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Mani in alto: o l’acqua o la vita

di Sergio Baratto

agua zapatista.jpgPrima di cominciare, è necessario smontare un luogo comune fuorviante. Non è corretto dire che si vuole privatizzare l’acqua. Si privatizza la sua gestione. Il che, probabilmente, suona più neutro e non evoca – a meno di farci veramente caso – scenari da film apocalittico con effetti speciali e Sean Connery nella parte dell’eroe.

I. L’acqua o la vita

Milano 2003
“Siccità, allarme in tutta Italia. E la pioggia non arriva. La Lombardia rischia di finire in ginocchio, con le campagne bruciate dal caldo, e i fiumi e laghi sempre più ridotti al lumicino… la Coldiretti lombarda chiede lo stato di calamità naturale… Sono schizzati, nel frattempo, i consumi di acqua. Il record appartiene a Milano, che a giugno ha consumato una media di oltre 900 mila metri cubi d’acqua al giorno contro i 600 mila abituali e gli 800 mila del giugno 2002”. La Repubblica, 11 luglio 2003.

Cochabamba 1999
“Per molti anni i governi hanno creduto che la riserva di acqua potabile e l’incanalamento sicuro delle acque di scarico fossero una materia troppo importante per lasciare che se ne occupasse il mercato. Ora ne sappiamo di più. International Water ha già dimostrato che risorse potenti, abilmente applicate da imprese private, potrebbero sollevare un grosso peso dalle spalle dei governi e quindi trasformare la vita dei cittadini.” (Messaggio introduttivo alla home page di International Water).
“Cochabamba si trova in una valle fertile e verde, immersa tra campi e collinette, ed è considerata la città con il miglior clima del mondo e con i più grandi bevitori del paese. Fondata nel 1574…”. Di questa breve descrizione di Cochabamba (la terza città della Bolivia), che si può facilmente reperire su internet, mi sembra particolarmente interessante l’affermazione secondo cui i suoi abitanti sarebbero dei gran bevitori. Perché in questo caso, come si vedrà, il luogo comune si è fatto carne.
“…In una valle fertile e verde, immersa tra campi e collinette…”. Secondo altre fonti, Cochabamba sorge a 2500 metri d’altezza sulle Ande boliviane e una buona parte dei suoi 500.000 abitanti ha con l’acqua un rapporto problematico. La scarsa piovosità è controbilanciata da una ricca falda acquifera. L’area cochabambina è fertile, ma nello stesso tempo si fatica a irrigare i campi. L’acqua viene gestita da cooperative, che realizzano i pozzi e distribuiscono la risorsa a prezzi popolari: 1,5 dollari per 1000 litri. Purtroppo la rete idrica è vecchia e disastrata, e solo metà della cittadinanza ha il privilegio di potervi accedere per qualche ora al giorno. Chissà, forse sono questi i grandi bevitori. Un altro sistema “artigianale” diffuso è la raccolta dell’acqua piovana. Alla gente che vive nelle zone più povere l’acqua viene distribuita con le autobotti.
La Bolivia è uno dei paesi più poveri del Sudamerica: secondo una stima ufficiale del 1998, la percentuale di popolazione indigente si aggira intorno al 70 per cento. Ebbene, alla fine del secolo scorso, sul limitare di un’era che in futuro mi piacerebbe poter chiamare “aS” (avanti Seattle), il governo boliviano decise di ristrutturare il sistema idrico cochabambino. Per fare questo si trovò costretto a chiedere un cospicuo prestito bancario (25 milioni di dollari) alla Banca Mondiale: un ente ben piantato nel cuore economico dell’America Latina, i cui rappresentanti, tanto per fare un esempio, solevano partecipare alle sedute del consiglio dei ministri boliviano. Chi è stato costretto a mendicare un mutuo può capire quanto sia umiliante e pericoloso avere a che fare con certi predatori da scrivania. Alla richiesta di prestito, infatti, la Banca Mondiale rispose vincolando l’erogazione del denaro a una condizione: che la gestione dei servizi idrici di Cochabamba venisse privatizzata. Così fu. Di fatto, l’acqua di Cochabamba diventò una merce regolarmente acquistabile, di proprietà del consorzio Aguas del Tunari.
È un caso molto interessante, quello dell’Aguas del Tunari. Nonostante il nome baldanzosamente “latino”, si trattava di una vera e propria matrioska transnazionale, al cui interno, concentricamente, si nascondevano alcuni imprenditori locali, la spagnola Abengoa e soprattutto la fantomatica International Water Limited. Un’impresa con sede a Londra, ma che in realtà è una joint venture tra l’italiana Edison e la multinazionale statunitense Bechtel Enterprise Holding.
Anche se in questi casi, solitamente, le autorità (i venditori) e le imprese (i compratori) si affrettano a rassicurare il volgo circa il fatto che il servizio cambierà in meglio e non si verificherà assolutamente alcun aumento dei costi, qualcuno tra gli abitanti di Cochabamba – i nostri grandi bevitori – avrà pur pensato, magari senza nemmeno prendersela troppo: “¡Madre de Dios! Vedrai che adesso la bolletta raddoppia”. Di fatto non andò così: anziché raddoppiare, in pochi mesi il prezzo dell’acqua potabile subì aumenti fino al 300 per cento. Tradotto in termini monetari, i cochabambini si videro recapitare bollette mensili ammontanti mediamente a 20 dollari: all’incirca un quarto del reddito medio mensile di molte famiglie della città. Ora si dirà: bene, i nostri grandi bevitori avranno scavato ancora più pozzi, aumentato la raccolta della pioggia. E invece no. Il consorzio Tunari (cioè la Bechtel e la Edison) vietò immediatamente lo scavo dei pozzi per la raccolta dell’acqua piovana e sottopose ogni sorgente a gravosi permessi di utilizzo.
“…Trasformare la vita dei cittadini.”

Cochabamba 2000
“Troverete qui le prove della fiducia che molti governi e autorità locali accordano a International Water e ai nostri associati. Insieme serviamo un pubblico che apprezza ciò che facciamo…” (Messaggio introduttivo alla home page di International Water).
È il febbraio del 2000. A Cochabamba scoppia la rivolta. I sindacati operai e le organizzazioni contadine locali costituiscono un agguerrito “Coordinamento di Difesa dell’Acqua e della Vita” (Coordinadora de Defensa del Agua y de la Vida); la mobilitazione coinvolge l’opinione pubblica boliviana. Un’ondata di scioperi investe il Paese. In pochi mesi sono centinaia di migliaia i boliviani che si mettono in marcia verso Cochabamba, per unirsi alla protesta. Il governo reagisce dichiarando – è aprile – lo stato d’assedio su tutto il territorio nazionale. A Cochabamba alcuni dei promotori della Coordinadora vengono arrestati nottetempo; altri sono costretti alla clandestinità. Polizia ed esercito convergono sulla città ribelle, che tra l’8 e il 9 aprile si trasforma in un enorme campo di battaglia. I militari sparano sulla folla. Un ufficiale prende la mira e centra alla testa un ragazzo di diciassette anni: tutta la scena si svolge davanti alle telecamere. Si portano i cadaveri (in tutto i morti saranno sei) nella cattedrale, dove comincia una veglia funebre notturna. Tutt’intorno gli scontri continuano. I feriti sono ormai centinaia e la situazione sembra precipitare inesorabilmente. Poi, inaspettatamente, nel pomeriggio del 10 aprile, l’incredibile annuncio: il governo ha annullato unilateralmente il contratto con il consorzio Aguas del Tunari. La gestione della rete idrica cochabambina passa nelle mani della Coordinadora.
In base a quale appiglio legale il governo boliviano ha potuto rescindere l’accordo? Semplice. Il contratto di appalto presentava una piccola irregolarità: il valore della rete idrica cittadina era stato stimato in milioni di dollari, ma poi inspiegabilmente venduto all’Aguas del Tunari (cioè alla International Water) per la misera cifra di 25 mila dollari. I maligni suggeriscono che vi si possa vedere un lampante caso di corruzione.
Manca ancora un ultimo tassello, perché la ricostruzione dei fatti sia completa. In seguito alla rescissione unilaterale del contratto da parte della Bolivia, la Aguas del Tunari/International Water/Bechtel ha denunciato ai tribunali internazionali il governo di La Paz. Il risarcimento richiesto dalla multinazionale ammonta a 25 milioni di dollari: a suo dire, il profitto che avrebbe ricavato dalla gestione dell’acqua cochabambina. Nel 2000 la Bechtel ha dichiarato un reddito di 14,3 miliardi di dollari.
“…Serviamo un pubblico che apprezza ciò che facciamo…”

II. 1968-2003: Cronistoria di un’inversione a U

Strasburgo 1968 – Carta Europea dell’Acqua (promulgata dal Consiglio d’Europa):
“L’acqua è un patrimonio comune, il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bacino naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche. L’acqua non ha frontiere. Essa ha una risorsa comune, che necessita di una cooperazione internazionale”.
Nel testo della Carta Europea, all’acqua vengono associati termini ed espressioni come “vita”, “esseri viventi”, “salute”, “ambiente”, “vegetale”, “foreste”, “salvaguardia”, “bene/patrimonio comune”. Si tenga a mente questo fatto, man mano che si procederà nella lettura.

Mar de la Plata (Argentina) 1977 – Dichiarazione della Prima Conferenza ONU sull’acqua:
“Tutti hanno diritto di accedere all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali”.

New York 1980 – 55ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite:
“L’Assemblea Generale, profondamente preoccupata che una grande parte della popolazione mondiale non abbia un accesso ragionevole ad acqua sana e abbondante e che una sua parte sempre maggiore sia senza adeguati servizi igienico-sanitari, (…) proclama il periodo 1981-1990 come ‘Decennio Internazionale dell’Acqua Potabile e del Risanamento’, durante il quale gli Stati membri si assumono l’impegno di apportare un miglioramento sostanziale negli standard e nei livelli dei servizi nell’approvvigionamento dell’acqua potabile e risanamento entro l’anno 1990”.

Nuova Delhi 1990 – Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, Conferenza Mondiale su Acqua Sicura ed Igiene, dichiarazione finale “Un po’ per tutti piuttosto che tanta per pochi”:
“La Dichiarazione di Nuova Delhi è un appello a tutte le Nazioni per un’azione concertata mirata ad ottenere due tra i bisogni umani basilari – acqua potabile sicura ed igiene ambientale. (…) La sicurezza delle riserve idriche e l’igiene ambientale sono vitali per proteggere l’ambiente, migliorare le condizioni di salute e ridurre la povertà. (…) Milioni di morti ogni anno sono direttamente attribuibili alla mancanza di questi servizi essenziali. I poveri, in particolare donne e bambini, sono le vittime principali”.

Dublino 1992 – Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite su Acqua e ambiente.
“L’acqua ha un valore economico in tutti i suoi utilizzi e dovrà essere riconosciuta come bene economico (…). Nel passato, il mancato riconoscimento del valore economico dell’acqua ha comportato sprechi e utilizzi che hanno danneggiato l’ambiente. Gestire l’acqua come un bene economico rappresenta una via al raggiungimento di un suo uso equo e redditizio e all’incoraggiamento della conservazione e protezione delle risorse idriche”.
Il 1992 appare a tutti gli effetti come il punto di svolta, l’inizio del rovesciamento concettuale. La polvere sollevata dal crollo del blocco sovietico si è ormai posata. La guerra fredda è finita da poco, ma sembra già appartenere a un’epoca remota. S’avanza come un bulldozer il nuovo dogma liberista. Il mercato globale, non il comunismo, condurrà alla fine della storia. Dunque, del tutto coerentemente, “l’acqua va gestita come un bene economico” perché il suo uso sia “equo e redditizio”; e questo sublime ossimoro riassume alla perfezione l’orizzonte ideologico “liberal” o “riformista” che ha dominato le scene nel decennio passato.

Parigi 1998 – Conferenza internazionale su “Acqua e sviluppo durevole”:
È importante, per quanto concerne lo sviluppo, la gestione, l’utilizzazione e la protezione dell’acqua, promuovere una partecipazione pubblico-privata, consentendo di mettere in campo le migliori esperienze e di favorire finanziamenti a lungo termine; fondare queste attività su un processo decisionale partecipato aperto a tutti gli utilizzatori, in particolar modo le donne, le popolazioni che vivono in povertà ed i gruppi sociali più svantaggiati”.
Appare qui evidente come, accanto alle nobili parole di circostanza sulla necessità di salvaguardare i bisogni dei “gruppi sociali svantaggiati”, intorno alla questione idrica vada formandosi un involucro lessicale e semantico sempre più univocamente liberista: “sviluppo economico”, “finanziamenti”, “risorse finanziarie private”, “costi diretti e indiretti dei servizi”, “investitori”. Lentamente ma inesorabilmente, ogni altro aspetto del problema – sociale, ambientale, sanitario – passa in subordine. Poco più avanti il documento recita: “Dovrà essere favorito il principio Chi inquina paga e incoraggiati sistemi attuativi del principio Chi utilizza paga sia a livello nazionale che locale e dovranno esser prese misure che facilitino l’apporto di finanziamenti privati ai progetti relativi all’acqua e al sistema di risanamento, tenendo conto della situazione di ciascun Paese e regione”.

L’Aja 2000 – Dichiarazione del Secondo Forum Mondiale sull’Acqua:
“Per raggiungere la sicurezza idrica, Noi lanciamo le seguenti sfide: (…) dare un valore all’acqua: gestire l’acqua in modo tale da rifletterne il valore economico, sociale, ambientale e culturale presente nei suoi vari utilizzi e indirizzarsi verso una tariffazione dei servizi idrici che rifletta il costo della sua fornitura”.
Non esplicitamente formulato, ma di fatto definitivamente sancito, il nuovo principio recita: chi paga beve.

III. I grandi bevitori

Tallin 2001
La Edison è italiana, l’emanazione della Montedison nel settore dell’energia. Come si è detto a proposito di Cochabamba, ha dato vita insieme all’impresa californiana Bechtel alla joint venture “International Water”, con cui si è gettata nel business dell’acqua. Navigando nel suo sito, ho trovato un vecchio articoletto. Il tono è fiero – d’altra parte è naturale che ci si inorgoglisca per i propri successi – e il lessico assolutamente meritevole di attenzione. Tra “opportunità di business” e “interessanti caratteristiche di redditività”, l’impressione è che manchi del tutto un particolare non irrilevante: una rete idrica presuppone l’esistenza di esseri umani e la loro necessità vitale di assumere acqua. L’articolo è il seguente:
“Milano, 12 gennaio 2001 – International Water (joint venture paritetica tra Edison e Bechtel) e United Utilities International hanno concordato l’acquisto del controllo della AS Tallin Vesi, società che gestisce i servizi idrici di Tallin, capitale dell’Estonia. L’accordo prevede la cessione del 50,4% del capitale della società da parte del Comune estone per un controvalore (…) pari a circa 80 milioni di euro. La firma del contratto avviene a conclusione di un’agguerrita gara internazionale per la privatizzazione della Società concessionaria dei servizi idrici nell’importante città baltica, che conta ca. 420.000 abitanti. L’investimento in un Paese con eccellenti prospettive di sviluppo, quale è l’Estonia, si inserisce nella strategia di crescita all’estero e di sviluppo in ottica multiutility della Edison, per creare valore attraverso la diversificazione dei servizi e la ricerca di opportunità di business a lungo termine, con interessanti caratteristiche di redditività. International Water (…) è attiva a livello internazionale nel ciclo idrico integrato (captazione, potabilizzazione, distribuzione, smaltimento) ed opera per un complesso di circa 6,5 milioni di abitanti in Europa, Asia ed Australia”.

Baghdad 2003
“L’etica, l’integrità e l’equità sono imperativi commerciali che non possiamo ignorare, se vogliamo essere fieri della nostra impresa. Dalla fondazione di Bechtel nel 1898, quattro generazioni della famiglia Bechtel hanno gestito l’impresa rispettando le più elevate regole di etica commerciale. La reputazione di Bechtel, che non fa alcun compromesso in materia d’etica, è uno dei migliori atouts dell’impresa”. Con questa ammirevole dichiarazione d’intenti si apre l’opuscolo della Bechtel Enterprise Holding dedicato alla deontologia degli affari. Più avanti nella stessa pubblicazione l’impresa californiana impone ai propri operatori il rispetto delle più rigorose norme antitrust. Vediamo come.
Il 18 aprile 2003 (a guerra ancora in corso) l’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (UsAid) ha assegnato alla Bechtel la prima tranche di contratti per la ricostruzione in Iraq delle infrastrutture energetiche, idriche e fognarie, dei sistemi sanitari, di un porto e di alcune vie di trasporto. Valore totale del maxicontratto: 680 milioni di dollari (624 milioni di euro). In attesa che la Bolivia paghi i danni per la rescissione del contratto cochabambino, non si può certo dire che l’impresa sia stata a guardare.
Tornando all’etica e all’antitrust, il fatto che George Schultz, segretario di stato ai tempi di Reagan, sieda oggi nel consiglio d’amministrazione della Bechtel può anche non significare nulla; tuttavia sarà interessante sapere che lo scorso febbraio George W. Bush ha nominato membro del consiglio per le esportazioni della Casa Bianca il signor Riley P. Bechtel. Ovvero il presidente e direttore generale dell’impresa omonima.

Johannesburg 2003
La multinazionale francese Suez è uno dei più grandi colossi mondiali nel campo dell’energia e della distribuzione idrica. La sua divisione acqua si chiama Ondeo, fattura fino a 9 miliardi di dollari l’anno, opera in più di 40 paesi (dagli Stati Uniti all’Indonesia) e gestisce i sistemi idrici di decine di grandi città. Ha 125 milioni di clienti in tutto il mondo.
Lo spirito della Suez/Ondeo è ben riassunto nelle parole del suo presidente e direttore generale, Gérard Mestrallet: “Voglio che Suez incarni questi valori – etica, responsabilità sociale, protezione dell’ambiente. Voglio che il nostro nome evochi la nobiltà del nostro lavoro, delle nostre qualità, ma anche i nostri valori. Suez ha il dovere di essere un gruppo di riferimento: moderno, innovativo, caloroso”.
Effettivamente, per la capitale del Sudafrica, Suez ha escogitato un procedimento di distribuzione dell’acqua davvero innovativo. A Johannesburg, nel nuovo sistema idrico privatizzato realizzato dalla multinazionale francese, il consumo mensile delle famiglie allacciate alla rete (che – è bene specificarlo – non raggiunge il 2% del totale, a fronte di un 98% relativo all’industria e all’agricoltura) è monitorato da contatori domestici e l’acqua del rubinetto si compra comodamente con le tessere prepagate nel negozio sottocasa. Nelle intenzioni di Suez, questo sistema di pagamento “contestuale al consumo” servirebbe a evitare i furti d’acqua e l’alto tasso d’insolvenza. Nella pratica, oggi gli abitanti delle township povere intorno alla capitale hanno contatori dell’acqua sofisticati, ma continuano a vivere in capanne di paglia e lamiera, senza gabinetto interno e soprattutto senza rete fognaria.
Secondo un recente studio dell’Università di Witswaterand, a Johannesburg più di 20.000 persone ogni mese perdono la propria acqua domestica a causa dell’aumento dei costi. Le famiglie che si vedono tagliare la fornitura sono costrette ad attingere l’acqua dei fiumi in cui, in mancanza di sistemi di smaltimento, si riversano i liquami fognari, e finiscono così per bere i propri escrementi insieme con l’acqua. Risultato: aumento esponenziale dei casi di dissenteria e un’epidemia di colera (140.000 contagiati).
AQUASSISTANCE è un’associazione non lucrativa di volontariato creata dal Gruppo Suez per “portare aiuto alle popolazioni in difficoltà nel campo dell’acqua e dell’ambiente”, mettendo loro a disposizione “le competenze dei suoi membri e dei suoi mezzi materiali”. Forse qualcuno dovrebbe avvertire Aquassistance che a Johannesburg c’è bisogno di loro… La Suez, infatti, si è finora sempre rifiutata di costruire le infrastrutture necessarie a eliminare l’inquinamento delle falde acquifere. Semplicemente non è interessata all’affare.

Bruxelles 2003
Vivendi Environnement (Francia), Ondeo/Suez Lyonnaise des Eaux (Francia), RWE/Thames Water (Germania/Gran Bretagna), Danone (Francia), Nestlè (Svizzera), Parmalat (Italia), Edison (Italia)… È curioso: ancora non si è tanto abituati a considerare l’Unione Europea come una potenza dominante, nell’agone neoliberista mondiale. Invece, almeno per quanto riguarda il mercato idrico, è proprio così. Si dice che l’America fondi il proprio potere sul petrolio. Ma se è vero che le risorse di idrocarburi vanno inesorabilmente esaurendosi e che le prossime guerre saranno combattute per l’acqua, sarebbe interessante giocare a immaginare quale entità geopolitica occuperà in futuro la posizione di predominio. Per ora, i colossi transnazionali dell’acqua si stanno “semplicemente” espandendo a ragnatela, dall’Europa alle Filippine, dagli Stati Uniti alla Mongolia.
Attualmente la gestione e distribuzione privata dell’acqua coinvolge il 7% della popolazione mondiale, ma il processo di conquista avanza a gran velocità. La conferenza del Wto dello scorso settembre avrebbe dovuto imprimergli una notevole accelerazione, con la definizione conclusiva del GATS (l’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi). Il vertice di Cancún, come si sa, è miseramente fallito; tuttavia, nulla di ciò che accade sembra essere irreparabile, nel mondo degli affari internazionali: i negoziati sull’Accordo, pur in ritardo, continueranno. In sede di discussione sul GATS, l’Unione Europea ha sempre tenuto un comportamento rapace e aggressivo. Per limitarci al caso dell’acqua, ha presentato formale richiesta di privatizzazione delle reti idriche a 109 paesi, di cui ben 50 rientrano nell’elenco delle nazioni più povere del mondo. Ma sarebbe una malignità gratuita pensare che faccia così perché le più importanti imprese del settore sono europee.
Detto en passant, uno dei paesi a cui è stato richiesto di privatizzare l’acqua è la Bolivia.

Milano 2003
“Danone Vitasnella. L’acqua che elimina l’acqua” (manifesto pubblicitario dell’acqua potabile in bottiglia Danone).

***

Qualche sito interessante:

Bechtel
Edison
Suez
International Water
carta almanacco (numero speciale sull’acqua)
www.sgrtv.it/link/numeroacqua/
http://www.altraofficina.it/accadueo/
contrattoacqua

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1 commento

  1. Questo è puro giornalismo investigativo. Oggi, così, non se ne fa più: solo agenzie e lavoro in redazione.
    Grazie Sergio, sul serio.
    J

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