” che, caro @Giulio Mozzi, non è vero che si può osservare con fredda e divertita entomologia sociologica per il semplice motivo (lo diceva poco fa Gherardo Bortolotti) non c’è ancora (ma, come ho ripetutto più volte, questa cosa vorrebbe contribuire a formare); e dunque queste persone qui convenute dicono di essere sempre perfettamente informate di tutto quello che di valido viene pubblicato (e vorrei proprio sapere con quali mezzi si informano, stanti le condizioni dell’informazione culturale nel modo appena mostrato da Sergio Garufi). Ma se i risultati sono seri e provvedono in effetti a segnalare ciò che va segnalato, e qui si dice che però questo lo si sapeva già, è appunto il segno che le Classifiche sono rivolte al pubblico più largo – come infatti ho sempre sostenuto – e che proprio in considerazione di ciò il loro vero difetto è – come infatti ho sempre sostenuto – di non essere riuscite a farsi conoscere da tale pubblico più largo.
    Quanto alle riforme alla mafia, permettimi di aggiungere una piccola cosa. Quello che trovo faticoso e a tratti snervante nel tuo atteggiamento (non sei il solo “riformista aggressivo”, ma certo il più continuo) è che tu non ti poni neppure l’interrogativo se i coordinatori abbiano o meno pensato a lungo, a quali potessero essere i pro e i contro del meccanismo infine prescelto (delle riforme, rispetto all’impostazione iniziale, e su aspetti che invece non trovo mai sollevati, sono stati infatte tacitamente apportate). Per es. insisti tanto sul voto palese, ma se è stato scelto il voto segreto una ragione, più ragioni, non pensi che siano state prese in considerazione?

  82. in questi due anni ha funzionato? ha segnalato libri validi o libri-truffa? lo ha fatto con continuità, spaziando dalle proposte delle majors a quelle della nicchia?

    ti rispondo io, che non sono sospettabile di simpatie o di appartenenze alla cricca (lobby casta ecc.) e che inizialmente non ho avuto alcuna simpatia per l’iniziativa “di qualità” (termine obbiettivamente un po’ infelice)
    Sì, ha funzionato, o meglio funziona. Io sono venuta a conoscenza di libri che poi ho letto, molti comprati.
    Approfitto per ringraziare in particolare per la segnalazione di Giovannetti/Lavezzi, La metrica taliana contemporanea. Non so chi l’avesse votato (e NON mi interessa) e sicuramente è stato per reconditi e inconfessabili motivi;-), ma io l’ho comprato con vero piacere e cosi numerosi altri. Su alcuni ho bestemmiato dopo averli letti (ma peggio per me che non li ho prima sfogliati in libreria, infatti sarebbe bastato poco per capire che erano incomprabili e illeggibili), direi che il settore più delicato sia proprio quello della narrativa, infatti lo seguo poco anche se, grazie a quello, ho letto viola di grado che ho trovato notevole e inaspettata.
    Si, funziona e se chiudete a me dispiacerà, certo se vi devono venire ogni volta travasi di bile è meglio che lasciate perdere ;-)

  83. @Cortellessa
    Vedo che ancora parli di mafia in relazione al mio discorso: se ti piace auotoflagellarti, fai pure, ma ottieni l’effetto di far pensare che cerchi di provocarle, le accuse di mafia.
    Venendo alle questioni reali.
    Ecco le mie risposte, da lettore che vorrebbe avere una classifica di qualità.
    No: la classifica non funziona. Non funziona in quanto non è una classifica ottenuta con rigore e che possa dirsi riferita prima di ogni altro criterio alla qualità. Il perché l’ho già spiegato estesamente. Non accetto il tuo modo di impostare il discorso: i libri segnalati son buoni o son fuffa. Troppo comodo. Ci sono molti libri buoni in circolazioni che non ricevono adeguata visibilità. Se il risultato più condiviso da chi ci vede del buono nella classifica è quello di segnalare ai lettori libri poco noti meritevoli di lettura, non c’è bisogno di fare una classifica di qualità: basta una lista di libri stilata da un critico degno. Anche in quel caso il lettore di qualità converrà che le segnalazioni sono interessanti. Si vuole allargare questo a molti scrittori/critici? Bene, si faccia una lista di libri collettivamente, e senza voti. Il risultato sarà lo stesso, ma la lista fornirà più titoli di libri di quella di un critico singolo.
    Se si vuol fare una classifica, e basata sulla qualità, il meccanismo non può essere il presente.
    Intanto, prendo atto che quanto meno mi hai risposto sul punto propedeutico a ogni discussione ossia a chi si rivolge la classifica: la classifica si rivolge a un pubblico largo, non alla cerchia ristretta. Bene, quindi anche a me. Perché a leggere molti commenti sembrava quasi fosse una specie di tecnica di terapia di gruppo per sostenere scrittori bisognosi di considerazione. In questo caso, il primo libro della lista sarebbe in pratica il libro dello scrittore più depresso.
    Infine, dici che sono aggressivo, che non mi chiedo il perché del meccanismo di voto: io te l’ho chiesto fin dall’inizio, e non mi pare tu ti sia profuso in spiegazioni che andassero oltre il “la mia mentalità è questa”.
    Anche ora ti attacchi alla questione dello svelare chi ha votato chi. Che come ho già detto sarebbe l’ultimo passo, il meno indispensabile per rendere la classifica una vera classifica. I punti cruciali sono 1 il come viene attribuito il voto: il meccanismo presente rende vano o al massimo remoto il collegamento con la qualità (l’ultimo intervento di Biondillo, quando parla del come vada o meno distribuito un pacchetto di 6 punti, ne è l’ennesima conferma); 2 il numero di votanti che hanno letto un libro, dato ineludibile per collegarsi alla qualità (visto che i libri in classifica non sono letti da tutti i votanti) specie se non si vuole cambiare il criterio di voto.
    Se vuoi spiegare perché non vuoi modificare questi due punti essenziali o quello della trasparenza sul voto, son tutto orecchi.

    Per quanto riguarda il discorso di Mozzi, che credevo all’inizio avesse un valore notevole, visto il risultato cui vuole pervenire, sono arrivato alla conclusione che è un discorso fine a se stesso. La cerchia dei votanti è ristretta, sono una lobby, la loro classifica è la classifica di una lobby. Siamo al limite della dell’ovvietà. Ogni classifica è la classifica di una lobby: quella dei votanti. Anche i giudici dei tuffi dal trampolino alle olimpiadi stilano una classifica di qualità che è espressione di una lobby, la loro. Altri giudici darebbero un risultato diverso: la qualità sarebbe diversa. La qualità è sempre un “secondo loro”. A chi serve proclamare un fatto così ovvio? A nessuno. Le differenze sostanziali tra la lobby dei giudici del pattinaggio olimpionico e quella dei votanti della classifica sono due:
    1. i giudici del pattinaggio non selezionano i concorrenti
    2. i giudici giudicano con un voto fisso (non con un pacchetto da distribuire) ogni concorrente e la classifica finale dipende dalla media dei voti (ho semplificato, ci sarebbero da considerare le difficoltà del salto ecc.).
    Al primo punto in una classifica di qualità si può ovviare parzialmente dicendo quante letture ha avuto un libro. Il secondo punto si può applicare, volendo, a ogni libro letto senza difficoltà.

  84. Messer Cortellessa,
    non capisco se lei è ingenuo o troppo preso dal suo ruolo. Non credo che sia all’oscuro del fatto che, in Italia, la percentuale di persone che leggono libri è bassissima, mentre è invece molto ampia la fascia di analfabeti. Chi legge, e a maggior ragione chi è in grado di farlo nei termini di 20 libri all’anno (e oltre), non ha difficoltà a trovare libri di qualità. D’altra parte, viene spontaneo costruirsi, insieme a una specifica “strategia di lettura”, una modalità individuale di ricerca dei libri adatti al proprio “gusto”. Io, ad esempio, non tralascio nulla e seguo metodicamente i quotidiani, le riviste e la rete, oltre ad un sano e imbattibile passaparola e alla frequentazione regolare delle librerie. Ma io sono, per l’appunto, un privilegiato; posso spendere tempo e denaro per la lettura. Ecco perché la classifica appare al sottoscritto, nel complesso, inutile: perché, in generale, il potenziale fruitore non ne ha bisogno. Prenda i primi cinque della narrativa: Frasca, Sortino, Di Paolo, Tabucchi, Covacich. Davvero pensa che la classifica serva a far conoscere questi autori? Ma se ne parlano tutti! Del libro di Frasca hanno scritto Il Manifesto, La Stampa, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera, oltre a Il Verri e a Rai3 … Insomma, chiunque segua, anche distrattamente, le cose letterarie sa che il libro di Frasca esiste. Così come sa che esistono i libri di Grazioli o di Ceronetti, classificati nelle parti basse, per non dire di quello di Nesi. E gli altri lettori? Non dico gli analfabeti, che di solito non leggono; dico quelli che di libri ne leggono uno-due-dieci all’anno: come si può pensare che approdino a Frasca? Cercando “intrattenimento”, transiteranno da Moccia, nei casi più disperati (la maggioranza, purtroppo), oppure nei pressi della Mazzantini o verso i musicisti-scrittori (Guccini, etc.), al limite approderanno, in particolare se “di sinistra”, nei paraggi di Wu Ming. La lettura non può essere separata dal grado generale di cultura posseduta; e il livello delle “competenze” è veramente basso. Credere che la classifica possa risolvere questa “distanza” è illusorio. Potrà farlo in casi particolari, ma quantitativamente limitati. Ribadisco l’impressione: la classifica è un gioco di società; in quanto tale, legittimo e indolore. Esasperarne la sua funzione non mi pare che le giovi (non giova alla classifica e non giova a lei).

    Suo per mai,

    Stan. L.

  85. @ Lorenzo Galbiati
    «non c’è bisogno di fare una classifica di qualità: basta una lista di libri stilata da un critico degno». Benissimo. Chi? Chi lo elegge? Con quale meccanismo? E questo «critico degno» avrà uno spazio degno, a sua disposizione, dove diramare la sua lista? Uno spazio sufficientemente visibile?
    Il problema della critica è a monte del meccanismo-Classifiche. Come ho detto più volte, queste ultime nascono appunto in considerazione della, e per reazione alla, caduta delle agencies di formazione dell’opinione (in questo campo) che, qualcuno qui mi pare le abbia elencate, erano in passato appunto 1) la critica in senso stretto, 2) l’informazione culturale in senso lato, 3) l’editoria di cultura, 4) le librerie indipendenti. Tutte agencies decadute, o destituite di credibilità, nel periodo dell’egemonia culturale neoliberista. Le Classifiche hanno un ruolo di supplenza, e mia opinione è che lo svolgano decentemente. Che poi tu dica che “finalmente” si ammetta che sono rivolte al di fuori della “società stretta” al solito mi sorprende, perché questa cosa io l’ho sempre detta(sono altri a dire il contrario, a partire da @Stan, il quale è infatti informatissimo; senz’altro più informato di me, per es., che ignoravo che del libro di Frasca – e sì che è un autore che seguo abbastanza – si fosse parlato sulla «Stampa» e sul «Corriere della Sera» e sul «Sole 24 ore»). Che poi effettivamente raggiungano tale pubblico, è tutt’un altro paio di maniche. Ma anche questo l’ho già detto infinite volte.

  86. Lorenzo Galbiati scrive, rivolgendosi a me: “Tu cosa chiedi, cosa auspichi che sia questa classifica, una classifica di qualità, e cioè una classifica che serva a chi è fuori dalla cerchia, o una classifica sugli interessi dei votanti, che serva solo ai votanti per determinare la loro considerazione dentro la società stretta?”.
    Non auspico che quella di Dedalus sia una “classifica di qualità” perché trovo che il concetto di “qualità” sia proprio delle arti applicate (ho cercato di illustrare qui questa mia convinzione).
    Non credo che attualmente i Grandi Lettori del Dedalus votino escusivamente sulla base dei loro “interessi”: credo piuttosto il contrario. Credo peraltro che sia interesse di ciascun Grande Lettore votare per opere che ritiene belle, o almeno interessanti. Non c’è peraltro nessun bisogno di fare un discorso sugli “interessi”.
    Provo a spiegare ciò che mi pare ovvio (e che è già stato spiegato, già da Biondillo nel suo articolo). Il Grande Lettore X ha davanti a sé tre opere letterarie. Una è del suo scrittore preferito. L’altra è di uno scrittore a lui ignoto, ma che altri due Grandi Lettori hanno lodato. La terza è di un ignoto assoluto, e per di più pubblicata da un editore improbabile. Mettiamo che il nostro Grande Lettore abbia il tempo materiale (perché anche lui deve lavorare ecc.) di leggere un solo libro. Quale leggerà?
    Non so se il primo o il secondo. Ma sospetto che non leggerà il terzo.
    E non si può dire che qui siano in gioco degli “interessi”.

    Scrive anche, sempre Lorenzo Galbiati: “il discorso di Mozzi, che credevo all’inizio avesse un valore notevole, visto il risultato cui vuole pervenire, sono arrivato alla conclusione che è un discorso fine a se stesso. La cerchia dei votanti è ristretta, sono una lobby, la loro classifica è la classifica di una lobby. Siamo al limite della dell’ovvietà. Ogni classifica è la classifica di una lobby: quella dei votanti”.
    Osservo che:
    – in effetti è stupefacente che risulti così difficile vedere ciò che è ovvio (e, aggiungo, sotto gli occhi di tutti);
    – il “risultato al quale voglio pervenire”, nella contingenza di questa discussione, è il depotenziamento dei discorsi moralistico-perbenistici (la cui espressione parossistica mi pare sia appunto la ricerca della “riforma istituzionale” che costringa un’accolita di lobbisti a votare i libri “di qualità”).

    Gherardo Bortolotti: mi sono spiegato male, o più precisamente ho detto slo metà della cosa che volevo dire. Secondo me queste discussioni pubbliche, anche in quanto pubbliche, aiutano anche “chi è dentro” a comprendere un po’ meglio il funzionamento della Repubblica delle lettere italiana.
    (Dici che io avrei parlato di “accecamento ideologico più o meno in buona fede”, “rispetto a cortellessa e biondillo”: ma io credo totalmente nella piena buona fede di queste persone; e non ho messo l’aggettivo “ideologica” accanto alla parola “cecità”).

    Gianni Biondillo scrive: “Data la mia condizione di scrittore relegato dai critici laureati […] nell’alveo degli autori di monnezzoni, il mio ego estetico dovrebbe sopportare gli oneri del “lavoro di servizio” pur di stare in un gruppo ristretto che in qualche modo mi concede un vago lucore che assomiglia ad uno status symbol”.
    Oppure il tuo ego potrebbe accontentarsi delle buone vendite. Certi bisogni si hanno quando si vende poco, o si è agli inizi di carriera; si sentono meno quando si vende bene, o ci si sente ormai “assestati” in una carriera definita.

    Andrea Cortellessa scrive, rivolgendosi a Lorenzo Galbiati: “Ci siamo conosciuti e credo che siamo sicuri l’uno della buona fede dell’altro”. Questa è una frase assai interessante, rispetto alla discussione in corso. Andrea, crederesti nella buona fede di uno sconosciuto? Di uno che non fa parte della “società stretta”?

    Andrea Cortellessa ancora scrive: “Il guaio è che il concetto [emil concetto di “mafia”], se non la parola, circola a me attribuito da quando questa cosa qui l’abbiamo fatta cominciare. Sono convinto che molte persone lo pensino in buona fede, ancorché accecate dal risentimento e dalla frustrazione personale. Ma sono altresì convinto che ci sia chi lo dica appunto per far salire l’irritazione e la frustrazione di chi porta avanti questa cosa sino al punto che il MA CHI ME LO FA FARE l’abbia vinta. Ed è proprio per far soffocare nella bile questi, che insisto. Perché invece a costoro con tutta evidenza brucia, che ci sia una cosa così e che tutto sommato (in tutti i sensi) FUN-ZIO-NI”.
    Questo è complottismo della più bell’acqua, Andrea.
    Ti faccio notare che liquidi chi parla di “mafia” con tre argomenti ad hominem.
    – cecità da risentimento (in buona fede),
    – cecità da frustrazione personale (in buona fede),
    – malevola intenzione di far fallire la cosa.
    Che uno possa avere una certa opinione perché, ragionando, è arrivato ad avercela, pare escluso.

    Andrea Cortellessa scrive infine, rivolgendosi a me: “non è vero che si può osservare con fredda e divertita entomologia sociologica” la famosa “società stretta” – perché essa ancora non c’è.
    “Fredda e divertita entomologia sociologica” è un’espressione con la quale tu cerchi di liquidare il mio discorso: uno screditamento mediante rinominazione.
    A questo punto potrei dirti che tu sei di quelli che appena sentono odore di sociologia estraggono la rivoltella dalla fondina. Ma non sarebbe utile a continuare (e quindi nemmeno a chiudere) il ragionamento. Così come non è utile il tuo tentativo di liquidazione.

    Io non penso che sia inutile, per chi sta cercando di ri-costruire una società letteraria in Italia, cercar di incrementare la propria capacità di vedere il funzionamento della società letteraria stessa. (E, tra parentesi, pensando anche a Bortolotti: non è che una “società letteraria”, più o meno “stretta”, non esista – lo si può dire per iperbole, se vuoi -: è che quella che c’è non ti sta bene – è la “società letteraria dell’intrattenimento”, tra l’altro potentissima – e quindi cerchi di crearne un’altra che le si opponga. Entrambe le due società staranno poi all’interno della Repubblica delle lettere).

  87. Magari fosse così semplice, Giulio. Ma non voglio insistere sul mio “caso umano”, diverrei tedioso. Ne parliamo a voce, quando capiterà.

  88. @giulio: passiamo il tempo a correggerci l’un l’altro ;-)
    cmq di nuovo: non ho detto che non esiste una società letteraria ma che il suo tessuto si sta sfilacciando, per cui la sua percezione e il senso di appartenenza che la caratterizzano si stanno indebolendo. anche il fatto che tu identifichi una società letteraria dell’intrattenimento come diversa da quella che starebbe cercando di creare andrea mi sembra che confermi questa cosa.
    rispetto appunto a questa nuova/potenziale società letteraria, ho ancora parecchi dubbi. intendo: in effetti mi sembra si stia formulando qualcosa di nuovo ma la mia impressione è che il modello di riferimento per le nuove aggregazioni nel campo della produzione letteraria sia quello della comunità. ora, a differenza dei circoli (i salotti letterari o meno) che implicano uno scenario più grande che li contiene, una specie di spazio comune che può essere la società, la gente, la nazione etc. le comunità tendono ad essere autonome, a bastare a loro stesse (una delle tante accuse che, per esempio, viene rivolta in genere ai blog letterari). che poi questa autonomia sia continuamente smentita e riformulata è un’altra questione: mi sembra però importante che il tratto caratteristico sia questa specie di mancanza di uno sfondo comune. va beh scappo!

  89. @ Giulio Mozzi
    Mi dici che “liquido” chi parla di “mafia”, al mio riguardo e riguardo la comunità che da due anni mi sto sforzando di (non creare, @Gherardo, ma) operare per creare le condizioni in cui si formi. Mi dici come potrei fare diversamente, Giulio? Io so di non essere un mafioso, e la stessa cosa so di Casadei e Mazzoni, e tramite loro la stessa cosa so delle decine di Lettori, e tramite loro dei duecento attuali Lettori, molti dei quali sono stati proposti e presentati da altri Lettori.
    È vero, conoscere una persona – averla vista (con gli occhi e gli altri sensi) o averla letta (con continuità, e non solo le cose attraverso le quali pubblicamente si manifesta) – è il mio modo di confidare in essa. Infatti è proprio così – per cerchi sempre più ampi – che si è proceduto e si procederà nell’ampliare & diversificare la comunità delle Classifiche.
    L’accusa di “mafia” non è qualcosa che si possa discutere, come invece sono qui a discutere le osservazioni più o meno entomologiche che vengono da parte tua. Per questo trovo insensato che chi giudica tale, di nome o di fatto, le Classifiche poi si eserciti in macchinose proposte di loro riforma. Una mafia non si riforma, non si discute. Ci si batte per eliminarla – o la si subisce.
    Una definizione di mafia? Appunto: chi si mette assieme per esclusivo tornaconto dei propri componenti. Una definizione di gruppo, comunità, società stretta? Chi si mette assieme per il bene comune: comune, s’intende, ai componenti della comunità nonché, secondo la propria ideologia, anche a coloro che non ne fanno parte.

  90. Cortellessa
    “Per questo trovo insensato che chi giudica tale, di nome o di fatto, le Classifiche poi si eserciti in macchinose proposte di loro riforma. Una mafia non si riforma, non si discute. Ci si batte per eliminarla – o la si subisce.”

    Questa classifica di qualità è strutturata in modo talmente difettoso che autorizza accuse di ogni tipo a chi l’ha pensata e a chi vi partecipa. Per chi non sta a sottilizzare, anche accuse di mafia letteraria.
    Allora che fa uno come me, che sa che non sei/non siete mafioso/i? Cerca di spiegarvi, con banali esempi matematici, perché i criteri usati per arrivare alla classifica la fanno essere “classifica della considerazione e dei legami personali di cui un autore gode (al di là del valore (Mozzi legga al di là della bellezza) del suo libro”) all’interno della cerchia dei votanti”. E tu che fai? Dici che ti accuso di mafia e tu chi accusa di mafia non lo ascolti perché con la mafia non si cerca la riforma ma l’eliminazione.
    In altre parole, non si possono fare critiche al modo in cui hai approntato questa classifica, chi la critica si autoesclude dal dialogare con te.
    Allora, però, almeno sii onesto e dì che ti interessa solo il parere di chi vuoi portare dentro questa comunità di lettori/votanti. E augurati che, se questa classifica arriverà al grande pubblico come speri, non si sappia bene il meccanismo da cui scaturisce, altrimenti le accuse di mafia si moltiplicheranno a dismisura.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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