Due anni

Oggi sono due anni dalla morte di Vittorio Arrigoni. Lo ricordiamo con una canzone – a lui dedicata – di Marco Rovelli
http://www.youtube.com/watch?v=3VhI5_kzZeQ
Una vita normale (canzone per Vittorio Arrigoni)

Per vedere il mare in Brianza 
Ci vuole cuore e tanta fantasia
E tu che avevi il nome di Utopia 
Vedevi il cielo dentro la tua stanza

Il cielo aperto che cade nel mare 
E il mare lo sa di non avere confini
I confini son roba di piccola gente 
Che vive per poco e muore per niente

Per vedere ciò che non si vede 
Bisogna avere fede e coraggio
La fede che qualcosa deve accadere 
E il coraggio che chiede di volerlo vedere

E la tua Utopia ha preso il largo a vent’anni 
Hai scelto l’aperto del mare, o del cielo
Che poi è lo stesso concetto: 
Che qui c’è un mondo da fare

E la tua Utopia è arrivata in barca a Gaza 
E lì ha preso casa
In quella striscia di terra senz’aria 
C’è bisogno di respirare

Navigare, navigare
Mani ferme sul timone
Con il sole sulla faccia
Barra dritta, Utopia
Navigare, navigare
Con le ali di gabbiano
Né bandiere né frontiere
Il mare è di chi resta umano

Le bombe cadevano, bruciavano i corpi
Fiorivano gl’incubi al gelo del cielo
Il piombo fuso colava, la gente crepava
E non c’era misura per questo scempio,
Per questo massacro portato ad esempio
Al mondo intero, e allora scrivevi per farne figura,
per toglier paura a chi non s’è arreso

Dicevi dei segni lasciati nei sogni dei bimbi,
i visi scalfiti da rughe dei vecchi
che han visto due naqba e aspettan la morte
così come han vissuto, e han vissuto in gabbia,
e tu in quella gabbia sei voluto tornare,
in nave, per mare,
in migliaia erano al porto ad aspettare
le prime navi dal ‘67

E il tuo mare racconta, c’è da raccontare,
che cosa si vuole dopo quel terrore
Che non è difficile immaginare
che si vuole una vita normale.

Navigare, navigare
Mani ferme sul timone
Con il sole sulla faccia
Barra dritta, Utopia
Navigare, navigare
Con le ali di gabbiano
Né bandiere né frontiere
Il mare è di chi resta umano

Il silenzio dei bambini
che ti guardavano giocare
quel piccolo abbandono
che vi ha fatto abbracciare

Sulle strade troppo strette
di un quartiere senza nome
Un gioco che ti consegnava
alla tua rivoluzione

Che poi sarebbe meglio dire
che è la tua rivolta
ma il mondo non ascolta
e tu ti lasci trasportare

Dalle onde così alte
che ti sembrano colline
sono storie, rose, spine,
che non smetti di ascoltare

Hamza, il miscredente
che un giorno si è convertito
ed è morto, l’arma in pugno
ma dov’è il suo paradiso?

E Maha che in una terra
sempre più verde di martirio
si toglie il velo dalla testa,
basta con il sacrificio

E Fida che al contrario
il velo lei non lo portava
e decide di volerlo,
non vuole essere schiava

E poi tutti i tuoi amici
contadini, pescatori,
minatori dentro al tunnel,
di una terra senza un fuori

E chi distilla l’alcool,
e chi canta la sua canzone
e chi sogna un’altra terra,
e le coppie che fanno l’amore

E la vita che ci prova,
ci prova ad essere normale
e c’è sempre tutto un mondo
che si deve liberare

Navigare, navigare
Mani ferme sul timone
Con il sole sulla faccia
Barra dritta, Utopia
Navigare, navigare
Con le ali di gabbiano
Né bandiere né frontiere
Il mare è di chi resta umano
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3 Commenti

  1. “il mare è di chi resta umano”

    grazie Marco per il cuore con cui canti Vittorio, che da sognatore ha vinto anche la morte.

  2. mi unisco al ricordo di Vittorio con una poesia che ho scritto due anni fa per lui.

    Chi resta umano non svanisce
    e non finirà mai sulle magliette
    stampato, lo sguardo assorto
    pipa, taccuino e il suo cappello
    a scolorire nei nostri lavaggi
    di cosa metto oggi per uscire.

    Chi resta umano non svanisce
    e sarà ancora in qualche grotta
    buttato ad amare senza invito
    col sorriso e nella mano aperta
    un regolare biglietto di cicatrici
    paure e incoscienze da offrire
    a chi lo cerca dicendosi fratello.

    E persa la vita perde i confini
    il nome Vittorio che ora sei terra
    accessibile alla notizia di tutti
    e a me che non ti conoscevo,
    reperibile dunque non assente
    e vicino al foro che ho sul petto
    bruciato da quel tuo passaggio.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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