Le doppie vite di Chuck Barris e Enzo Tortora #2

di Tiziano Scarpa

Quando Enzo Tortora venne arrestato, vent’anni fa, la mattina del 17 giugno 1983, era all’apice del successo. All’inizio degli anni ottanta Enzo Tortora era la televisione. Il suo programma Portobello era visto da cifre impressionanti di persone. Si parlava, in quei tempi ancora senza Auditel, di picchi di 28 milioni di telespettatori: cioè, letteralmente, mezza Italia.

Le infamie che gli vennero attribuite dai giudici di Napoli sulla scorta di alcune dichiarazioni di loschi personaggi, gli provocarono sofferenze orribili, nell’onore e nel fisico. E hanno provocato conseguenze che perdurano anche in noi. Di fronte all’enormità dell’ingiustizia subita da Tortora, oltre a compiangerne la sorte e ammirarne l’eccezionale statura morale, ci troviamo in una situazione di stallo, impossibilitati a dare un giudizio sul vero significato culturale della sua opera in televisione.

Tortora è stato colui che, a detta degli stessi operatori televisivi e studiosi delle comunicazioni di massa, ha genialmente dato avvio in Italia a un certo tipo di televisione che si sarebbe realizzata negli anni successivi. In particolare, alcune rubriche presenti in Portobello, come per esempio Dove sei? e Fiori d’Arancio sarebbero diventate, negli anni seguenti, autentici generi televisivi. Intere trasmissioni si sarebbero ispirate alle rubriche di Portobello, ne avrebbero approfondito e applicato le intuizioni: Chi l’ha visto, Scommettiamo che, Mi manda Lubrano, Carramba che sorpresa, Stranamore, I fatti vostri

Con Portobello di Enzo Tortora fecero irruzione in televisione i personaggi più bislacchi, le invenzioni assurde, la messa in piazza dei desideri privati. Non più soltanto il concorrente di quiz, ma l’inventore della domenica, lo scapolo e la zitella, la persona che cerca un parente dopo cinquant’anni… Improvvisamente tutti scoprirono di avere un motivo per andare in televisione, di avere il diritto di andarci, di avere una storia da raccontare. O meglio, di avere una storia da completare grazie alla televisione: un disperso da trovare, un coniuge da conoscere, un acquirente per il proprio brevetto…

Antonio Piotti e Marco Senaldi (gli autori di Lo spirito e gli ultracorpi) direbbero che Tortora è stato colui che ha aperto le porte ai piccoli sé e li ha fatti entrare nel Grande Altro televisivo, ottenendo l’effetto di magnificare immaginariamente gli uni e potenziare fattivamente l’altro. Secondo Piotti e Senaldi, questo farebbe parte di quel processo storico per cui non si dà più opposizione o antagonismo tra Potere e individuo, fra Grande Altro e piccolo sé, bensì inglobamento, cooptazione, partecipazione, negoziazione reciproca. Ma di tutto questo oggi noi non possiamo serenamente argomentare, perché dobbiamo ancora risarcire Enzo Tortora del calvario che ha dovuto subire in carcere, in tribunale, sui media, nel suo corpo malato.

Non sto dicendo che Tortora ha dato un contributo decisivo alla devastazione culturale del medium di massa più importante della nostra epoca. Sarebbe un’enorme idiozia. Significherebbe accusarlo una seconda volta di essere stato un camorrista spacciatore di droga. Sto dicendo che averne immaginato giudiziariamente e mediaticamente un secondo volto mostruoso, da Mister Hyde, come fecero allora i giudici napoletani e gran parte della stampa italiana, ci impedisce ancora oggi, vent’anni dopo, di rendergli ciò che gli è dovuto: valutare con serenità l’apporto che, nel bene e nel male (lo ripeto: sia nel bene che nel male) Tortora ha dato alla televisione e più in generale alla cultura italiana.

Mi ha colpito, leggendo i vari materiali che si trovano in rete sul presentatore televisivo, questa dichiarazione di Stefano Accorsi. Si tratta di un’intervista che il giovane attore ha rilasciato qualche hanno fa, in occasione dell’uscita del film Un uomo per bene di Maurizio Zaccaro. In quel film, Accorsi recitava il ruolo di uno degli avvocati di Enzo Tortora. “Anche io ero troppo piccolo. A quell’età non vedevo mai la tv e non leggevo i giornali. Anche se la mia opinione era quella comune un po’ a tutti; ossia che Tortora non fosse del tutto estraneo alle accuse che gli venivano fatte.” Quando Tortora venne arrestato, a quanto pare molti italiani credettero in cuor loro che quell’uomo garbato, colto e signorile potesse anche essere un camorrista che spacciava droga. Vittorio Pezzuto, nella sua minuziosa ricostruzione del caso Tortora in un corposo supplemento del “Foglio”, ricorda come una fetida schiera di giornalisti alimentò queste credenze con tutti i tipi di colpi bassi mediatici.

Come è stato possibile che l’Italia, sebbene non tutta, sebbene non per sempre, abbia creduto a quell’infamia?

Enzo Tortora ha portato in tivù la doppia vita degli italiani: si entrava in televisione grazie all’altra faccia di se stessi. La faccia ambiziosa, ridicola, inconfessabile, inattesa, selvaggia.

Grigi impiegati si rivelavano estrosi inventori… Metronotte di provincia giuravano di essere stati prelevati dagli Ufo a scopo di studio… Emigrati meridionali al nord, esasperati dalla nebbia, proponevano di risolvere il problema della visibilità in Val Padana traforando le alpi Marittime e provocando correnti atmosferiche purificatrici… Rispettabili padri di famiglia felicemente sposati, con figli e nipoti, confessavano di non avere mai smesso di pensare alla prima fidanzatina delle scuole medie e desideravano tanto rivederla dopo mezzo secolo… Contadini autodidatti parlavano fluentemente nella lingua di Cicerone… Naturisti a caccia di proseliti mangiavano davanti a tutti torte di lombrichi…

Per entrare in televisione era necessario mettere in scena l’altra faccia di sé, la propria doppia vita. In altri termini, per avere un certificato di esistenza dall’Immaginario, bisognava immaginare se stessi, e realizzare sulla scena questa immaginazione: sognarsi, oltrepassarsi, raddoppiarsi. Trasformarsi in esseri immaginari. Questo poteva significare guadagnarsi onore oppure ridicolo: in una parola, subire la trasformazione da persone a personaggi, con tutto ciò che questo comporta: risultare eroi o pusillanimi, geniali o idioti.

Tortora non prendeva in giro nessuno, ma certamente lasciava che alcuni individui si rendessero grotteschi con le loro stesse mani, ossia con le loro stesse storie e argomenti: invitandoli davanti alle telecamere a illustrare invenzioni assurde, a esprimere nostalgie e desideri inauditi… Ciò che metteva a disposizione era l’ingresso nell’Immaginario da guadagnare attraverso l’immaginazione di se stessi. L’ingresso nel sogno di tutti. Nella televisione.

Tortora ha portato in televisione il doppio dell’Italia, le altre facce degli italiani immaginate dagli italiani stessi. Ha scoperto, anzi, ha inventato un’Italia immaginaria. Ha dato un certificato immaginario di esistenza all’immaginazione degli italiani. Ha reso l’Italia immaginaria, l’ha letteralmente resa televisiva. Nel fare questo, ha sfondato su tutta la linea. Ha inventato la televisione che abbiamo visto nei vent’anni successivi. Ma, sul momento, l’Italia e la televisione lo hanno punito con il contrappasso più crudele. Hanno espulso Tortora dal suo ruolo di padrone dell’immaginario, utilizzando la sua stessa strategia, ma cambiandola di segno e restituendogliela nel suo contrario perverso: immaginando un altro Enzo Tortora, un doppio osceno e abietto di Tortora.

Il padrone della soglia dell’immaginario, l’ambivalente donatore di gloria e disonore televisivi, è stato condannato al disonore, all’ignominia più completa, da attraversare fino in fondo, con il suo spirito, la sua tempra e il suo corpo (vale la pena di ricordare che Tortora si è ammalato ed è morto di cancro pochi anni dopo la sua odissea carceraria e giuridica). Tortora è stato condannato a dover riconquistare il suo onore, e per farlo ha dovuto e saputo dimostrare un eccezionale eroismo civile e politico (vale la pena di ricordare che Tortora non cercò mai di sottrarsi ai processi in tribunale né, dopo che venne eletto parlamentare europeo, di avvalersi dell’immunità).

Pochi anni fa Sandro Veronesi ha scritto un romanzo assai bello, La forza del passato, in cui al protagonista crolla il mondo addosso quando scopre che il padre, pio democristiano, era in realtà una spia del Kgb. Pochi mesi fa Giulio Andreotti è stato assolto dalle accuse di affiliazione alla mafia.

Processare penalmente i Mister Hyde, rende politicamente e culturalmente ingiudicabili i Dottor Jekyll. È più facile ipotizzare un’abiezione notturna che analizzare ciò che è successo sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole. Le zanne insanguinate dei lupi mannari sono una dolce consolazione. Gli incubi aiutano a trascorrere sonnolente giornate tranquille.

(2-fine)

Per inserire commenti vai a “Archivi per mese – Luglio 2003”

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In questo intervento si parla di:

Confessioni di una mente pericolosa di George Clooney, con Drew Barrymore, George Clooney, Julia Roberts, Sam Rockwell.
Confessioni di una mente pericolosa di Chuck Barris, traduzione di Ira Rubini, Sonzogno 2003.
American Psycho di Bret Easton Ellis, traduzione di Giuseppe Culicchia, Einaudi, 2001.
Lo spirito e gli ultracorpi. La vicissitudine della ragione tra i sintomi dell’immaginario di Antonio Piotti e Marco Senaldi, Franco Angeli, 1999.
Tortora, una colonna infame di Vittorio Pezzuto, supplemento a “Il Foglio”, 11 giugno 2003 (http://www.ilfoglio.it/pdf/11062003_10.pdf e http://coranet.radicalparty.org/pressreview/print_right.php?func=detail&par=5992)
Cara Silvia. Lettere per non dimenticare di Enzo Tortora, Marsilio, 2003.

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