Un pezzo del nostro paese.

di Evelina Santangelo

Voglio ricordarmi:

delle parole di Nadia (operaia dell’Eurostets): «in una tenda puoi andare a dormire ma mica a lavorare… Ma si lavora per vivere, mica per morire…»

delle parole del cugino di un operaio rimasto sotto le macerie di un capannone della Haemotronic di Medolla): «Biagio non era per niente convinto di tornare al lavoro, ma non voleva perdere il posto…»

delle parole di due operai meridionali della Haemotronic di Medolla: «i soldi, tutto per il soldi… lavorare come cani e morire come cani».

Voglio ricordarmi delle parole di Michail, un operaio polacco che si è salvato dal crollo di un capannone della Bbg di Mirandola: «Avevo trovato casa e lavoro e ho perso tutti e due, non c’è più futuro in Italia per me e mia moglie».

Voglio ricordarmi dei musulmani che pregano per Mohamed, operaio della Meta di San Felice, «che non voleva tornare a lavorare, lo hanno obbligato».

E ricordarmi di Kumar che, come ripete il rappresentante della comunità dei sikh, «è dovuto andare a lavorare perché non poteva perdere il posto».

E ricordarmi di Pavel, romeno, che si è salvato dal crollo del capannone della Meta, e dice: «Non mi hanno obbligato, ma come fai a dire di no quando anche il padrone va dentro?»

Perché in queste parole, in questi brandelli di storie e spaccati di esistenze c’è in nuce un pezzo di biografia del nostro paese, del paese reale.

ps. Vorrei che queste testimonianze prese dai giornali e qui pubblicate fossero intese come un modo di custodire una memoria ancora viva che ci riguarda tutti, perché domani probabilmente non se ne ricorderà più nessuno.

Print Friendly, PDF & Email

3 Commenti

  1. Nel silenzio delle macerie, le voci sono ancora fantasmi, quelle venute da lontano, da terre straniere, ma anche quelle del paese, degli anziani, del tempo rotto. Tutti guardano l’orologia di una chiesa/ non perché segna le bellezza, ma perché parla di un tempo morto per tutti, di un tempo dove il lavoro si faceva con il rispetto della natura e degli uomini, di un tempo dove la casa riposava come il sole nel cielo, con le gambe nella terra. Oggi la terra ha una voce spaventosa: non c’è rifugio, riparo. Non si puo nascondere quello che è stato fatto veloce, senza ragione.
    Questo silenzio si parla in tutte le lingue.

    PS Per il momento non posso venire in Italia. Ma posso venire in agosto. E’ possibile aiutare?

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Paradossi di Sicilia

di Evelina Santangelo Un furgone carico di persone e cose si ferma nel cuore della città, in un parcheggio alberato...

1° Maggio – «Festa del lavoro»

Dal gennaio 2008  al 30 aprile 2013 sono morti per infortunio sul lavoro oltre 5000 lavoratori di cui 2553...

Chiusa nella mia stanza in un’abissale solitudine

«il Fatto Quotidiano» 10/12/2012 diario immaginario di Susanna Camusso di Evelina Santangelo   Scrivere aiuta a capire chi siamo, dove stiamo andando. Per questo...

Quello che siamo… Quello che vogliamo…

di Evelina Santangelo Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello...

Menomale che ho un tumore.

di Domenico Maione (un cronista napoletano). La seguente è una storia liberamente ispirata a quella di Carmen Abbazia. Cassintegrata Fiat...

Il pomeriggio del 23 maggio 1992.

Evelina Santangelo Il pomeriggio del 23 maggio 1992, ero su quell'autostrada in cui sarebbe scoppiata la bomba che avrebbe ucciso...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: