Moresco e Sokurov

di Giovanni Davide Maderna

Devo replicare all’intervento che, partendo dalla lettera madrilena di Moresco, giunge all’elogio del viaggio cinematografico di Sokurov per le stanze dell’Ermitage, perchè sento toccare alcuni nervi che sono, almeno per me, scoperti.
Sto leggendo in questi giorni i Canti del Caos seconda parte di Moresco e conosco abbastanza bene la filmografia del russo Alexandr Sokurov. Alcuni anni fa mi affascinò il film “Madre e figlio” e cercai di recuperare le opere precedenti del cineasta.

Ma non posso nascondere che le realizzazioni successive dell’autore mi sono parse sempre meno convincenti. E in una direzione di “ricerca” davvero estranea a quella propugnata da Moresco. Ripeto, ho sotto gli occhi la sorprendente e spiazzante capacità dei Canti del Caos di farsi carico della materia più vile, della volgarità e della banalità stessa del nostro tempo per metterli dentro ad un romanzo. Per non lasciarli appannaggio unico della televisione e di quanto sappia penetrarvi solo a prezzo di un cinismo mistificante. Leggo con stupore crescente come tutto ciò che ogni persona di buon senso lascerebbe fuori dalla “letteratura”, quanto meno per non fare la figura dello stupido e del rozzo, viene accuratamente selezionato e fatto divenire il corpo stesso del romanzo, la materia prima di un discorso, di una lingua che inaspettatamente, proprio sull’orlo del baratro, e solo in questa “parte seconda” a mio avviso, ha il potere di trasfigurare quegli stessi elementi, quella stessa spazzatura, quella stessa disarmata realtà.
E mi viene da chiedermi come si possa confondere questa operazione con quella, di segno opposto anche esteriormente ma soprattutto nella sostanza fasulla e se mai astuta, “intelligente”, del regista russo. Là dove Moresco apre ferite, spezza consuetudini rivelandone l’assurdità, Sokurov leviga e fluidifica, rendendo inoffensiva e anzi anestetizzante la sua opera. Là dove Moresco sveglia e chiama alla lucidità, Sokurov (e il suo pseudo-de Maistre cicerone suadente) assopisce, punta sull’abbandono ad una estetizzante deriva, in fondo ripete il ritornello della fine della storia (del loop, del piano-sequenza che si avvita su sé stesso senza soluzione di continuità, fino all’ultima mortuaria processione, al tempo stesso bellissima e di facile, nauseabonda retorica), mostrando con nostalgica eleganza il balletto della storia stessa. (Altroché “ritorno alla storia…”, difficilmente si immagina elusione più deliberata e compiaciuta del presente).
Il film “arca russa” incarna perfettamente il proprio ruolo di prodotto sofisticato per spettatori raffinati, affinché, democraticamente, anch’essi possano avere lo stesso nulla di chi va a vedere un qualsiasi film d’azione, senza dover smettere di considerarsi intellettuali. Sokurov dopo anni di ricerca autentica e sommersa emerge accettando la condizione di autore compromesso, di divulgatore di sé stesso, nel più banale e smaccato dei modi. Il cocktail è il solito: virtuosismo e inutilità. Comune a tanti (quasi tutti) gli “autori” da festival. Moresco, ahimé per fortuna, è l’opposto. Costringe non solo a smettere di considerarsi intellettuali, ma persino a fare i conti con i propri sentimenti più umani, mettendoli in gioco, rischiando ogni momento di perdersi nella più squallida disumanità, per ricordarci che immersi in quella viviamo, tutti, “intellettuali” e no.
Insomma a mio parere confondere, per quanto in buona fede, quel film con la tensione e l’invenzione di cui parla Moresco dimostra purtroppo la pervasività e il successo del bieco meccanismo culturale che lo ha prodotto (anche nel senso di “finanziato”, visto che è una tipica co-produzione europea e si rivolge al mercato internazionale con l’etichetta DOC “made in Europe”), e quanto la fessura dentro la quale porsi per ritrovare sé stessi sia ancora più sottile e infinitesimale di quanto si pensasse. Il che non è un modo per chiuderne fuori qualcuno, tutt’altro, se mai per ricordare a ciascuno, e a chi scrive per primo, quanto ad ogni passo sia necessario verificare se davvero si è disposti ad andare fino in fondo per avere la possibilità di accedervi.

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84 Commenti

  1. Probabilmente c’è stata un’incomprensione di fondo, per incapacità mia di farmi intendere o altro, poco importa. Non paragono certamente la forza dirompente e increspata di “Canti del Caos” (parlo della prima parte, non avendo ancora letto la seconda) con la fluidità ammansita di Sokurov, non sia mai. Il mio discorso si riferiva ovviamente alla percezione. A un modo comune di sentire, di oltrepassare le griglie del proprio tempo in maniera simile. Che non corrisponde all’equazione Sokurov-Moresco, intendiamoci, ma bensì a Sokurov-Goya. Forse così ci capiamo meglio.
    Tra l’altro volendo abbandonare il mio binario per seguire un attimo il tuo discorso, non mi trovi in accordo quando dici “Là dove Moresco apre ferite, spezza consuetudini rivelandone l’assurdità, Sokurov leviga e fluidifica, rendendo inoffensiva e anzi anestetizzante la sua opera”. Non so infatti quanto Sokurov possa davvero fluidificare (per avvicinarsi allo spettatore) rinunciando al montaggio e alla manipolazione del tempo, ossia rinunciando alla trasparenza.
    Ripeto, Giovanni, non ho certo paragonato Moresco a Sokurov, ma d’altronde, quando dici che “Arca russa” è un prodotto sofisticato per spettatori raffinati, mi respingi sulla mia strada e mi fai ancora pensare che il digitale (anche se poi passato in 35mm) usato anche da te, sia lungi dall’ottenere la tanto agognata patente di democratizzazione cinematografica. Tra l’altro il tuo bel “Questo è il giardino” (che mostrai anni fa in una scuola superiore) non l’ho mai considerato – fortunatamente – per spettatori raffinati, ma se non ricordo male alcuna critica, cadendo a mio modestissimo parere nel tuo stesso errore, lo ha fatto in più battute.
    sc

  2. Sono d’accordo con Maderna ma nche con Ciaruffoli.
    Credo di aver capito il suo post, e conoscendo (credo) il pensiero di Ciaruffoli (attraverso i suoi scritti), non cerdo proprio che abbia voluto paragonare due artisti così diversi come Moresco e il russo.
    Ciò non toglie che anche io pensi di Arca russa quello che ha scritto Maderna, pio o meno.

    Matteo

  3. Moresco: mediocre indiano che guarda Goya e, alla fine, cerca di parlare di comunità senza saperlo fare, senza sapere che comunità è diverso da Nazione Indiana.
    (E voi, perché cambiate discorso?)
    F.

  4. Ecco che si è riattivato lo spirito del mandare in vacca. Commenti seri per favore, oppure pedalare.
    Ciao

  5. Ma se tanto vi infastidisce chi non parla come voi o chi non vi osanna, perché lasciate aperto e libero questo spazio? Mettete delle chiavi di accesso e fate parlare solo chi vi pare e piace, sarebbe meglio per tutti. Il mio intervento era ed è serissimo, ed espone, con poche parole, una critica. Se a me Moresco pare mediocre, perché non posso dirlo? Chi è Moresco, il padreterno? Voltolini caro, a me il tuo sembra un intervento piuttosto poco serio, molto basso, provocatorio. La mia critica, anche se con pcohe parole, era circostanziata e precisa (rileggila), e dava una motivazione della mediocrità di Moresco. Non sono necessari dei lunghi papiri per dire come stanno veramente le cose e mettere in luce i limiti delle persone e dei testi. A uno Moresco fa venire in mente Sokurov e il cinema, a me fa venire in mente la mediocrità: devo forse sentirmi in colpa o tacere?

  6. Forse ho equivocato, Simone, ma devo dire che non capisco bene la differenza che tu poni nell’applicare la riflessione suscitata in Moresco dai quadri di Goya solo al pittore spagnolo e non implicitamente all’opera dello stesso Moresco, visto il suo successivo incitamento, che è anche una dichiarazione di poetica ed è rivolto al presente, e che hai del resto riportato nel tuo pezzo. Comunque credo che semplicemente sul film di Sokurov la pensiamo diversamente. Il nocciolo mi pare quello. E allora è bene che ci sia stata la discussione. Poi né io né tu siamo obbligati a cambiare idea.
    Ciao
    Giovanni Maderna

  7. Caro(a?) Frank, chiunque tu sia (Ant. Mart.?), sei liberissimo(a?) di dire e pensare quello che ti pare. Se Nazione Indiana non ti va, lasciala perdere. Se Moresco non ti va, lascialo perdere. Fai cosa vuoi. C’è gente che scrive sui muri, figurati se non puoi scrivere qui. Solo che di solito chi scrive sui muri sceglie muri che gli vanno a genio. Qui è abbastanza chiaro chi di noi due è il provocatore, non ti pare? Ho riletto la tua “critica” come mi hai suggerito, e non è né circostanziata, né precisa. Non è nemmeno una critica. E’ la sfizio di dire che Moresco è mediocre. Te lo sei levato? Bravo(a?). Goditi la giornata adesso. Saluti.

  8. Caro “Andrea”, comincia tu a dichiarare il tuo nome e cognome. Poi vengo io, no problem.
    Caro Voltolini, prima dici che devo pedalare e poi dici che sono libero di scrivere quello che voglio. Mettiti d’accordo con te stesso, come primo passo, perché altrimenti è chiaro che il provocatore (inconsapevole probabilmente) sei solo tu.
    Seconda cosa: io continuo a non capire come mai possa essere tollerato chi dice: “bellissimo questo pezzo di Moresco”, in due sole righe o in poche parole (ce ne son stati di commenti del genere, vai a rileggere); e invece non abbia addirittura diritto di parlare chi dice che a lui Moresco non gli piace, e anzi gli fa venire in mente la mediocrità. Qualcuno saprebbe spiegarmi questa cosa? Nazioneindiana la continuo a frequentare perché ci son cose e scrittori che mi piacciono, mica esiste solo Moresco (per fortuna!!!). Ad esempio, mi piacciono Scarpa e Montanari, mi annoia molto Voltolini con la sua prosa sdentata e paludosa (si può dire che sei noioso, Voltolini?). Eccetera eccetera.

  9. Caro Frank, che bella battuta! Adesso provo a mettermi d’accordo con me stesso. 1) Sei libero di rompere i coglioni alla gente, nessun problema; 2) sono libero di dirti “pussa via brutta bertuccia”. Contraddizione? Mah.
    Sono peraltro abbastanza soddisfatto che la mia prosa ti annoi.
    “Pussa via brutta bertuccia” è una citazione.

  10. Le prose più noiose sono sempre quelle che citano citano citano, come volevasi dimostrare (anche Scarpa, quando cita troppo, è noioso). Ma questo lo dico solo per inciso. Nella sostanza, invece, ti farei notare, Voltolini, che non ho mai parlato di contraddizioni, ma di mancanza di accordo con te stesso; mancanza di accordo che permane, secondo me, e anche piuttosto gravemente, visto che la mia domanda non trova risposta, e io son costretto a rimandarti per l’ennesima volta al mio intervento di sopra, a leggerlo bene. Il mio intervento conteneva una DOMANDA, poneva una QUESTIONE; invece di fare le citazioni, sperando di svicolare, perché non provi a rispondere seriamente?
    Il mio indirizzo:

    Francesco Di Palma
    Via Sciuti Giuseppe
    90144 – Palermo

    Dopodiché, mi dica Andrea cosa cambia adesso nei termini della discussione che stiamo facendo, o meglio che sto facendo da solo, visto che nessuno vuol prendersi l’onere di rispondere alla mia semplicissima domanda: perché in NAZIONEINDIANA di Moresco si può dire “bello bello!”, ma non “mediocre mediocre!”?

  11. Caro Franceco, la tua domanda allora è: «perché in NAZIONEINDIANA di Moresco si può dire “bello bello!”, ma non “mediocre mediocre!”?»
    Rispondo come posso. Il fatto è che in Nazione Indiana SI PUO’ dire di Moresco tutto quello che si vuole, come stai dimostrando tu, che ripetutamente stai utilizzando questo spazio e il nostro tempo per ribadire ossessivamente che Moresco è mediocre. Va bene, secondo te Moresco è mediocre. L’hai detto e ridetto, dov’è che NON SI PUO’ dire? Si può dire che io sono noioso, si può dire quello che si vuole. Sarebbe però meno sterile intervenire sul merito delle discussioni e sugli argomenti, perché la discussione che tu hai semplicemente interrotto non aveva come argomento se Moresco fosse mediocre, infimo o gigantesco. Era un’altra discussione. Allora, nella piena libertà di chiunque trovi aperta e non sbarrata la finestra dei commenti, dovrebbe trovare posto anche l’autoregolamento di STARE IN TEMA. Perché se – con logica da stadio – tutte le volte che uno trova l’apprezzamento all’autore che invece egli detesta si sente in dovere di dirne male per non lasciarla passare, capisci benissimo che dalla discussione si passa immediatamente alla chiacchiera senza sostanza.
    E siccome è già successo altre volte che della gente ha confuso la propria sacrosanta libertà di sprecare il proprio tempo con la meno sacrosanta opportunità di farlo sprecare anche agli altri, mi sono permesso di dire brevemente la mia, e la mia non era W MORESCO! ma era: stiamo in argomento.
    Io non lo so se mi sono spiegato o no. Se ti va di continuare a sparare i tuoi giudizi fallo pure, ma non ti illudere he questa sia una setta di Moreschiani che censura chi la pensa diversamente. Certe manifestazioni fobiche noi non le abbiamo, e vorremmo che non le avessero nemmeno gli interlocutori.
    Riassumendo, se hai commenti da fare sull’argomento di cui questa colonna di commenti è la colonna di commenti, accomodati pure, sei il benvenuto, QUALUNQUE COSA TU VOGLIA DIRE. Se invece ti girano le palle perché hai la paranoia di essere capitato in una cricca di religiosi della moreschitudine e ti vuoi ribellare svelando, con sprezzo del pericolo e sfidando la censura, che Moresco è Mediocre e Voltolini è Noioso e Sdentato e Scarpa è Forte se non fa le Citazioni, be’, allora mi ripermetto – ma a nome di tutti quelli che hanno interesse a discutere seriamente – di invitarti a pedalare. Puoi naturalemnte rifiutare l’invito e continuare come credi.
    Saluti.
    Tuo paludoso
    Dario

  12. Francesco sono due le ragioni: Antonio Moresco mette il suo nome, se tu lo vuoi offendere almeno mettici il tuo no? E poi, sarà un caso oppure un effetto psicologico, ma col nome e cognome il tuo intervento è arrivato a una domanda comprensibile.
    E per finire, senza offesa, una citazione speriamo scritta correttamente nel tuo dialetto: “Li ciriveddi appiccati ca sputazza se scippano prestu”
    (i cervelli attaccati con lo sputo si staccano subito)

  13. Caro Francesco, io sono molto contento di piacerti come scrittore e mi dà una maligna soddisfazione che non ti piaccia Voltolini (eh eh! Capito, Dario? Io te l’ho sempre detta, quella cosa lì della palude, dell’acquitrino, e tu niente! Avanti come prima!).
    Scherzi a parte, vorrei aggiungere un’osservazione molto banale a quello che Dario dice del tuo intervento in questa colonna.
    A parte la questione – fondamentale – della pertinenza, che solleva lui, c’è effettivamente un problema nel tuo primo commento e nell’analisi che ne fai in seguito.
    Tu giustamente dici: “Seconda cosa: io continuo a non capire come mai possa essere tollerato chi dice: “bellissimo questo pezzo di Moresco”, in due sole righe o in poche parole (ce ne son stati di commenti del genere, vai a rileggere); e invece non abbia addirittura diritto di parlare chi dice che a lui Moresco non gli piace, e anzi gli fa venire in mente la mediocrità. Qualcuno saprebbe spiegarmi questa cosa?”
    Be’, è una buona domanda; provo a spiegartela io, questa cosa.
    Moresco è uno di NI. E’ circondato da una stima particolare sia per la bellezza e l’importanza che noi (gli altri indiani e, a giudicare dai commenti, molti dei lettori) annettiamo a quello che dice, sia perché è stato ed è ancora un caso letterario che ha toccato la coscienza di molti, un autore davvero integralmente fuori da certe logiche compromissorie, che ha potuto venire pubblicato, letto, recensito (si fa per dire) grazie a una cordata di attenzione, indignazione e solidarietà che è nata soprattutto in un certo ambiente di cui NI rappresenta non certo l’intierezza ma, forse, una parte. Ci sono dentro Tiziano, che per Moresco si è battuto dall’interno della Feltrinelli, anni fa; Voltolini, che ha detto, scritto e fatto del suo; quelli di Teatro Aperto, che hanno lavorato sui suoi testi; Benedetta Centovalli, che lo ha pubblicato recentemente in Rizzoli.
    Ora, qui dentro è “normale” che noi consideriamo Moresco un autore con i controcoglioni al cubo, e per capire questo bisogna forse mettere un momento da parte le questioni di principio e affidarsi al vecchio, rurale buon senso. Per questo, Francesco, noi non troviamo strano che uno possa scrivere un commento di due righe dicendo più o meno “viva Moresco”; la grandezza di Moresco non deve essere dimostrata, per noi; un commento del genere la lascia implicita, la postula, a noi va bene così. Se uno invece fa un commento di quattro righe (com’era il primo tuo) definendo Moresco mediocre, questo come minimo ci incuriosisce, facilmente ci può anche infastidire. E’ umano, non ti pare?
    Ti ripeto: in linea di principio, come Dario mi pare ammetta dialetticamente, tu hai ragione a sostenere il tuo diritto a esprimere semplicemente un parere, anche in forma estremamente contratta, visto che di questi pareri se ne sono letti altri e non irritavano nessuno perché erano positivi; a lume di buon senso, è altrettanto evidente che ci si aspetta che questo giudizio sia più motivato. Non è strano, non ti sembra?
    Che poi si possa o non si possa motivarlo, è un altro paio di maniche. Per 1001 motivi tu puoi non essere nelle condizioni di spirito o materiali per metterti a fare un’analisi delle opere di Moresco, o anche solo dei suoi interventi su NI, della sua prosa, dei suoi argomenti. In realtà, come dicevo un po’ di tempo fa, nella scrittura e nella sua valutazione c’è una componente soggettiva micidiale; non è come dire che Moresco salta 2,42 nell’alto e fa 9 e 78 nei 100 metri. Quelli sarebbero dati inconfutabili, finita lì.
    Quindi forse non “puoi” motivare meglio, apriresti un discorso troppo complesso.
    Ma, se è così, devi riconoscere che nel primo commento potevi essere meno brusco, visto che si trattava di un giudizio che non avevi voglia o modo di argomentare in modo più articolato. Non sei d’accordo? A volte la forma è la sostanza, e forse questo è il caso.
    Comunque complimenti per aver messo nome e il resto; molti non l’hanno fatto e sono andati avanti a blaterare per mesi e mesi firmandosi fgrkashcgnak@boh!.com, accampando motivi grotteschi e rendendo grottesca la discussione.

  14. No. Il voltolino è un uccello di palude, grigiastro e timido, dei Gruiformi, dal lungo becco, che usa per rovesciare (voltolare) le pietre al fine di mangiare i vermi e le altre robe che ci trova sotto. Nome scientifico “Porzana porzana”.
    Nomen omen, quindi. E la tua prosa granitica e svettante, o Montanari?

  15. Ecco, adesso siete tutti più simpatici e disponibili al dialogo, anche Voltolini. Complimenti. Io continuo a dire che se uno dice, da ottuso, “bello bello”, un altro, altrettanto ottusamente, può dire “mediocre mediocre”. Se, invece che invitare a pedalare, noi (voi) continuassimo (continuaste) a discutere seriamente, come fate quando uno dice “bello bello”, forse sarebbe più conveniente per tutti. Bisogna rendersi conto, insomma, che al mondo esiste anche chi spara a zero, e non bisogna tendere a censurarlo, ma, se proprio ci dà fastidio, al limite, ad evitarlo o a non rispondergli. Senza adottare il suo stile, e, soprattutto, continuando a portare argomenti per una discussione seria. E senza contare che io credo capiti a tutti di dire: “che palle sto Moresco o sto Voltolini o sto Mammasantissima”, o no? Anche questa è la lingua, anche questi son discorsi, anche questa è una piccola verità.
    (Per chiudere, faccio notare soltanto che la citazione palesemente offensiva e volgare di “andrea” ovviamente nessuno si è sentito in dovere di censurarla).

  16. Scusa, Francesco, due cose:
    1. Perché ti dà fastidio se scherziamo? Lo scherzo fra me e Voltolini occupa in totale 8 righe; la risposta che ho cercato di dare alle tue osservazioni, prendendole molto seriamente come meritavano, ne occupa un centinaio. Non mi sembra che “cambiamo discorso” o che passiamo il tempo a scherzare e non a discutere “seriamente”.
    2. Tu scrivi: “Io continuo a dire che se uno dice, da ottuso, “bello bello”, un altro, altrettanto ottusamente, può dire “mediocre mediocre”.”
    Ma che gusto hai a essere o a fingere di essere ottuso? Perché devi ripetere “ottusamente” mediocre mediocre? E’ strana questa parte che ti prendi.

  17. “(Per chiudere, faccio notare soltanto che la citazione palesemente offensiva e volgare di “andrea” ovviamente nessuno si è sentito in dovere di censurarla)”

    Francesco, era una cosa scherzosa, prima di scriverla ho precisato che era senza offesa. Eh ma sei curioso, a Moresco ne dici di tutti i colori e poi tu ti offendi per quella cosa della sputazza :-) Piuttosto, sono andato a rivedere i due post del mese scorso su mafia e camorra: possibile che una persona che vive quelle cose così da vicino non abbia inserito nessun commento? Niente di caustico su quegli argomenti? Naturalmente uno fa come vuole, però ero curioso.

  18. Andrea: io posso anche dichiarare di non voler offendere nessuno, e poi mi metto a dire “coglione” a destra e a manca. Il “coglione” resta, con tutta la giustificazione. E’ un accorgimento retorico, il tuo, molto banale e poco felice. Ma lasciamo perdere, non ci tengo a queste stupidaggini.
    Cambio di argomento. I post sulla mafia e la camorra non mi dicevano nulla, perciò non vi ho scritto niente. Mica un siciliano è obbligato a parlare della mafia e un milanese di letteratura e un forlivese di… Che ne so, cosa avete di caratteristico voi a Forlì?
    Preciso per Montanari. Dicevo che è da ottusi dire solo “bello” o solo “brutto”, non dicevo di essere ottuso sempre. In generale, però, le sue argomentazioni mi convincono abbastanza, e ribadisco semplicemente che lo scherzo lo ha inscenato per primo Voltolini mettendosi a dirmi “pedalare”.
    Ora, però, direi di farla finita. Ho appena letto qualcosa di assolutamente dirompente: il testo di Carla Benedetti su PETROLIO è di una acutezza abbacinante. Ragazzi, questa donna è un oracolo, va fatta parlare e ascoltata con attenzione. Non so a voi, ma a me dà molto da pensare. Molto.

  19. Caro Francesco, scusa se insisto, ma ormai la parte del noioso me l’accollo io per primo: io ho detto “pedalare” e lo ripeto. Se uno vuole discutere, discuta. Se vuole disturbare, secondo me è meglio che se ne vada. Inoltre la questione della censura non la voglio più sentire: ma dove sei stato censurato, vivaddio! Dimmi dove. Se io dico “pedalare” e invece di pedalare quell’altro continua ancora e ancora e io non faccio niente per impedirglielo (tipo chiudere la pagina dei commenti) pretendo che non mi si dia del censore. Lo pretendo, non so se mi spiego.
    Io le discussioni accese e anche radicalmente divergenti le riesco ad apprezzare, te lo garantisco. Il problema con la rete e i commenti è che invece di dibattere sul tema proposto alla discussione, si finisce quasi sempre fatalmente a discutere sul tono o sulle parole o sull’atteggiamento del messaggio precedente, e così via (come abbiamo anche stavolta dimostrato, io per primo – o per secondo). Chi collabora a Nazione Indiana è libero di scegliere se lasciare aperta la finestra dei commenti o no. Non c’è uno standard redazionale. Certo però che se chi la lascia aperta non trova un minimo di pertinenza in quello che viene scritto, gli viene voglia di non aprirla più.
    Ti contesto inoltre la questione dell’ottusità. Io di “bello bello” ottusi non ne ho visti. Se ti riferisci al pezzo di Maderna di cui siamo ospiti ingrati con questo colonnino, allora mi permetto di dire che di ottuso non c’era proprio niente.
    Un giorno ho letto a dei ragazzi l’inizio magnifico – secondo me – di “Conversazione nella Cattedrale”, di Mario Vargas Llosa. Al termine una ragazza chiede la parola e dice: «Io questo scrittore lo disprezzo, perché qui ha usato la parola “sgattaiolare”, che mi fa schifo e uno scrittore non dovrebbe mai usarla». Naturalmente la parola l’aveva usata il traduttore, ma comunque sia, io quella posizione non l’ho potuta accettare. Libertà di opinione sì, a qualunque costo, ma pertinenza e minor spreco di tempo possibile, anche! In tutto questo nostro contraddittorio, come avrai notato, io non mi sono mai messo a dire “Bello bello” di Moresco per contrastare il tuo “Mediocre!”. Questo piano di discorso non lo accetto, mi dispiace. Se tu avessi usato fin dall’inizio anche solo un decimo dello spazio che poi alla fine hai dovuto occupare fra botte e risposte per spiegare e motivare le tue perplessità su uno scrittore, su Nazione Indiana, su qualunque cosa non ti garba, ci saremmo secondo me intesi molto meglio. Non pensi?
    Ciao

  20. Sono costretto a citarmi (che noia!). Riecco il mio post incriminato: “Moresco: mediocre indiano che guarda Goya e, alla fine, cerca di parlare di comunità senza saperlo fare, senza sapere che comunità è diverso da Nazione Indiana.
    (E voi, perché cambiate discorso?)”.
    Cerca di seguirmi, Voltolini. In questo mio post ho giudicato Moresco ma anche il suo testo. Sei d’accordo? Se sì, ti accorgi che, giudicando il suo testo, ho ripreso tutta una discussione che si era sviluppata qualche mese fa in NAZIND? Anzi, ho espresso un giudizio netto anche su quella disucssione, dichiarandomi insoddisfatto delle parole di Moresco sul tema della comunità. Perché mi sono dichiarato insoddisfatto? Perché Moresco, a mio avviso, non capisce che tra COMUNITA’ e NAZIONE INDIANA c’è una bella differenza. E anche qui, son rimasto sul breve perché critiche analoghe, se non sbaglio, son state rivolte a Moresco da altri prima di me, e mi sembreva inutile rivangare, mentre mi sembrava più efficace, di fronte a un intervento ripetitivo e sforzato, una definizione tagliente e sintetica, per i motivi che ho esposto altrove (poco sopra). Perché, allora, tu ti ostini a dire che io non sono “pertinente”? Io, come ti ho testé dimostrato, sono pertinente, eccome! Ed è pertinentissima anche questa discussione che facciamo qui io, te e gli altri sui “modi della comunicazione”. Sai perché? Perché è proprio un bell’esempio di tutte le difficoltà che incontriamo stando insieme, di tutti paletti e costrizioni e divieti che vorremmo reciprocamente imporci per affermare il nostro punto di vista “immuntario” (anche questa è una parola che mi sembra inutile spiegare – tu te ne ricordi?). Abbandona, quindi, le recriminazioni da bravo estensore di discorsi sulla “pertinenza”, e rifletti con noi sulle difficoltà oggettive che abbiamo tutti – Moresco per primo – di entrare in comunicazione nell’era globale contemporanea.

  21. Le difficoltà che abbiamo spesso ce le andiamo anche a cercare, caro Francesco. Tu arrivi in un colonnino sparando un giudizio e rifacendoti a UN’ALTRA discussione e domandando COME MAI CAMBIAMO DISCORSO. Ma scusa, il discorso lo lancia l’articolo di cui il colonnino è colonnino, mica altro. Sei tu che ritorni a un altro discorso, sei tu che cambi discorso, non sono io che svicolo, abbi pazienza!
    Arrivi, parli d’altro, confondi l’epiteto con la critica, mi dai del provocatore e poi invochi la difficoltà di comunicazione? Be’, cerca di metterci anche un po’ di olio tu su questa ruggine, se no certo che il meccanismo non funziona.
    Le difficoltà di comunicazione a me non interessano. Se si vuole comunicare alla fine si riesce, se no non si riesce nemmeno a cannonate. Io sto continuando a dialogare con te anche se mi dai del censore, ribadisco le mie opinioni, cercando di precisarle di volta in volta meglio che posso. Tu continui a ritirare in ballo quel tuo messaggio originario che continua a essere quello che era: un epiteto, e poco più. Le cose non cambiano anche se le ripeti. Quella discussione estiva sulla comunità è stata, a parer mio, interessante e assurda contemporaneamente. L’ho detto allora e lo chiarisco meglio: non si può obbligare nessuno a esprimersi su un argomento su cui non intende esprimersi. Ma scherziamo? Hai fatto benissimo a rifiutarti di intervenire su mafia ecc, in questo caso sono dalla tua parte. Non ti accuso certo di svicolare o di cambiare discorso, io. Questo è quello che penso sui “modi della comunicazione”.
    Saluti

  22. Ma, Francesco, quando Scarpa o la Benedetti scrivono pagine e pagine per spiegare che Moresco è un grande scrittore, non sono più oracoli, ma mediocri critici? Te lo chiedo perché mi pare che, prima di sapere se nella realtà è così o no, ci sono in certi interventi, tra i quali i tuoi, delle contraddizioni logiche. Poi una cosa mi turba un po’, che tu e io dovremmo stare dalla stessa parte, leggendo gli stessi libri, frequentando NI, interessandoci di queste cose qui. Invece ci spariamo addosso. Perché?

  23. Voltolini, mi dispiace, ma devo farti notare che in questo colonnino la discussione è quella inaugurata da Moresco e dal suo intervento, quindi, essendo la finestra più prossima, è qui che ho postato il mio giudizio, come è consuetudine suggerita voi stessi, se non erro.
    Ora, che tu alzi la voce, serve a ben poco: ragioni da opporre ai miei argomenti non ne hai. E anzi, visto che citi quella discussione estiva, ti ricordo i modi che tu stesso hai usato in quella discussione: modi, se non sbaglio velocissimi e di poche parole (esattamente come i miei!), che replichi d’altronde anche in questo tuo ultimo intervento, risultando anche piuttosto efficace, a mio avviso: “interessante e assurda”… Ti prego solo di non tornare sulla faccenda del “censore” e del “provocatore” perché per me queste sono stupidaggini, in quanto so bene che capita a tutti di desiderare di censurare o di provocare gli altri. Quindi, ti capisco.
    Andrea: io penso con la mia testa, non con quella della Benedetti o di altri. A proposito di Moresco, secondo me, la Benedetti, …in un eccesso oracolare…, ha visto più di quello che c’è in effetti e in potenza…
    Io non sparo addosso a nessuno, mai avute queste intenzioni, né capisco tu da cosa deduca le mie “contraddizioni logiche” (ma la logica ammette contraddizioni…?).
    Qui, cari amici, checché voi ne diciate, resta una mia osservazione appesa alle code dei vostri discorsi: perché Moresco non riesce a parlare di comunità e continua a sballare i toni dei suoi interventi?

  24. Mi dispiace, ma non ci siamo ancora, caro Francesco, anche se i toni e gli argomenti stanno migliorando: dici che mi capisci perché ogni tanto “capita a tutti di desiderare di censurare o di provocare gli altri”. Però a me mica è capitato. Non ti ho censurato e non ti ho provocato, e nemmeno mi è venuta voglia di farlo. Ho reagito a un tuo intervento che ho giudicato a piedi uniti e fuori tema e ho reagito a quella che ho inteso come provocazione. Quindi qui dici di avermi capito, ma non hai capito nulla.
    Invece hai ragione quando dici che l’origine del colonnino va ricercata più sopra dell’intervento di Maderna, cioè nella lettera da Madrid di Moresco. Ma non ricordi che c’è un ulteriore passaggio, vale a dire l’intervento di Ciaruffoli. Anche ammesso, come ammetto, che l’origine sia la lettera di Moresco, non esiste un solo motivo valido per obiettare a Moresco che invece di scrivere una lettera da Madrid avrebbe dovuto parlare della comunità. Ma perché mai? Uno va a Madrid e poi torna e non può parlare del suo viaggio, ma deve parlare di un’altra cosa? Non capisco veramente perché.
    Intanto la tua domanda principale (Perché si può dire “bello bello Moresco” e non “Mediocre Moresco”) è diventata: “perché Moresco non riesce a parlare di comunità e continua a sballare i toni dei suoi interventi?”
    Be’, devo rispondere io? A me non sembra né che sballi i toni dei suoi interventi, né che “non riesca” a parlare di comunità. Sul primo punto, forse è questione di gusti: a me va, a te no. Possiamo parlarne, cercare di spiegarci. Ma sul secondo punto, torno a dire che Moresco 1) non è tenuto a parlare di comunità, 2) non ci prova, e quindi 3) non esiste il quesito se ci riesca o no. Alla domanda “perché la Luna è fatta di formaggio e non di tiramisù” non c’è risposta seria.
    Sulla logica e sulla contraddizione, la risposta è sì: esiste una logica che ammette la contraddizione e si chiama logica paraconsistente (in realtà è un gruppo di logiche).
    Ma colgo l’occasione per fare il pedante: il motivo per cui un sistema di logica classico non può accettare al suo interno una contraddizione non è che la contraddizione è una cosa brutta in sé, ma che se la si ammette, allora qualunque proposizine può essere dimostrata nel sistema.
    I sistemi di logica paraconsistenti ammettono le contraddizioni, ma bloccano questa deriva consequenziale.
    Traiamone un insegnamento: contraddiciamoci pure, ma non diciamo qualunque cosa ci passi per la testa.
    Ciao

  25. D’accordo su tutto, Francesco, ma non mettere quel punto di domanda. Che cazzo di domande sono? Fai due affermazioni, e basta.
    Io, Francesco, dico che Moresco non riesce a parlare di comunità e sostengo che continua a sballare i toni dei suoi interventi.
    OK, ne prendiamo atto tutti, rispettiamo le tue opinioni.
    Altrimenti tanto varrebbe farci una domanda qualsiasi e martellare su quella, una domanda a caso, un’improvvisazione situazionista, non so, chiederci: perché Moresco non riesce a parlare dell’Inter? Perché Moresco sbaglia sempre il do diesis quando cerca di suonare la Toccata e fuga in Re minore di Bach sull’Hit Organ Bontempi che si tiene in casa? Sì, sì, io lo sento benissimo, canna sempre quel maledetto do diesis! Rispondetemi! Perché gli si svirgola la nota? E cosa pensa di Hector Cuper, si decide a dircelo o no, questo Moresco?
    Francesco, io scherzo, ma dico anche sul serio. Non riesco più a capire bene cos’altro vuoi sapere o avere da noi, che senso hanno le tue domande “appese alla coda dei vostri discorsi”. Ti prego, mi sembri una testa lucida, non mi diventare come Ant.Mart. che ha concluso una discussione con me e Voltolini gridando: “Ho ragione io, ho ragione io! Le mie domende pesano su di voi come macigni!” (citazioni letterali: vai a vedere negli archivi di settembre e trovi tutto) e poi si è inabissato non si sa dove.
    Chiudiamola qui: a te Moresco sembra, diciamo, sopravvalutato, e ti sembra anche che non prenda posizione sulla faccenda della comunità. A cosa serva prendere posizione sulla comunità non l’ha capito nessuno, visto che siamo qui a parlare e quindi la stiamo FACENDO PROPRIO ORA, QUESTA CAZZO DI COMUNITA’!
    Comunque: Moresco non prende posizione sulla comunità. Anzi, a leggere bene ha preso posizione eccome: se vai a riguardare i commenti alla Seconda Lettera da Leuca (fra un po’ passiamo direttamente agli Atti degli apostoli) vedi che risponde agli Zibaldoni e dice la sua in modo molto chiaro: dice che l’autore e la sua opera sono dialettici alla comunità, che la comunità non deve necessariamente preesistere all’opera.
    Cos’altro deve dire, Moresco? Non va bene, così? Vuoi preparare tu un documento sulla comunità, che poi glielo facciamo firmare?
    Ancora una volta: sto scherzando, ma forse adesso la comunità CHE DI FATTO SIAMO (mica la redazione di NI: tutti quanti noi che parliamo qui, no? Altrimenti cosa ci vuole per essere una comunità? Una tessera speciale, un addestramento, una selezione eugenetica?) può cominciare a occuparsi di altro, oltre che delle inadempienze sociali di Moresco e di quel caratteristico tono sballato che adopera “nei suoi” (= “tutti i”? “Ogni sorta di”?) interventi.

  26. Voltolini e Montanari: dite due cose diverse, mi sembra di capire. Correggetemi, se baglio. Voltolini dice che Moresco non parla di comunità, Montanari invece dice che ne parla, eccome. Io sono d’accordo con Montanari, naturalmente, e devo purtroppo constatare che Voltolini ancora non ha capito granché di quello che sostengo. Montanari, però, ha ancora un’altra parte di ragione: quando dice che la comunità la stiamo già facendo qui, parlando di queste cose e di altre, noi che siamo così DIVERSI e distanti (Voltolini anche lo diceva, ok). Ricordate queste ultime parole. Provo ora a fare un passo avanti e ad andare più a fondo, perché forse è il momento. Il passo di Moresco che mi interessava, e che io trovo mediocre, è quello finale della sua lettera da Madrid, in cui mi sembra si sollevi una polvere di enfasi e vieta retorica davvero imbarazzante. Lo riporto qui:
    “In questa situazione” – scrive Moresco – “ogni cosa è da riconquistare e nello stesso tempo da reinventare continuamente, ciascuno per conto proprio e con la propria ineliminabile e insostituibile solitudine e tensione ma anche con la possibile forza comune di un’amicizia e passione condivise, dando vita anche alle prime forme di movimento e di spostamento incisivo e attivo verso l’esterno, per cercare di rompere questa cappa e aprire la strada a possibilità diverse. E pensavo anche che è forse proprio questa una delle nostre ragioni di stare insieme come Nazione Indiana, questa strana cosa moltiplicatoria che è nata e che ciascuno di noi non poteva mettere al mondo da solo. Non con lo spirito degli accerchiati e di chi può solo difendersi e resistere in una riserva, ma, al contrario, di quelli che stanno sì dentro una fessura che tende continuamente a chiudersi, ma che ci stanno dentro per allargarla, sfondarla, renderla infetta, non più rimarginabile, endemica, contagiosa”.
    Come si fa a non concordare con questi argomenti così banali? A me sembra, inoltre, che queste stesse cose le abbiano già dette, in questo forum, forse anche con argomenti molto più convincenti e con espressioni meno retoriche, la Benedetti, gli Zibaldoni, Paradiso e tanti altri. Ma questi erano gli argomenti di partenza! La discussione, però, mi sembrava anche che fosse progredita, e che ci si interrogasse, già da un bel po’, su COME “allargare, sfondare, rendere infetta, etc” una azione di GRUPPO (il GRUPPO non è una comunità!!). Cosa dice Moresco a questo proposito? Che idee ha? Non molte, mi pare. Dice: solitudine e amicizia di gruppo, ma non dà indicazioni, non suggerisce strategie, non fa ipotesi. Si mantiene nel vaghissimo, nel metaforico-elencativo (che fa sempre effetto: vedi la sfilazzata di begli infiniti e aggettivi in conclusione della sua lettera) e ripropone, in soldoni, il cliché dell’artista (romantico, molto romantico) che prova a “mettere in comune” qualcosina (solo qualcosina, però) soltanto con i suoi amici di NAZIND. Ma il fatto è che la “qualcosina”, secondo me, non basta per “andare oltre la superficie” delle proprie rappresentazioni, come non basta il GRUPPO. La “comunità” (che manca, eccome se manca!!) è un’altra cosa, richiede altri sforzi immaginativi e operativi. Richiede altri tipi di azioni dirompenti.
    A questo punto, a costo di risultare noioso, vorrei aiutare il mio discorso con una citazione da un autore spesso nominato in questo forum. Roberto Esposito, nel suo recente “Immunitas”, parla, analogamente a Moresco, di “contagio”: dice che, in risposta alla richiesta di immunità diffusa a tutti i livelli, bisogna, all’opposto, rischiare e provare a “contagiarsi”, mettersi in gioco insieme agli altri (cioè quelli radicalmente DIVERSI da noi), divenendo, poi, a nostra volta, VIRUS (semplifico molto, in quanto il discorso ha molte implicazioni ed è abbastanza complesso). “Infettare” ma anche “farsi infettare”, quindi. E per “farsi infettare” (ma – attenzione – anche per “infettare”) non basta assolutamente rimanere nel proprio GRUPPO, all’interno del PROPRIO sistema immunitario. Troppo comodo, inoltre, dichiarare di “voler infettare” ma di non “voler essere infettati”, non vi pare? E non solo è troppo comodo: è anche inefficace, questo è il bello! Inefficace perché, alla fine, non solo non si viene “contagiati”, ma non si riesce nemmeno a “contagiare” alcunché, e si fa la fine degli artisti romantici chiusi nella loro bella solitudine… e qui il cerchio si chiude davvero.
    Ecco, mi fermo qui, per adesso. Per me, Moresco è su queste cose che è carente, molto deludente. Io non chiedo proclami da firmare a nessuno, ma uno che se ne vuol stare con i suoi amici a scambiarsi le cose che scrive in solitudine, che necessità ha, poi, di METTRE IN PUBBLICO questi scambi? Per “contagiare”? Ma se non accetta di essere contagiato (perché confonde la COMUNITA’ con il GRUPPO), non potrà mai contagiare! Cosa vuol fare, allora? Mostrare quanto è bravo o mediocre? Io non credo; e allora davvero non ci capisco più niente. Potrebbe benissimo rimanersene chiuso nel suo privato, uno che la pensa così, non vi pare?
    Perché non ho detto prima queste cose? Perché secondo me son state dette già da altri, ed era inutile ripeterle, al limite si trattava di coglierne implicazioni e svilupparle, farsi venire in mente delle cose da fare o da dire. Adesso non so se ho fatto bene a dilungarmi così o se sono stato più noioso. Mi affido al vostro giudizio.
    Saluti a tutti.
    F.

    PS: Logica. Io sono legato alle vecchie, classiche definizioni. Mi corregga Montanari, se sbaglio: “idem non potest simul esse et non esse”. Almeno per me, la logica parte da qui e finisce non molto lontano, ragion per cui le “logiche contraddittorie” o “para… nonsoche” mi sembrano una bella… “contraddizione in termini”, e quindi le lascio con piacere ad Andrea e Dario. Ma senza rancore o disprezzo, semplicemente per mancanza di interesse.

  27. finalmente frank smette di intrattenere e argomenta qualcosa; nel merito, mi torna la solita domanda? cosa vuole, dagli scrittori, oltre “le opere” che si sforzano di scrivere? null’altro si può chiedere loro, a mio parere e vedo NAZIONE INDIANA come una mezza opera, in questo senso: un tentativo di aprire all’opera collettiva; le difficoltà (di comunità) sono nella differenza di approccio -e di mezzi- alla scrittura tra i redattori e i lettori. apprezzo voltolini e montanari che si sforzano di “educare”.

  28. Non sono io che lo voglio. E’ la stessa Nazione Indiana a dichiarare, nel suo programma, di voler aprirsi a “sinergie”, etc. E’ la stessa NI che sente, insomma, l’esigenza che gli scrittori facciano qualcosa di più, o qualcos’altro, oltre che scrivere, in questo mondo in cui non si capisce più nemmeno chi è perché si possa nominare scrittore.
    Io vengo molto dopo, molto a margine, e in ogni caso non credo assolutamente negli intenti pedagogici degli scrittori, tantomeno di Voltolini o Montanari, che immagino si metterebbero a ridere vedendosi scambiati per due Montessorini delle lettere.
    Le difficoltà, poi, non sono nel fatto che uno è scrittore e un altro no, caro Cornacchia. I ruoli e le funzioni devono essere distinti, e io sinceramente non mi auspico un mondo abitato da tutti scrittori.

  29. Non rispondo per Moresco, ma per quel pezzo di NI che sono anch’io, anch’io sub, semi o quasi pedagogico. Rispondo perché appunto Frank dice qualcosa di preciso.”Non basta rimanere nel proprio gruppo”. Condivido. Infatti NI nasce da persone che avevano e hanno i loro gruppi, e li hanno per lo meno ampliati, intersecati, messi in contatto. Risultato, quella serie di persone che partecipano al progetto di NI; sono queste persone che stanno cercando di fare gruppo, e di documentare anche per gli altri i loro percorsi. Ma questa semplice idea sembra che proprio non passi. Forse, in NI c’è, nelle intenzioni, una certa enfasi. Puoi ridurre all’osso se vuoi. Rompere le proprie solitudini e appartenenze consolidate. Mettere in comunicazione pezzi scritti e farlo in modo pubblico, in modo che qualcun altro ne possa trarre profitto (magari per non fare gli errori che noi eventualmente stiamo facendo). Io non so di cosa si sta occupando la Benedetti, o Voltolini, o Maderna. Per saperlo dovrei, normalmente, trovare un loro pezzo pubblicato o aspettare una loro autonoma pubblicazione o sentire un loro intervento ad una conferenza. In questo modo, invece, posso seguire con maggiore immediatezza i loro tragitti, e questo immediatamente ha qualche effetto su di me. E cosi via. E’ cambiato il mondo? No. E’ cambiato il sistema culturale? Per nulla. Per far cambiare le cose, non basta neanche un contadino coreano che si accoltella sulle barricate. Quindi tutto come prima? Neppure questo. Io già sono cambiato. NI serve a tenermi più desto, ad esempio, con tutti i rischi che si possono correre di compiacimento, ecc. Ed essere desti è già molto in un paese di grandi obnubilati.

  30. Andrea Inglese scrive:
    “NI nasce da persone che avevano e hanno i loro gruppi, e li hanno per lo meno ampliati, intersecati, messi in contatto. Risultato, quella serie di persone che partecipano al progetto di NI; sono queste persone che stanno cercando di fare gruppo, e di documentare anche per gli altri i loro percorsi.”

    Beh, non sono in nessun gruppo, però a me arriva parecchia roba che dai canali normali me la sognerei, e come scriverebbe Morozzi, godo come un maiale tra le ghiande.
    Certo, arrivare oltre i gruppi, essere veramente mediatori, questo è un bel traguardo.

  31. Caro Francesco, ora credo di capire qual è il punto di partenza della tua insofferenza: il finale della lettera di Moresco. Ne prendo atto. Ci sono cose che hanno bisogno di tempo per crescere, come la comunità di cui si è tanto parlato, e non credo che una frase più o meno riuscita cambi molto in questa prospettiva. Se si crescerà, bene. Credo – spero – che fra qualche tempo anche le nostre punzecchiature e i nostri scontri appariranno come sforzi di costruire anziché di demolire. Ora io non lo so, ma mi auguro che sarà così. Non posso entrare nella questione se Moresco sia o no romantico o neoromantico ecc. Uno è come è, e se si mette in gioco, più o meno con scioltezza, mi pare già un buon risultato. Se Moresco è romantico e individualista, allora cos’è uno come Suskind, per dire, che non si sa nemmeno più dove abita?
    Ma a parte queste considerazioni, vorrei dire qualcosa sulle “sinergie”. Avevo tirato fuori io la brutta parola, nel contesto specifico di un’eventuale risposta editoriale ai Burned Children of America di Minimum Fax, dicendo che occorrerebbe un’antologia non già di Burned Children of Italy, bensì di Burned Children of Europe. Ma per fare questo occorre stabilire qualche tipo di rete tra Paesi euripei. Ecco le sinergie. Sarebbe bello. Tutto qui sulle sinergie, per quel che riguarda me.
    Ti saluto

  32. Caro Dario, concordo molto con la prima parte della tua lettera. Riguardo alla seconda, ossia alle “sinergeie”, ti metto qui sotto una citazioncina di un mio amico del quale hai sentito parlare, credo. Te la metto giusto perché sono convinto che la “rete” e le “sinergie” (e quindi la comunità) non sono una faccenda di “accordo” o di “scambio”, ma qualcosa di più profondo. In che senso? Te lo dico un’altra volta, magari. Per adesso leggi qui (e legga anche Inglese, se vuole, forse interessa anche a lui):
    “Un’ipotesi praticabile mi pare quella di leggere quel ‘niente’ come l’inappartenenza originaria che taglia e perfora sia l’individuo sia la comunità sottraendoli a una coincidenza assoluta con se stessi. Ma se l’individuo e la comunità non possono mai integralmente appartenersi, se sono caratterizzati da un vuoto di sostanza che li altera in una forma non più riappropriabile; ebbene ciò vuol dire che quel ‘niente’ di soggetto, o quel necessario assoggettamento al niente, può ben essere interpretato in termini di ‘relazione’. Non relazione tra soggetti, tra individui o tra comunità intese – come fanno tutte le attuali filosofie comuniali, comunitarie e comunicative – come individui più estesi, individui al quadrato, ma relazione, ‘nella’ comunità e ‘nell’’individuo (anche se queste espressioni restano largamente insoddisfacenti perché postulano ciò che negano, vale a dire delle entità soggettive), di vettori, ‘pezzi’, ‘generi’ differenti e spesso contrastanti. Ciò vuol dire, come appunto è stato detto – che non è l’individuo a stare nella comunità, ma la comunità nell’individuo. Ma anche che la comunità – se aderente al significato più radicale implicito nel suo originale etimo latino – non si basa sul legame di appartenenza reciproca tra elementi identici o anche solamente simili, ma, al contrario, sulla condivisione tra termini perfettamente distinti e distanti come solo possono esserlo stranieri sempre sospesi tra ospitalità e inimicizia”.
    (Roberto Esposito, “l’Unità”, 8 ottobre 2003)

  33. Per me il pezzo citato di Esposito è incomprensibile, penso che non sia nemmeno pensiero ma vendita di fumo, penso che lo sforzo che si fa qui dentro vale diecimila volte quelle parole, mi dispiace che ci siano persone che perdono tempo dietro a libri del genere, tutte le volte che leggo della filosofia di quel tipo penso che Heidegger, che veniva considerato una delle più grandi menti del secolo, ha pronunciato un discorso di rettorato totalmente idiota e filonazista e che probabilmente se avessero chiesto al suo panettiere un’opinione su Hitler, avrebbe dato una risposta molto più lucida del filosofo di Messkirch. E la pensava così anche Thomas Bernhard.

  34. Cercherò di essere il più possibile sincero, e di non farmi scudo con posizioni teoriche o con alati voli della mente: forse io non ho davvero questa grande esigenza di comunità. Non mi sento isolato per niente, anzi talvolta desidererei esserlo un po’ di più, per trovare la concentrazione necessaria a fare o pensare certe cose. Quindi non riesco veramente ad appassionarmi alle discussioni sulla comunità, anche se dentro ci trovo un sacco di tesori (oltre la fuffa, certo). Molti anni fa (inizio ’90), facevo parte di un cosiddetto “Collettivo Immaginario”, nato sul newsgroup soc.culture.italian: bene, già allora il mio nickname (niente anonimato, però: tutti ci si conosceva per nome e cognome) era Kane Sciolto.
    Ora la vedo così: io ho necessità di appartenere a una comunità, esattamente come l’essere dotato di polmoni ha necessità dell’aria, ma una volta garantitami, la comunità tendo a non farla oggetto del mio interesse (respiro per vivere e non vivo per respirare, per dirla con uno slogan).
    A me il progetto di Nazione Indiana ha fin da subito garbato proprio per questo: vuole essere un gruppo di gente autonoma.
    Leggo poi qui e là in giro in rete delle consideraizoni completamente fobico-deliranti su di noi. Ma a me in realtà cosa me ne frega delle fobie e dei deliri altrui? Niente, se non hanno la minima grandezza creativa. E quelle di cui sto parlando hanno solo piccolezze, o nel migliore dei casi bassezze. Un esempio: noi saremmo tutti capitanati da Moresco. Fatevi un giro sul forum di minimum fax e vedrete a cosa mi riferisco. Il livore personale ha aiutato Dante a scrivere quello che ha scritto. Ma non tutti sono Dante, ovviamente.
    Tutti i discorsi di ingegneria costruttiva della “comunità” finisce pertanto che li ammiro, nel migliore dei casi, che ne capisco l’importanza teorica e anche esistenziale e politica ecc…, ma la verità nuda e cruda è che non li sento “miei”.
    Io appartengo a (sono appartenuto da?) varie comunità: quella dei miei condomini, quella dei miei amici intimi, quella dei miei concittadini, dei connazionali, degli esseri umani, della nazionale scrittori, dei collaboratori alla Stampa, dei possessori di Fiat Brava, del mio nucleo famigliare, eccetera. Magari nessuna di queste comunità è La Comunità. Neanche Nazione Indiana lo è. Neanche La Rete. Ma certo non posso dire di essere un Robinson Crusoe contemporaneo.
    Anzi, la cosa che veramente mi sta a cuore pensando al tema della comunità, è al contrario l’eccesso di COMUNicazione che attraversa ogni nostro tentativo di COMUNità. Oggi noi in Italia siamo forse nel posto giusto e nel momento giusto per vedere in tutta la sua portata ciò che la COMUNicazione può essere in quanto strumento di negazione di libertà. Non so se esiste un altro Paese in cui l’equilibrio COMUNicativo fra la censura e la diffusione mediatica sia altrettanto esemplare. In altri termini, mi pare di essere al centro della forbice che da una parte TACE l’informazione, dall’altra LA DICE INSIEME A TUTTE LE ALTRE, COMPRESA LA SUA CONTRARIA. Tra l’assoluto silenzio e l’assoluto rumore (forse il risultato è dire SOLO TUTTE LE ALTRE?).
    Per me il discorso sulla comunità è innanzitutto questo. Voglio dire che lo è per me in quanto cittadino italiano ma anche peculiarmente per me in quanto scrittore. Essere al centro di questa forbice significa essere al centro di una torsione spaventosa che sta disarticolando la stessa possibilità comunicativa del linguaggio (e non solo). E un linguaggio che perda questo, a me che lo uso per lavorare essere pensare, fa problema.
    Per me certe sacche di resistenza a questo scivolamento tettonico si trovano ad esempio in certe opere. Libri, per capirsi. Trovo lì, più che altrove, le zone di senso che resistono alla banalizzazione e magari addirittura rilanciano a loro volta una sfida alla chiacchiera, alla miscela letale di rumore/silenzio in cui stiamo, ben bene salamoiati tutti.
    Quando, durante l’estate, nella discussione sulla comunità ho visto contrapporre il mandato di costruire la comunità a quello di costruire opere di (con la) scrittura, semplicemente non più ho capito di cosa si stesse parlando. E mi sono spostato altrove.
    Per questo ogni volta che qualcuno mi richiama, direttamente o indirettamente, a esprimermi su questo tema, il mio primo moto è l’insofferenza. Io, per esempio, di gestione finanziara non capisco un tubo. A chi mi chiedesse di dire la mia sulla filosofia consustanziale alla partita doppia risponderei picche. Cos’altro potrei fare?
    Tutti facciamo così, è questa la cosa divertente. A Francesco avevo passato l’informazione delle logiche paraconsistenti, così per gioco, e lui mi ha detto che non gliene importa un fico, che non entra nel discorso. Fa bene.
    Ma io vorrei a questo punto riservarmi semplicemente la medesima libertà. Di NON intervenire su ciò che non mi interessa.
    Su Heidegger, per esempio, non ho niente da dire. L’ho studiato abbastanza durante l’università, ma poi ho scelto un altro ambito filosofico, altri temi, altri autori, altre impostazioni. Devo tornare sui miei passi? A volte penso di sì, penso che dovrei mettermi a testa bassa di nuovo su certi autori, conoscerne altri, studiare. Ma poi non ce la faccio se non superficialmente. Ho vagamente intuito che uno come Sloterdijk potrebbe essere interessante. Ma tutto quello che ho capito su di lui PRIMA di mettermi a leggerlo è stata la solita cortina fumogena italo-paratestual-ideologicizzante. Cioè: come tutti (gli italiani), vengo a sapere PRIMA che uno è in odor di destra, per esempio, di quanto verrei a capire di lui leggendo qualche sua cosa. Noto en passant che in Francia è un autore tradotto massicciamente, mentre in Italia lo è molto meno (ridicola la traduzione di uno stralcio da una sua opera fatta di tre bestiali volumi ridotta così a agile volumetto sui temi della globalizzazione).
    Dovrò leggermi le migliaia di pagine in francese, lingua che frequento, come tutte quelle straniere, più o meno con l’agio che ha il Torino nei confronti della Champions League?
    Forse sì.
    Forse prima fi banfare dovrei ritornare su Heidegger, Habermas, Adorno, Horkeimer, arrivare a Zizek come se niente fosse, Sloterdijk appunto, e tutti gli altri.
    Tornare sul discorso del rettorato. Tornare sul fatto che poeticamente abitano gli uomini sulla Terra.
    Tornare sulle etimologie.
    Sull’agire comunicativo.
    E Rawls, allora? La teoria della giustizia?
    E gli scritti politici di Dewey? Non hanno davvero niente da dirci?
    O forse potrei fare qualcosa di più utile e meno dissipativo (di mio tempo): cercare ogni tanto una persona da intervistare, qualche “esperto”, e sbattere il risultato su Nazione Indiana.
    Ecco, sì, penso che farò così. Se troverò qualcuno a cui spillare qualche cosa di buono, lo farò e lo metterò in COMUNe su questo blog.
    Ma per favore, dire la mia vorrei farlo solo se è … mia!

    Spero di averla fatta abbastana lunga stavolta, almeno tanto da non meritarmi la richiesta di ulteriori supplementi.
    Ciao

  35. Scusa, Francesco, trovo stupefacente che tu ti scagli contro la retorica, che tu dica che Scarpa ti piace tranne quando fa troppe citazioni, e poi ci rifili la pippa spaventosa del tuo “amico” Esposito, una brodaglia rifritta e linguisticamente terroristica il cui senso, se non ho capito male (e se ho capito male non sono stupido io, è stupido chi scrive in quel modo, e su un giornale per di più) è che se al centro degli indivdui c’è il nulla, è inutile che gli individui cerchino di mettersi in relazione e costruire una comunità. Sai che novità!!!
    Posso farti una piccola provocazione? Invece di venire qui, su NI (scusami ma dovendo abbreviare preferisco l’acronimo secco all’inquietante NAZIND), a dire a NOI come dovremmo fare la comunità, a riempire pagine e pagine di discorsi PRELIMINARI sulla comunità, a prendersela con Moresco perché non parla abbastanza o non parla nel modo giusto di quella che per lui è la comunità, forse, dico, perché non fate come noi, vi riunite, fondate un sito e lo gestite nel modo più coerente con la vostra idea di comunità?
    Noi non siamo qui come privilegiati, per caso o per concessione della RAI o di non so chi, come ogni tanto sembra a leggere certi commenti. Siamo qui alla fine di un cammino che ci ha portati a incontrarci e a smazzarci la fatica che costa creare un sito e mantenerlo.
    In uno dei tuoi interventi su questa colonna tu osservavi che se non ci andavano le critiche negative avremmo dovuto “rendersi conto, insomma, che al mondo esiste anche chi spara a zero, e non bisogna tendere a censurarlo, ma, se proprio ci dà fastidio, al limite, ad evitarlo o a non rispondergli. Senza adottare il suo stile, e, soprattutto, continuando a portare argomenti per una discussione seria.” A parte la stranezza del comportamento di uno che fa un intervento, lo definisce in questo modo e ci invita a evitarlo, mi piacerebbe farti notare che tutta la discussione che è seguita al tuo intervento è costata tempo ed energie a tutti noi, esattamente come a te. Se questa non è già la comunità, vorrei sapere cos’è!
    Più avanti tu dici: “Se, invece che invitare a pedalare, noi (voi) continuassimo (continuaste) a discutere seriamente, come fate quando uno dice “bello bello”, forse sarebbe più conveniente per tutti.” Be’, Francesco, fai un semplice calcolo aritmetico. Vai a riguardarti le colonne dei commenti di settembre e agosto, e quelle precedenti, e scoprirai che la cosa che non abbiamo MAI fatto è stata “discutere seriamente (solo) quando vi si dice bello bello”, mentre abbiamo discusso seriamente, eccome, proprio quando invece ci si diceva “non va, non va”! Io mi sono sparato un’ora (in media: spesso due) di impegno quotidiano, quest’estate, per sostenere la discussione su communitas. Ancora una volta: questa cos’è? Non è la comunità realizzata?
    Se non lo è, ripeto: smazzatevi la stessa fatica nostra, mettetevi insieme, fatevi il vostro blog che incarni alla perfezione l’ideale di communitas che riuscite (beati voi) a intravedere dentro gli arzigogoli di Esposito, e tanti auguri. Verremo a trovarvi, metteremo i nostri post, sposteremo lì il luogo delle discussioni e degli scambi.
    Io accetto qualsiasi critica, abbiamo discusso un casino su questioni concrete; accetto anche che tu mi possa dire, in un intervento finalmente articolato e non a metà fra la Pizia e il graffitaro come il primo che avevi fatto, che la parte finale della lettera di Moresco non ti convince affatto. Ma questo tormentone della comunità, di cosa vuol dire essere comunità, di cosa bisogna mettere in gioco per fare la comunità, comunità, comunità, mi ha talmente stufato, annoiato, sconcertato (perché non capisco a cosa servano tutti questi discorsi: si agisce e basta, no? Si comunica, no?), e con me un sacco di lettori che diversamente da Andrea mi hanno scritto privatamente, esacerbata, chiedendomi di impedire alla gente di ammazzare ogni discussione specifica tirando in ballo questa dannata comunità, che davvero mi sento di diventare sgarbato e dire: fatevela da voi, la comunità.
    O più semplicemente, come Dario: non so fino a che punto ci tengo, a entrare in questa (VOSTRA FUMOSISSIMA PRELIMINARE ASTRATTA ESTENUANTE INCOMPRENSIBILE) comunità.

  36. Cito Montanari, perché questa sua frase che leggerete in coda a questo post basta e avanza a commentare da sola quello che già sapevo, ossia che voi, con Moresco, non avete nessuna voglia di comunità, ma solo di GRUPPO, e anzi – dopo questa sfilazzata di begli interventi nei quali torno a sentire l’aggressività pura di chi non ha argomenti da opporre alla verità – di BRANCO. Ma ecco Montanari, ecco la sua solita posizione IMMUNITARIA, la posizione di chi dice: “Questa è casa mia, fuori”… “pedalare”… “fatevi il vostro sito”… etc., senza capire che “fuori”, così come “dentro” di lui, non c’è nessuno (NIENTE), c’è solo la sua rabbia finta, il suo sbollire inutile, il suo isolamento assoluto.
    Vi saluto, ordunque, definitivamente, su queste tristissime note montanariane, mentre già sento che riprendete a inveire e urlare e offendere: “Invece di venire qui, su NI (scusami ma dovendo abbreviare preferisco l’acronimo secco all’inquietante NAZIND), a dire a NOI come dovremmo fare la comunità, a riempire pagine e pagine di discorsi PRELIMINARI sulla comunità, a prendersela con Moresco perché non parla abbastanza o non parla nel modo giusto di quella che per lui è la comunità, forse, dico, perché non fate come noi, vi riunite, fondate un sito e lo gestite nel modo più coerente con la vostra idea di comunità?”.

  37. Benissimo, Frank: se la frase virgolettata che hai messo in coda al tuo post è la tua idea di qualcosa di offensivo, mentre naturalmente non è affatto offensivo che tu scriva cose pacatissime e soprattutto rispettose dell’obiettività dei fatti, come: “voi, con Moresco, non avete nessuna voglia di comunità, ma solo di GRUPPO, e anzi – dopo questa sfilazzata di begli interventi nei quali torno a sentire l’aggressività pura di chi non ha argomenti da opporre alla verità – di BRANCO… “dentro” di lui, non c’è nessuno (NIENTE), c’è solo la sua rabbia finta, il suo sbollire inutile, il suo isolamento assoluto… Vi saluto, ordunque, definitivamente, su queste tristissime note montanariane, mentre già sento che riprendete a inveire e urlare e offendere”, ne deduco, davvero tristemente, che anche con te come con Ant.Mart. e altri campioni della comunità (a parole) e della “verità” si è solo perso del gran tempo. Forse bisognerebbe fidarsi di più delle prime impressioni: di primo acchito mi eri sembrato un guastatore e basta, esattamente come a Voltolini che ti ha mandato a pedalare; poi abbiamo cercato di ragionare, e ora eccoci qui, dopo 42 commenti, a salutarci.
    Io me ne sto felicissimo nel mio “isolamento”, dal quale parlo con i miei lettori, con tutti gli amici di NI e degli altri progetti in cui sono coinvolto, con la gente che incontro da pari a pari ai convegni, ai reading, nelle librerie, nelle biblioteche, nei centri sociali ecc., oltre ovviamente alle mie relazioni personali e affettive, indipendenti dal lavoro che faccio, che sono ricche e soddisfacenti; quindi non preoccuparti per me. Sicuramente soffro di una distorsione prospettica, ma non mi sento isolato proprio manco per il cazzo. Tu pasciti della tua socialità comunitaria, sulla quale non esprimo giudizi perché non so cosa fai e chi sei. Così siamo contenti tutti e la piantiamo di sprecare fiato.
    Un saluto affettuoso a HCE, esperto/a di tecniche di interrogatorio: finché si firma così, mi fa pensare a un’altra nota strategia poliziesca, quella del falso specchio. O anche, banalmente, ai torturatori che si mascherano o bendano o incappucciano le loro vittime per non farsi riconoscere. Tutte manifestazioni di grande coraggio e responsabilità personale, tutta roba buona per la comunità a venire. Non la nostra, però.

  38. UFFA!!! Veramente ammorbante.Leggere che Voltolini è noioso, Montanari aggressivo, ecc., ecc. A me pare che tu sia noioso e aggressivo: mai sentito parlare di proiezioni Frank?
    Una lettrice annoiata.

  39. Montanari non ce la faceva più, doveva sfogare. Tale e quale a Bossi, appena tutto si calma, lui subito sente il bisogno di crearsi un’altra occasione per fare a cazzotti, a spese del primo malcapitatao che vuol ragionare. Stupisce che anche Voltolini gli vada dietro, anche se, si sa, l’omaccione fa sempre colpo sui maschietti più delicati. E alla fine, Nazioneindiana è solo questo: grandi chiacchiere e gran casino, con qualche cazzotto virtuale e qualche minaccia che svolazza di qua e di là. Ma costrutto, niente di niente. Vuoto in mezzo al vuoto.

  40. Cara Adele, sono d’accordo con te su qualcosa e su qualcos’altro no. Sono d’accordo che l’omaccione faccia sempre colpo sui maschietti più delicati. Vorremmo essere come l’omaccione, ma non lo siamo e quindi lo usiamo – quando lo troviamo – come feticcio e paraento. Ci facciamo avanti, ma protetti dalla sua figura.
    Non sono però d’accordo sulla sequenza: purtroppo ho cominciato io, da parte di N.I., questa sfilza di botte e risposte reagendo a un messaggio di Framk, ormai molti decimetri più sopra. Non dare colpe a Raul, anche gli omaccioni hanno diritto a essere trattati stando ai fatti.
    Non sono d’accordo sul fatto che N.I. sia solo questo vuoto senza costrutto. Capisco che se viene considerata la finestra dei commenti la parte più importante del blog, allora la sensazione di vuoto e fuffa è più giustificabile, ma N.I. non è mica la finestra dei commenti.
    Nella finestra dei commenti, inoltre, la responsabilità della fuffa e del vuoto la condividiamo tutti, non trovi?
    Ora mi piacerebbe veramente sapere da te come si potrebbe fare ad aumentare il tasso di costrutto. Non scherzo, sono in attesa.
    Ciao

  41. Montanari, non esagerare, la mia era solo una piccola battuta (ci ho messo pure la faccina).
    E proprio perché era solo una battuta, senza alcun contributo alla discussione (nella quale oltretutto, come in buon poliziesco di una volta, sono senz’altro dalla parte dei cops, pur censurandone gli eccessi) ho messo il nickname senza aggiungere, come faccio di solito, l’indirizzo di posta elettronica. Che anonimo è uno che si firma “La primula rossa, via Garibaldi 61 terzo piano”?
    Comunque, se proprio serve, sono Fabio Carpina, e non ho niente di particolare da dire.

  42. Vorrei però aggiungere che io, Fabio Carpina, sono stato preso a pesci in faccia innumerevoli volte su parecchi siti come questo proprio per il vezzo di firmarmi sempre col mio nome vero e dare il vero indirizzo di posta, come possono testimoniare diversi che mi conoscono e qui si firmano col nome vero ma altrove usano pseudonimi. Per una volta che ai pugni altrui invece della faccia nuda oppongo un braccio alzato a difesa, mi si dà del torturatore mascherato. Montanari, ti offendi se ti dico che sei un po’ stronzo?

  43. Caro Fabio, ti dico due cose:
    1. Se tu avessi messo il tuo vero indirizzo, avresti ricevuto ieri sera una mia mail che diceva più o meno così: “Caro HCE, ho notato solo adesso, rileggendo, l’emoticon con il sorriso e la strizzata d’occhio. Quindi mi viene il dubbio di avere interpretato male le tue parole. Se è così, ti prego di scusarmi. Se non è così, rimane valido quello che dico alla fine del mio post”. Purtroppo, il messaggio mi è tornato indietro perché l’indirizzo che avevi messo era, appunto, fasullo! Un piccolo episodio sul quale, se ne avessimo l’energia (io la mia l’ho proprio esaurita) ci sarebbero un sacco di riflessioni da fare.
    2. Visto che giustamente dici che sei stato “preso a pesci in faccia” molte volte per esserti esposto con il tuo vero nome, credo che tu sia nella condizione ideale per capire come mi sento io, e altri, a venire insultato (non da Frank: parlo di altre colonne di commenti fra agosto e settembre) e, più che altro, a vedere sistematicamente travisato il mio pensiero, anche quando viene espresso con parole che mi sembrano piuttosto chiare ed esplicite. Quindi, perché darmi dello stronzo?
    E’ straordinaria la rapidità con cui si crea un mito. Provate a rileggervi cosa dico ESATTAMENTE nel mio post che ora passa per ringhioso, offensivo, ecc. Cito brani di prosa frankiana che mi pare rivelino un pensiero, diciamo così, oscillante, e aspetto che a questo si ribatta magari con argomenti. Poi dico una cosa talmente banale da far venire il latte alle ginocchia: cioè che se da tutto questo ruminare sulla comunità e da queste critiche a Moresco ecc. si deve dedurre che a qualcuno non va bene il modo in cui NI cerca di realizzare una comunità fra redattori e lettori, gli scontenti sono liberissimi di provarci loro, e di rendersi conto quanto è complesso gestire un organismo apparentemente semplice come questo, e tentare di fare qualcosa di pratico invece di citare il professor Esposito o definire all’infinito il concetto di communitas.
    Questo è quello che ho detto, senza nessuna parolaccia (tranne qualche “cazzo”… o forse neanche, quelli li avevo messi prima), insulto o simili.
    Niente: da questo post parte l’amareggiata risposta di Frank, la battuta simpatica di Fabio (simpatica, ora la capisco e lo riconosco, ma che suggerisce comunque l’idea di un mio intervento piuttosto violento – il poliziotto che dà lo schiaffo alternandosi a quello che offre la sigaretta – che a me non sembra di aver fatto!), la brillante sintesi di Adele.
    Adesso vi dico una cosa molto semplice: aveva ragione Frank, ingiustamente bistrattato, a dire che quando si reputa che un post sia sciocco, offensivo o fuori luogo (non mi ricordo se diceva anche questo: lo dico io, perché per me la pertinenza vale molto più dell’eventuale violenza verbale, come criterio di giudizio sulle cose che uno dice) sarebbe meglio ignorarlo, e basta. Personalmente mi atterrò a questo suggerimento, d’ora in poi.

  44. Raul, quella di Fabio era una battuta, e se lo riconosci devi riappacificarti con lui. Fabio, Raul è tutto fuorché uno stronzo. Mi sa che qui siamo di fronte a un diftto di comhounicazioohene

  45. Nessun problema, ritiro lo stronzo e pace sia.
    (con me la “routine” funziona alla perfezione, come vedi, basta una carezza del “good cop” e sono pronto a “sputare il rospo”… :-) )

  46. Basta vederci, me e Voltolini, per capire qual è il good cop e quale il cattivone! Lui è così paludoso, io così granitico e svettante!
    Fabio, ti ho chiesto scusa citando il testo di quella mail mai arrivata: lo faccio di nuovo volentieri adesso.
    Non so se qualcuno sarà in disaccordo anche su questo, ma chiedere scusa quando si sa di essere nel torto è una cose più liberatorie che ci siano; andrebbe propugnata come cura dimagrante. Scherzi a parte, ci sono un miliardo di motivi per farsi cattivo sangue, farselo per un equivoco (in questo caso: perché uno sciocco imbufalito non ha capito una battuta) è proprio uno spreco di dolore. Meglio tenerlo per cose più importanti, tanto prima o poi arrivano, purtroppo.
    La cosa buffa è che avevo molto ammirato la definizione “good cop/bad cop routine”; pur conoscendo il metodo (in realtà qui l’esperto di torture sono io, come sanno le mie ragazze e i miei lettori) (ma anche i condòmini, a volte), non conoscevo quell’espressione, resa molto graziosa e fascinosamente gergale proprio dal “routine” finale…
    PS Scusa, Dario, avevi le dita impiastricciate perché stavi preparando l’arrosto, o il modo spaventoso in cui hai digitato la parola “comunicazione” era un raddoppiamento semantico, per far capire che, appunto, la comunicazione è una cosa difficile?

  47. ho provato a seguire questa discussione(???)…

    ora,…pietà

    vi chiedo pietà…

    Carla Benedetti ha fatto dei pezzi bellissimi, un pò d’attenzione a quei lavori non guasterebbe…

    byezzz

  48. Perfettamente d’accordo con te, Donato, sia sul valore dei saggi di Carla sia sull’opportunità di parlare di quelli, e non di cazzate; non c’è bisogno di chiedere pietà.
    Vuoi cominciare tu a postare un commento? Finora i due splendidi pezzi di Carla sono zero a zero.
    Come avrai certamente notato, i redattori perlopiù evitano di commentarsi fra loro, se no verrebbe fuori una tiritera di complimenti reciproci ecc. L’abbiamo addirittura messo nel nostro piccolo codice deontologico. Qualche eccezione c’è stata, ma è ovvio che se pubblichiamo qui le nostre cose, invece di mandarcele in allegato fra noi, è perché ci aspettiamo commenti, critiche, ecc. dall’esterno.
    Forza, quindi!

  49. “… ci aspettiamo critiche dall’ESTERNO…”
    (R. Montanari, qui sopra)
    … Meditate, gente, meditate… Loro DENTRO, voi FUORI…

  50. A Raul: nessun arrosto, ma un miserabile giochino sulla difficoltà di comunicazione in atto.
    A Donato: hai ragione. Ora vado sui commenti ai pezzi di Carla. Ci si vede là, ciao.
    A Adele: esterno, certo. Cosa vorresti essere, un virus residente?

  51. La verità è che dei pezzi della Benedetti non siete capaci di dire un bel niente. Siete solo chiacchiere e distintivi. Fuffa. Vuoto.

  52. Ma Adele, stai criticando N.I. per non essere all’altezza di pezzi che N.I. pubblica? O parli personalmente a noi personaggi di questo colonnino (te compresa)?

  53. La Benedetti pone questioni serissime che, voi per primi, cioè i redattori di NI, siete incapaci di comprendere fino in fondo, o forse semplicemente le rigettate, essendo, i pezzi della Benedetti, l’ennesimo invito a porsi la questione della “comunità”, per la quale, ormai è chiaro, avete allergia o pregiudizio o che ne so. A me date l’impressione di preferire le piccole risse da blog, le rispostine a effetto o l’esibizione del vostro bellettrismo. La Benedetti vola verso ben altri lidi, che a voi non credo interessino molto. Per quanto mi riguarda, mi guardo bene dal postare un commento allos critto della Benedetti, perché ho ragioni valide per credere che verrebbe facilmente sommerso dai soliti insulti e improperi riservati a chi non è d’accordo con i poliziotti di quartiere di questo vostro bel sito.

  54. Io propongo per i prossimi commmenti, alfine di rendere meno scivoloso il piano del discorso, anzi della stessa enunciazione, e renderlo quindi appena più meditato, di sostituire tutte le occorenze del termine “comunità” con il termine seguente “GEMEENSCHAPPELIIJKHEID”, da scrivere, vi prego, con assoluta precisione, trattandosi di parola vera ed esistente, di una lingua parlata, e che per altro ha ugual significato di quella italiana.
    Credo che, accettando questa piccola regola della comunicazione, ne trarremo indubbi vantaggi e magari un po’ più di pace.

  55. Un momento, Andrea! Non scherzare tanto. Le critiche vanno prese sul serio, specie quelle costruttive. Dario aveva invitato Adele a fare critiche costruttive, lei le ha fatte: ci ha detto chiaramente cosa fare per migliorare il sito, che la annoia sì tanto, come si deduce dal fatto che lascia questi suoi commenti proprio nella zona della rissa e si guarda bene dal provare a rompere il blank dei commenti ai pezzi di Carla.
    Adele non ha solo le idee chiare: è anche coraggiosa! Lascia parlare me, Andrea.
    In effetti Adele ha ragione su tutto, in particolare nel momento in cui sottolinea l’estraneità di Carla Benedetti al gruppo di imbecilli bellettristi (dev’essere una goduria intonare questa parola!) che formano NI.
    Carla Benedetti non è una cofondatrice e redattrice di NI, nonché unico critico militante e teorico della letteratura del gruppo e quindi punto di riferimento decisivo per tutti noi. E’ una tipa che ci è capitata così, un po’ a caso.
    Adesso vi racconto com’è stata. Volevamo nel gruppo una donna che avesse come iniziali CB. Io avevo proposto Corinne Bartolomei, una mia vicina di casa che è anche brava a stirare; Dario insisteva invece per Clarissa Burt (titolo previsto per il primo post: “Non è più la mia America!”); altri, non so perché e da dove, hanno tirato fuori questa Benedetti, abbiamo dovuto adattarci.
    E il bello è che adesso scopriamo che il saggio su Petrolio parla della mefitica, della da noi temutissima comunità! Comunità, comunità!
    E’ importante parlare della comunità! Io, quando non ho un cazzo da dire, parlo subito della comunità: tutti mi guardano con rispetto, anche nell’assemblea condominiale. Oserei dire che non esiste discorso sensato che non parli della comunità, anche quando sembra che non ne parli affatto (vedi i due pezzi della Benedetti). Se uno guarda bene, la comunità ce la vede subito; se poi uno non ha gli occhi, peggio per lui!
    Esaminiamo ora i numerosi motivi per cui si può dire fondatamente che il pezzo di Carla è incentrato sulla comunità, cosa che a noi dà un fastidio bestia!
    1. Il pezzo fa riferimento a un libro il cui titolo è “Petrolio”. Be’, senza petrolio che cominità sarebbe? Come faresti tu, Andrea Inglese, ad andare a trovare i tuoi amici?
    2. L’autore di questo libro è un certo Pasolini. Pasolini parlava di comunità, anzi di communitas? Mmh… forse sì, forse no… Be’, ma sono sicurissimo che almeno una volta o due l’avrà scritta la parola comunità, da qualche parte! Comunità, comunità, comunità!
    3. Figata, figata, sentite qui: con la famosa poesia su Valle Giulia, Pasolini aveva fatto incazzare… chi? Ma i COMUNI-sti! Comunisti, comunità! I comunisti sono gente che vuole vivere in comunità! Comunità! Visto che c’entra?
    4. E poi Pasolini era iscritto all’anagrafe di un comune! Comunità, comunità!!!
    5. Le opere di Pasolini sono patrimonio comune! Comunità!
    Guarda, Adele, che mi fermo qui solo perché ho il farro sul fuoco, eh? Da quando Rauti, mio idolo politico, ha consigliato di mangiare il farro e non la pasta, ne ho comprato un quintale! Se no andrei avanti un’ora, e tu saresti ancora più felice, ti sentiresti ancora più protagonista, anche se esterna (cazzo, questa dell’esterno è stata una vera scivolata: è vero che c’è un gruppo di persone che ha fondato il sito e lo tiene in vita, e altri – più intelligenti di noi, meno intelligenti di noi, intelligenti uguale: questo non c’entra – che ci scrivono sopra accedendo alle colonne dei commenti, ma cosa vuol dire? Mica stanno all’esterno, questi nostri amici: sono interni, interni! Ho proprio detto una stronzata, ho rivelato ancora di più la mia vocazione autoritaria e antidemocratica, insomma anticomunitaria!). Pensa, Adele: nonostante tu scriva delle sciocchezze totalmente prive di un barlume, ma dico UN BARLUME di contenuto argomentativo, nonostante tu ti limiti a scagazzare qua e là, siamo in tre interni (oops! Mi è scappata un’altra volta!), Andrea Inglese, Dario Voltolini e Raul Bossi Montanari, a occuparci di te, a cercare, in fondo, di sedurti. Dài, diciamolo: quella che vogliamo noi è la tua approvazione. Il tuo amore. Che ce ne frega che tu dica anche solo una SILLABA che serva a far funzionare meglio il sito, a generare più interesse, più felicità, più idee? Lascia pur stare, va’.
    Noi vogliamo te, e basta. Noi adoriamo gli indirizzi di posta elettronica che lasci:
    astarad@libero.it (questo un po’ banale, ammettilo);
    grui@asasasa.as (questo mi piace un casino);
    feret@adef.it (le reazioni organiche che mi suscita questo non posso riferirle, passerei per maniaco!).
    Noi ti vogliamo, a nome di tutta la comunità.
    Permettetemi di chiudere questo intervento con un mantra, del cui testo mi sono già stati chiesti i diritti per una versione musicata:

    Comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità – comunità comunità (variazione)- comunità (ripresa)- comunità – comunità – comunit – comuni – comun – comu – com – co – c – co – com – comu – comun – comuni – comunit – comunità (canone a specchio) – comunità (tutti insieme, ora!) – comunità!

  56. Montanari, se hai delle idee, rompilo tu il blank degli scritti della Benedetti, no? Che scuse sono: “non ci commentiamo a vicenda”? Fin qui l’avete fatto pressoché sempre, ognuno di voi con il suo collega poliziotto in altre zone del sito-quartiere NAZIND. Ora con la Benedetti che succede: non vi suscita alcun pensiero? Oppure, più semplicemente, temete che lei vi giudichi (come ha già fatto, a proposito dell’articolo tuo sul sesso) per quello che siete: e cioè dei superficiali IRONICI (e intellettualoidi, questo lo aggiungo io), come il testo di Inglese e questo tuo ultimo dimostrano chiaramente?

  57. Un nuovo indirizzo di posta elettronica lasciato da Adele! Comunità, comunità!
    Eccolo: http://…/
    E’ meraviglioso! Comunità!
    Adele ha lanciato un nuovo gioco: chi dei redattori di NI scriverà un commento al saggio di Carla Benedetti? E’ una sfida! Avanti, ragazzi! Comunità!
    Però, Adele, devi specificare la posta. Visto che con te siamo a livello di asilo infantile, per non dire altro, dicci cosa ci dai per andare a fare quello che non sei capace di fare tu: una caramella, un buono sconto del MacDonald, un laccio da scarpa torro ma annodato con un nodino piccolo che passa per i buchi?
    Comunità!

  58. Stavolta dissento totalmente con Montanari. Il canone a specchio, con ripresa, e chiusa di coro -lo capirebbe anche un ascoltatore “superficiale” – funziona molto meglio adottando gemeenschappelijkheid.
    Certo, cio’ richiede tutt’altro impegno, ma il risultato, mi dispiace per Montanari, è ben più sublime: geme geme geme enschappel enschappel enschappel ijkheid ijkheid iiiid – assieme con astuzia ora: GEMEENSCHAPPELIJKHEID!!!!

    Non se ne abbia male Adele, se non esprimo a lei che cosa io penso dei pezzi della Benedetti. Ora sono stato preso da un’irrefrenabile euforia per questa nuova parola-feticcio, il cui sinonimo, più agile, è overeenkomst.

  59. La stupidità di Andrea Inglese è colossale, non ci avevo fatto caso prima. E voi? Pensavo fosse un semplice noiosone, con quei suoi pezzi illeggibili, da universitario fuori corso, e invece è anche uno stupidone. Però, che simpatico! Gli stupidi son sempre un po’ simpatici.

  60. Se prima con il mantra di Montanari ho riso per un buon quarto d’ora trovandolo geniale,la variante di Inglese mi sembra ancora più esilarante:una irrefrenabile euforia mi ha contagiato e messo di buon umore. Quasi ho pensato di cambiare il titolo della mia tesi, potrebbe essere:comunità/gemeenschapelijkheid ovvero il significato della overeenkomst.Più ci penso e più la trovo una buona idea. ;-)

  61. Cara Adele, hai veramente rotto il cazzo.
    Sei una povera diavola, capace solo di nascondersi dietro le idee altrui, dal vecchio “meditate, gente” di Arbore al “chiacchiere e distintivo” di De Niro, dai pezzi di Carla, su cui non hai un bel cazzo da dire, ai vaneggianti sulla comunità. Ammetti tu stessa di essere una vigliacca, giacché non vai a scrivere sulle colonne di commenti a Carla per timore non si sa di che cosa (come minimo ti arriverebbe una bomba a casa, infatti, specie se di Carla parlassi bene! Ma si può essere così ottusi?); peraltro, che lo fossi lo si capiva già dagli indirizzi mail fasulli.
    Continuerei volentieri a farti sentire eccitatissima protagonista di questa colonna di commenti, ma la ASL si rifiuta di pagarmi lo stipendio come animatore e assistente a sostegno di soggetti psicolabili, perciò purtroppo devo salutarti qui.
    Sei riuscita nella rara impresa di fare 7 post senza dire una sola parola, ma dico una, degna di interesse. Appetto a te, Frank giganteggia e mi dispiace molto che non sia più intervenuto; un tale che mi aveva insultato durante la discussione sulla Seconda lettera da Leuca, di cui ora mi sfugge il nome, si era dimostrato almeno creativo linguisticamente, abile nell’invettiva. Tu, niente: sei una lagna e basta.
    No, non ringraziarmi: ne avresti ben donde, visto che nessuno ti ha cagata tranne il sottoscritto, Dario Voltolini e Andrea Inglese; ti abbiamo regalato giornate di formicolio e felicità, ti sei sentita quasi una persona normale in grado di dialogare, ma tu non ringraziare, noi lo facciamo così, abbiamo a cuore gli infelici e gli idioti, nella comunità ci stanno pure loro.
    Tu adesso scompari: puff! Nessun tuo post verrà più preso in considerazione per una risposta. Gabriella, ti sei beccata della stupida solo per avere espresso un’opinione allegra, divertita, intelligente, senza nemmeno rivolgerti a questa persona: ti invito a non prendertela e lasciarla perdere.
    Scrivi quello che vuoi, Adele Astarita aka wgrtyvviyhhd@nonhouncazzodafare.it, fai le recensioni ai drammi pastorali del capitan Cocoricò, prova a mettere giù qualcosa con la tua testa, insomma, e non solo a cercare penosamente di seminare zizzania; vedrai che ti fa bene. La colonna dei commenti è tutta per te, ora.
    Ciao, e tanti saluti al nonno.

  62. “SPIRITO DEI TEMPI”

    Mancava solo il “cazzo” nei discorsi creativi di Montanari. Adesso, finalmente, la discussione tanto “divertente e ironica”, possiamo chiuderla, per l’ennesima volta. Che sollievo! Prima, però, voglio riportare, per il pubblico eventualmente immemore, il giudizio di Carla Benedetti sul nostro Montanari, il quale, tra le altre cose, non si capisce basandosi su quali criteri, vanta la stessa Benedetti come “suo” critico, “sua” guida. Il giudizio che segue di Carla Benedetti si riferisce a un pezzo sul sesso scritto in NAZIND dallo stesso Montanari:
    “Anch’io trovo qualcosa di superficiale e intollerabile nello sguardo sulla sessualità che trapela dal pezzo di Montanari. Non perché i suoi personaggi parlino di tette e culi, ma perché sembra trionfarvi quello stesso punto di vista parcellizzante, ironico e depotenziante che è nello “spirito dei tempi”.”. (Carla Benedetti)

  63. Ah, sei Ilde? Non ti chiami più Adele? L’URL è rimasta la stessa, vedo. Soffri anche di dissociazione di personalità, oltre che delle cose che il troppo indulgente Montanari ti rimprovera?
    Un appello a tutti i redattori: lasciate cadere nel vuoto le provocazioni. Fidatevi dei lettori di Nazione Indiana, che capiranno quando il motivo per cui non rispondete è per evitare di creare colonne di mostruosità come questa, e non perché non avete argomenti.
    Grazie
    Francesco Pieruccini.

  64. Ringrazio anche qui Francesco, mi fa ben sperare che ci sia un lettore come lui, e mi fa ipotizzare che ce ne sia più d’uno.
    Adele e Ilde attaccano, accusano, fanno sarcasmi. Ma siamo sicuri (Raul, Andrea, io) che rimandando con più forza ancora la palla nel loro campo non si stia semplicemente giocando tutti un gioco visto e stravisto, quello che, tecnicamente, si chiama “mandare in vacca”? Quando Tiziano postò il pezzo di Raul, furono molte le pressioni SU CARLA da parte di alcuni lettori di N.I. (lettrici, se non ricordo male) per coinvolgerla in un gioco di presa di posizione contraria a Raul. Ora, se anche ci fossero delle tensioni interne a N.I. (e, lo dico sinceramente, spero che ce ne siano), 1) l’intervento esterno che cerca di “farle esplodere” resta un intervento meramente teppistico e 2) il luogo per venire a capo di queste tensioni non è in nessun caso il colonnino dei commenti.
    Non vorrei plagiare il povero Cristo, ma certo che la tentazione di rimandare coloro che rinvengono con tanta solerzia le contraddizioni nei nostri occhi (pagliuzze) alle loro proprie scissioni mentali (travi), è veramente forte. Tuttavia, NON lo farò. Dirò piuttosto questo: io come “indiano” sono felice e anche orgoglioso che ci siano questi brani di Carla sul sito: è veramente ridicola l’immagine che ci vede basiti di fronte al lavoro di Carla. Carla è una che per avere detto quello che pensa (firmandosi) è stata querelata, tempo fa, e richiesta di risarcimento in veri e tanti e sonanti euro. Ho cercato, allora, di raccogliere più firme che ho potuto in suo sostegno, quando era il momento. Ho postato qui sopra un mio intevento in cui parlo della libertà di opinione: ho cercato di scrivere degli argomenti, di sostenere delle idee, perché le firme e le petizioni non bastano. Dov’erano quelli che ora vogliono i commentini ai pezzi di Carla, quando era ora di farsi sentire? In quale altro blog stavano (sacrosantamente, per carità) starnutendo? Dove erano quando occorreva difenderla nel suo lavoro e nel suo diritto di espressione? Ora vengono a sostenerla contro i cazzi di Montanari? E contro le lettere degli avvocati no? Da quale pulpito ci accusano di non comprendere o addirittura di rigettare il lavoro di Carla? Io non accetto NESSUNA lezione al riguardo, sia ben chiaro. C’è una causa legale in corso, e se la metà di quelli che vengono qui a fare la moralina sui pezzi e sui commenti di Carla fosse un po’ più attenta a quello che succede in questo truogolo di Paese, sarebbe già una bella cosa.
    Sono felice di fare parte di un blog collettivo che grazie anche agli ultimi due interventi di Carla diventa sempre più un luogo dove circolano cose notevoli (idee). Bisogna però ancora inventare tutto, in qusta modalità di interazione: i richiami alla netiquette non servono, il trattamento paritetico è ipocrita (perché devo trattare i teppisti come tratto la gente seria?), la censura (per fortuna) non si può praticare, e soprattutto c’è spesso qualche grano di riflessone anche nei post dei teppisti, e viceversa. Ho proprio l’impressione che ci si debba inventare un modus praticamente dal nulla. Se così fosse, ci sarebbe un senso anche in questa pioggia di stupidaggini che ognui tanto scende sui colonnini: sarebbero esperimenti, tentativi, brancolamenti. Potrebbero tornare persino utili. Come una specie di vaccino, di malattia pilotata. Chissà, forse possiamo vederla così.

  65. Cara Adele, speravo in qualche variazione sul tema, che è ormai frusto. Invece niente, avanti come il bove! Lo schema è: 1) arrivare insultando, 2) fomentare le pseudodiscussioni a suon di post incongrui, 3) fare un po’ la Pizia, 4) aspettare che uno, non potendone più, cerchi di dare una sistemata senza rancore a parti della discussione e finalmente 5) dirgli con sussiego che “comincia con fatica a capire”, suggerendo con ciò che egli stia passando dalla propria parte.
    Ma non è così. Quella parte non esiste, e io quindi non posso passarci. Mi scuso inoltre se per capire qualcosa ci metto fatica: per me è sempre stato così. Quelli che capiscono al volo senza fatica rischiano molto di capire un belino. Quindi nessuna finta apertura, cara Adele, ti ringrazio però te la rispedisco, con gentilezza ma senza indugio. Restiamo tranquillamente su due sponde diverse. Ammesso e non concesso che esista, la tua parte, vorrei non condividerne niente. Scusa, sai.

  66. Conferma del mio discorso fatto nell’altro post più sopra: cominci a capire, sì, ma non ti interessa aver a che fare con chi la pensa diversamente da te, è ovvio. Tu (voi) cerchi solo dei cloni di te stesso, per specchiarti sicuro nella tua faccia spero simpatica.
    Io non ti voglio sulla mia sponda perché io non ho una sponda, o almeno non è “mia”. Nessuna apertura, analogamente, perché con te, che non mi ascolti, non posso aver nulla da dire. Stop.

    POST SCRIPTUM PER PUNTI
    1) arrivare insultando – mai insultato nessuno, io, e per fortuna ciò che è scritto rimane: gli insulti sono quelli dei tuoi amici, “palle” e “cazzi” in primis, ma ovviamente per te queste sono “esibizioni creative”, non parolacce
    2) fomentare le pseudodiscussioni a suon di post incongrui – posto solo argomenti e problemi pertinenti, io
    3) fare un po’ la Pizia – so che dico la verità, io
    4) aspettare che uno, non potendone più, cerchi di dare una sistemata senza rancore a parti della discussione – problema suo di ritardo, non mio
    5) dirgli con sussiego che “comincia con fatica a capire”, suggerendo con ciò che egli stia passando dalla propria parte – vedi sopra, quello che dico in proposito.

  67. Sei veramente un osso duro (di comprendonio). Io non è che non voglio avere niente a che fare con chi la pensa diversamente da me (praticamente non faccio altro), e in particolare con te. Ci ho a che fare, e spero che in un futuro magari non remoto ciò potrà risultare come (esser stato) utile, tuttavia intendo rimanere nelle mie convinzioni, se non mi hai convinto del contrario. Tutto qui. La pensiamo diversamente? Benissimo. Cerchiamo reciprocamente di convincere l’altro? Bene. Ma la furbata di dire “cominci a capire…” non te la faccio passare. Cosa starei cominciando a capire? Cosa che tu già sapevi? Cosa che io non sapevo ancora? Mistero, cara Adele. Parole senza significato, strizzatine d’occhio, ammiccamenti, allusioni. Mi sembra di essere capitato in un articolo di critica letteraria!
    Ma tu sai di dire la verità. Questo sì che è confrontarsi con gli altri! Questa sì che è un’apertura al dialogo, perbacco! Capisco perché ti danno fastidio le parolacce. D’ora in poi ti chiamo Karol, ok? Mi sa tra l’altro che ci azzecco di più che non con Adele.
    Ciao Karol, amen.

  68. Allora te la dico in un altro modo, Voltolini: sei uno stupido. Ti va bene così? Probabilmente bisogna adeguarsi al vostro linguaggio, per farsi comprendere da voi “maschietti”. Tu sei uno stupido, Montanari è un maiale con il “cazzo” al posto del cervello, Genna e Inglese lascio a tutti voi di giudicarli, e in tutto questo vorrei propriosapere dov’è finita Carla Benedetti. Non è che per caso sia un po’ ipocrita anche lei? Sarebbe una grossa delusione, per me.

  69. Secondo me, Adele, le cose che hai scritto sopra equivalgono a questa frase di Benni: “finché Pelè gioca in porta la nazionale non vince lo scudetto”: una galattica divertentissima somma di errori.

  70. Caro Andrea, non dire corbellerie, dici sempre corbellerie, contieniti. Va’ un po’ a dormire. Riposati, sta’ calmo. Mangia un gelato.
    Dario

    (Questo non è un mio messaggio, io sono Adele, e scrivo questo post solo per segnalare, a chi non se ne fosse accorto, che il messaggio ultimo che porta la mia firma, che comincia “Allora te lo dico in un altro modo…”, non è mio, ma di qualche imbecille privo di fantasia che mi usurpa la fama, al fine di “dimostrare” chissà che cosa, probabilmente che dico parolacce o che insulto. Mi usurpa la fama, come io usurpo qui la fama a Voltolini. C’è anche questo, in “questo” stupidissimo mondo, io non me ne stupisco, ma, naturalmente, smentisco le cose che non mi appartengono)

  71. Io sono senza parole! Qui sta succedendo una cosa veramente assurda, un sabotaggio da parte del BRANCO nei confronti dell’unica persona che ha il coraggio di dire la VERITA’ (è meglio usare le maiuscole, così vedono anche i ciechi…) in faccia a questa gente! Io non sono l’autrice né del post di “Dario” né di quello precedente!
    Carla Benedetti, ma lei tollera tutto questo? Mi rivolgo a lei come donna, perché qui dentro vedo solo machi (Montanari), maschietti (Voltolini), stupidi (Inglese, Genna), e pseudodonne che sono tutte felici di reggere il sacco (scrotale?) a questa gente, come le signore o dottoresse Gabriella e Helena. Sono davvero rimasta solo io a dire la verità? Ma io continuerò a dirla, mi dispiace tanto per tutti voi!!!

  72. Dunque è qui il punto dolente. se E’ vero l’ultimo post di Adele, allora sono apocrifi i precedenti due. Nel primo dei quali mi becco dello stupido. Ora naturalmente non si capisce più un tubo, qui dentro. La cosa gravissima che dice Adele la vede peraltro ben bene coinvolta, con tutte le sue apparizioni come Ilde eccetera. Chi di alias ferisce…
    Ma cerchiamo di ragionare. Ora, io, per sapere se una cosa l’ha scritta veramente Adele o no, non ho più alcun riferimento certo. Non mi resta che scommattere su una piuttosto che sull’altra versione. Facciamo così: scommetto che effettivamente il post di Adele sia l’ultimo e siano apocrifi i precedenti due. In questo modo faccio come se Adele – che ci tiene tanto a dimostrare che lei non insulta nessuno – non mi avesse dato dello stupido. Ok? Prendo questa decisione e la mantengo. I furbi che si fingono Adele o Ilde eccetera, io devo dire che li capisco. Ma ciononostante li pregherei di smetterla.

    Un’ultima cosa: è inutile insistere con Carla, quando c’è c’è, quando non c’è nemmeno sente i richiami. E’ via, probabilmente non guarda i colonnini (le vogliamo dare torto?).
    In sua assenza, garantisco io che non è un’ipocrita.
    Saluti
    Dario Voltolini

  73. Io non ho mai insultato nessuno e non ho mai tirato in ballo la Benedetti, chiedendole di esprimersi. Questa sono davvero io. Il resto sono chiare mistificazioni, caro Voltolini, che potrai facilmente sgamare.

  74. Mai tirato in ballo la Benedetti?
    Ma, Adele 1 o 2 o 3, o Ilde, o chi sei, sei capace almeno di rileggerti?
    Non hai fatto altro che postare dappertutto quella frase della Benedetti su Montanari! Sei sicura di essere in te, quando parli? Sei sicura di essere chi sei?
    Ragazzi, qui abbiamo a che fare con una demente all’ultimo stadio, che arriva, insulta, dà i numeri. E voi state ancora a darle retta?

  75. No, Adele non ha mai insultato nessuno. Hai solo scritto cosine come:
    “La stupidità di Andrea Inglese è colossale, non ci avevo fatto caso prima. E voi? Pensavo fosse un semplice noiosone, con quei suoi pezzi illeggibili, da universitario fuori corso, e invece è anche uno stupidone. Però, che simpatico! Gli stupidi son sempre un po’ simpatici.”
    Oppure, alla signora Gabriella che aveva il torto di essersi divertita con il mantra di M. e la traduzione di comunità di A.I.:
    “La stupidità è contagiosa, indubbiamente…”.
    Il tutto volendo dimenticare il comico lapsus per cui nel post del 12.10, ore 10,39, la scema, ripeto: la scema, ribadisco: la povera scema si è tradita, firmandosi Ilde, proprio quando ha cominciato a citare la famosa frase della Benedetti, che poi ha postato sotto “Il problema Moresco” a nome Adele. La scema!

  76. Cara Adele, cara Ilde,
    la frase “questa sono davvero io” detta da voi mi lascia del tutto indifferente. Voi chi?
    Ma ancora una volta SCELGO di credervi. Dunque vi chiedo se per favore mi aiutate a sgamare chi va sgamato. Voi come fareste, come vi comportereste?

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