Clandestinità

di Giovanni Giovannetti
(prelevo, con il consenso degli interessati, questo molto interessante scritto dal Primo Amore, a.s.)
bare-lampedusa
«Se alle elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico». Lo ha detto Beppe Grillo, con buona pace della ragione, dell’interesse nazionale e di ogni residuo di idealità, in linea col più becero-populista-opportunista leghismo sedimentato nel maroniano “pacchetto sicurezza” che, il 24 aprile 2009, introdusse l’odioso reato di immigrazione clandestina (clandestino diventava anche chi non poteva più disporre del permesso di soggiorno).

Maroni. Lo ricordate? Nel 2008, quando era ministro degli Interni, introdusse le impronte digitali ai bambini Rom. Per la parte relativa ai migranti, il suo pacco o “pacchetto sicurezza” venne anche condannato dalla Corte europea dei diritti umani. Anni in cui un comico genovese, in empatia o in concorrenza con Lega e ministro, dal suo blog già arringava i fedeli a credere obbedire e combattere i Rom, cazzeggiando di «sacri confini della Patria che la politica ha sconsacrato», di «immigrazioni selvagge» paragonate a un «vulcano, una bomba a tempo che va disinnescata», di «un Paese che scarica sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di Rom della Romania che arrivano in Italia».

Sui costi sociali dell’immigrazione provo allora a dare qualche numero. A partire dall’Inps, che senza il loro flusso contributivo non saprebbe come pagare la pensione ai nostri anziani, affidati a oltre un milione di badanti (quasi il doppio dei dipendenti del sistema sanitario nazionale) delle quali l’80 per cento lavora in nero. Nel 2008 i lavoratori stranieri assicurati (nell’insieme sono 2.727.254, il 12,9 per cento, un ottavo dei 21.108.368 lavoratori iscritti all’Inps) hanno versato nelle casse dell’ente previdenziale 7,5 miliardi di euro. Insomma, gli stranieri danno molto più di quanto ricevono, poiché i pensionati stranieri (110.000 persone nel 2010) incidono appena per il 2,2 per cento. Vista l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), è un andamento destinato a durare per molti anni. Il 63,2 per cento dei lavoratori immigrati assicurati opera alle dipendenze di aziende, oppure sono lavoratori domestici (17,6), operai agricoli (8,5), lavoratori autonomi (10,8). Dunque, ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma. Nel settore familiare, in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultra-sessantacinquenni, l’apporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne, consente alla rete pubblica un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro. Anche in agricoltura gli immigrati incidono per oltre un quinto sul totale degli addetti. Il loro contributo è sempre più rilevante, sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell’allevamento, nella floricultura e nelle serre.

Nel 2012 oltre 20.000 immigrati sono rientrati in patria. Secondo Andrea Stoppini, «se consideriamo uno stipendio medio (dati Inps) di 12.000 euro lordi l’anno, i contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti ammontano a quasi 4.000 euro l’anno; per una media di due anni e mezzo di permanenza in Italia, significano circa 10.000 euro. Se la stima di 20.000 lavoratori rientrati sarà confermata, nel complesso si tratterà di circa 200 milioni di euro che questi lavoratori avranno perduto, a meno che non riescano in futuro a ottenere un nuovo rapporto di lavoro in Italia, e che l’Inps potrà legittimamente trattenere nel suo bilancio. Per inciso, si tratta di una cifra analoga al costo annuo sostenuto per i circa 45.000 stranieri che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e dei quali tanto si parla nelle regioni settentrionali». E così commenta Riccardo Staglianò: «I precari italiani, se la loro condizione non migliora, tra una ventina d’anni prenderanno sì e no una pensione da 500-600 euro. Ma per gli stranieri che lavorano e pagano le tasse in Italia potrebbe andare ancora peggio. Nel senso che, se tornano nel loro Paese prima dei fatidici 65 anni e non c’è un accordo di reciprocità, i contributi versati qui rimarranno qui. Dal loro punto di vista li avranno buttati via. Dal nostro, sarà un gradito (quanto ingiusto) regalo alle casse dell’Inps». Insomma: «Quando incontrate un leghista che si indigna per il fatto che anche agli immigrati danno le case popolari (almeno non a loro insaputa), ricordategli questo dettaglio contabile» (le due citazioni sono riprese da Repubblica.it.webarchive).

In conclusione, i numeri dicono che investire nella repressione invece che nell’inclusione in un Paese in palese flessione demografica è semplicemente contro l’interesse nazionale. Ed è una falsa prospettiva perché – in banale ed estrema sintesi – la sfida prima che economica è culturale. Ma non ditelo a chi mette il proprio personale misero microtornaconto – politico, economico, elettorale – prima di ogni altra cosa.

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5 Commenti

  1. E continuo a stupirmi, pur attempata, non tanto dell’improntitudine con cui il demagogo di turno manipola o finge di ignorare fatti e cifre, quanto della credulità di tanti cittadini. I quali – il “meccanismo”psico-sociale è ben noto- danno per vero ciò che gradiscono lo sia, mai prendendosi la briga di informarsi in proprio.

  2. Il fatto che gli stranieri contribuiscano, forse anche troppo, alle entrate statali nel nostro paese, giustifica l’abolizione del reato di clandestinità???
    E il meccanismo psico-sociale (e mediatico) del buonismo pseudo-cattolico post tragedia di Lampedusa???
    Ma la pensione degli attempati non sarebbe più sano farla pagare ai giovani – immigrati o meno – magari facendoli lavorare in modo dignitoso???
    Non sono mai stata leghista, mi sta a cuore l’umano sentire, ma questa vulgata pro-immigrazione sconsiderata proprio non la capisco. Forse è un mio limite ma proprio non la capisco.

    • Certamente. E chi governa non fa la sua parte, quanto meno nell’orientare le scelte di studio, informare e indirizzare chi produce, semplificare la burocrazia…
      Quelli degli immigrati che versano contributi (i quali concorreranno alle pensioni ecc.) sono ovviamente lavori regolari, di vario tipo, disponibili anche per i nostri giovani. Ergo, due spiegazioni banali: essi non li gradiscono oppure sono in numero insufficiente.

      • Il fatto che uno straniero lavori in Italia dovrebbe comportare il SUO non essere clandestino, non l’abolizione del reato di clandestinità in generale. Chi governa non fa la sua parte anche abolendo il reato di clandestinità.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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