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L’ultimo nostos di Ulisse #6

di Alessandro Garigliano

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Un altro tipo di osservazione è stata fatta, dal punto di vista mitico-letterario, da A. M. Morace, per il quale una volta “constatata la demitizzazione di quel mondo piscatorio che, idealizzato da ‘Ndrja, ne aveva originato il nostos”, ‘Ndrja verrebbe irresistibilmente attratto dall’affascinante “non vita sepolcrale”,(70) cioè dall’estrema possibilità di vivere nel mito.

Porgendo la fronte alla pallottola l’eroe si congeda dalla vita per
ricongiungersi col mondo prenatale, sorvolato per tutto il romanzo. Il fatto che colui
che più di tutti gli altri aveva creduto nei valori del passato, nella integrità della
propria identità e quindi in quella del villaggio che gli aveva dato i natali, muoia,
deve però essere visto anche come una sorta di riscatto non solo individuale, ma
dell’intera collettività: l’atto generosamente sacrificale di un membro di essa la salva
dalla condanna definitiva. Ecco perché Masino ha il compito di riportare ‘Ndrja nel
villaggio, in quanto, dopo il gesto eroico, diventa possibile “ripristinare la Legge e
dare sepoltura al cadavere, riconducendo finalmente quel corpo a terra”. A Masino
tocca non lasciare cadere ciò che ‘Ndrja aveva tentato. Il narratore quindi nomina un
altro eroe di salvezza, di speranza. A tale proposito suggestive risultano le parole di
E. Giordano:

sarebbe interessante, a questo punto, enumerare tutte le metafore
ginecologiche disseminate lungo il testo di D’Arrigo, come pure le tante
scene di riproduzione della fauna marina, per rendersi conto che in questo
romanzo di morte, che termina appunto con una morte, è presente – in
parallelo – un senso carnale della vita, della vita che continua, che deve
continuare nonostante tutto. (71)

È il narratore che torna a far sentire la propria voce, a ristabilire il senso
ciclico della vita dove male e bene, come tutto, si mischiano, muoiono e rinascono.(72)

Per concludere moralmente il capitolo, ci sembra che il narratore di Horcynus
Orca
aderisca perfettamente alle sagge parole di C. Magris: “Il presupposto del
ritorno e del suo fallimento è un’amara ma salutare sconfitta, che spoglia l’uomo di
ogni veste falsificante”.(73)

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Note:

(1) C. Magris, Itaca e oltre, Garzanti, Milano, 1982
(2) E. Giordano, “Horcynus Orca”: il viaggio e la morte, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1984
(3) Sono considerazione fatte da G. Alfano, il quale, parlando di “una vicenda caotica” a proposito dell’8 settembre del 1943, dice che “è rimasta marginale, quasi del tutto assente, nella produzione letteraria italiana”. G. Alfano, Gli effetti della guerra – Su Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, Luca Sossella Editore, Roma, 2000
(4) S. D’Arrigo, Horcynus Orca, Mondadori, Vicenza,1975 (d’ora innanzi siglato HO)
(5) P. Scarpi, La fuga e il ritorno, Saggi Marsilio, Venezia, 1992
(6) L. Torre, La metamorfosi in Horcynus Orca: mito e trasformazione, in Atti del convegno di Zafferana, 2002
(7) G. Alfano, Tra due flussi. Grammatica e logica dei tempi in “Horcynus Orca”, in Il mare di sangue pestato (a cura di) F. Gatta, Rubbettino, Catanzaro, 2002
(8) HO
(9) L’espressione è di S. Lanuzza, il quale sostiene che: “Più del ritorno, la partenza e il viaggiare avranno senso quando meta del viaggio non è che il deserto della storia”. S. Lanuzza, Stefano D’Arrigo, in “Gli eredi di Verga”, Atti del convegno nazionale di studi e ricerche, Randazzo, 11 – 12 – 13 dicembre 1983
(10) Si tratta di un’acuta osservazione che F. Ferrucci fa nel suo L’assedio e il ritorno, Mondadori, Milano, 1991, dove viene analizzato il mondo dell’Odissea, “Si veda allora di che cosa è fatta questa attitudine umana a conservare il passato: del terrore che esso sparisca, anticipando, in un riflesso, la sparizione ultima. Ricordare la vita è scommettere contro la morte, distanziandola. Il modello del Ritorno si edifica sulle fondamenta del passato; mentre quello dell’Assedio si era stabilito nella prigione del presente, il tempo che chiude ogni sbocco”.
(11) I. Calvino, Le odissee nell’Odissea, in Saggi 1945 – 1985 (I tomo), Milano, Mondadori, 1995
(12) R. Romano, Editoriale, in Pubblicazione, Anno I numero 1 gennaio/giugno 2002, Oasi Editrice s.r.l./ Città Aperta Edizioni, Enna
(13) HO
(14) Cfr. E. Giordano, in Op. Cit. , dove parla di “ archetipi letterari”.
(15) Per parafrasare il libro di A. Musumeci, L’impossibile ritorno – la fisiologia del mito in Cesare Pavese, Longo Editore, Ravenna 1981
(16) P. Boitani, L’ombra di Ulisse, Bologna, Il Mulino, 1992.
(17) HO
(18) HO (il corsivo è nostro)
(19) A. Di Grado, Il silenzio delle Madri, Edizioni Del Prisma, 1980, Catania
(20) W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus novus, Einaudi, Torino, 1975. Riportiamo per intero il passo, per una più immediata comprensione della nostra metafora: “C’è un quadro di Klee che s’intitola
Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta”.
(21) Uno di questi è Corrado, protagonista de La casa in collina (che io leggo nell’edizione Einaudi del 1990), su cui A. Musumeci, nell’ Op. Cit. , dice: “La vita sulla collina era in precedenza predicata sulla fede che ivi gli orrori della storia sarebbero stati preclusi necessariamente dalle realtà mitiche, e i suoi mostri placati (…). Ma anche la collina soccombe all’urto della guerra (…), la sua capacità redentiva annullata da una forza incontrollabile”.
(22) V, Spinazzola, Itaca, addio, il Saggiatore, Milano, 2001
(23) A. Musumeci , Op. Cit.
(24) N. D’Agostino, Prime perlustrazioni di “Horcynus orca”, in “Nuovi Argomenti”, n°56, ottobre – novembre 1977, pp.27 – 52
(25) Vedi: W. Pedullà, L’infinito passato di Stefano D’Arrigo, in Miti, finzioni e buone maniere, Milano, Rusconi, 1983, in cui, parlando del rapporto tra Ciccina Circè e ‘Ndrja, si paragona ‘Ndrja a Ulisse per ciò che riguarda la regressione all’infanzia attraverso l’Ade: “E’ regressione all’infanzia o è ripetizione di un’esperienza di cui si è sentito dire nell’Odissea quando Ulisse cerca di abbracciare nell’Ade la madre?”. Cfr. anche, C. Marabini, Lettura di D’arrigo, Arnoldo Mondadori Editore 1978, dove si dice: “Il ritorno di ‘Ndrja sarebbe così piuttosto una discesa in un altro mondo”. Sulla stessa linea anche: A. M. Morace, Itinerario nel mito: dal mare alla placenta, in Atti del convegno di Zafferana, 2002, in cui si sostiene esplicitamente che “Ciccina Circè è
Caronte”. Dello stesso parere, A. di Mauro, Da Codice Siciliano a Horcynus Orca il tormentato nostos poetico di Stefano D’Arrigo, in Atti del convegno di Zafferana, 2002. Di nekuia parla anche: N. D’Agostino, Prime perlustrazioni di “Horcynus orca”, in “Nuovi Argomenti”, n°56, ottobre – novembre 1977, pp.27 – 52
(26) Per descrivere Ciccina Circè suggestivo risulta adattare le caratterische essenziali della madre proposte da Jung: “Sono questi i tre aspetti essenziali della madre: la sua bontà che alimenta e protegge, la sua orgiastica emotività, la sua infera oscurità”. C.G.Jung Op. Cit
(27) HO pagg.346-347
(28) Op. Cit.
(29) A. M. Morace, Itinerario nel mito: dal mare alla placenta, in “Atti del convegno di Zafferana”, 2002
(30) Termini usati da D’Arrigo per indicare i ragazzi da un lato e i pescatori dall’altro in HO
(31) M. Klein, Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco – depressivi, in Scritti 1921 – 1958, Bollati Boringhieri, Torino, Prima edizione 1978, Ristampa giugno 2001
(32) S. Freud, Lutto e melanconia, in Opere 1915-1917, Boringhieri, Torino, Prima edizione 1976, Sesta impressione aprile 1998
(33) Ibidem
(34) Parafrasiamo l’importante libro di W. Bion: “Apprendere dall’esperienza” (…)
(35) E. Giordano Op. Cit.
(36) È la nota espressione di E. Vittorini in Conversazione in Sicilia, che noi leggiamo nell’edizione della Rizzoli, Milano, 1986
(37) S. Lanuzza, Stefano D’Arrigo, in “Gli eredi di Verga: Atti del convegno nazionale di studi e ricerche”, Randazzo, 11 – 12 – 13 dicembre 1983
(38) A. Romanò, Note di lettura per “Horcynus Orca”, in Paragone, letteratura, n°316, giugno 1976, pp. 94-100
(39) C.G. Jung, L’archetipo della madre, Biblioteca Boringhieri, Torino, 1981
(40) C.G. Jung Op. Cit
(41) C.G. Jung Op. Cit.
(42) HO pag. 103
(43) Concetto arcinoto fondato da M. Bachtin, nel suo capolavoro: Estetica e romanzo, che io leggo nell’edizione Einaudi, Torino, 1997
(44) Tutte le citazioni sono tratte da C. Marabini, Lettura di D’Arrigo, Mondadori, Milano, 1978
(45) HO pag. 720
(46) HO pagg. 771-772
(47) HO pag. 298
(48) HO pag. 308
(49) HO pag. 293
(50) Lo scrittore contemporaneo A. Moresco a tale proposito dice: “Questo libro dà vita a una delle più vaste, sorprendenti e tridimensionali schiere di personaggi non umani della letteratura di tutti tempi”, in L’invasione, Rizzoli, Milano, 2002
(51) W. Pedullà, Introduzione, in I fatti della fera di S. D’Arrigo, a cura di A. Cedola e S. Sgavicchia, Milano, Rizzoli, 2000
(52) P. Citati, La mente colorata, Mondadori, Milano, 2002
(53) A. Romanò Art. Cit.
(54) S. Lanuzza, Stefano D’Arrigo, in “Gli eredi di Verga”, “Atti del convegno nazionale di studi e ricerche”, Randazzo, 11-12-13 dicembre 1983
(55) W. Pedullà, L’infinito passato di Stefano D’Arrigo, in Miti, finzioni e buone maniere, Rusconi, Milano, 1983
(56) C. Marabini Op. Cit.
(57) F. Ferrucci Op. Cit. Cfr. A. di Mauro in Op. Cit, il quale parlando delle caratteristiche della “cometa”-’Ndrja sostiene che ‘Ndrja è un tipo di personaggio-cometa anomalo, in quanto “la “cometa” -‘Ndrja non porta a
termine la sua educazione alla vita; il suo viaggio esistenziale, fisicoe metaforico insieme, non giunge a termine, subisce una brusca interruzione. Da questo punto di vista, l’ Horcynus, è, sì, un Bildungsroman, ma un “romanzo di formazione” tutto particolare, che si chiude così, quasi in tronco, con quell’improvviso colpo di fucile sparato nella notte, che elimina dalla scena il protagonista, senza che sia avvenuta una sua definitiva maturazione. ‘Ndrja, insomma, non cresce su se stesso come dovrebbe essere destino della “cometa”: il suo è quello di sparire, inabissarsi nell’oscuro, impenetrabile mistero del cosmo, un non voler crescere e “altro conoscere dopo aver conosciuto tutto il male possibile, il voler rimanere ancorato a quel suo mondo passato perduto e ritrovato, ma totalmente stravolto, perciò rifiutato, e allora il “viaggio”, prefigurato come ritorno alla terra-madre, desiderio del ventre materno, nella sua duplice simbologia di “nido-rifugio” e “tomba”, non può
non concludersi che in questa seconda identificazione, dove sono annulate vicenda esistenziale e realtà Storia, autentico luogo-non luogo d’origine, unico ad essere rimasto incontaminato dal mutamento devastante, e dove si chiude il cerchio della vera “conoscenza” nel mistero.”
(58) A. Gatto, Poesie (1929-1969), scelte dall’autore, Milano, Mondadori, 1972, p.81 (“All’alba”)
(59) C. de Santis, Intervista a Giuseppe Pontiggia, in Il mare di sangue pestato ( a cura di ) F. Gatta, Rubbettino, Catanzaro 2002
(60) E. Giordano, La dimora del mito. Sulla poesia di Stefano D’Arrigo, in “Atti del convegno di Zafferana”, 2002
(61) W. Pedullà, Introduzione a Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, Rizzoli, Milano, 2003
(62) E. Giordano Op. Cit. Ibidem
(63) H.O. pag. 1256
(64) Ibidem
(65) W. Pedullà Op. Cit. Cfr. anche le osservazione che F. Ferrucci fa in Il giardino di Renzo: “Renzo potrà salvarsi perché non capisce tutto fino in fondo”. Al contrario di ‘Ndrja che ha un approccio all’esistenza che è verticale. F. Ferrucci Op. Cit
(66) G. Alfano Op. Cit.
(67) Sono tutte espressioni D’arrighiane in H.O.
(68) Citiamo il libro L’ombra di Ulisse di P. Boitani, Bologna, Il Mulino, 1992, dove si sta parlando dell’Ulisse del XXVI canto dell ’Inferno dantesco.
(69) M. Klein, Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi, in Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino, Prima edizione 1978, Ristampa giugno 2001
(70) A. M. Morace, Itinerario nel mito: dal mare alla placenta, in “Atti del convegno di Zafferana”, 2002
(71) E. Giordano, “Horcynus Orca”: il viaggio e la morte, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1984
(72) Cfr. A. Infanti, Tracce e simboli del discorso alchemico in “Horcynus Orca” , in Il maredi sangue pestato (a cura di) F. Gatta, Rubbettino, 2002, dove si dice: “L’insegnamento ascetico troverà il suo terreno finale di applicazione nelle ultime pagine del romanzo. L’esperto alchiimista, come il lettore adesso istruito, vi sapranno riconoscere la stupefacente potenzialità del morire. Senza provare nessuno sconforto, con la piena coscienza che niente viene perduto, che sempre ci si avvia ad un nuovo inizio”. Cfr. anche i vari scritti di W. Pedullà.
(73) C. Magris, Lontano da dove, Einaudi, Torino, 1971

—–

6 – fine

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8 Commenti

  1. Grande Ale! Questa sera faccio un copia-incolla e leggo con calma, ma senti, una cosa, faccio una fatica bestiale a leggere il libro per la lingua che usa, tra l’altro l’edizione rizzoli del 2003 non ha nemmeno una nota, cosa devo fare, andare avanti che prima o poi comincio a capirlo senza accorgermene, o esiste per caso una specie di glossario da qualche parte?

    p.s. mi sento un po’ come un profano che legge il manuale tecnico di una moto, non so, ad esempio una ducati, e non ci capisce un cavolo.

  2. au andrea,
    vai avanti, perché il sistema linguistico di d’arrigo funziona proprio così, ogni termine viene chiarito all’interno del romanzo, lo dice d’arrigo in ogni sua intervista, per questo quando vittorini gli pubblicò il glossario nel menabò d’arrigo diventò un selvaggio del borneo, l’avrebbe voluto incaprettare…
    ale

  3. Quando Camilleri pubblicò il suo primo romanzo (Un filo di fumo) garzanti volle un glossarietto. D Arrigo, caro amico di Camilleri, quasi litigò con lui. Lo trovò una resa. Questo perché il nostro Andrea scriveva in un italiano camillerizzato. D”Arrigo, invece, in darrighese. La lingua la impari nel suo formarsi. Proprio come quando vai in un paese straniero. Ci resti per mesi, non capisci niente, sei nel panico, soffri. Poi, piano piano, ecco comprendere le prime frasi, ecco formarsi i primi concetti. Alla fine SAI, è in te, la lingua.

    ciao, mia auguro, come Elio altri approfondimenti su horcynus orca (e anche sul resto della produzione darrighiana).

    Gianni

  4. NON devi capire, Andrea. Immergiti, nuota a delfino.
    Il resto della produzione lasciala ai filologi, Gianni, non aggiunge davvero nulla alla grandezza dell’orca.

    Eterna gratitudine a Garigliano e Voltolini

  5. Elio, eppure ammetterai che è curioso un autore che prima scrive un libretto di poesie, poi ci mette 20 anni a scrivere “il mostro”, dieci anni dopo fa un libretto “normale” (cima delle nobildonne) e poi muore. Viene da chiedersi il perché. (non che sia morto, ovvio. Ma il perché della “cima”).

    Ciao, vado alla Fnac. Ve li saluto tutti gli indiani.

    Gianni

  6. Per la cronaca: dopo la presentazione di Montanari, Elio e Gianni si sono perfettamente compresi davanti a una bella birra chiara.
    Viva Nazione Indiana!

  7. volevo dire una cosa: ma che senso ha postare tutto in una volta, “bruciandolo”, un saggio senz’altro interessante?

    tutto in linea coi tempi, di velocità, vero?

    è veramente un peccato! non potreste un po’ rallentare, lasciare riflettere un po’ di piu?
    senza tener conto del fatto che siamo ancora agli inizi di febbraio, e il mio povero pentium 1 non ce la fa a caricare questa vorticosa pagina :))

  8. vero, sarà un’orca pure nazione indiana?? comunque, approfitto per ringraziare t.scarpa, che segnalò -più sotto nella pagina- i volumi della fondazione del corsera: gentilissimi, mi hanno spedito il pacco.

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