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Piccoli indiani in cerca di autore

di Helena Janeczek

walking.gifMentre leggevo il romanzo dell’estate di Nazione Indiana che si è sviluppato prima in coda al pezzo di Raul Montanari per poi passare alle lettere di Moresco, ho avuto la sensazione che non solo i testi si sono persi di vista quasi subito, ma che nelle varie derive tematiche l’unico tratto continuativo fosse la trasformazione dei due autori in personaggi. Niente di strano, così come non è poi strano che il botta e risposta del blog porti a parlare di altro e ancora d’altro. Anche gli articoli di giornale sull’imam sciita sventrato dal tritolo o sull’assassino di Rozzano o su George Clooney a Venezia fanno del loro oggetto un personaggio, anzi la prima cosa che deve fare chi li scrive è, come si dice in gergo, “inquadrare il personaggio”. Non c’entra niente che si tratta di informazione che deve (dovrebbe) riportare solo dati e fatti. Ed è chiaro che, come personaggio, un killer delle periferie o un divo di Hollywood funzionano meglio di un ministro dell’agricoltura o di un amministratore delegato, una delle ragioni per la quale non sappiamo quasi nulla o addirittura ignoriamo l’esistenza di molte persone influentissime.

E’ la società dello spettacolo, bellezza, e tu non ci puoi far niente.

Sembra che tale società, dove conta solo l’apparenza, dove ogni contenuto, per poter essere comunicato, dev’essere appiccicato e sottomesso a un’immagine, dove i leader politici vengono scelti con criteri da concorso di bellezza e così via, faccia profondamente schifo ai nostri lettori, altrimenti non avrebbero fatto tanto caso alla rivista su cui è uscito per primo il pezzo di Montanari, ovvero “Glamour”.

E’ a partire da quel nome che hanno cominciato ad inquadrare il loro personaggio? Mi sconcerta pensare che a uno venga appioppata un’immagine da scemo e fatuo perché scrive su una rivista fatua e scema, anzi per la precisione su una rivista dall’immagine fatua e scema. Qualcuno di voi ha l’abbonamento a “Glamour”? O sapevate qualcosa in più su Montanari, avete visto delle foto di Montanari, avete letto delle recensioni o degli articoli su Montanari, magari avete addirittura letto qualche libro di Montanari, cosa già più improbabile. Improbabile, almeno all’apparenza, perché l’immagine dello scrittore-da-salotto-glamour Montanari emerge in maniera talmente soverchiante da oscurare qualsiasi testo da lui scritto, a cominciare da quelli su Nazione Indiana.

Il pezzo sul sesso non vi è piaciuto, d’accordo. E a questo punto non c’entra più.
Perché se anche uno è convinto che quel pezzo sia la merda più totale, se non si prende la briga di leggere gli altri interventi apparsi sul sito, come mai non modifica quasi per nulla la sua immagine quando per circa un mese Montanari disquisisce dottissimamente della corretta etimologia di un termine latino? Perché non attacca – come in realtà hanno fatto alcuni – il pezzo ma la persona, che poi non è la persona vera, ma il personaggio che si è venuto a creare?
Chi ha esperienza di scrittura sa che i personaggi hanno le proprie gambe. Immagino che dev’essere stato con quelle gambe che lo scrittore-da-salotto ha fatto il piccolo passo con cui è diventato lo scrittore-servo-del-potere.
Io questa tendenza dei personaggi di tirare dritti per la loro strada l’ho sempre temuta. E’ per questo che finora non ne ho mai veramente “inventato” nessuno. Ho preferito attenermi agli esempio di persone conosciute (me stessa inclusa), sapendo che inevitabilmente li stavo trasformando in personaggi, ma cercano di mantenere il massimo possibile di non-linearità, contraddizione, incomprensibilità con cui si presentano le persone.

Dare del servo a uno è quasi peggio che dargli dello stupratore. Non è una cosa che possa sgorgare così, sull’onda di uno slancio polemico-creativo.
Come antagonista virtuale di Montanari figura nel romanzo dell’estate di Nazione Indiana il grande-e-solitario-scrittore Antonio Moresco. Che non dovrebbe scrivere “cazzo” e “cazzate”, che non dovrebbe ricordare la bocciatura subita da Pontiggia, che non dovrebbe pensare mai al pubblico e al successo, che non dovrebbe rispettare le regole della buona educazione, perché un Vero Scrittore dovrebbe essere superiore a tutto questo.

Cito a memoria, traducendo a braccio: Che cosa fa il signor Keuner quando ama qualcuno? Se ne fa un piano – (in tedesco è proprio quella la parola: come in “piano quinquennale”) – e cerca che gli assomigli. Cosa, il piano? No, la persona.
Quando ho letto per la prima volta questa “Storia del signor Keuner”, ho capito finalmente che il compagno Brecht non mi piaceva. Gli esseri umani rifatti a immagine e somiglianza di “piani”, fossero anche i più nobili sulla carta, mi sembravano andare a braccetto con quelli da eliminare dopo che si è provveduto a diffondere e consolidare quello che in tedesco si chiama così opportunamente “Feindbild”, immagine del nemico.

Questa tuttavia è roba vecchia, pagata col sangue di altri tempi. Oggi regna un tipo di immagine non più rivoluzionaria, un’immagine che, semplificandolo, fissa il presente e gli preclude ogni futuro. Crea personaggi grossolani, ma assolutamente efficaci. Berlusconi, per fare l’esempio più noto, di quelle alchimie è stato sia il Dr. Frankenstein che la sua creatura. E sapete bene quanto faccia parte della sua concezione della politica rendere tutto personale, sia il suo ingresso mediatico nelle “case degli italiani”, sia gli attacchi a giudici, politici e giornalisti. Perché è appunto a quel livello che la sua comunicazione “funziona”. Ai fini del proprio potere, ovviamente.

Sto paragonando i nostri lettori a Berlusconi? Non lo nego. Li sto equiparando? Assolutamente no. State a sentire: io non ho messo in piedi tutto questo discorso per difendere a spada tratta amici e sodali. Non cerco di mettervi all’angolo per concludere che siete degli stronzi. Chi non si è mai lasciato trascinare in un pettegolezzo contro un terzo, scagli la prima pietra.

Vi ricordate la canzone di Giorgio Gaber che ripeteva “un’idea, un concetto, un’idea/ finché resta un’idea è soltanto un’astrazione./ Se potessi mangiare un’idea,/ avrei fatto la mia rivoluzione”?

“Mangiare un’idea”, vivere quotidianamente all’altezza delle proprie convinzioni, della propria cultura e consapevolezza, non è per niente facile. Anzi: riuscirci integralmente è impossibile. Siamo fatti anche di altro, di tutte le forze ed energie che lavorano al di sotto della coscienza e che non mi azzarderei a definire la nostra parte oscura, perché sono altrettanto vitali e creative quanto possono essere distruttrici.

Ma proprio perché certi meccanismi appartengono a tutti, c’è un abisso fra chi di tanto in tanto se ne trova invischiato e chi li manipola costantemente e coscientemente o anche soltanto chi aderisce soddisfatto a un pretesto ideologico o subideologico per poter discriminare o idealizzare.

Se non fossi stata convinta che voi- come me – appartenete alla prima categoria, non mi sarei messa a scrivere questo pezzo per il sito.

A questo punto mi chiedo pure fino a che punto sia il mezzo a strutturare il messaggio. Non credo che sarebbe stato altrettanto facile dare del servo in faccia a Montanari o riempire Moresco di buoni consigli con lui di fronte. Non solo perché ci sarebbe voluto più coraggio, ma perché cambia tutto quando al personaggio immaginario si sostituisce la persona in carne e ossa.

La solitudine e il senso di libertà della comunicazione in rete rendono molto più facile perdere il contatto col fatto che ci si sta rivolgendo a qualcuno di realmente esistente e di realmente sconosciuto, non a un parto della propria immaginazione. Ma se gli altri con cui scambio i miei post rischiano di ridursi a miei personaggi, la comunicazione non si riduce forse a una specie di monologo drammatizzato a più voci? E per tornare brevemente sulla questione dei nicknames, a che cosa mi serve il mio nuovo nome, se con questo nome non mi invento una nuova identità – perché il concetto stesso di identità è un’invenzione recente e a mio avviso insostenibile- bensì solo un io-narrante, un personaggio nuovo? Il che è un’operazione letteraria perfettamente legittima, ma non concede una libertà maggiore di quanto non imponga le sue regole. Colui che scrive deve infatti conformarsi al proprio personaggio e forse questo, alla lunga, crea un condizionamento in più alla persona reale, al posto di renderla più libera. Ma questo, a dire il vero, non è un problema che si crea solo scrivendo sotto uno pseudonimo.

Di uno scrittore dovrebbe contare ciò che scrive, ma vedo che anche altrove non è così. Apro il nuovo dizionario della letteratura mondiale Larousse-Rizzoli e mi accorgo che degli scrittori italiani che hanno cominciato a pubblicare intorno alla seconda metà degli anni ottanta non è incluso praticamente nessuno, salvo quelli di grande successo. Quelli ci sono tutti, proprio tutti tutti, bravi e pessimi, aggiornati fino a Faletti e Agnello Hornby.

Sembra che il successo sia rimasto l’unico criterio di discernimento con cui scremare la letteratura contemporanea, ma a ben guardare non si tratta nemmeno di questo. Alcuni di quelli scrittori hanno in realtà venduto assai meno di altri esclusi, ma evidentemente i compilatori non si sono potuti basare sui dati di vendita di tutte le case editrici italiane. Si sono semplicemente basati sulla loro immagine di successo.

Una recente bibbia approvata dalla CEI traduce così la parte che ci interessa del primo comandamento:
“Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sottoterra”.

Basta guardare verso il Medio Oriente per rendersi conto che l’iconoclastia come antidoto vale molto meno di quanto sperasse l’anonimo autore del libro sacro. Comunque i “Feindbilder”, le immagini nemiche, con cui si alimenta l’odio fratricida fra ebrei e musulmani, non viene solo da Al Jazeera o dalle altre televisioni, ma è creata in molta parte dalle parole: parole dette, predicate, stampate nero su bianco che sono più potenti e pericolose dell’immagine più dura, perché lasciano ad ognuno il compito di completare il quadro con la propria immaginazione.

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57 Commenti

  1. La qui presente Signora Janeczeck svolge la funzione di editor per la Mondandori, è così? Si vede molto bene… non ha “voluto” capire praticamente niente di quello di cui si è parlato questa estate… Che potenza questo mondo editoriale, che raffinatezza!

  2. Non sono editor: sono consulente per la letteratura tedesca: non intervengo sui testi, non ho poteri decisionali, lavoro con un contratto a termine. E non avrei mai scelto di diventare un funzionario editoriale anche se ne esistono di capaci e onesti, altrimenti non verrebbero pubblicati molti libri difficili e importanti che pure riescono ancora ad uscire.

  3. Il “contratto a termine” non cambia poi molto le cose. Lei resta una stipendiata di quella Mondadori di cui è proprietario il Signor B. del quale lei parla male… etc… Che strano, non trova? Ma, come dicevo, il mondo editoriale è potente e raffinato, e consente ai suoi dipendenti perfino la “libertà” di parlar male di esso. Non le sembra, questa, una cosa quantomeno da analizzare? Lei avrebbe tutto il tempo e l’occasione, e invece si mette a guardare il mondo come un romanzo che sta solo nella sua testa. Il “contratto a termine”, insomma, non cambia il fatto che lei non ha “voluto” capire niente della discussione estiva sulla “communitas”.

  4. La reazione immediatamente registrata da questo suo intervento, signora Janeczek, è un’ulteriore conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, della validità di quanto lei scrive. Nella relazione sociale e, assai spesso, anche in quella intima, sottrarsi alla dimensione di personaggio è uno sforzo pressochè inutile, tanto che vale la pena di porre la condizione di maschera come un dato, come un vincolo di realtà di cui tenere conto a prescindere. Tanto più quanto più la persona ha un, seppur minimo, ruolo “pubblico”. D’altronde, anche i troll che popolano la rete non sono che personaggi.

  5. “… ho avuto la sensazione che… nelle varie derive tematiche l’unico tratto continuativo fosse la trasformazione dei due autori in personaggi”. Ecco, “l’unico tratto continuativo”: è questo che io trovo straordinariamente mistificatorio nell’intervento di Janaczeck, e offensivo per chi si è impegnato a discutere per un’estate intera di tante cose, non certo di “personaggi”. Davvero viene da chiederle, Signora Janeczeck: ma che cosa ha letto? Dove è stata? In un altro forum certamente.

  6. Mi scusi, Ant Mart. Lei ha tutto il diritto di criticare l’ottica di Helena, anche di ritenere che Helena sbagli completamente obiettivo nel suo personale riassunto di quello che ha chiamato “il romanzo dell’estate”, esattamente come Helena ha il diritto di selezionare fra i quasi 150 interventi che ci sono stati nelle pagine di commento al mio pezzo sul sesso e alle due lettere di Moresco un suo personale, spiazzante filo rosso di analisi. Giudicheranno i lettori, lei per primo, se questa analisi è corretta o meno, o più esattamente se è interessante o meno. Certamente non è corretto iniziare il primo commento al pezzo di Helena con un attacco personale basato sulla sua presunta o reale professione, su chi le paga lo stipendio, ecc. Provo a spiegarle perché non è corretto.
    1. Lasciando perdere ovvietà come “guardiamo la luna e non il dito”, per cui se anche Helena fosse una sovvenzionatrice delle squadre della morte colombiane varrebbe comunque la pena di considerare le sue opinioni separatamente dalla sua professione o dalle sue simpatie politiche, lei chi è, Ant Mart, per avere il diritto di delegittimare un interlocutore sulla base del mestiere che fa? Lei per chi lavora? Le sue iniziali non saranno quelle del ministro della difesa Antonio Martino, neh? Lei lavora per una multinazionale farmaceutica, di quelle che massacrano la gente? Lavora in un’agenzia pubblicitaria, di quelle che idem come sopra anche se prevalentemente in senso metaforico? Lei lavora da solo? Paga le tasse? Paga il canone tv? Non c’è nel suo comportamento privato e pubblico niente che si presti all’accusa di antisociale? E’ un po’ troppo facile chiamarsi Ant Mart e giudicare gli altri non sulla base delle opinioni che esprimono (ripeto: questo è più che legittimo! Lei pensa che il punto vero della discussione agostana sia stato il concetto di communitas? Benissimo! E’ una posizione su cui si può essere tranquillamente d’accordo!), ma anzitutto sul fatto che lavorano alla o per la Mondadori. E’ molto difficile che una persona sia in condizioni di tale purezza da poter squalificare altri a questo riguardo, e in ogni caso questo andrebbe fatto con ben altro coinvolgimento ed esposizione personale. Almeno di livello francescano, direi, ma lo direi stando dentro una logica che mi sembra sbagliata a priori.
    2. In secondo luogo, forse bisognerebbe chiarire finalmente un punto che anche Helena, noto, trascura.
    Può darsi che il mondo editoriale e massmediale in genere sia potente e raffinato (magari! Chi ci lavora dentro sa benissimo che la definizione più esatta è quella che diede anni fa un mio amico: “Le case editrici sono tutte delle baracche”).
    Ma in questo mondo, tranne in piccole realtà pressoché militarizzate, non esiste niente di monolitico. In Mondadori lavorano fior di comunisti, anarchici, liberali di sinistra, gente che ha una sua idea forte del mondo e che cerca di applicarla ogni giorno… e ci riesce! La Mondadori non pubblica solo libri di regime, e neanche falsi libri di controregime come certi parti strazianti di ex compagni in vena di fare del patetico. E’ tutto molto più complicato, molto più complesso. Ci sono spinte e controspinte, tendenze e reazioni; c’è la famosa dialettica, e c’è una notevole autonomia politica degli editor. Gli editor, in qualunque casa editrice, sono molto più coinvolti nella battaglia contro gli amministrativi, i signori dei numeri e dei dati, che contro le veline politiche, spesso inesistenti. Potrei farle esempi al limite del comico. Ci sono enclave non solo di sinistra, o comunque di pensiero “contro”, ma anche semplicemente di pensiero “forte” (in termini estetici) nei luoghi più impensati, per esempio al “Giornale”. E’ difficile immaginare un quotidiano politicamente più sputtanato del “Giornale”, o perlomeno diciamo che con “Libero” è una bella lotta. La differenza è che al “Giornale” ci sono pagine culturali interessanti, redatte da gente che sa di cosa parla. Faccio un esempio personale. Il “Giornale” ha potuto pubblicare, due anni fa, una recensione ultrapositiva del più politico dei miei romanzi, “Che cosa hai fatto”, un libro in cui la presenza di quello che lei chiama il signor B. è talmente opprimente, pervasiva, portata all’estremo in una Milano invasa da carri armati e torturatori, che contemporaneamente all’uscita di quella recensione ne appariva una sul Manifesto, a firma di Aldo Busi, che definiva il protagonista del libro “il perfetto nuovo fascista berlusconiano”. Scusate davvero l’esempio personale: le cose che ci riguardano le conosciamo meglio.
    Vogliamo parlare dei TG? E’ ovvio che ci sono due TG targati Mediaset che rientrano tranquillamente nella definizione di realtà militarizzate. E’ altrettanto ovvio che il TG5 è, nell’ambito di quello che può dare un notiziario borghese che deve comunque fare i conti con le pastoie e le banalizzazioni del linguaggio televisivo, un TG che spesso ha assunto posizioni critiche. Il TG5 apre con dati disastrosi sull’economia mentre il TG4, Studio aperto e i due TG RAI in mano alla maggioranza si accalorano a spiegarci che in fondo tutto va bene. Io non ho nessuna particolare simpatia per i conduttori del TG5 (ho anzi un’antipatia coltivata da anni verso vippetti alla Sposini e Bonamici) né per il tono veloce e leggero con cui porgono le notizie, per non parlare degli ultimi escamotage neoedonistici tipo la rubrica “Gusto”, annunciata alle 13 e 25 di ogni giorno con evidente sollievo dal mezzobusto di turno dopo aver snocciolato notizie sconfortanti; però la scelta delle cose da dire, dei contenuti, e dell’ordine in cui esporli è un atto politico, e devo constatare che questa gente, che “prende lo stipendio dal signor B.”, dimostra una decenza rispettabile nello svolgere il proprio lavoro. Da un punto di vista di critica estrema, è evidente che anche loro vanno dritti nel calderone; se staccandosi dall’assoluto platonico si ha voglia di fare qualche distinzione rimestando aristotelicamente nella fogna, le differenze si notano.
    Quindi, senza polemizzare ma con la sola intenzione di puntualizzare, ad Ant Mart e a molti che vedono il mondo dei media e dell’editoria dall’esterno e lo percepiscono meglio organizzato (in senso nazista o anche semplicemente pratico) di come è, vorrei dire che le cose non stanno così. Là dentro, come altrove, ci stanno teste, voci, opinioni, casino, e nella maggior parte dei casi quel poco o quel tanto di libertà che si percepisce nelle scelte degli editor(i) non deriva affatto da una calcolata concessione dall’alto, ma semplicemente dalla battaglia di idee che si svolge quotidianamente, orizzontalmente, fra compromessi e impennate di onestà, come in ogni azienda.

  7. D’accordo quasi su tutto quello che dice Montanari. Io sono iperbolico per natura, ma per fortuna ogni tanto qualcuno coglie e riesce, partendo dalle mie esagerazioni, a dipanare un discorso serio. Sulle cose che non condivido – sul “quasi” – ci penso, o aspetto qualche altro intervento, e riparto con le mie elucubrazioni. A presto.

  8. L’assunto principale esposto nell’articolo di Helena Janeczek è che la colpa dei commentatori di Montanari e di Moresco è non tanto quella di essersi abbandonati a inopportune “derive tematiche”, quanto di aver trasformato i “due autori in personaggi” di un romanzo estivo, personaggi immaginari, s’intende, che nulla hanno a che vedere con le reali persone, dinanzi alle quali nessuno dei commentatori intervenuti avrebbe osato rivolgere parole meno che rispettose.
    Gli imputati-commentatori sono rei, a detta di Janeczek, di aver fatto di Montanari un personaggio inquadrato a partire da “Glamour” (personaggio da salotto e, quindi, servo del potente), di aver ignorato il vero Montanari, anche quando ha dimostrato tutta la sua dottrina, disquisendo “dottissimamente della corretta etimologia del termine latino” communitas. Nel romanzo-blog Antonio Moresco, “il grande solitario”, figurerebbe come “antagonista virtuale” di Montanari. Ma la colpa di tutto ciò non è tanto, secondo la Janeczek, di questi “piccoli indiani”, cioè i commentatori di Montanari e Moresco, che parlano tanto e concludono poco, sempre in cerca di un editore che non troveranno mai, mentre i “grandi indiani” (si sa chi sono) stanno sempre zitti, come oracoli che un giorno forse parleranno, non si sa quando, ma quando lo faranno di certo il mondo intero cambierà; la colpa di tutto ciò è del tipo di immagine che regna oggi nella nostra società, la quale immagine, “semplificando, fissa il presente e gli preclude ogni futuro” creando “personaggi grossolani, ma assolutamente inefficaci”, come Berlusconi. No, no, si affretta a precisare Janeczek, sentendo un boato salire dalla platea, i commentatori non sono Berlusconi (e ci mancherebbe…!), perché non ci hanno i suoi miliardi, ma ragionano come lui, perché come lui sono l’espressione di questa società dell’immagine. Quindi: a morte la società dell’immagine! A morte Berlusconi, che ne cavalca l’onda! A morte tutti i commentatori di Naz. Ind., che ragionano come Berlusconi! Come dire, un colpo al cerchio e uno alla botte: commentatori di Naz. Ind. e Berlusconi, tutti della stessa pasta; e chi si salva, sapete chi è? Ma lei, naturalmente, Janeczek, che in tutta questa storia è l’unica a stare nella posizione dell’intellettuale che guarda dall’alto la turba dei poveracci che hanno solo voce per commentare e quel parvenu di Berlusconi, vittima in fondo anche lui della società dell’immagine.
    Ecco, Signori miei, qual è il ragionamento che ha fatto Janeczek, ecco l’essenza ch’è riuscita a distillare, tutto quanto ha capito di un lungo e meditato dibattito sulla rivista-blog di cui pure è una delle redattrici. Praticamente, non ha capito nulla! In tutto questo tempo in cui ha taciuto ed ha meditato l’articolo, non l’ha neppure sfiorata l’idea che in ballo vi fosse qualcosa di più che non la difesa o l’attacco personale a Montanari e a Moresco, che vi sono state da più parti sollecitazioni a discutere apertamente su questioni che riguardano tutti, che nessuno ha precluso il futuro di qualche scrittore, spacciando una sua immagine parziale; anzi, essendo il dibattito libero, ognuno poteva precisare e dire la sua come meglio credeva, presentandosi agli altri come meglio gli riusciva. Montanari ha sostenuto una causa-persa per giorni, poi ha avuto il coraggio di fare marcia indietro, infine si è apertamente riconciliato con me e mi risulta che mantenga un buon rapporto anche con quelli di Zibaldoni, mentre con Ant. Mart. sembra che ancora non corra buon sangue. Moresco, da parte sua, ha letto superficialmente tutta la discussione e ha detto la sua anche lui, e non può che essere giudicato per quello che qui, in questo blog, ha scritto, non per le sue opere passate, bellissime, sicuramente, ma che qui non sono in discussione. Se lei, cara Janeczek, dice delle cose inesatte o addirittura false, sarà giudicata per quello che avrà detto qui, in questo blog, dentro questi commenti. È vero, dietro uno pseudonimo si può celare anche un serial killer, ma in cambio si può celare anche chi ti dice la verità. Sta al lettore capire e discernere, e il lettore questo lo sa fare bene, non creda!
    Pertanto, il lettore sa bene che i personaggi in una narrazione si costruiscono a partire da quello che dicono e da quello che fanno. E un blog è una narrazione a più voci. Se io, passando da Milano, prenderò in parola Montanari e andrò a trovarlo per stringergli la mano, questo accadrà perché, dopo avergli dato anche del servo nella foga del dibattito, insieme abbiamo cercato e trovato una verità da condividere e siamo divenuti amici, mentre non andrò a trovare Moresco (fino a prova contraria) perché la superficialità con cui ha letto il dibattito, la sua indisponibilità a capire le ragioni dell’altro, la sua “grandezza” e la sua “solitudine” dimostrata in questo romanzo-blog me lo rendono estraneo e lontano da ogni mia aspettativa.
    Lei, poi, cara Janeczek, se mi permette una battuta, non abbia paura dei personaggi in cerca d’autore, coltivi di più la pratica letteraria, provi a inventare personaggi che tirano dritto per la loro strada. Capirà che in essi vi è null’altro che la vita che si meritano.
    Gustavo Paradiso

  9. Caro Gustavo Paradiso,
    E’ vero che nel mio pezzo non ho rilevato la sua finale riconciliazione con Montanari e capisco che tale inesattezza possa averla offesa.
    Non metto in discussione il suo diritto di interpretare il mio intervento come vuole, ma c’è un equivoco che vale la pena di chiarire.
    Il titolo del pezzo nasce da un incrocio fra due titoli celebri ovvero “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie e “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello.
    I “piccoli indiani in cerca d’autore” alludono a Montanari e Moresco, mentre il loro autore sono i commentatori.
    Non esiste, nel testo, nessuna contrapposizione fra “piccoli” e “grandi” indiani, scrittori inediti e editi, e la parola “editore” non compare nemmeno.
    Una cosa del genere non mi sarebbe mai passata per la mente, così come non ritengo di aver dispensato sentenze di colpevolezza o addirittura condanne a morte dall’alto in basso.
    Forse posso sperare che, come avvenne nel caso di Montanari, anche nel mio lei possa alla fine convincersi di non aver a che fare con un nemico, atteggiamento che a mio avviso rende molto faticoso comiciare a dare un significato costruttivo alle interessanti diatribe sulla comunità e sull’interpretazione di “comunitas”.

  10. Adesso che Montanari si è asciugato la bava da pitbull e si è messo a ragionare, devo dire che è quasi diventato il mio indiano preferito. Forse poteva smetterla anche prima. Conosco l’immagine complessiva dell’autore (piuttosto promettente) ma non direttamente i libri, ne cercherò uno.

  11. Insomma: lo avete capito o no che non sapete leggere? Come ve lo deve spiegare la Signora Janeczeck? Lei scrive una cosa e voi ne capite un’altra. Questi commentatori e lettori di Nazione Indiana sono proprio degli asini capoccioni!

  12. Caro Montanari,

    ho letto con attenzione la sua giusta lettera sulla situazione dell’editoria italiana. Chiunque abbia mai messo piede in una casa editrice sa quanto ciò che lei scrive sia esatto. Le case editrici sono così assolutamente artigianali e abitate da figure anomale (dal folle all’incompetente, dal visionario al maniaco, dal ragioniere al manager rampante) che qualunque visione monolitica e dietrologa è a dir poco fuorviante. Le cose sono molto più semplici e assurde di quel che si può credere dall’esterno. È quindi vero che dall’interno si può condurre una battaglia seria affinché qualcosa di di nuovo e semplicemente di serio possa accadere nel “mercato editoriale”. Nella letteratura, invece, come si sa, le cose accadono indipendentemente da noi, editor o consulenti: Kafka docet. Ma è proprio qui che trovo che quel che lei dice mal risponda alle critiche mosse alla Janeczek. Cerco di spiegarmi. Helena Janeczek tiene a distinguere tra autore e personaggio, accusando i lettori di NI di cadere in una profonda confusione tra le due figure. E sia: l’autore è una persona, il personaggio la sua caricatura fantasmatica. Ma la questione è: chi è davvero l’autore? L’autore – e in particolare l’autore che scrive su NI – non è esattamente la somma del suo apparire pubblico? Un autore non è il responsabile di ogni sua singola parola, di ogni suo scritto (anche il più piccolo – anzi, a maggior ragione proprio del più piccolo e marginale)? Un autore non si distingue da un qualunque scribacchino proprio perché ogni sua parola pubblica è soggetta alla sua auctoritas? E non dovrebbe quindi rispondere di tutto quel che scrive e dice? Paradossalmente un autore non vota la sua vita alla trasparenza, alla necessità di dover rispondere di tutta la propria esistenza davanti alla giuria dei propri lettori? E, insisto, a maggior ragione un autore che decide di non dedicarsi esclusivamente alla sua opera ma di divenir un personaggio pubblico (come accade qui in NI) non può poi dire che la vita privata non c’entra, aggiungendo che i lettori dovrebbe riferirsi solamente all’opera. Mi sembra una questione prettamente logica: se voglio essere giudicato solo per i miei libri, devo limitarmi a quelli; se voglio parlare della società italiana, del ruolo che gli intellettuali giocano in essa, dei sistemi di potere, allora devo accettare e saper rispondere a tutte le critiche che concernono la mia persona, di autore, riguardo a questi temi, non ai miei soli libri. E, allora, in questo caso, si ha perfettamente ragione a chiedere conto da chi viene pagato chi parla contro il padrone. Si ha ragione perché la questione non è più personale, ma pubblica; non riguarda la persona, ma l’autore, colui le cui parole hanno un peso differente. E, in questo, concorderà con me che la situazione tra una persona che non ha alternative e lavora per la Bracco e uno scrittore che lavora per il “nemico” è sicuramente diversa: di nuovo si pone la differenza tra la responsabilità infinita di un autore e quella limitata di una persona privata, oltre probabilmente alla differente possibilità economica. Dunque, la difesa del “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, è un po’ debole e facile per un intellettuale. Qui, davvero, come ricordava lei a diversi lettori questa estate, si può e si deve fare di più.
    Non so, forse sbaglio, ma io credo che negli attacchi che vi sono rivolti, sia in gioco qualcosa che concerne la vostra funzione di autori (singoli e in comunità); e credo che le persone che vi criticano lo fanno, non per cattiveria o invidia, ma pensando che la vostra funzione sia importante e che a volte voi la prendiate con troppa leggerezza (è credo questo che ha scatenato la reazione al suo pezzo su Glamour, per il luogo in cui è stato pubblicato e perché veniva appena dopo un articolo della “comunità di NI” in cui si criticava esattamente il tono e lo stile del suo articolo, ironico e “leggero”.) Con simpatia (secondo l’etimo della parola)

  13. Scusate, ma questa è grossa. Ieri, tornando in treno da Brescia verso Genova, la mia vicina, una bella ragazza russa, mi lascia Marie Claire, dicendomi che è troppo pesante (fisicamente) e noioso. Io naturalmente lo leggo avidamente. E chi ci trovo? Il nostro Raul nazionale che, con grande foto, ci parla di nuovo del sesso dei trenta–quarantenni stufi dei rapporti fissi. L’articolo di Glamour al confronto è niente (leggere per credere). Ma il più bello è (qui vorrei che il nostro Raul, se vuole, ci chiarisse la coincidenza) che il direttore responsabile di Marie Claire si chiama Montanari (il nome, chiedo venia, non lo ricordo; la russa aveva ragione la rivista è troppo pesante per portarsela dietro, ed è quindi rimasta sul treno…). Raul, belin, allora ti piacciono proprio le riviste di moda patinante, infarcite di qualche articolo tra la pubblicità?
    P.S. Ah, Janeczek, adesso l’ho vista la foto di Raul!
    P.S. x Grabielli: e questa specie di picchiatore con catene d’oro che vedo su MarieClaire, chi è? L’autore o il personaggio?

  14. Ricordo a voi, sì, proprio a voi, immemori scriventi in giro per forum internettici, che il SIGNOR GABRIELLI è quello che sosteneva, con Montanari, la cialtroneria degli editori che “avevano sbagliato” – a suo dire di “grande esperto latinista” – l’etimologia della parola COMMUNITAS. In seguito all’appuramento della verità, il medesimo signor G., evidentemente per la vergogna, cioè per mancanza assoluta di argomenti, ha taciuto per qualche settimana. Ora, eccolo riaffiorare, conscio del fatto che tanto, voi, lettori immemori, certamente avete dimenticato tutto delle sue castronerie.
    Montanari, dài, posta questo nuovo articolo, e soprattutto la foto, mi raccomando, così il Voltolini pettegolo si diverte un po’ a vedere come ti diamo addosso e poi magari ci scrive su anche lui un pezzo alla Janeczeck, da gran pensatore critico distaccato, da GRANDE SCRITTORE ENNESIMO che scrive le sue sproloquiaggini insulse dall’alto… della sua… mah… lasciamo perdere… Questi scrittori non saranno mai in grado di fare nulla per una comunità.

  15. Carissima Janeczek,
    ma io non sono per nulla offeso, non lo sono mai stato. Anzi, se lei mi invita dalle sue parti, le assicuro che non mancherò di farle visita alla prima occasione. Ma il punto non è questo, purtroppo. Qui si discute, si fa letteratura, non si chiacchiera di beghe personali, e se talvolta volano parole grosse (ma non è questo il caso), per favore, non si gridi subito al nemico! Non siamo mica futuristi contro vociani! E allora, carissima Janeczek, lei ha fatto bene a spiegare il titolo del suo primo intervento, che, le garantisco, nemmeno nella corte celeste avrebbero mai capito, ma poteva dirmi anche qualcosa in merito alla mia interpretazione del suo brano. O pensa che anche questa volta io abbia fatto di lei un personaggio immaginario e che quindi non merito alcuna considerazione? Perché il problema della communitas, per come lo vedo io, sta tutto qui: nella responsabilità che ci si assume circa le proprie opinioni rispetto agli altri. Ecco, io nell’intervento precedente ho osato mettere in rilievo la sua mancanza di responsabilità riguardante quello che ha detto nel suo articolo, poiché scrivere, come lei ha fatto, che la colpa del comportamento dei commentatori di Naz. Ind., accomunati a Berlusconi, è da attribuire alla società dell’immagine e dire tutto questo con l’atteggiamento apparentemente distaccato (in realtà deresponsabilizzato) dell’intellettuale postmoderno, che tutto può e dice (può in quanto dice) mantenendosi in uno stato di purezza assoluta, ebbene dire tutto questo significa non voler assolutamente far parte di una comunità che discute su un piano di responsabilità personale, significa non mettersi in gioco, non ballare quando gli altri ballano, parlare senza dare nulla agli altri, se non la propria sentenza, della quale – sia detto con tutto il rispetto possibile – nessuno sa che farsene. Invece io le sto regalando, carissima Janeczek, un’opportunità che forse mai nessuno le ha offerto: quella di interloquire con me e di esporre le sue ragioni in merito, perché io non sono per nulla offeso e non ho alcun nemico da combattere, ma solo una gran voglia di veder riconosciuta da lei e da tutti quelli che intervengono in questo dibattito una sola verità: che la nostra scrittura, le cose che noi diciamo possono avere un valore solo se esprimono un’apertura nei confronti degli altri, se in esse vi è la voce dell’altro. Rilegga il suo ultimo intervento: lei precisa il senso del suo titolo, dice che io sono offeso e che ho bisogno di un nemico da combattere e non aggiunge altro, con ciò prevedendo di avermi liquidato per sempre e sperando così di por termine alla discussione. Prenda la penna in mano e valuti le idee che sono tirate in ballo, mi dica perché ho torto e perché lei ha ragione, porti degli argomenti che siano argomenti e non opinioni campate in aria, dica apertis verbis che cosa pensa di queste cose anziché difendersi da un nemico che lei si è creata perché ne ha evidentemente bisogno.
    Così, solo così anche lei avrà portato il suo contributo alla communitas e io, appena potrò, verrò a trovarla.
    A presto.
    Gustavo Paradiso

  16. Dice Ant Mart: “così il Voltolini pettegolo si diverte un po’ a vedere come ti diamo addosso e poi magari ci scrive su anche lui un pezzo alla Janeczeck, da gran pensatore critico distaccato, da GRANDE SCRITTORE ENNESIMO che scrive le sue sproloquiaggini insulse dall’alto… della sua… mah… lasciamo perdere… Questi scrittori non saranno mai in grado di fare nulla per una comunità.”
    Ma io non sono distaccato per niente. Non sono certo un grande scrittore, forse nemmeno ennesimo. Nemmeno un grande pensatore critico. Scrivo sì delle sproloquiaggini insulse, ma non mi pare di farlo dall’alto. E se io non sono in grado di fare nulla per una comunità (come in effetti temo), non per questo occorre dire “questi scrittori”. Basta dire che “io” non posso fare nulla, cosa c’entrano gli “altri” generici? La parte più interessante era quella che viene coperta dal “lasciamo perdere”. Ma perché mai? Io sono interessato alla tua opinione, e alle tue critiche. Perché devi lasciarle perdere? Dimmi pure le cose che hai da dirmi.
    Saluti.

  17. Ho una domanda da fare:ma cosa avete contro le riviste di moda patinate?Per quanto mi riguarda,tra un libro e l’altro capita anche di leggere Marie Claire.E allora se trovo un intervista a Montanari non mi scandalizzo,se Busi va in tv vestito da fata turchina non cambio opinione sul Busi scrittore che ritengo uno dei migliori scrittori italiani.Ho letto tutti i libri di Montanari, mi piacciono e non mi interessa se poi si fa intervistare da Repubblica, Glamour o Marie Claire.Questo non toglie nulla alla sua bravura di scrittore.Crea problemi alla sua immagine? Ma saranno fatti suoi!
    Per inciso su quel numero di Marie Claire c’è anche un lunghissimo articolo sulla Slam Poetry,interessante per giunta.Gli eventi culturali per essere diffusi passano anche dalle riviste di moda, perchè no?
    saluti,gabriella fuschini

  18. La Signora Gabriella, secondo me, ha ragione da vendere, e mette anche in serio dubbio alcune delle stupidaggini che si son sostenute qui dentro con pigli totalitari. Il problema non è, infatti, se Montanari scrive su Marie Calire o su Glamour, ma quello che scrive qui dentro. Montanari, secondo me, è libero di scrivere quello che vuole dove vuole, mentre la verità è che qui dentro forse non è proprio il contesto giusto per certe cose (cosa riconosciuta da Montanari stesso, per giunta, se non ricordo male, all’inzio). Insomma, una specie di problema di cortocircuito.
    Signor Voltolini, quando parlavo al plurale, parlavo proprio per intendere la casta degli scrittori, che assomigliano molto a lei nel non saper cosa dire sull’idea di comunità.
    Quanto al “distacco”, be’, mi permetta di dirle che qui sta dicendo una falsità. Interviene dopo due mesi (durante i quali ha postato altre cose, non è vero che “era assente”) in una discussione accesissima e ricca di argomenti solo per esprimere la solidarietà all’amico (di casta) Montanari o per invitare lo stesso a postare un articolo: se non è “distacco”, questo è almeno disinteresse totale per gli argomenti seri in discussione. Argomenti, come giustamente ricordava qualcuno qui dentro, introdotti da Carla Benedetti. Non le pare?
    Dietro il mio “lasciamo perdere” non c’era nulla, solo stanchezza della mano, non si preoccupi. Io non ho rancori verso nessuno. Mi raccomando, non ne abbia neppure lei, e, se trova il tempo, esca fuori a dire la sua anche sugli argomenti importanti che abbiamo discusso, non solo sulle parolacce e sulla solidarietà di casta.

  19. Per iniziare con una bella banalità, diciamo che “chi di arma ferisce, di arma perisce”. Così anch’io ho trovato il mio Savonarola che mi bacchetta pesantemente per ciò che avrei detto (ovviamente mi riferisco al Signor, come piace scrivere a lui, Ant. Mar.). Tralascio il fatto, perché ci mancherebbe solo di tornare sempre indietro, che a mio avviso – non ho mai detto di essere un “grande esperto latinista” e non ne ho nessuna vergogna – l’etimologia di communitas, così come la interpretava Montanari, non era poi tanto pellegrina; e mi concentro invece su un’altra questione. Lo sconcertante è che nel blog si ha l’impressione che nessuno capisca quello che l’altro scrive. Nel mio intervento di agosto, la questione dell’etimologia era solo una minugia per parlare di qualcosa di molto più ampio: la decadenza dell’editoria italiana (spero che, almeno su questo, il sig. Ant. Mar. sia d’accordo con me). La risposta di Ant. Mar. – ma forse anche le mie, come quelle di tutti gli altri – mi fanno pensare che la comunità non esista proprio perché nessuno di noi è in grado di comprendere ciò che l’altro dice ( e questa volta il detto che inaugura il mio intervento è rivolto al Sig. Ant. Mar., che rimproverava la stessa cosa a Helena J.). Ognuno di noi – autori e lettori – è completamente teso a difendere la propria posizione e ad attaccare quella dell’altro. Questo meccanismo cambia appena leggermente quando a parlare è un “amico”. In quel caso, scatta la difesa corporativa. Insomma mi pare che ciò che più manca alla comunità è la capacità di ascolto (in questo la Janeczek cominciava ad indicare una via). Incomincio a pensare che sia il mezzo stesso del blog a determinare questa incapacità. Forse sbaglio. Lo chiedo anche a voi: non è possibile che il mezzo, apparentemente comunitario, ne sia in realtà la negazione più grande della comunità?

  20. Scrive Ant.Mart.:
    “Signor Voltolini, quando parlavo al plurale, parlavo proprio per intendere la casta degli scrittori, che assomigliano molto a lei nel non saper cosa dire sull’idea di comunità.”
    Io non credo che esista una “casta” degli scrittori. E se ne esiste una, non mi sembra di farne parte. E non è esattamente vero che io non so cosa dire sull’idea di comunità. Lei (passo al lei, adeguandomi, e mi scuso per averle dato del tu nel post precedente) mi attribuiva l’incapacità di “fare” qualcosa per la comunità. E io purtroppo ammettevo questa incapacità. Invece, come tutti, sono capace di “dire” un sacco di cose. Solo che non l’ho fatto mentre la discussione era in corso.
    Continua Ant. Mart.:
    “Quanto al “distacco”, be’, mi permetta di dirle che qui sta dicendo una falsità. Interviene dopo due mesi (durante i quali ha postato altre cose, non è vero che “era assente”) in una discussione accesissima e ricca di argomenti solo per esprimere la solidarietà all’amico (di casta) Montanari o per invitare lo stesso a postare un articolo: se non è “distacco”, questo è almeno disinteresse totale per gli argomenti seri in discussione.”
    Mi permetto di rilevare che la parola “falsità” è esagerata. Mi permetto altresì di farle notare che non devo passare i miei due mesi come vuole lei, ma al massimo come voglio io, e soprattutto come posso. Potevo connettermi tramite la linea telefonica di un amico, che abitava a un chilometro da me e che spesso era connesso per lavoro. Quindi ho fatto alcuni post di servizio e ogni tanto ho letto quello che succedeva. Tutto qui. Le ho spiegato questo non per giustificarmi – non saprei di cosa – ma per farle un esempio. Non credo che tornerò più sull’argomento di come passo il mio tempo, e vorrei che questo non passasse per distacco o snobismo o altre cose del genere. Siamo già controllati con le carte di credito, i bancomat, i cellulari, i sistemi satellitari e così via: ci mancano solo i blogger che controllano le date dei post! Non le sembra che qui sotto si celi un’idea di comunità piuttosto orwelliana?
    La discussione accesissima e ricca di argomenti l’ho seguita e mi è molto piaciuta. Non sono in grado di seguire le questioni etimologiche, perché sono sostanzialmente un ignorante. So però che il significato di una parola non è definito necessariamente dal suo etimo, per cui non credo possibile stabilire cosa intendiamo noi con una parola guardando alla sua antenata e a cosa intendevano con essa gli antichi. Tutto qua.
    Ma le ricordo, però, che nessuno ha l’obbligo di intervenire. Che comunità è quella che impone a un singolo di farne parte?
    Dunque, non sono affatto disinteressato, anzi. Però, se lo fossi, non ci troverei niente di male. O devo farmi dire da altri quali sono le cose che mi devono interessare?
    La solidarietà a Montanari non è di casta, ma di amicizia e caso mai di redazione. L’ho scritto a chiare lettere, apposta: “per amicizia”. Posso scegliermi gli amici?
    Mi dispiace invece che lei mi attribuisca delle sproloquiaggini fatte cadere dall’alto e poi non mi dica niente di più. Magari potrei migliorare, o potrei comunque rifletterci su. Pazienza. Mi fa piacere che lei non serbi rancore, d’altra parte non vedo verso chi seriamente potrebbe serbarne.
    La saluto.
    Dario Voltolini

  21. Sono completamente d’accordo con Gabrielli, che questa volta centra un bel bersaglio: quello della libertà vigilata che ci è concessa attraverso il “poter parlare” nei blog e altrove (chat, forum, etc). E’ la famosa società della (in)comunicazione globale di cui parlavano gli ZIBALDONI, ma anche quella delle strane posizioni del soggetto parlante, di cui argomentava lucidamente la BENEDETTI. Il succo sarebbe (Gabrielli mi corregga, se erro): parlate pure, tanto non vi capirete mai, proprio perchè per COME parlate, per DOVE parlate e per QUELLO che siete, altro che comunità, potete solo accapigliarvi all’infinito! Una riprova di questo fatto? L’ultima lettera del signor Voltolini, al quale chiedevo di esprimere le sue idee sulla discussione intorno alla comunità, e invece lui se ne viene – per l’ennesima volta – a difendere il PROPRIO e a recriminare contro i bloggers (che non sono io) e in genere contro tutti quelli che gli disturbano la privacy, cioè l’immunitas, che tra l’altro eegli stesso con le sue stesse mani si è andato a rovinare contribuendo a metter su questa cosa indiana. Ma noi siamo sempre qui, signor Dario, in attesa dei suoi pensieri, che lei pur dice di aver, ma non vuol mostrare a nessuno…
    Per chiudere, le dico che io sarei onorato di darle del tu, innanzitutto perché stimo molto quello che scrive (e parlo soltanto con chi stimo, detto per inciso). Mi scuso se non ho colto la familiarità della sua precedente. Tra l’altro, non mi piace la formalità, sempre poco economica per il discorso. Se lei mi autorizza, la prossima volta le do del tu.

  22. Caro Ant. Mart. diamoci del tu.
    Io difendo la mia privacy come è giusto che facciano tutti, ma in questo caso non si tratta di privacy, bensì della libertà di intervenire o no. Io ho contribuito a costruire Nazione Indiana, quindi non mi pare che me ne stia poi così fuori e appartato, in generale. Sulla questione della comunità qualcosina ho detto, nel post precedente, riguardo all’etimologia. E naturalmente non ce l’avevo con “i bloggers”, anche perché sto scrivendo adesso come tale. Ci sono delle cose che, per esempio, affiggo su Nazione Indiana. Spesso sono mie opinioni. Di solito non hanno molti commenti, ma certo non me ne dolgo. Come è, è. Non esiste un “commentometro”, per fortuna, da cui far dipendere il tipo di intervento che ha senso o non ha senso postare. Io ti ringrazio per l’interesse che dimostri verso le mie opinioni e per il fatto che mi chiedi di esprimerle. Magari ci penso su un po’ e poi affiggo qualcosa su Nazione Indiana. Nel frattempo noto che sono diventato uno che scrive cose stimabili, mentre poco fa ero uno che sproloquiava. E’ davvero un risultato sorprendente quello che ho raggiunto, soprattutto senza muovere un dito! (questa è una battuta).
    Ciao Ant. Mart.
    Dario

  23. Caro Voltolini, certo che ognuno è libero di intervenire o meno, e soprattutto di dire quello che gli pare. Io esprimevo le mie perplessità per il semplice fatto che tu, intervenendo, l’unica cosa necessaria che ti sei sentito di dire è stata: “solidarietà all’amico Montanari”. Tutto il rispetto per l’amicizia, ci mancherebbe, ma qui nessuno sta neppure a chiederti conto di niente. Qui io, come altri, osservo, e quello che osservo, dico. Ho osservato che hai detto solo quella cosa, in mezzo a tante altre forse più importanti che avresti potuto dire. Stop. Mi sembra sensata come argomentazione, non trovi?
    Non ho altro da aggiungere. Aspetto le tue idee sulla comunità, sperando che trovi un po’ di tempo per metterle giù. Nel frattempo mi leggo il tuo Voltaire e se avrò qualcosa da aggiungere lo aggiungerò.
    Ciao.
    (In genere sono piuttosto aggressivo anche per evitare leziosaggini, ma tu sei proprio la persona sbagliata per esprimere qualsiasi aggressività. Mi sembri molto sereno e pacato, uno che incoraggia la discussione, non uno che la tronca. Complimenti)

  24. Ma questa qualità di Voltolini, caro Ant.(onio?) Mart.(ino?), si capisce bene leggendo i suoi libri oppure i suoi rari interventi in rete, sempre scritti per lasciare qualcosa al lettore. Prova a ascoltare l’alfabeto “affisso” come dice lui, su NI, e dimmi se non è pieno di idee. Prova a cercare sul web le tracce della battaglia a favore di Moresco che fa da anni. Prova a cercare su http://www.carmillaonline.com i suoi “Cieli”, o prova a leggere “Neve” una favola scritta in collaborazione col pittore Julian Schnabel. Ti cito apposta le cose meno conosciute perché ti danno un’idea completa della sua ricchezza di interessi. Ha lasciato anche, in un commento su NI, delle notizie su un mangaka, Jiro Taniguchi, che ti assicuro è straordinario e che potrebbe invogliarti a scoprire altri autori di fumetti manga (mangaka) interessantissimi, come Hideji Oda. Sentire definire da V. il fumetto “Berlin, la città delle pietre” di Jason Lutes, un capolavoro, ti lascia un’idea di cultura curiosa e aperta al nuovo. Scusate se sembro l’ufficio stampa, e magari nemmeno a V. fa piacere, ma mi pare importante riconoscere la qualità di quello che abbiamo di fronte.

  25. Scusami, Andrea, ma io giudico quello che ho di fronte, non quello che non conosco o che sta altrove. E quello che ho di fronte è un Voltolini che interviene – nella discussione sulla communitas (questo forse dovevo specificarlo? ma era sottinteso!) – solo per esprimere la solidarietà, etc. Mi sembra molto, ma molto riduttivo, se non fuorviante.
    Ciao.

  26. Beh, allora è un Voltolini talmente parziale che non è più Voltolini, potresti sottolineare questo dato chiamandolo Dar.Volt.
    “Signor Dar.Volt., quando parlavo al plurale, parlavo proprio per intendere…”
    Ma così è un personaggio.

  27. Caro Andrea, a me pare che tu sia piuttosto confuso, o forse sono io a non capire dove vuoi andare a parare. Comunque, resta il fatto che tutti siamo parziali sempre, anche quando scriviamo un romanzo o una poesia o lunghe serie di testi, e il “vero” Voltolini o il “vero” andrea o il “vero” me stanno dove dio solo sa. Il problema è essere illuminanti sempre, anche con tutto il peso della parzialità/precarietà che ci portiamo attaccati al nome e ai discorsi che facciamo, anche quando scriviamo un bigliettino di auguri per un amico. Voltolini, da questo punto di vista, in questa discussione, resta un personaggio (se ti fa piacere questa definizione) per niente illuminante, solo assecondante ambigue logiche, per i motivi che ho spiegato. Ossia perché ha parlato due sole volte: la prima, per esprimere solidarietà a un amico (atto “politico”, bada bene, non essere ingenuo); la seconda, per invitare questo stesso amico a compiere un atto provocatorio all’interno di una discussione seria (atto acnora più “politico”, Andrea, sveglia!). Tu cosa dici di questo? Invece di fare l’ufficio stampa o il verificatore di teorie altrui, fai il lettore rigoroso e intelligente delle cose che scrivono le persone che stimi quanto stimo io. Ciao.

  28. Mi fanno notare che l’ultima frase del mio ultimo intervento contiene un (mezzo) refuso. Eccovela corretta: “Invece di fare l’ufficio stampa o il verificatore di teorie altrui, fa’ il lettore rigoroso e intelligente delle cose che scrivono le persone che stimi quanto stimo io. Ciao”. Riciao.

  29. Caro Ant.Mart., non è vero che sono intervenuto solo due volte, sono infatti intervenuto 5 volte e con questa fanno sei. Poi sono intervenuto postando cose su Nazione Indiana. So di non essere stato illuminante, ci proverò ancora.
    Il primo intervento di solidarietà a Raul, hai ragione tu, era a modo suo politico (e, non dimentichiamolo, redazionale). Tra l’altro, visto che vuoi da me la parola che illumini il senso dell’espressione “comunità”, lo era proprio in una tale prospettiva. Il secondo intervento invece non era per invitare “Raul a compiere un atto provocatorio all’interno di una discussione seria”, ma molto meno: era un tentativo di alleggerire un po’ la situazione. Ma le intenzioni contano poco, e se è stato letto così è soprattutto colpa mia. Rifiuto invece di essere definito come un personaggio “assecondante ambigue logiche”. E’ del tutto evidente, credo, che distribuire con tanta leggerezza appellativi del genere non è un modo per far progredire una discussione che si pretende essere “seria”.
    A presto.

  30. Caro Voltolini, se la tua solidarietà era un gesto politico, a maggior ragione trova conferma il mio discorso, che a questo punto trovo inutile ripetere, e chi ha voglia di seguirlo, se lo vada a ricostruire. Provo, però, a rivolgerti soltanto una domanda, visto che tu da solo non ci sei arrivato e, soprattutto, visto che ti scandalizzi tanto perché io ti definisco “ambiguo”: ma tu non trovi vergognoso il comportamento di Montanari? Non trovi stigmatizzabile una persona che si è rivolta con certi epitetei e toni, per quasi un mese, pressoché a tutti i lettori di questo forum, traviando e travisando una discussione seria? Non credi che avresti potuto dire una parola anche per questi atteggiamenti sballati al tuo amico, oltre che esprimergli solidarietà? Oppure quelle “esternazioni” per te stavano bene, e ci stava bene uno che prendeva per asini (!), ignoranti (!!) e imbecilli tutti quelli che incontrava? In questo senso, caro amico, tu per me eri, e resti, “assecondante ambigue logiche” (politiche).

  31. Caro Ant. Mart., tu dici: “Provo, però, a rivolgerti soltanto una domanda, visto che tu da solo non ci sei arrivato e, soprattutto, visto che ti scandalizzi tanto perché io ti definisco “ambiguo”: ma tu non trovi vergognoso il comportamento di Montanari?”
    Grazie per l’aiutino, da solo non ci sarei arrivato davvero. Però permettimi di ribadire che non mi scandalizzo affatto, ci mancherebbe, per così poco. E’ solo che non ritengo ambigua la mia posizione, anzi la ritengo chiara. Provo a spiegarmi. I toni che si sono usati nella discussione sono stati palesemente easagerati, l’attacco alle persone e non alle idee è stato sovente l’unico contenuto dei messaggi. Se fossi “super partes”, proverei a fare opera di bilancino, distinguendo fra chi ha attaccato per primo e chi si è difeso, eccetera eccetera. Forse troverei che – riguardo ai toni e alle invettive – si sia sbagliato tutti. Questo atteggiamento non sarebbe ambiguo da parte mia, ma solo “distaccato”. Invece io sono amico di Raul e SOPRATTUTTO faccio parte con lui della stessa piccola comunità che si è definita Nazione Indiana e che ha dato vita a questo blog. Non sono quindi per niente super partes. Faccio anzi parte di una delle parti. Ora, in questa mia posizione, sarebbe ambiguo se io facessi il distaccato, l’equidistante. Non sono distaccato, non sono equidistante. Io sto dalla parte di Raul. Punto. Chiami ambigua questa presa di posizione? Un mio amico dice “cretino” a uno, questi gli risponde “cretino” (o viceversa). Uno a uno, perfetta parità. Ma io sto con il mio amico. Fine della trasmissione. E’ una cosa politica, ideologica, stronza, non lo so. Non c’è nessun torto che Montanari abbia fatto che non sia stato da lui stesso subito, in quella discussione. Diverso sarebbe il caso in cui lui solo avesse ovveso unilateralmente della gente. Ma nn è stato così. E anche se lui solo avesse offeso della gente senza essere stato a sua volta offeso, forse prenderei le distanze da lui, ma in privato. I casi in cui una solidarietà, un’amicizia, si infrangono sono ben più gravi di quello che tu continui a propormi inalterato giorno dopo giorno. Non lo so: mi sono spiegato o no?
    Ciao

  32. Comunque la famosa aggressività di Montanari è iniziata per il significato di una parola, non per una semplice antipatia, soprattutto non contro una persona ma contro un’idea. Il tono era tosto. Sarò degenerato caro Ant(onello?) da Mart(e?), ma a me sta bene così, sulle idee si può essere aggressivi. Mi piace Woody Guthrie e la scritta sulla sua chitarra, sono con Montanari quando fa il glottologo anche se dice che bisogna controllare prima di tutto il bidet. Invece non mi piace per niente il tuo tono da inquisitore. Se mi chiamassi Janeczeck e si fossero rivolti alla platea in questo modo:

    “La qui presente Signora Janeczeck svolge la funzione di editor per la Mondandori, è così? Si vede molto bene… non ha “voluto” capire praticamente niente di quello di cui si è parlato questa estate…”

    non sarei stato nemmeno a rispondere. Avrei chiuso i commenti e buonanotte. Anzi Buongiorno, Notte, da dove per certi dialoghi sembri essere uscito. Evidentemente la pensa così anche Scarpa che i commenti li ha già aboliti.

  33. E’ interessante notare come tutti quanti, con pertinacia, abbiate fatto e facciate quadrato intorno a una persona che, dall’alto della sua ignoranza palesemente dimostrata dai fatti, dai dizionari e dai libri, ha distrutto una piccolissima possibilità di dialogo che si stava instaurando in Nazione Indiana. Ed è interessante anche con quanta protervia e aggressività lo facciate. Con quanta sfacciataggine. E anche, a dire il vero, con quanta ingenuità: Voltolini difende un amico in pubblico solo perché è un amico, qualsiasi cosa abbia detto o fatto, e se questo amico uccidesse qualcuno, lui questo amico continuerebbe a difenderlo in pubblico, mentre in privato (dove non si rischia niente!) magari gli direbbe timidamente: hai sbagliato… (ma in realtà gli direbbe gongolando: hai fatto benissimo!!!). Bella etica da consorteria, da massoneria, da corporazione, da riservina indianina! Interessante e istruttiva! O meglio: distruttiva, come tutte le etiche piccine di chi bada al proprio, solo al proprio, e degli altri ha solo paura.

  34. Per Lector.
    Non ho capito il motivo del tono molto emozionato del tuo post, come se mi avessi beccato a fare chissà che. Io sono un po’ stupido; mi sembrava di aver compreso che qui dentro si parla solo di quello che succede qui, tanto è vero che i miei libri e quelli di Moresco, Voltolini e degli altri non contano, come si è ripetutamente scritto: conta quello che diciamo qui, intelligente o sciocco che sia. Allora questo dovrebbe valere anche per gli articoli e le interviste: il mio articolo su Glamour è stato riportato qui, per questo è diventato di interesse di tutti voi, è stato criticato, ecc. Cosa c’entrano le altre cose che dico o scrivo in giro?
    In ogni caso:
    1. Quella su Marie Claire è un’intervista, quello su Glamour è un pezzo firmato da me, e pagato. Se ci pensi, fa differenza.
    2. Quest’estate ho scritto il pezzo per Glamour, un racconto per Vitality (pure! Con tanto di strillo in copertina), uno per Smemoranda come faccio da anni; in più ho dato un’intervista a Repubblica, quella che hai letto su Marie Claire, una su Flair che uscirà fra un mese; infine ho partecipato all’incasinatissimo radioblog di Radiorai3, giovedì sera. Per quanto riguarda l’attività libraria, o libresca, ho rivisto e consegnato il mio ultimo romanzo. Ho letto un paio di dattiloscritti di persone che seguo e aiuto, uno è stato accettato da una bravissima agente letteraria che cercherà di farlo pubblicare. Oltre a questo, naturalmente, le polemiche su NI, che mi hanno preso mediamente un’ora al giorno, a volte due, come oggi. Non so cosa puoi trovare di strano o sbagliato in questo: io lo considero più o meno il tran tran normale di uno scrittore, con l’imprevisto di NI, che riduce tanto il mio tempo libero quanto il vostro.
    3. Non conosco il direttore di Marie Claire; credo che di nome si chiami Vera. Per un articolo è raro essere chiamati dal direttore, per un’intervista rarissimo. Montanari ce n’è in giro parecchi, non siamo parenti. E se anche lo fossimo stati? Se vuoi ridere, ti dirò che mia madre si chiama Maria Venturi… ma non è “quella”, per fortuna.
    4. Io accetto sistematicamente tutte le proposte che mi fanno: articoli, racconti, interviste, ecc., che mi paghino o meno. Idem dicasi per il rapporto con NI, che più che gratuito definirei in perdita. Considero tutto questo una serie di stimoli a cercare di dire qualcosa di intelligente e veloce su temi di attualità, altrimenti per pigrizia o stanchezza non lo farei e mi concentrerei solo sulla scrittura di testi lunghi. La maggior parte dei racconti che ho scritto ultimamente sono nati così, e considero quello per Vitality uno dei migliori dei miei ultimi anni. Naturalmente puoi benissimo pensare che scrivo o dico cazzate e non cose intelligenti, è tuo diritto. Visto che l’intervista a Marie Claire ti ha tanto eccitato, la mia linea sulle tematiche sessuali penso tu l’abbia capita: evito il politicamente (o sessualmente) corretto e cerco di rappresentare un punto di vista maschile molto brutale. Questa è una mia idea di servizio alla verità. Se lo facesse una donna, nessuno avrebbe niente da ridire. Per questo i femminili in genere mi considerano un interlocutore interessante e insolito, anche se a volte il rapporto con l’intervistatrice è difficile.
    E’ tutto qui.

    Per Gabrielli.
    Il suo ragionamento è appassionato, ma la conclusione non mi convince affatto. Non riesco a capire perché uno scrittore “vota la sua vita alla trasparenza, alla necessità di dover rispondere di tutta la propria esistenza davanti alla giuria dei propri lettori”.
    Se fosse così, staremmo freschi! Non mi metto nemmeno a fare l’elenco delle miserie, delle meschinità, delle opinioni politiche inaccettabili, dei comportamenti criminosi che troviamo nelle biografie della maggior parte degli scrittori che ammiriamo e che hanno arricchito la nostra testa e la nostra esistenza con le loro pagine. Lo scrittore anzitutto scrive, altrimenti dobbiamo chiamarlo con un altro nome. Questa “trasparenza” non la chiedono più nemmeno ai santi, figuriamoci agli scrittori. Giustamente è stato detto che nessun grand’uomo è tale per il suo cameriere: guarda da vicino il grande artista e ci troverai le stesse piccolezze che sono comuni alla natura umana, le stesse scoregge dell’anima e del culo. Se si parte con questo principio, confondendo autore e opera, a cosa serve leggere i libri? Leggiamo le biografie degli autori, ci basteranno. Se ci danno il buon esempio, bene. Se ce lo danno cattivo, cancelliamoli. Si rende conto di quanto è stravagante questa logica? Fra un grande scrittore che come uomo è detestabile e uno scrittore mediocre, che è una brava persona e si comporta bene verso la sua famiglia, quale ci interessa come scrittore? Magari come condomino vorremmo il secondo; ma cosa ce ne frega di leggere quello che ha da dire, se da dire ha poco e lo dice pure male?
    Lo scrittore risponde di ciò che scrive, e basta; se, non essendo ricco di famiglia, è costretto a lavorare, lavora. E può darsi benissimo che si trovi a lavorare in un mondo, quello editoriale, in cui trovare presidenti sgraditi è altrettanto facile quanto nel mondo aziendale in tutto il suo complesso.
    Anch’io con simpatia, la leggo sempre con piacere.

    Ad Ant. Mart.
    Per capire dove nasce l’aggressività, basta leggere il linciaggio a cui è stato sottoposta la mia persona nei commenti al pezzo sul sesso, a partire dal primissimo, quello di Anna Corti, che giudicava il fatto di pubblicare su quella rivista “qualificante della persona”, appunto, manco fossi uno stronzo bastardo venduto figlio di puttana, per proseguire con tutti gli altri, culminanti nel “servo”. Poi arrivano interventi difensivi miei. Poi ci si sposta sulle Lettere da Leuca, e qui c’è un intervento mio, il primo sulla questione etimologica, profondamente sbagliato nel tono, un tono che in questo caso diventa contenuto: io posso sicuramente pensare che communitas non vuol dire “l’insieme di quelli che si scambiano il dono della solitudine”, ma dirlo in quel modo è stato un errore grave, perché l’idea che communitas derivi da munus nell’accezione “dono” – l’idea cioè di Esposito, De Vivo, Virgilio, Paradiso – è sostenibile tanto quanto quella che derivi da munis nell’accezione di “responsabile di una carica”. Quindi, ho sbagliato a trattarla come se fosse un’enormità. Di questo errore mi sono scusato ripetutamente, dicendo che avevo usato toni fuori luogo. I miei antagonisti, Gustavo e i due di Zibaldoni, dopo avere usato a modo loro toni ugualmente accesi, hanno trovato un modo elegante per deplorarli, e la questione è completamente finita lì.

    A tutti.
    Più volte ho fatto dell’ironia su queste colonne di commenti dicendo che sembravano L’ora del dilettante o La corrida. Adesso, onestamente, non vi sembra che somiglino al Processo di Biscardi? Vogliamo provare a guardare la situazione dall’alto, unendoci in una prospettiva un po’ da carta geografica?
    Voltolini, in uno dei suoi interventi, lascia cadere un’osservazione che nessuno riprende: che i suoi pezzi non vengono quasi mai commentati. A me piacerebbe sapere cosa pensa Gustavo dell’Obliquomo, cosa pensa Ant.Mart. dell’Uomo alla finestra, delle altre cose che Dario ci dice; cosa pensate della poesia di Andrea Inglese, o del pezzo di Martinelli su Valentino Rossi. Cosa pensate delle osservazioni degli Zibaldoni, che hanno esplicitamente assunto l’aspetto di una lettera aperta ai lettori.
    Zero, o quasi. Invece sembra che tutti (io per primo: se questo è il Processo, sicuramente io faccio la parte di Franco Melli o di Elio Corno) ci appassioniamo solo quando parte la rissa. Se è così, questo blog è ormai identico a tutti gli altri, con la gente che si incazza, litiga, e, come osserva Gabrielli, alla fine non comunica più un accidente, difende solo la propria posizione (di nuovo, io per primo: ho scritto anzitutto per chiarire quello che trovavo assurdo nel post di Lector, e sbagliato, a mio parere, in quello di Gabrielli e Ant. Mart). Non vedo più un valore differenziale in queste discussioni, e Andrea non è affatto in errore quando trova nel gesto di Scarpa, che pubblica per la prima volta dopo parecchio tempo un testo senza aprire una finestra di commento, il segnale piuttosto malinconico di una direzione che comincia a cambiare. Lo dico prendendomi tutta la responsabilità per quello che non sono stato capace di fare IO; altri si assumano la loro.

  35. Consiglio a tutti (ME per primo) di leggere, rileggere e meditare questo ultimo, cruciale pezzo di Montanari. Perché io sono sicuro che qui dentro c’è genete che sta seguendo ancora con una certa attesa questo dibattito. Attesa che, comunque finirà questa storia, è forse compito di tutti cercare di non tradire. Non è facile superare se stessi e andare al di là della rissa, come dice Montanari, ma in queste condizioni asfissiantemente biscardiane è l’unica cosa che vale la pena tentare. Se non siamo capaci di vasocomunicare (diceva così la Benedetti?), allora è meglio che finisca come Scarpa ha suggerito: con la chiusura dei battenti, dopodiché chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Il resto sarà silenzio.

  36. Caro Ant. Mart., ti sto perdendo di nuovo, dopo che mi pareva di aver registrato un certo avvicinamento, almeno emotivo. Riesci a dire tutte insieme le seguenti cose: che facciamo quadrato attorno a una persona che rende impossibile il dialogo (Montanari, l’unico che lo sta continuando!);che lo facciamo, io in particolare, con sfacciataggine, protervia, aggressività e ingenuità; che io difenderei in pubblico un mio amico che avesse ammazzarto qualcuno, salvo poi biascicargli delle critiche in privato, ma in verità invece congratulandomi con lui (mettiti d’accordo almeno tu con te); che la mia etica è da consorteria, da massoneria, da corporazione, da riservina indianina, che è distruttiva, piccina, tipica di chi “bada al proprio, solo al proprio, e degli altri ha solo paura”.
    Invece io spero, contro ogni ragionevolezza ormai,
    non dico di convicerti, ma almeno di farti balenare il sospetto che io la vedo diversamente. Intendo dire questo: se dichiaro apertamente gli schieramenti, le amicizie, le solidarietà, secondo me non faccio massoneria, che non a caso è un’associazione nascosta. Non faccio mafia, perché non ci ricavo nulla, e non aiuto nmmeno l’altro a ricavarci nulla e soprattutto non ledo nessuno. Preferiresti che dicessi apertamente qualche fesseria ipocrita tanto per dire, mentre nella realtà sono convinto del contrario? Sarebbe, questa, un’etica grande, da riservona yankona? Sarebbe badare all’altro? Non averne paura?
    Mi fa simpatia la carica con cui parti lancia in resta, ma se siamo qui per discutere non mi tirare fuori quegli esempi dell’amico omicida, per favore. E sarebbe anche bello che dessi anche tu ogni tanto un esempio di etica, di cosa significa per te, di come la intendi tu. Capisci bene che se ogni volta uno deve riprendere le tue parole e rimetterle sui binari il tempo viene a mancare. La voglia no. Non ti libererai di me così facilmente.
    Ciao.

  37. Caro Voltolini, emotivamente siamo molto più vicini di quanto tu pensi. Io qui sto impersonando, come direbbe la Janeczeck, la contraddizione di chi vive in tempo reale la scrittura scrivendo in un blog, di chi mentre dice A, allo stesso tempo può facilmente dire B, con disinvoltura e, soprattutto, senza che nessuno se ne accorga o faccia riflessione o eserciti una sana memoria. Scrivere in queste condizioni – in blog “liberi”, forum o che altro – è esattamente tutto questo messo insieme, magari condito con anonimato e un pizzico di mistero. Scrivere in queste condizioni – ti domando allora – è ancora scrivere? E parlare in questo modo “improvviso”, irriflessivo, immunizzato, serve ancora a qualcuno o a qualcosa? Sono, da un lato, molto dispiaciuto della tua ingenuità, che ancora si accanisce sugli aspetti contenutistici dei miei testi, frutto chiaramente di sbalzi d’umore (scrivo sempre di getto la risposta a quello che leggo, senza pensaci su nemmeno un secondo), e trascura gli aspetti di “posizione”, come dice Carla Benedetti, del soggetto parlante; dall’altro, però, mi torni molto simpatico e stimabile, perché l’ingenuità è segno di grandezza d’animo. Ma, come dicevo, la questione è un’altra, e sta piuttosto nelle domande che pone Montanari, e che io riprendevo a modo mio: quale etica è ancora possibile in queste condizioni di dialogo immunizzato? Chi esercita il controllo morale giusto, se tutti possiamo dire tutto di tutti, e, allo stesso tempo, anche l’esatto contrario, e, soprattutto, se non esiste da nessuna parte una idea di comunità di riferimento? Se, in poche parole, tutto diventa verbigerazione folle, e anzi, appena un argomento serio si appropinqua all’orizzonte, la prima regola è banalizzarlo, con una battuta veloce, un frizzo, un lazzo, una scostumatezza? Prendiamo proprio il nostro caso. Montanari, ad esempio, ti invita a discutere delle sue domande e di quelle che hanno posto altri insieme a lui, ma tu preferisci rispondere a me, che parlo come un umore impazzito. Ti sembra un caso? A me no, perché so che questa è la logica perversa del blog, perché il blog attira, per le cause che ho accennato sopra, come un vortice, e dà l’illusione dell’immediatezza e, quindi, dell’attimo pienamente goduto e compreso. Ma solo l’illsuione, però, solo l’illsuione della verità, caro amico che vieni stordito da me che parlo a vanvera e così ti distrai dalle domande serie. Io non lo so, però mi pare che è in questa melma umorale che siamo impelagati tutti quando diventiamo scrittori di interventi in un blog, melma dalla quale, ripeto, forse Scarpa ha già deciso di “immunizzarsi”: non risolvendo nulla per la comunità con la sua censura, ma forse risolvendo almeno i suoi problemi di “scrittore” che deve continuare a fare i fatti suoi, cioè a scrivere.

  38. Caro Ant. Mart., trascuro ancora una volta una gran massa di questioni per porti una domanda da ingenuo quale sono: ma tu che gusto ci provi a parlare a vanvera sapendo di farlo?

  39. Io l’ho spiegato il senso e il gusto, se così si può dire, della mia posizione da trickster, caro Voltolini. Ma tu, all’opposto, cioè dall’altra parte di te stesso, che gusto ci provi a interloquire con me che parlo a vanvera sapendo di farlo? Non ti accorgi che solo così, non altrimenti, ha vera vita il blog?

  40. Voglio dire: appena la discussione si fa seria, i primi a latitare son proprio le persone più serie. Come mai, secondo te? Io forse comincio a capire qualcosa. Secondo me, tutto ciò accade perché questo è il posto sbagliato per discutere seriamente di letteratura, comunità e quant’altro. Niente di male, niente di censorio, solo che questo non è il posto giusto per certi discorsi critici, articolati, etc; così come sarebbe sbagliato discutere di calcio in un convegno di medicina. E, bada bene, il “posto” difende da sé la sua identità, in un certo senso condiziona e obbliga il tuo discorso entro i suoi confini. Non viceversa!

  41. Guarda, caro Ant.onello da Mart.e, nel mio caso mi sono convinto definitivamente che sei un trickster (I.E. deficiente) alla tua risposta al mio post su Voltolini. Tra l’altro su certe cose prima di farmi cambiare idea ci vogliono le cannonate. A ottobre nella mia città (comincia l’8 con Nori e Raffaini e la loro Storia della Russia e dell’Italia) parte una rassegna di autori di Fernandel e mi sono impegnato ad aiutarli, se serve anche presentandoli, cosa che non so assolutamente fare, quindi nel mio caso il tempo per risponderti lo risparmierò per leggere i loro libri. Poi un mio amico mi ha risposto sull’ultimo fatica di Scarpa dicendo che ha trovato Scarpa uno con “la testa devastata”. E’ il primo libro suo che legge, anzi è in assoluto il primo libro di un “nuovo” narratore italiano che legge (chiamiamolo così e comunque per lui è nuovo), prima solo libri di Repubblica e libri della nonna. Posso dire che lo ha finito in tre giorni, per cui qualcosa di interessato deve averlo trovato, ma vorrei capire cosa intende per testa devastata, visto che Scarpa è anche un saggista lucidissimo, forse si riferisce a certi inserti di Scarpa che generano fulmineamente inquietudine come la descrizione del soffocamento nella poesia Il capitalismo straniero (che somiglianze di famiglia tra i racconti di Montanari e quella poesia). Come vedi Antonello da Marte si riescono a fare anche cose, magari in piccola scala, costruttive. Non interverrò più nelle finestre di commenti dedicate alla polemica. Sempre che in futuro rimangano le finestre di commenti.

  42. Caro Ant. Mart., che scrivi ora due lettere alla volta, nella prima mi chiedi “che gusto ci provi a interloquire con me che parlo a vanvera sapendo di farlo?” e nella seconda affermi “Io forse comincio a capire qualcosa.”
    Allora non è stato tutto vano!

  43. Nulla è vano (bell’aforisma, no?).
    Io comincio a capirci qualcosa, ma di te, caro Volt, non si hanno notizie, ahimé… brancoli nel buio del tuo amico Voltaire… e non hai argomenti, non hai nulla da opporre alle mie domande, che ti schiacciano come macigni, mentre tu gorgheggi d’ironia… E poi, chi ha detto che io parlo a vanvera? L’ho detto io? Ma sei sicuro che io parli a vanvera? Non è che è sconsigliabile fidarsi di quello che dice l’autore? Non è che, parlando a vanvera, viene fuori la verità? Io credo proprio di sì…
    Frattanto, c’è una buona notizia: ci siamo liberati di Andrea, un altro povero di argomenti, tutto frizzettini citazionali di autori di quart’ordine… roba di bassa lega… Ma come si fa a sapere tutto di Scarpa e a non aver mai letto Dante o Leopardi, io questo non lo capirò mai… E tu?

  44. Caro Ant. Mart., sono sicurissimo che tu parli a vanvera, ma so anche che lo fai intenzionalmente. So anche che parlando a vanvera alla fine verrebbe fuori la verità, se ci fosse una fine. Dicendo tutto e il contrario di tutto, è ovvio che circa un 50% di cose vere alla fine le dici. Se c’è una fine. Siccome non c’è, potremmo passare tutto il nostro tempo nella tua vanvera negativa, senza che mai giunga il tempo di quella positiva. Adesso mi scuserai, ma vado a brancolare nel mio stesso buio.
    Non trattare così Andrea, ci fai una figuraccia.
    Un caro gorgheggio per te.

  45. Concordo con Dario, che mi ha preceduto perché era alzato alle due meno un quarto di stanotte (ma che ci facevi?).
    Il primo intervento di Ant.Mart. in questa discussione è di circa 3 settimane fa, quando con puntiglio elencava le offese che avevo rivolto ai miei interlocutori. Tutto vero, un buon argomento che mi ha fatto arrossire; ora però spernacchiare l’avversario che si alza e abbandona una disputa mi sembra davvero inelegante da parte di una persona intelligente come Ant. MArt. ha ripetutamente dimostrato di essere.
    Al di là del tono, il contenuto del suo “congedo” da Andrea mi sembra molto interessante. Lo commento col solito sistema dei punti, tanto per farmi capire e capire io per primo cosa voglio dire.
    1. “Io comincio a capirci qualcosa, ma di te, caro Volt, non si hanno notizie, ahimé… brancoli nel buio del tuo amico Voltaire… e non hai argomenti, non hai nulla da opporre alle mie domande, che ti schiacciano come macigni, mentre tu gorgheggi d’ironia…”
    Veramente a me, e non solo a me, la situazione sembra un po’ diversa.
    Ant Mart ha fatto un intervento molto bello e profondo nei commenti alla II lettera da Leuca, il 6 settembre, partendo dal baudelairiano “orrore del domicilio” per dire cose importanti e anche molto critiche sulla logica comunitaria del web, e non solo su quella. Dopodiché, mi corregga se sbaglio, si è lanciato quasi esclusivamente in una serie di sarcasmi e attacchi o controattacchi personali. Provi a rileggersi e mi dica se non è così. Lei continua a chiedere agli altri di dire la loro sulla communitas, lo chiede a Moresco, a Helena, a Voltolini, ma questa benedetta communitas non è anzitutto il reciproco riconoscimento di un metodo di discussione? La communitas non è anzitutto comunicazione? Cosa dovrebbe fare Voltolini? Scrivere un breve trattato sulla communitas? Cosa ha fatto Moresco, che è stato rimproverato in una maniera per me incomprensibile? Moresco ha preso molto sul serio le opinioni di De Vivo e Virgilio, ha risposto, ha proposto una visione dinamica del rapporto fra comunità e opere, dicendo che non gli sembrava che la costituzione di una comunità dovesse per forza precedere le opere, che le due operazioni storicamente hanno sempre proceduto di pari passo. Stranamente, e lo dico senza ironia: stranamente, incomprensibilmente, questa sua presa di posizione è stata giudicata “elusiva”, “tardoromantica”, “superficiale”. A me sembra che Moresco abbia detto la sua, eccome! E mi sembra che questa opinione sia un contributo alla communitas, come lo è stata l’interpretazione del dibattito estivo proposta da Helena, come lo è lo spirito “illuminista” di Voltolini, che chiede, interroga, cerca letteralmente di fare luce e chiarezza.
    2. “E poi, chi ha detto che io parlo a vanvera? L’ho detto io? Ma sei sicuro che io parli a vanvera? Non è che è sconsigliabile fidarsi di quello che dice l’autore? Non è che, parlando a vanvera, viene fuori la verità? Io credo proprio di sì…”
    Questa autodescrizione è straordinariamente esatta, e fotografa lo stato dell’arte. In questo momento non si sta parlando più di niente tranne delle contraddizioni “umorali” di Ant. Mart., a cui Voltolini ha acconsentito a fare da esegeta. Ant Mart è l’autore, come lui stesso si definisce, e Voltolini il suo commentatore e il suo editor voltairriano al tempo stesso. Questo è il modo di realizzare la communitas? Boh!
    Ant. Mart. a me è molto simpatico perché ha il gusto di mettersi in discussione, di scoprire i suoi stessi strumenti dialettici: parla di se stesso come di uno che estremizza, che si abbandona deliberatamente all’impulsività, ecc. Però, come diceva Engels, la quantità a un certo punto si converte in qualità: se adesso NI diventa lo scritto di un solo autore che si esprime nel silenzio generale, punteggiato dalle richieste di chiarimento del suo critico personale, viene da rimpiangere le battaglie etimologiche.
    Quanto è durata la riflessione che lei stesso, con molto fair play, chiedeva per sé e per gli altri dopo che si era parlato di biscardizzazione del blog? La persona/personaggio che lei mette in scena con i suoi interventi ha, per quanto mi riguarda, il mio rispetto (per l’intelligenza e la cultura) e la mia simpatia (per le contraddizioni e lo spirito bizzarro, ammessi e non nascosti); però qui la communitas ha perso il comm ed è diventata unitas.
    3. “Frattanto, c’è una buona notizia: ci siamo liberati di Andrea, un altro povero di argomenti, tutto frizzettini citazionali di autori di quart’ordine… roba di bassa lega… Ma come si fa a sapere tutto di Scarpa e a non aver mai letto Dante o Leopardi, io questo non lo capirò mai… E tu?”
    Allora, lasciamo da parte un momento il tono di queste frasi e vediamo i contenuti.
    Anzitutto non si capisce da cosa lei deduce che Andrea non ha mai letto Dante e Leopardi. Ma non si capisce proprio! A me Andrea sembra una persona coltissima, in grado di spaziare dove vuole, e i suoi interventi sono stati quasi sempre molto puntuali, molto argomentati, come ampiamente riconosciuto anche da altri (per esempio da De Vivo e Virgilio).
    In secondo luogo Andrea ha parlato pochissimo di Scarpa (sorvoliamo sulla definizione di Scarpa autore di quart’ordine; lei è libero di pensarla così, il resto del globo la pensa diversamente, e quando dico globo non parlo a caso, visto che ormai le traduzioni delle opere di Scarpa in francese, spagnolo, tedesco e nelle lingue slave fanno di lui un autore internazionale in ogni senso), moltissimo di Voltolini; è chiaro però che dire allo stesso Voltolini: “Ma come si fa a sapere tutto di te e a non avere mai letto Dante e Leopardi” sarebbe assurdo, non solo per la scortesia di una frase del genere, ma anche perché lei stesso si è dichiarato un conoscitore e un ammiratore delle opere di Dario.
    In terzo luogo, ed è il luogo che mi preme di più, la sua frase, come altre che ho letto qua e là in questi due mesi di discussione, sottintende, forse involontariamente, una svalutazione dei contemporanei rispetto ai classici.
    L’ideologia che sottostà a questo tipo di presa di posizione è, più o meno: io per cominciare leggo Dante e Leopardi e ascolto Bach e Mozart; le spalle le ho coperte, ho da meditare e da godere per tutta la vita; poi, se mi andrà, come di più, come dessert, farò qualche escursione nel contemporaneo.
    Lei non ha detto queste cose, Ant. Mart, sia ben chiaro, e non credo che questa sarebbe nell’insieme una descrizione corretta della sua cultura personale: sto solo approfittando della sua frase per dire una cosa banale che però ogni tanto va ricordata.
    La cosa banale è che, come diceva Bacone, credo, noi siamo più vecchi degli antichi, perché abbiamo più anni di loro, più secoli di storia e di pensiero su cui riflettere. Noi siamo in piedi sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto; siamo nani, ma, appunto, essendo in piedi sulle loro spalle, alla fine siamo più alti di loro. Può darsi benissimo che in termini di valore letterario e potenza di pensiero Scarpa sia alto un centimetro e Leopardi sia alto un chilometro; però Scarpa scrive adesso, dopo aver assimilato e messo in circolo, dentro di sé, l’opera di Leopardi; sta seduto sopra Leopardi, vede un centimetro (per me più di un centimetro, è chiaro…) più lontano di quanto poteva vedere Leopardi, per il semplice fatto che vede il contemporaneo e può parlarci della televisione, dell’elettronica, di internet, dei MacDonald, della trasformazione antropologica che stiamo subendo in questo momento, di cose che non c’erano al tempo di Leopardi.
    Cosa ci lascia Leopardi? La bellezza di ciò che ha scritto, e una riflessione profondissima sulla natura umana che in parte tocca il SUO contemporaneo (comportamenti, costumi, schemi relazionali che per noi possono avere solo valore storico), in parte invece abbraccia una serie di costanti, di invarianti di questa natura e di questo agire umano (comportamenti, costumi, schemi relazionali che hanno TUTTORA un valore conoscitivo enorme per tutti noi).
    Cosa non può lasciarci Leopardi, essendo stato fornito di ogni dote possibile ma non dell’ubiquità temporale o dell’onniveggenza (se non in senso metaforico)? La descrizione del NOSTRO contemporaneo, del nostro tempo.
    E’ banale, ma va ricordato.
    Il centimetro di Scarpa ha un valore incalcolabile, perché coglie contenuti e modalità che Leopardi, per forza di cose non poteva cogliere; che nemmeno Pasolini, in realtà, poteva cogliere interamente, e parlo di un autore cronologicamente molto più vicino a noi, che ci ha lasciato sul nascente mondo della massificazione televisiva una testimonianza di pensiero straordinaria.
    Ricordiamoci che quelli che adesso ascoltano Mozart e ridono di Stockhausen o di Arvo Part sono, in ispirito, gli stessi che all’epoca di Mozart non capivano Mozart, lo chiamavano “nasone” e “cacciatore di dissonanze”, e l’hanno fatto crepare a 36 anni in un modo indegno, squattrinato, alcolizzato, amareggiato, distrutto. L’atteggiamento era lo stesso: la svalutazione del contemporaneo, il rifugio nella “buona musica” e nelle “buone letture”, solide, sicure, gustose, confortanti.
    Chiedo scusa ad Ant. Mart., davvero di cuore, per aver fatto un discorso che va evidentemente molto, ma molto al di là di quello che lui voleva dire con una frase dettata semplicemente dall’irritazione verso Andrea. Ant. Mart. i contemporanei li legge; quella frase infelice non credo gli appartenga. Io l’ho rubata per cercare di dire qualcosa che andasse un po’ oltre l’avvitamento in cui è precipitata questa colonna di commenti da qualche giorno in qua.

  46. Basta così. E’ ora di un’autoctritica. All’inizio di questa colonna c’è un testo di Helena nel quale è scritto che “nelle varie derive tematiche l’unico tratto continuativo” (nei commenti) è “la trasformazione degli autori in personaggi”.
    Questo era il punto di partenza, e naturalmente questo è il punto da cui, di deriva in deriva, ci si è allontanati.
    L’autocritica comincia qui. Io infatti ho dato per scontato che, poi ho trovato dove ho voluto conferme che, e in seguito mi sono assoolutamente convinto che, l’autore della deriva fosse Ant. Mart.
    Ma è del tutto evidente che lo sono anche io. Precisamente perché ho di Ant. Mart. la visione e la percezione che si ha di un personaggio. Me lo immagino, credo di sapere cosa pensa, e così via.
    In verità quello che io credo di sapere di lui me lo sono fabbricato io e l’ho oggettivizzato con una mossa del tutto mia privata, del pensiero e dell’immaginazione. In altre parole: non ho che dei pregiudizi. Se rifletto, mi rendo conto che non solo non so nulla di lui, ma addirittura è probabile che creda il falso. Dico infatti “lui”, ma se fosse una “lei”? Chi mi ha mai detto se Ant. Mart. è maschio o femmina? Lo (la?) credo italiano(a), ma perché mai? Me lo (la) immagino piuttosto giovane, ma su quali basi?
    C’era in giro in rete, e forse ancora c’è, un sito accedendo al quale si riceveva in omaggio un grazioso testo narrativo postmoderno, scritto per l’occasione e per il navigatore di turno. Era un software, che scriveva il testo. Non era NESSUNO: era un software. Lì il gioco era palese e l’idea era quella di ironizzare sulle poetiche postmoderne, o su alcune loro epigonali derivazioni. Ma insomma, senza il paratesto che informava dello scherzo, avrebbe anche potuto trarre in inganno qualcuno.
    Bene, finisce qui la mia autocritica. Saluto Ant. Mart., maschio o femmina che sia, vecchia o giovane che sia, umana o sintetico che sia. E’ stato comunque un interessante test di Turing: se l’intelligenza di Ant. Mart. (come continuo a credere) è umana, bene così; se è artificiale, complimenti al software engineer.
    Cia o… a… t u t t i…
    Hal

  47. E’ tutta da ridere! Io SO che Ant Mart è maschio perché nel post dell’8-9 si definisce “iperbolico”; oltre a questo, ho la netta sensazione che non sia affatto una persona giovane. Per me Ant Mart ha almeno 40 anni, non mi stupirei se ne avesse parecchi di più.
    Insomma: Helena aveva perfettamente ragione, altro che storie.

  48. Oggi è stata una giornata dura. E la cosa bella è che non è ancora finita, ho da lavorare come un mulo. Torno presto però, le vostre argomentazioni sono molte serie.

  49. La Janecz. aveva ragione, ma aveva anche torto. Voltolini ha ragione, ma ha anche torto. Montananri aveva ragione, ma ha anche torto. Soltanto io ho sempre e solo ragione! Vi sembrerà strano, ma è così. Ora proverò a introdurvi alla dimostrazione di tale assunto (solo introdurvi, però, la dimostrazione tutta intera ci vuole ben più tempo e spazio).
    Allora. La Jancecz. ha ragione quando dice che si tratta solo di una gigantesca messinscena, ma sbaglia quando comincia a chiamrsi fuori, lei e i suoi amici, da questa messinscena, nella quale lei è personaggio come me e tutti gli altri. Da questo preciso istante, comincia la fetta di ragione di Voltolini, che questa cosa l’ha capita, ma sbaglia, anche lui, quando comincia a chiamarsi fuori da questa faccenda per andare a fare altre cose (presumibilmente più importanti). A questo punto, entra in scena (sic!) Montanari. Che ha ragione quando dice che quello che resta sono le opere, ma non si rende conto che lui qui dentro sta costruendo un’alta opera, l’opera al nero del suo fallimento come scrittore che infine si è autodeclassato a blogger. Il blogger, infine, sono io, soltanto io, il teppista della rete, che vi impedisce di parlare di cose serie con pose serie, ma vi fa sentire tutto il peso del vostro esser niente altro che esseri umani accalappiati da una rete. Molto piacere di avervi conosciuti, il mio nome è Umberto Eco.

  50. Ant. Mart., il teppista della rete, con la sua pretesa (in buona fede o no) di “impedire di parlare di cose serie con pose serie”, di far sentire agli altri il peso del loro essere niente, finisce SEMPRE con l’impedire di parlare, di qualunque cosa e con qualsiasi posa. Ant. Mart., il teppista è un terrorista, le cui vittime alla fine sono coloro che, magari con mezzi e modi impropri, stavano comunque cercando di comunicare.
    Ant. Mart., a me tu non sembri un terrorista. Quest’ultima tua posa mi sembra davvero mal riuscita.

  51. Scusate, ma dopo quest’ultima capriola di Ant. Mart. io mi ritiro e vado a fallire come scrittore altrove, portandomi dietro l’impressione un po’ sconfortante di avere sopravvalutato il mio interlocutore. Non scriverò più una sillaba su questa colonna di commenti, che ormai è un cadavere. Ciao a tutti, ci si legge da qualche altra parte.

  52. Che tristezza!!! dopo aver seguito un dibattito che era partito in modo intrigante seguito da accese polemiche,a volte anche noiose, il finale è veramente deprimente.Caro sig. Ant Mart, chiunque Lei sia, qualunque cosa volesse dimostrare, come lettrice di questo blog le assicuro che l’unico che non ne esce bene è prpprio Lei!A questo punto condivido pienamente la scelta di Scarpa di non dare spazio ai commenti.Disgustata non certo da N.I.,ma dalla dinamiche innestate da personaggi( e sottolineo personaggi)non certo in buona fede,saluto con grande stima Voltolini e Montanari.Gabriella

  53. Cara Ant. Mart.,
    come vedi mi tiro talmente fuori per andare a fare cose più importanti, che sono qui.
    Un solo appunto: non essere così presuntuosa, il peso di essere nient’altro che esseri umani lo sopportavamo da prima del tuo Avvento.
    Un’altra cosa: tutti i personaggi che sei (6) non hanno trovato qui l’Autore che cercavano, per sbranarlo. Il tipo di Scrittore che sei (6) andata combattendo forse non è nessuno di noi.
    Ti saluto come un blogger, o, peggio, come un essere umano.
    Con peso
    Dario

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