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I nemici della pubblicità

di Elio Paoloni

Elio Paoloni mi invia un pezzo a proposito di un “articolo di argomento pubblicitario” (parole di Elio) pubblicato in Nazione Indiana da Tiziano Scarpa il 15 novembre. I nemici della pubblicità vengono distinti da Elio in quattro categorie: i professori di liceo, i pentiti, gli scrittori e i puri. [giulio mozzi]

I nemici della pubblicità
Piccola carrellata di resistenti
di Elio Paoloni

A – I professori di liceo – Imperdonabili: dovrebbero sapere che la gran parte delle iscrizioni romane non funerarie a noi giunte – dalle iperboli sul salumaio ai panegirici sulle fellatio di Poppea – è costituita da messaggi pubblicitari. La Classicità negletta che li intenerisce tanto era fatta, ahinoi, di cartellonistica sull’oral. Quella civiltà era percorsa incessantemente da spudorate e spesso sgrammaticate vanterie d’ogni genere di merce. Molte di queste erano verbali, naturalmente, come ancora nei nostri mercatini, ma perché ritenere meno pervasiva della tivvì la stridula cantilena del venditore ambulante, contro la quale non si può neppure usare il telecomando? Senza il commercio (e la sua anima) non ci sarebbe stato nessun Virgilio. E proprio a Virgilio probabilmente – come a D’Annunzio la Rinascente – i grandi mercanti si rivolgevano per qualche dritta sulla comunicazione.
Ma i nostri professorini dal mouse rosso si lamentano della pubblicità moderna per la sua specificità: essere fondata sugli stili di vita. E’ sicuramente vero che negli ultimi anni l’insistenza sullo stile di vita è cresciuta enormemente, fino a diventare quasi interamente il messaggio (quasi, badiamo bene, altrimenti la pubblicità non potrebbe definirsi tale) anche se questa escalation non è dovuta certo alla Nike, come credono anche gli “specialisti”, ma alla Pepsi con Steve Jobs come vicepresidente, prima del suo passaggio alla Apple (che non ha certamente “fondato”, altro errore ricorrente di molti “specialisti”).
Neanche il più rozzo degli slogan, però, ha mai potuto prescindere del tutto dalla condivisione di uno stile di vita: cosa credete che vendessero i mercanti orientali o i sarti romani? Nuovi tessuti, nuovi alimenti, nuove belve “domestiche”? No, vendevano stili di vita. Allora (come nel Rinascimento, come nel ‘600 e poi nel ‘700) monarchi e dogi dovevano intervenire con leggi severissime per evitare che le follie modaiole portassero alla rovina intere classi. Altro che potere della pubblicità televisiva: nessuno ha dilapidato patrimoni in Coca (Cola) o scarpacce di gomma. E riesaminiamo la pubblicità politicamente “accettabile” degli anni cinquanta, i caroselli rimpianti dai professorini: trovate che la vespa o la seicento fossero banalmente presentati come “mezzi di trasporto”?

B – I pentiti – I pubblicitari spretati, come tutti gli apostati, sono i nemici più astiosi della loro categoria, veri terroristi. Sono dei Johnnie Walker (a proposito, chi glielo spiegherà agli americani, dopo la cattura afgana, che l’unica cosa storta del Johnnie Walker è l’etichetta? Più che un copywriter, per salvare quel whisky ci vuole un esperto di packaging – o, forse, solo un meccanico che rimetta a posto quell’incollatrice). Spesso sono i più bravi, capaci di fare film bellissimi (anche se crollano nel finale per caduta nel grottesco) o i più bei titoli che un quotidiano abbia mai avuto (sprecati, perché poi la copy è roba ammuffita, vecchio armamentario).
Forse sono frustrati dall’imbecillità dei committenti, dalla mediocrità delle agenzie. Forse trovano che non sia un mestiere abbastanza nobile. Oppure lo sopravvalutano. Eppure dovrebbero ben sapere che non c’è pubblicità che possa davvero influenzare. Non sto parlando dei fallimenti, di quelle campagne che fanno vendere di meno, ma di quelle riuscite. Loro dovrebbero sapere che sono riuscite perché “vanno incontro” al consumatore; perché il naso, o costosissime ricerche di mercato, hanno portato imprenditori e creativi sulle piste del compratore. Prima di produrre un modello automobilistico inosservati agenti nipponici si ubriacano nei bar per sapere veramente (altro che indagini al telefono) che cosa l’uomo della strada vuole da una vettura. Quindi si crea il modello e, infine, si lanciano le campagne. Sono i ghiribizzi della gente, i loro sogni, a fare le campagne, almeno quelle di successo. E invece i pubblicitari, nel loro delirio di onnipotenza, si sono presi sul serio, hanno creduto a Packard. I persuasori occulti. Che titolo intrigante, orwelliano, moderno. Peccato che, come tanti trombati sanno, nulla può indurre a comprare ciò che non si vuole. Neanche il più tosto degli ipnotisti può costringere l’ipnotizzato ad atti profondamente in contrasto con i suoi valori, la sua personalità, i suoi reali desideri. Nessuna pressione può costringere il cliente se non c’è un prodotto che, razionalmente, o confusamente, o del tutto inconsciamente, il cliente apprezza o desidera.
Credete che Waterworld, uno dei grandi flop della storia del cinema, che ha portato verso il fallimento una grossa casa produttrice, che ha azzerato la credibilità del più grande divo del momento, quel Costner che ballava coi lupi e dopo si è ridotto a camminare con le ciabatte, abbia avuto un budget pubblicitario più basso di un qualsiasi Rocky? O addetti stampa meno scafati? Semplicemente alla gente non è garbato. Non gli sconquinferava. E la gggente nun c’è annata. Non c’è montatura che tenga. Non c’è gadget che risolva.
Qualcuno sa che fine hanno fatto i succedanei della Nutella? Pensate che i produttori non abbiano investito in pubblicità? E se la Ferrero non ne facesse più, di pubblicità, pensate che io e mio figlio ne dimenticheremmo il sapore? Chiedetelo a Nanni. Mai assaggiato una Cola autarchica? Se tutte le Agenzie del pianeta, riunite sotto la supervisione di Oliviero Toscani con budget illimitato, si dedicassero per cinque anni al lancio di una di quelle ciofeche, non aumenterebbero le vendite di una sola bottiglia. Se non funziona non funziona. Forse i sudditi possono avere qualche timore, ma i compratori no. Ogni compratore è capace di gridare alla nudità dell’imperatore. A lasciarsi condurre un po’ sono proprio gli acculturati: le uniche vere bufale riescono a piazzarle solo le case editrici. E qui veniamo alla terza categoria.

C – Gli Scrittori – Quelli che inarcano signorilmente una narice di fronte alla scellerata, volgarissima pratica. Narice che resta distesa quando trovano uno sponsor danaroso che compra manchette sui grossi quotidiani o dispone giganteschi display nelle vetrine delle boutique del libro.
Gli scrittori sono i più scafati pierre su piazza. Le loro schiene non si incurvano tanto suii tomi, in estenuanti corpo a corpo con la pagina, quanto nell’incessante lavoro di contatti, autopromozione, scambio di voti, scambio di recensioni, richiesta di spazi sulle riviste. A parer loro la presentazione di un libro non è un operazione pubblicitaria. Certamente essa non corrisponde a uno spot: equivale piuttosto a quelle operazioni promozionali da supermarket nelle quali una bella fica ti permette di degustare un prodotto, magnificandone le qualità, mentre accanto una pila di quei prodotti attende il tuo acquisto.
– Ma i libri non sono merce!
A volte sì, onesta merce, altre volte sono merce della più scadente e chiamarli Libri è pubblicità ingannevole. Ma tutti gli scandalizzati, ovviamente, appartengono alla schiera dei produttori d’arte. Di Idee. Le idee non sono merce, pare (ma il know-how non è la più disputata delle merci?) infatti gli scrittori non vogliono vedere i loro libri nei supermercati.
Facciamo finta di credere, perciò, che tutte le notizie sui libri, anche quelle che non potrebbero non essere definite pubblicità redazionale, non costituiscano pubblicità. Perché, appunto, i libri “non sono merce”. Ma la merce, allora, la vile merce, perché non dovrebbe essere reclamizzata? E chi dovrebbe decidere quanto e come (scorrettezze a parte, s’intende)?
Qui ci si ricollega alla quarta categoria.

D – I puri – Categoria vasta, trasversale, difficilissima da definire. Fascisti, comunisti, cattolici, falsi e veri verdi, Jovanotti e attempati signori. Trasversale è anche il loro obiettivo: non è la pubblicità che li offende ma la merce. Avendo demonizzato le multinazionali, non sopportano di vederle giganteggiare sui muri. Da pauperisti – o da semplici nostalgici – odiano il consumismo, se non addirittura il consumo, e la vastità dell’offerta li angoscia. Impossibile addentrarsi nei sofismi con cui tanti, e tanto diversi, individui attaccano la pubblicità. Ma a far testo, più che le vertiginose congetture socio-filosofiche su complottismi globalizzanti proprie degli intellettuali raffinati, sono: il sor Cecioni, che vorrebbe godersi i filmazzi aggratis senza fastidiose interruzioni, e Mamma Cecioni che scarica sugli art director la responsabilità della diseducazione der su fijo.

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7 Commenti

  1. Trovo questo intervento di Elio Paoloni MOLTO generico.
    Certo che ci sono merci oneste e merci farabutte! Così come ci sono pubblicità buone e altre cattive.

    Sarebbe come se io dicessi che tutti i critici sono NEMICI della letteratura perché ogni tanto stroncano i libri.

    Nel paragrafo sugli scrittori (è il mondo che conosco meglio), Paoloni fa una gran confusione, mette dentro tutti nella stessa pignatta… Io conosco tanti scrittori che sono i PEGGIORI pierre di se stessi, non vanno in televisione, non partecipano a trasmissioni popolarissime anche quando sono invitati, non vogliono gareggiare ai premi (altro che brigare per i voti della giuria! Se ne lamentava anche Ermanno Paccagnini dopo il Campiello di quest’anno: avete ragione, il livello è basso, ma non si possono premiare i migliori – ha scritto Paccagnini – perché spesso i migliori non vogliono essere premiati; non vogliono nemmeno PARTECIPARE a questo premio).

    E poi, esiste l’informazione, che è un’altra cosa rispetto alla pubblicità. Io ho scritto centinaia di articoli di critica letteraria: non stavo facendo pubblicità ma informazione, facevo critica letteraria. Mi battevo per segnalare cose che ritenevo belle. Se Paoloni legge TUTTO in termini di pubblicità, do ut des, scambi di favori, promozione economica, cinismo propagandistico, mi dispiace per la sua visione del mondo e non lo invidio.

    Domenica scorsa, nell’edizione delle 13.30 del TG1, in coda al telegiornale c’è stata un’intervista a Bruno Vespa che rispondeva a domande sul suo ultimo libro. Un libro pubblicato da Eri Rai / Mondadori. Il servizio pubblico televisivo fa pubblicità ai propri prodotti, spacciando la pubblicità per notizia. All’autore telegiornalista, già sovraesposto in una trasmissione molto seguita (ormai è chiaro a tutti che non basta ANDARE in tivù per vendere libri, bisogna FARLA: vedi il caso di Lucarelli, i cui bei libri non vendevano molto dieci anni fa, e vendono oggi: e sono in molti casi GLI STESSI LIBRI di allora, semplicemente ristampati dieci anni dopo), dicevo: al telegiornalista viene offerto pure lo spazio che non verrebbe mai e poi mai dedicato ad alcuno scrittore (che passano alle due di notte in purgatoriali programmi “educativi”) per festeggiare un capolavoro, per segnalare un’edizione rara, per dare notizia di un successo inaspettato…

    Paragonare una presentazione in libreria davanti a dodici persone (che hanno DECISO di venire a sentire l’autore di un libro), paragonarla a dodici milioni di persone irradiate passivamente da uno studiatissimo spot tv con calibratissima colonna sonora, replicato dozzine di volte fino a installarsi nella memoria involontaria visiva e musicale delle persone, fino a diventare tormentone citato nelle conversazioni quotidiane (ricordate quando un anno fa tutta Italia diceva “buonasèèèèraaaa…” ?), be’… o è una deliberata scorrettezza argomentativa o è una temporanea defaillance dell’intelligenza.

    “Gli scrittori sono i più scafati pierre su piazza. Le loro schiene non si incurvano tanto sui tomi, in estenuanti corpo a corpo con la pagina, quanto nell’incessante lavoro di contatti, autopromozione, scambio di voti, scambio di recensioni, richiesta di spazi sulle riviste”, scrive Paoloni. Questa è una fesseria. Gli scrittori che conosco io hanno le schiene incurvate sui tomi. Gli altri non sono scrittori, e non vedo che senso abbia offendere i primi equiparandoli ai secondi.

    Sulla paradossale convivenza coniugale fra letteratura e pubblicità Pirandello scrisse il più dimenticato dei suoi romanzi, “Suo marito”, la cui riscrittura senile “Giustino Roncella nato Boggiòlo” restò incompiuta, ma si trova ancora negli Oscar Mondadori. Ci sono intuizioni acutissime.

    Ma ovviamente il discorso generale sulla pubblicità è gigantesco, e non mi sogno di farlo qui.

  2. Mah. Caro Scarpa, ho paura che questa volta non sarai affatto d’accordo con me. In tutta umiltà, a me pare che la tesi di fondo dell’intervento meriti di essere presa in seria considerazione. Dopo tutto, chi dispone dei propri soldi onestamente guadagnati non è necessariamente un cretino se fa scelte che noi non ci sentiamo di approvare, non è necessariamente un minorato mentale se acquista un prodotto largamente pubblicizzato, non è necessariamente un superficiale se segue una moda. Dovremmo gettare la croce addosso a chi compera il libro delle barzellette di Totti ? Ma se Pinco Pallino ha voglia di leggere lo pseudo-Totti, buon pro gli faccia. Il libro non è solo cultura, ovviamente. E’ anche un prodotto. E’ vendendo il prodotto che gli editori pagano gli stipendi, nonché la composizione, la stampa e la distribuzione dei libri. Tutti i libri. Senza Harmony e Sveva Casati Modignani (e Liala, Carolina Invernizio, Guido da Verona, ecc.) sarebbero ben pochi gli editori disposti a rischiar quattrini su libri di livello artistico.
    Insomma: la pubblicità, anche per i libri, mi sembra un male necessario. E’ una questione di rapporto costi-benefici. Personalmente non mi scandalizzerei nemmeno se ogni dieci pagine ce ne fosse una di pubblicità, come era (è ancora ?) nei gialli Mondadori. Ho l’impressione che questo intervento e la tua risposta siano uno di quei casi in cui le ragioni sono equamente distribuite e non ci sarebbe niente di male a darsi ascolto l’un l’altro. Forse all’intervento ha nuociuto il tono polemico.

  3. Non era un saggio, Tiziano, era un intervento provocatorio, giocato sul paradosso. La “carrellata” non poteva che tratteggiare caricature.

    Non ce l’ho con gli scrittori (non ci crederai ma mi reputo tale anch’io: come potrei avercela con me stesso?). Anch’io ne conosco molti di seri (un’affermazione generica come tante).

    Che c’entra la critica con la pubblicità? Io parlavo proprio di pubblicità ai libri, con pagine comprate come si compra qualsiasi altro spazio.

    “Gli scrittori che conosco io hanno le schiene incurvate sui tomi. Gli altri non sono scrittori”. Questa sì, è una frase generica e rozza. Ci sono scrittori che si curvano sui tomi e non valgono nulla. Ci sono scrittori che tu stesso consideri eletti e per una serie di circostanze appaiono su inserzioni pubblicitarie.

    NON ho paragonato la presentazione a uno spot. Ignorare le mie parole (Certamente essa NON corrisponde a uno spot: equivale piuttosto a quelle operazioni promozionali da supermarket…) mi sembra, appunto, “una deliberata scorrettezza argomentativa o una temporanea defaillance dell’intelligenza”.

    Come ti dissi a voce anni fa, ritengo che tu sia lo scrittore più brillante d’Italia (forse esistono scrittori altrettanto brillanti o critici altrettanto brillanti ma non persone che lo siano insieme). E’ uno strano destino che tu debba leggere le mie cose con seriosità o disattenzione o prevenzione e te ne venga fuori con un una scialba difesa d’ufficio dello “scrittore”.

    Con testardo affetto.

    Elio Paoloni

  4. pensavo al commento in cui t.scarpa dice che tutta italia diceva “buonasèèèèra”. no perché anche mia nonna me lo diceva (dico “buonasèèèèra”, non il fatto che tutta italia lo stesse dicendo). poi però un giorno le ho chiesto qual era il prodotto che la pubblicità promuoveva e lei mi ha guardato e detto boh, una macchina? sì, ma quale? boh, era blu?. allora mi chiedo se quella è stata (almeno nel caso di mia nonna) una campagna “riuscita” — e se lo è stata allora che cosa ha dato, o venduto, o inculcato, a mia nonna — e se invece non lo è stata se è possibile che mia nonna, salutandomi con “buonasèèèèra”, intendesse in realtà ironizzare su quello stesso tormentone inutile al quale era stata esposta per tutto il giorno. ma allora: è possibile che quella campagna abbia in ogni caso inculcato qualcosa in mia nonna (qualcosa di vicino a una propensione all’ascolto pubblicitario, più o meno ironica, più o meno consapevole)? *** ah, poi: forse sono sbroccato io, ma il link che cita g.mozzi nell’introduzione porta a “sabato mattina” di t.scarpa. ecco, io non ne sono sicuro, ma credo che l’articolo giusto sia “la guerra del pulito”, di m.senaldi. oppure scusate ma non ho capito cosa c’entra la pubblicità in “sabato mattina”. *** finisco mettendo questa frase di e.paoloni: “sono i ghiribizzi della gente, i loro sogni, a fare le campagne, almeno quelle di successo” vicino a questa di t.scarpa: “è la guerra che fa la pubblicità ai detersivi, o sono i detersivi che fanno la pubblicità alla guerra?”. se la prima è vera allora la seconda mi inquieta.

  5. Caro Elio,
    guarda che si può polemizzare e contemporaneamente stimarsi e volersi bene l’un l’altro, non vedo dove sia il problema né tantomeno lo “strano destino”. Grazie comunque delle generose attestazioni.

    Ho tirato in ballo la critica letteraria perché la tua frase diceva: “…nell’incessante lavoro di contatti, autopromozione, scambio di voti, scambio di recensioni, richiesta di spazi sulle riviste”. Mi risulta che “scambio di recensioni” ce l’hai messo tu nell’elenco, la critica letteraria l’hai tirata in ballo tu.

    Io ho scritto centinaia di recensioni, e nessuno me ne ha mai chieste proponendomi scambi ecc. Per quanto le tue siano caricature, a me è sembrato giusto accennare alla mia esperienza e a cosa penso io delle recensioni. Non è vero che è TUTTO marcio.

    L’immagine della schiena piegata sui tomi lo presa da te, che senso ha che me la ritorci contestandomene la tenuta consequenziale? E’ un’immagine tua che ho semplicemente ribaltato, ma con questo non volevo certo dire che chiunque ha la schiena piegata sui tomi è uno scrittore. Ripeto, è un’immagine che ho preso da te, ho ribaltato una frase tua. Quando ho scritto “gli altri”, intendevo quelli che brigano per ottenere tutte le cose che elenchi tu. Quelli, a mio parere, sono poco credibili come scrittori (e quindi, allora, perché definirli tali? Perché tirare dentro nella caricatura anche quelli seri?)

    “Certamente essa non corrisponde a uno spot”: visto il contesto delle frasi immediatamente precedenti e seguenti, questa negazione mi sembrava ironica: sembra che siano ancora gli “scrittori” a parlare, e quindi quel “non” suona ironico.
    Guarda la rincorsa della frase: “A parer loro la presentazione di un libro non è un operazione pubblicitaria. Certamente essa non corrisponde a uno spot…” Vedi che questa seconda, nonostante il punto, sembra ancora, anche per parallelismo sintattico, scaturire da “a parer loro”? Secondo me hai commesso un piccolo errore, inserendo una frase seria (che tu intendevi dovesse prendersi alla lettera), nel contesto sbeffeggiante delle frasi immediatamente precedenti e seguenti. Te lo dico per spiegarti come mai ho interpretato male.

    “…equivale piuttosto a quelle operazioni promozionali da supermarket nelle quali una bella fica ti permette di degustare un prodotto, magnificandone le qualità, mentre accanto una pila di quei prodotti attende il tuo acquisto”; avevo capito che tu stessi descrivendo proprio uno spot o una situazione pubblicitaria generica, perché “DA supermarket” non è abbastanza chiaro, può significare “CHE FANNO PENSARE AI supermarket”, non mi ha fatto capire con sufficiente nitidezza che stavi nominando proprio le promozioni che avvengono effettivamente NEI supermarket. Secondo me avresti dovuto scrivere “DEI supermarket” o “CHE SI FANNO NEI supermarket”, ecc.

    Non faccio queste precisazioni per aver ragione, ma solo per farti vedere che ti avevo letto con attenzione. E’ l’unica cosa che mi preme: che tu non pensi di essere stato preso alla leggera o distrattamente. Poi, per il resto, ho detto sicuramente molte sciocchezze.

    Ti rimando comunque alla interessante riflessione di Raul Montanari che il tuo intervento ha suscitato.

    Un carissimo saluto

  6. Sarei felice di invitare il signor Elio Paoloni a passare una giornata in agenzia con me per discutere di pubblicità e mostrargli cosa c’è dietro un messaggio pubblicitario.

    In qualunque parte della rete lei sia, sappia che sarà il benvenuto. C’è già una sedia che l’aspetta di fianco alla mia scrivania (ma non per sfasciargliela in testa, stia tranquillo).

    Cordiali saluti.
    Valentina Maran copywriter –
    Eurorscg Milano

  7. Io in agenzia di pubblicità ci sono passato ma quello che c’è dietro un messaggio pubblicitario l’ho visto benissimo: un intelligente vuoto!

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