Quattro porte su ‘Petrolio’ # 1

di Carla Benedetti

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La prima porta è: potere.La seconda: visioni. La terza: tempi. La quarta: mondo.

1. POTERE

L’ultima opera di Pasolini è un romanzo sul potere. Un susseguirsi di “Appunti” che si stratificano e si espandono avendo per asse il tema del potere. Perciò questa prima porta è obbligata. E’ la porta d’accesso a Petrolio, per entrare non si può che passare da qui.

Nella prima pagina del libro è scritta questa frase:

Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili (Osip Mandel’stam).

E’ l’esergo dell’opera, quasi un’iscrizione sul portone d’ingresso.
Cosa significa questa citazione nel contesto di Petrolio? E soprattutto, cosa si intende per “vincoli puerili”? Più avanti faremo qualche ipotesi. Per il momento entriamo.

1.1 Le trame del potere

Chi dice potere, dice trame. Ma anche chi dice romanzo dice trame.

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L’Italia da questo punto di vista dovrebbe essere il paradiso per i romanzieri: bombe, attentati, omicidi, finti suicidi, sparizioni, finti incidenti: Mattei, De Mauro, Feltrinelli, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Calvi (li sto elencando senza un criterio, come mi vengono in mente), Rostagno, Ilaria Alpi, D’Antona, Biagi, Michele Landi (per chi non lo ricorda, è l’esperto di computer che aveva lavorato con D’Antona, trovato suicida nella sua casa, accanto a un computer devastato). E poi tutti i testimoni di Ustica… Una lista impressionante.

Da ognuno di questi nomi si potrebbe cominciare un romanzo intricatissimo.

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Certo, cose simili avvengono dappertutto. Ma in Italia di più, incredibilmente di più. Spia di una struttura sotterranea di potere che mette i brividi. Una struttura di potere che si sottrae non solo ai tribunali ma anche al discorso pubblico.

Ci sono capitoli della storia d’Italia che a vari decenni di distanza non sono stati ancora chiariti (anche perché, come scrive Carlo Palermo in Il quarto livello, a sparire non è solamente il magistrato che può fare azioni giudiziarie, ma anche colui che ha le informazioni che permetterebbero di ricostruire la verità. A ogni morte un fascicolo distrutto, un computer manomesso, un memoriale scomparso… )

Nelle corti del sedicesimo secolo gli intrighi non erano minori. Ma quel che colpisce oggi è che questi misteri esistano accanto ai mezzi di comunicazione di massa, alla televisione e a Internet. Gangli sottratti alla visibilità, proprio nel momento in cui c’è l’enfasi massima sull’informazione e le televisioni mostrano tutto, anche la vita privata delle persone.
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Quindi da una parte i media, dall’altra le logge, le mafie, le confraternite, persino nelle loro forme più arcaiche (addirittura i Templari, scrive Palermo).

Da una parte lo spettacolo, dall’altra il segreto.

Nei Commentari alla società dello spettacolo Guy Debord introdusse una correzione rispetto al suo precedente libro. Nella Società dello spettacolo egli aveva distinto solo due forme: lo spettacolare diffuso (modello: gli USA) e lo spettacolare concentrato (modello: i regimi totalitari, Germania nazista, Unione Sovietica). La prima forma incentrata sulla comunicazione mediatica, la seconda sul segreto. Ora ne aggiunge una terza: lo spettacolare integrato. Si tratta di una forma mista, e più sofisticata, che combina lo spettacolare diffuso col segreto. Modello: l’Italia.

In Petrolio si parla anche di questo potere. Chiamiamolo “il potere delle trame”. Si parla di bombe alla stazione di Torino (Carlo vi è coinvolto, strumento di una macchinazione). Si parla della morte di Enrico Mattei. Si parla ovviamente dell’Eni, che Pasolini considera non solo un’azienda ma anche “un topos del potere” (p. 90).
Non poteva del resto mancare questo ingrediente in un libro che si intitola Petrolio. L’oro nero, per il quale si fanno le guerre. (“No blood for oil!”). Tema quindi attuale sia ai tempi della stesura di Petrolio sia oggi.
Il petrolio è il novello vello d’oro, per il quale si fanno viaggi in Oriente, come un tempo li fece Giasone con gli Argonauti. Come li fece Mattei. Come l’ha fatto pochi giorni fa anche il cardinale Etchegaray, inviato dal Vaticano – strano viaggio, anche questo.

Il protagonista di Petrolio fa dunque un viaggio in Oriente, toccando anche i luoghi dell’odierno conflitto in Iraq. Questo motiva l’inserimento della storia degli Argonauti, del viaggio di Giasone e dei suoi compagni, secondo la narrazione che ne fece Apollonio Rodio. Pasolini la riattualizza nel viaggio di Carlo.
Il viaggio di Carlo in Oriente è un viaggio mitico. Con ciò Pasolini intende: viaggio il cui schema ritorna, da Giasone a Mattei, a Carlo… Una storia che ritorna è infatti mitica. La narrazione del viaggio di Carlo in Oriente instaura “uno schema di viaggio” (Appunto 3c), il quale ha perciò “le fondamenta nel sogno” (Appunto 36e).

Lo schema che riassume questi capitoli (“Gli argonauti”, Appunti 36-40) dice:

Viaggio ‘mitico’ in Oriente, rifacimento di Apollonio Rodio. Angolo non mappizzato (dove appare la figura dell’eroe che ha preceduto). Serie di ‘visioni’ rifatte sul Mito del Viaggio come iniziazione ecc. miste a visioni realistiche di viaggi veri (senza nomi o precisazioni, come nei sogni ecc.) (p. 139).

Tracce degli eroi passati nei secoli precedenti per la prima mappizzazione del mondo (p. 140).

Già da questo si vede la strana piega che prende in Petrolio il romanzo delle trame. Poco romanzesco, e molto mitico.
Per misurare meglio quanto sia insolito e peculiare il modo con cui Pasolini rappresenta questo potere, prendiamo un esempio contrario. Nel nome di Ishmael, di Giuseppe Genna, pubblicato nel 2002 da Mondadori, è uno splendido esempio di resa romanzesca delle trame del potere. Un libro avvincente, un thriller politico che comincia con la morte di Mattei, e da lì si spinge fino all’oggi, accavallando omicidi e misteri, tutti orditi da una sorta di setta che proviene da fuori (dagli USA), la cui struttura e le cui finalità restano misteriose. Questa è appunto una resa romanzesca delle trame, che amplifica romanzescamente la visione complottistica del potere. Da essa Pasolini è appunto lontano mille miglia.

E’ vero che Pasolini, nel 1975, poco prima della morte, scrisse sul “Corriere della sera” un articolo intitolato Il romanzo delle stragi. Quello che iniziava così:

Io so. Ma non ho le prove. Io so i nomi di chi ha messo le bombe e dei loro mandanti […]

Si intitolava Romanzo delle stragi ma non era un romanzo. Il suo titolo agiva piuttosto per antitesi. Come dire: è il potere che costruisce romanzi, perciò la mia risposta al potere non può essere romanzesca.

Così anche in Petrolio – del resto sviluppato per “appunti”, cioè costruito proprio sul rifiuto di narrare una storia, sul rifiuto di farsi narratore, di assumere le vesti convenzionali di un narratore. Persino di fronte alla faccia più “tramesca” del potere, Pasolini fugge via dalla sua resa romanzesca. Nonostante questa materia, che vi si presterebbe quasi naturalmente, non fa nessuna concessione all’idea complottistica del potere, di cui di solito si alimentano i romanzi sul potere. E per raccontare la caccia al petrolio devia piuttosto verso gli Argonauti. Devia dal romanzesco al mitico.
Pasolini è evidentemente alla ricerca di altre forme di rappresentazione e di analisi del potere.

Per mettere a fuoco il potere di solito usiamo lenti filtranti. Occhiali che fanno risaltare alcuni aspetti, lasciandone fuori altri che così ci restano invisibili. Ad esempio, con gli occhiali marxisti si vedranno gli aspetti economici del potere. Con quelli dietrologici, le macchinazioni e i complotti. Con gli occhiali francofortesi vedremo la società amministrata, o la persuasione occulta. Con altri la società dello spettacolo.
Io credo che Petrolio sia un tentativo di rendere visibile tutto il potere. E di renderlo visibile attraverso Visioni.

Ma seguiamo ancora un po’ Petrolio sull’argomento Eni e la morte di Mattei. Questa parte si intitola “Lampi sull’Eni”. Avrebbe dovuto essere formata da una decina di appunti (Appunti 20-30), tutti però mancanti, eccetto il 21. Forse Pasolini non ha fatto in tempo a scriverli. Forse si sono persi.
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Ne resta comunque uno schema riassuntivo, una pagina che ci informa su come avrebbero dovuto essere gli appunti mancanti. Si intitola “Storia del petrolio e retroscena”. Questa pagina contiene anche uno specchietto. Lo potete vedere qui accanto. Leggiamone un passo:

In questo preciso momento storico (I° BLOCCO POLITICO) Troya sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti).

Quindi Pasolini spiega il delitto Mattei in un modo molto diverso da quello che per tanto tempo è stato il più accreditato (e che ritroviamo anche nel romanzo di Genna): quello che chiama in causa gli interessi americani e internazionali, le sette sorelle, l’OAS, i servizi segreti stranieri ecc. Niente di tutto questo. Per Pasolini Mattei è stato ucciso per far posto a Troya, cioè a Cefis (in cui si deve leggere “fisicamente Fanfani”, come è scritto sopra il diagramma). Dunque un intrigo interno.

Il 2 gennaio 2001 la “Stampa” pubblicò alcuni articoli sulla morte di Mattei alla luce delle nuove indagini svolte dalla procura di Pavia, dove il giudice Vincenzo Calia aveva riaperto l’inchiesta. Con un lungo lavoro, portato avanti per anni, e ora depositato per l’archiviazione, Calia aveva ricostruito questo scenario: Mattei fu fatto fuori da un’oscura regia politico istituzionale tutta interna all’Italia: Cefis ecc. Insomma arrivò nel 2001 alle stesse conclusioni a cui già era giunto Pasolini nel 1975. E a cui probabilmente era già arrivato anche De Mauro, il giornalista che aveva svolto un’indagine sugli ultimi giorni di Mattei per incarico del regista Francesco Rosi, e che fu fatto sparire nel 1970.

L’articolo della “Stampa” parlava anche di Pasolini ed è per questo che attirò la mia attenzione. Tra i documenti inseriti dal giudice Calia nella sua istruttoria c’erano infatti alcune pagine di Petrolio, tra le quali questa che stiamo leggendo. Non c’è da stupirsene. Calia non poteva non interessarsi all’ultimo libro di Pasolini, visto che enunciava, con 25 anni di anticipo, conclusioni analoghe a quelle della sua lunghissima e solitaria inchiesta.

Stando alle ultime dichiarazioni di Pasolini, Petrolio avrebbe dovuto essere molto più lungo di quello che ora abbiamo. Così, sulla mancanza di questi appunti si è creato un mistero nel mistero. Circola il sospetto che i 10 appunti mancanti siano stati sottratti da qualcuno. Del resto, coloro che sostengono che non fu solo il Pelosi a uccidere Pasolini, ipotizzano ovviamente che si sia trattato di un omicidio premeditato. Dario Bellezza ha scritto che Pasolini, poco prima della morte, gli raccontò di aver ricevuto documenti compromettenti su un notabile democristiano, il quale avrebbe potuto ordinare il delitto.

Ma non voglio ora spostare il discorso sulla morte di Pasolini (che, se fosse vera quella ipotesi, andrebbe ad allungare l’elenco dei misteri d’Italia). Torniamo invece a Petrolio. L’attenzione del magistrato andava a questo diagramma, disegnato a mano da Pasolini. E’ un albero con tante diramazioni, che illustra l’impero di Troya (cioè Cefis) e quello di Monti. Pasolini dice di aver fatto tutto ciò come un gioco (“Schema di un puzzle elementare, e sua gioia ludica”, p. 113). Riempire questo specchietto è stato come trasformare il suo testo nella pagina di una rivista di enigmistica (p. 115).
L’appunto 21, quello ‘superstite’, descrive l’impero di Troya, vicepresidente dell’Eni (perciò Eugenio Cefis), seguendolo minuziosamente in tutte le sue ramificazioni. Per illustrarlo va avanti per varie pagine. Ma è davvero come un giochino da ragazzi: moltiplicazione delle aziende e prestanome. Una volta individuata la “matrice”, essa si ripete, si raddoppia, si riapplica ricorsivamente a se stessa. La struttura del potere è insomma un meccanismo semplice, riproducibile.

Dunque queste vicende, che di per sé avrebbero potuto dar luogo a un romanzo delle trame, a una ricostruzione romanzesca del complotto politico-istituzionale, vengono invece da un lato riportate al mito (il viaggio mitico in Oriente), dall’altro alla meccanicità di un gioco di enigmistica, al puro meccanismo ripetitivo, che non ha nulla di romanzesco.

Ciò non significa ovviamente che questo potere non sia micidiale. Ma Pasolini lo avvicina in un altro modo. Del resto l’immagine romanzesco-complottistica del potere è, in ultima analisi, anche un’idea consolatoria. Essa non ci dice solo che esistono i complotti. Ci dice anche che il mondo può essere dominato da un disegno, da un ordine. Dà per scontato che la storia possa essere diretta da una mente e che la realtà possa entrare dentro a degli schemi. Perciò è consolatoria. E, per questa stessa ragione, può anche essere castrante, come lo è la cosiddetta Realpolitik. Per esempio può favorire atteggiamenti come questo: “Inutile manifestare contro la guerra, tanto si sa che ci sono lobbies potentissime che la vogliono, per il petrolio o altro. La stessa diplomazia vaticana, chissà cosa coprirà! Altri interessi, altri complotti…”. E tutto questo sarà senz’altro vero.

Però i complotti, per poter funzionare, hanno bisogno di manovrare individui e corpi, quindi di integrare realtà dentro agli schemi puramente mentali, di sporcarsi le mani con la realtà grossa, che non è detto vada secondo i piani. Anzi potrebbe andare in tutt’altro modo. La realtà contiene molte più cose di ciò che le formule astratte del potere possono prevedere o dominare. Perciò il potere realistico, machiavellico, secondo Pasolini, è stupido (p. 462). Infatti non usa la visione, cioè non vede la realtà (che appunto contiene anche l’imprevedibile).

Il potere è sempre, come si dice in Italia, machiavellico: cioè realistico. Esso esclude dalla sua prassi tutto ciò che può venir ‘conosciuto’ attraverso Visioni (p. 461)

Lo stesso potrebbe dirsi di altre descrizioni del potere, per esempio quella che sottende la “società dello spettacolo”. Anch’essa, come quella che spiega il mondo attraverso gli intrighi e i complotti, rischia di essere consolatoria e insieme bloccante. Essa suppone che il potere possa far sparire i conflitti, cioè possa mangiarsi la realtà, con tutta la sua imprevedibilità, con tutte le sue “datità lancinanti”.

Niente mistero dunque in Petrolio. (Il ‘mistero’ c’è, ma è di altra natura). Niente fascinazione dietrologica. Solo un diagramma, facile da percorrere, “come scendere e poi risalire due scalinate contigue che abbiano l’ultimo gradino in comune”.
Questo gradino comune ai due alberi, che nel diagramma Pasolini ha evidenziato, sono le attività culturali della Signora F, finanziate, “per ragioni di amicizia e parentela”, sia da Cefis che da Monti. Ed è qui che Pasolini vuole andare a parare.

Questa signora tiene un salotto, che è un salotto intellettuale di sinistra. Ed è in questo salotto che Carlo, cattolico di sinistra, verrà arruolato dal potere, anche da quello che complotta. Ma qui il potere, persino quello misterioso delle trame, ci si rivela nella sua banalità.

(1 CONTINUA)

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8 Commenti

  1. Eh, carla, hai ragione… bisogna parlarne di questa cosa della consolazione del protocollo interpretativo paranoide… però io ne sono affascinato in quanto motore di affabulazione e verosomiglianza, non in quanto struttura ermeneutica della realtà storica. è diverso. che si tratti di una fase superata, lo dimostra l’uscita di TUTTO QUELLO CHE SAI E’ FALSO, presso nuovimondi media. da straleggere! bisogna riprendere il discorso sul trauma che si faceva con raimo al convegno. tu non c’eri, io diedi torto a raimo e ancora glielo dò: sosteneva che la mia e la sua è una generazione che non ha subìto traumi. però raimo pone, e molto molto rigorosamente, un problema determinante. io che penso che la fase di fiction sociale imposta autorappresenti una comunità in post stress disorder syndrome devo tornare a canossa e chiedere numi a christian. c’è sempre una cartina tornasole, comunque: Pynchon. vediamo che cosa fa prossimamente… :-)

  2. Sì, bisognerebbe parlarne. Grazie del commento e anche dell’indicazione.
    Ma non riesco a capire fino in fondo qual è la tua idea. Che vuoi dire con “la fase di fiction sociale imposta autorappresenta una comunità in post stress disorder”?
    Un caro saluto

  3. Hai ragione, carla, sono criptico, anche per motivi di luogo d’espressione. Con quella frase intendevo: la fiction atmosferica, che Debord identifica con una fase postrema dell’azione di un potere teso a sostituire definitivamente l’umano, rappresenta un’umanità che agisce e comunica e sente come se avesse subito un trauma. Anche così, capisco, c’è molto da chiarire. Per esempio, la teoria del trauma. Mi rifaccio, qui, alle conclusioni della Shapiro (la si trova in Ubaldini): trauma che biologicamente si installa in processi cerebrali, in piena sincronicità di cognitivo ed emotivo, costringendo il soggetto, nel post trauma, a filtrare le esperienze che fa. Il filtro è una luce distorsiva. Il traumatizzato, in una fase postraumatica, non si rende conto che il trauma c’è, che lui è traumatizzato, e che l’esperienza che compie, quella che gli sembra l’esperienza normale, è un’esperienza finta, fictionalizzata dal trauma. Per altre indicazioni in merito, si può ora leggere il bellissimo LA COSCIENZA IN PSICANALISI di Alberto Semi, edito da Cortina.
    Un bacione!

  4. Avendo letto con molto interesse gli articoli della Benedetti e il tuo post,mettendo a nudo la mia incapacità di comprendere fino in fondo,mi piacerebbe un chiarimento del nesso della teoria del trauma,che ho chiara,con l’azione di un potere teso a sostituire definitivamente l’umano.Cioè,vorrei un chiarimento sul collegamento che tu fai tra trame di potere e umnità traumatizzata.

  5. Il potere, per come lo approccio, è un meccanismo che occupa l’umano: un riflesso condizionante che crea effetti condizionati su larga scala. E’ un dèmone che sta nell’etere: di natura anelementale, penetra nella realtà psichica, è una sovrarealtà psichica. Sostengo che la fiction, che per me è automaticamente una strumentazione del potere, agisce e condiziona soltanto nel momento in cui l’uomo è mutato, in quanto condizionato. Per sostenere una simile tesi, sono costretto a parlare di fiction di potere e di fiction umanistica. La prima essendo una perversione della seconda, che è puro affrontamento dell’indeterminatezza e dell’incalcolabilità del mondo. Questo, che io considero il “canone umano”, si abbassa a riflesso quando il potere “occupa” l’uomo: e qui mi riferisco soprattutto all’espropriazione come categoria marxiana. L’uomo che sembra l’uomo si schiera contro l’uomo che è l’uomo. Che si manifesti un uomo che sembra uomo io lo attribuisco a una traumatizzazione dell’uomo, che non è consapevole di avere subìto il trauma. Chiarimenti in privato, se vuoi, Gabriella, perché altrimenti qui splafono in un trattato… :-)

  6. Caro Giuseppe,
    io faccio ancora abbastanza fatica a seguirti, ma forse è colpa mia. Però mi domando, come mai il potere di cui parla Pasolini è chiarissimo, per quanto lui lo avvolga di mistero, talmente chiaro che si sa cosa provoca, chi uccide e come funziona, mentre il potere di cui tu parli, questo ‘dèmone che sta nell’etere’, di natura anelementale’, non mi fa capire molto del mondo in cui siamo immersi? Perché tutto questo esoterismo? E poi, scusa, che ne è nel tuo quadro delle lacerazioni reali, della distruzione di vita, dei biopoteri, delle guerre, delle ideologie con cui si mascherano, della possibilità di critica, di opposizione, di rsistenza?

  7. Cara Carla, tutto ciò che si dice, da un certo punto di vista, è esoterismo. Allora, o si va sul piano dell’analisi, sul quale se certe cose non si sanno non si possono evocare trattatistiche in pillole, o si va su quello dell’intervento civile e della letteratura, dove davvero non c’è bisogno di esoterismo. L’analisi di pasolini sarà pure chiara, fatto sta che non ha avuto effetti sul reale: ma davvero NESSUN effetto. L’analisi di Foucault sarà esoterica, fatto sta che continua ad avere effetti sul reale. Anche se, con quell’esoterismo, Focault rischia, come sai bene, di essere misinterpretato, ridotto a sociologo, a manifestino poco utile. Mi chiedo, a questo punto, che cosa significhi Debord nella tua lettura: è esoterico “La società dello spettacolo”? No, perché Debord parla di spettacolare integrato in una maniera in cui davvero è difficile ridurlo al “quadro delle lacerazioni reali, della distruzione di vita, dei biopoteri, delle guerre, delle ideologie con cui si mascherano, della possibilità di critica, di opposizione, di resistenza”… E poi, resistenza a cosa? E quale resistenza? Cioè, si resiste analizzando? Protestando? Scrivendo? Intervenendo?

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