Articolo precedente
Articolo successivo

Busi tra Amici

di Flavio Marcolini

busi_aldo_tn.jpgRicevo questo intervento che pubblico molto volentieri. Non ho la tivù, e purtroppo non ho ancora seguito le lezioni televisive di Busi che ci segnala Marcolini. Voi sì? Che ne pensate? Ma a prescidere dal grande Aldo Busi, mi sembra un’occasione per continuare a riflettere sull’atteggiamento degli intellettuali verso la televisione (andarci?, non andarci?) e in generale su un impegno culturale più popolare (o, per meglio dire, più pop), che tenga conto delle classi poco alfabetizzate e molto telebetizzate. T. S.

Non si può non dire tutto il bene possibile dell’opera di educazione civile che Aldo Busi da almeno vent’anni propone al paese. Se oggi l’Italia è un po’ più libera, colta, umana, lo deve anche ai suoi libri.

Ma stavolta lo scrittore di Montichiari si è imbarcato in un’impresa per molti osservatori più che discutibile. Ha accettato di condurre da febbraio a maggio una serie di lezioni settimanali sull’importanza della lettura (ma della cultura più in generale, visto lo stato di abbandono in cui versano le menti degli allievi) agli “Amici” di Maria De Filippi, il reality show quotidiano di Canale5, seguitissimo dagli adolescenti.

Busi, 56 anni appena compiuti, si è preso l’impegno di recarsi ogni martedì a Roma per educare i giovani allievi di questa scuola privata per la formazione artistica, con una dedizione ed un entusiasmo paterni, degni forse di miglior causa.

Frammenti delle sue imperdibili lezioni vanno in onda per uno spazio di tempo che (tolti gli spot, le presentazioni e i ritardi della programmazione) complessivamente non supera i 30 minuti ogni settimana. Ogni tanto lo si vede anche discutere con gli insegnanti, fare visita ai ragazzi nelle loro stanze, intrattenersi con loro sui reciproci vissuti. L’impressione è di un abissale divario, non solo e non tanto sul piano della conoscenza della lingua italiana e della preparazione culturale in senso molto lato (nella seconda lezione, ad esempio, Busi ha dovuto fare la sua bella fatica a spiegare agli allievi il significato dell’aggettivo sostantivato “velleitario” o dell’espressione “spada di Damocle”), ma soprattutto nella solida piattaforma valoriale che ispira da sempre l’etica busiana, assolutamente sconosciuta a queste facce vestite uguali che per ogni occhio sembrano avere almeno due travi, che passano i pranzi e le cene a psicocaricarsi stolidi, demolendo virtualmente gli antagonisti, in vista della sfida finale che li porterà – se prescelti – a interpretare in ottobre il musical Footloose al Teatro Sistina di Roma, per la regia di Patrick Rossi Gastaldi.

Insomma, la spettacolarizzazione del darwinismo sociale ripreso in differita, cifra imbelle di una trasmissione del genere, appare completamente altro rispetto alla saggia e mite solitarietà che sa farsi aperta e pervicace solidarietà di un Aldo Busi che speriamo torni presto alle sue impavide battaglie libertarie per l’affermazione dei diritti e della dignità di tutti i cittadini. La corte dei miracoli virtuali lasciamola ai cortigiani.

________________________________________________

Per inserire commenti vai a “Archivi per mese – Marzo 2004”

Print Friendly, PDF & Email

88 Commenti

  1. Ho già ricordato altrove di quando Busi, nello show di Chiambretti, dichiarò con sfacciata onestà come intendesse servirsi della tv per promuovere se stesso e la sua opera, dal momento che rifiutava i tradizionali e sordidi circuiti dell’industria culturale. Secondo me, dietro tale scelta c’è soprattutto questa volontà (non necessariamente e vilmente commerciale, dico la volontà di far conoscere la propria persona e, di qui, la propria opera e per di più a una marea di giovani). Poi possono confluire altre motivazioni: la speranza/illusione di segnare una piccola svolta, cioè di portare un po’ di sana cultura nell’asfittica scatoletta televisiva; la volontà di accettare una sfida e mettersi alla prova in qualcosa di diverso dalla propria abituale professione; la soddisfazione, anche a livello incoscio, del proprio ego narcisistico (lo dico senza malignità, il narcisismo fa parte di Busi come fa e ha fatto parte di molti e grandi scrittori – Neruda diceva di essere “vanitoso come un poeta” -, questo naturalmente non significa appiattire l’opera e il pensiero busiano a un lato del suo carattere).
    Resta il fatto che il compromesso realizzato in favore dei suddetti motivi (perché trattasi di compromesso, mi rifiuto di credere che Busi partecipi a una trasmissione come Amici per stima della De Filippi o del programma), il rischio di svilire la propria figura e opera insirendoli in un contesto così culturalmente “basso”, il pericolo di essere “usato” cioè che vengano usate non tanto le sue doti culturali quanto il suo personaggio e la sua maschera, beh, questa è l’altra faccia della medaglia, ed è un prezzo che va messo in conto.
    Ma lei, caro Scarpa, alla proposta di apparire in uno show, anche brutto e immorale, per insegnare quello che ama, cioè la letteratura, facendo arrivare alla gente a casa qualche concetto, magari qualche nome di scrittore che non sia Vespa o Flavio Oreglio e soprattutto il proprio nome e, di qui, la propria opera, lei è sicuro che avrebbe detto di no con fermezza morale, come sembra suggerirci il suo commento critico e accigliato?
    E poi: se le persone di cultura invitate a una trasmissione televisiva declinano ogni volta l’invito perché la qualità della televisione italiana è ai minimi storici e non c’è mai spazio per la cultura, non si entra in un circolo vizioso? Forse Busi, quando ha deciso di partecipare ad Amici, ha tenuto conto anche di simili argomenti…

  2. Fermezza morale? Quale, quella di Salinger?

    Il PERICOLO di essere usati? Embè? In quale mondo, su quale media, in quale famiglia, non si rischia di essere usati? E poi l’USO è reciproco: in questo consiste la vita. Basta con questi ritegni: chi ha le palle si sforzi di usare almeno quanto viene usato, e se non ce la fa, beh, cosa avrà perso? La reputazione? L’anima?

    L’altro giorno, in casa di parenti, ho avuto la sorpresa di vedere mia nipote (prima liceo) che ascoltava questa voce. Non posso dire che ascoltasse davvero, forse pensava ad altro, come i tonti del programma. Ma io ero felice: l’irruzione di qualcosa di diverso, forse incomprensibile ma diverso, almeno ogni tanto, nel mondo ottuso di una liceale. Viva Busi.

  3. Mi domanda Malatesta: “Ma lei, caro Scarpa, alla proposta di apparire in uno show, anche brutto e immorale, per insegnare quello che ama, cioè la letteratura, facendo arrivare alla gente a casa qualche concetto, magari qualche nome di scrittore che non sia Vespa o Flavio Oreglio e soprattutto il proprio nome e, di qui, la propria opera, lei è sicuro che avrebbe detto di no con fermezza morale, come sembra suggerirci il suo commento critico e accigliato?”

    Nel 96-98 ho partecipato come ospite a una dozzina di trasmissioni, più o meno su tutte le reti italiane, grandi e piccole, sempre e solo comparsate singole. Nel 98 ero fra i conduttori di uno speciale per la Mostra del Cinema di Venezia, dieci puntate giornaliere di mezz’ora su Telepiù. Ho potuto farmi un’idea di cos’è la tivù anche dall’interno.

    Credo che per farsi conoscere e “insegnare qualcosa” e anche, di conseguenza, far girare il nome e l’opera, e anche, diciamolo, far vendere libri (propri e altrui) in tivù non basta andarci qualche volta: per ottenere questi risultati, la tivù bisogna “farla” (come Baricco e Lucarelli).

    Ho detto di no a molti inviti (Maurizio Costanzo Show, Quelli che il calcio, ecc.), anche di recente: gli autori dei programmi ritenevano il mio ultimo romanzo particolarmente adatto a essere promosso (l’autore che racconta di aver fatto il prostituto avrebbe fatto da controcanto naturale a Melissa P…). Il problema è che lì non passano concetti né passioni, tutto viene snaturato, si parla di quel che può far piacere al pubblico, risultare simpatici, ecc.

    Ultimamente in tivù praticamente non ci vado. Un paio d’anni fa sono andato a RaiEducational a parlare di Identità italiana e Odissea, a dibattere con Sanguineti di scrittura e computer, e, recentemente, a “Cominciamo bene” su RaiTre, una trasmissione mattutina, perché è un posto onesto dove si fanno interviste tranquille, e anche perché conoscevo (solo a voce, per la verità) la conduttrice, che prima lavorava nella redazione di RadioRai Cultura: mi aveva già intervistato al telefono per il Giornale Radio.

    Ma la notte prima di partecipare a “Cominciamo bene”, da solo nell’alberghetto un po’ triste offerto dalla Rai, ho sognato che mi volevano vestire con una palandrana a strisce colorate e un turbante enorme, grottesco, come tutti glialtri ospiti, per dare “omogeneità stilistica” alla trasmissione!

    Il problema non è quello di”usare” o “essere usati”, che – sono d’accordo con Paoloni – è una forma delle relazioni umane: ci si usa di continuo. Usare ed essere usati è bello, c’è gente che pagherebbe per essere usata… Comunque, dicevo, il problema mi sembra che la televisione SNATURI completamente quasi tutti i discorsi “culturali” o “letterari”.

    Forse, caro Elio, semplicemente “non ho le palle”: per essere efficaci in tivù bisogna sentirsi a proprio agio, essere reattivi, appassionati all’argomento, e non bisognerebbe avere l’ansia di non essere abbastanza “pop” (come a volte è capitato a me). Ecco, il mio animo più volte mi ha mandato segnali (addirittura sogni!) chiari: in quanto autore di libri, in tivù mi sento una specie di uccello del malagurio, un pesce fuor d’acqua, un guastafeste, un mendicante a cui si concede l’angolino per parlare di letteratura, meglio se condendo tutto con un po’ di spiritosaggini… Poche volte mi sono sentito veramente a mio agio: a Rai Educational. Lì non dovevo dimostrare nulla, conversavo con degli studenti su temi che interessavano a tutti i presenti in studio e agli autori del programma. E ovviamente con Sanguineti.

    Busi le palle le ha, è reattivo, ha la battuta pronta. La prontezza di spirito è essenziale in tivù. Con quella forse ci si può incuneare anche in trasmissioni orrende e disseminare una parola intensa che magari apre gli occhi a qualcuno. Chi riesce a farlo ha tutta la mia ammirazione.

    Sulla tivù si è detto tutto, eppure ancora non si è cominciato a parlarne, secondo me. Si è ANALIZZATO alla perfezione come funziona. Ma questa ANALISI parte da una premessa discutibile: presume che la tivù sia così com’è! Dà per scontato che ciò che è diventata la tivù sia una specie di esito naturale della sua stessa forma, industriale e sociale e comunicativa ecc.

    (Ho parlato – in fretta – del mio caso personale, perché Malatesta me l’ha chiesto, ma spero che la discussione, se continuerà, non si limiti a me, ma a come e cosa fare in generale… Grazie!)

  4. Scusate… ho messo il mio intervento su Busi e la tivu sotto al colonnino del pezzo di Paoloni. La fretta… la fretta…
    Ciao a tutti.

  5. Per Franz (che ha messo il suo commento nella finmestrella sotto l’intervento di Paoloni). Non so gli altri, ma io ci tengo a far sapere che non ho la tivù come ESEMPIO ETICO. So di essere nel giusto, e mi offro come modello morale e politico. Sostengo, non a parole, ma con il mio comportamento, che si può vivere senza. A tavola, agli aperitivi, per la strada, ovunque TUTTI parlano di tivù. Non averla è escludersi dai discorsi. Io mi escludo volentieri. Quest’anno alla Fiera del Libro ci saranno dieci incontri su altrettante trasmissioni “che hanno cambiato la nostra vita” o “che hanno cambiato l’Italia”, non ricordo la formula esatta. Si parlerà di tivù pure alla Fiera del Libro, insomma. Dieci incontri con Aldo Grasso più un giornalista più un autore televisivo più uno scrittore, che cambiano ovviamente per ciascun incontro. So per certo che Niccolò Ammaniti è stato invitato e non ci andrà. Anch’io sono stato invitato (all’incontro con Arbore e Barbara Palombelli su “Quelli della notte”), e non ci andrò. Ci sono atti NEGATIVI (non fare, non esserci, non andare, non avere – non avere la tivù, per esempio) che secondo me hanno significato politico. Ma siccome, per la loro stessa natura negativa, “omissiva”, sottrattiva, questi atti NON si vedono, bisogna dichiararli. Ecco perché gli intellettuali (o meglio, alcuni: quelli che non ce l’hanno) “ci tengono” a far sapere che non hanno la tivù.

  6. D’accordo sul diritto alla negazione (riassumendo male il discorso di Scarpa). Senza che questo, ovviamente, diventi imposizione di un modello, ma pratica di un modello. Lo dico da tempo: dobbiamo essere esemplari. Io non ho, per scelta, la macchina, né io né mia moglie (e vi assicuro che con una figlia e un altro in arrivo è un bel casino). Non per questo vitupero chi ce l’ha. Dimostro, nel mio piccolo, che si può vivere e lavorare in una grande città senza possederla (che esistono i mezzi pubblici che DEVONO essere usati, etc.). Tutto qui. Chi non ha la TV ha fatto una scelta che rispetto, come, ad esempio i vegetariani, etc. anche se io la TV ce l’ho e la carne la mangio. Magari nel tempo il loro esempio mi farà cambiare atteggiamento, senza che me lo senta imposto.
    Poi, riguardo la TV. Anche solo una perla ai porci è tutto di guadagnato. Magari fosse che la tv si riempisse di uccelli del malagurio, di pesci fuor d’acqua, di guastafeste, di mendicanti. Magari si riuscisse a riprendere lo spazio che merita, con forme che forse neppure immaginiamo, la qualità in tv.
    Giusto però dire: chi se la sente lo faccia, chi no non lo si accusi di snobberia. Anche perché i veri snob sono quelli che ne parlano continuamente male guardandola dalla mattina alla sera. Io, ad esempio, del Grande Fratello non ho ASSOLUTAMENTE nulla da dire. Non ho mai visto neppure una mezza puntata. E’ il mio diritto alla negazione. Anche con la TV in casa. Si può.

    Confusamente vi lascio, Gianni

  7. Caro Tiziano, devi sapere che io sono un tipo piuttosto schivo. La mia unica apparizione in tv risale al 1990. Telelombardia, “Telecronista mondiale”. Una gara tra telecronisti dilettanti. Fui eliminato ai quarti di finale…
    Questo per chiarire che la tivu io la guardo con un certo spirito critico ma l’apparirci – me ne rendo conto- è ben altra cosa. L’apparire è il “segno del comando” dei nostri tempi bui illuminati dai riflettori, direi.
    Ecco: senza ipocrisie (non è proprio nel mio stile) ti dico che mi piace il tuo discorso sugli atti NEGATIVI. Tirarsi fuori. Non esserci può voler dire – ancor di più – ESSERE. Magari AVERE un pò di meno. Ma ci sono in ballo degli ideali e anch’io agli ideali ci credo. Sono un semiprofessionista dell’idealismo. Capisco che tu ci tenga a far sapere che la tivu non ce l’hai ma a mio parere, e soprattutto per quanto mi riguarda personalmente, NON ESSERCI e contemporaneamente avercela e guardarla, la tivu è una cosa che non mi sbatte per nulla in contraddizione. Questo tuo intervento ha chiarito comunque – perlomeno a me – il tuo approccio personale, politico e direi anche intimo alla cosa; che, pur essendo per tanti motivi diverso dal mio, rispetto.

    P.s: un caro saluto anche a Gianni, non automobilista come me.

  8. Ecco un bellissimo esempio di come si può avere ragione in due pur sostenendo tesi opposte.
    Scarpa e Biondillo, grazie !

  9. Grazie, Riccardo, per quando non creda che le mie tesi siano poi così opposte a quelle di Scarpa.

    soon, G.

  10. ….sta di fatto signori miei che alla fine, tra i lettori di questo post, non credo sarò la sola ad andare a vedermi una puntata di “Amici“ (e solo il titolo mi manda in fibrillazione la coscienza) per scoprire che combina Busi, o meglio come viene recepito dai canterini in mutande. Certo è che Busi è un’animale da schermo. Sono d’accordo con Scarpa. E poi la televisione è solo uno dei mezzi d’informazione, oltretutto seguito per la maggiore da gente che non ascolta che tiene il cervello in pausa per tutto il tempo. Credo anzi che la “non visibilità” stimoli le passioni. Se io non vedo un’artista devo andare a cercarlo e allora chiedo in giro, faccio ricerche in rete, mi tengo informata su tutti i possibili eventi a cui potrebbe partecipare e così alla fine ne conosco molti altri, publicizzo l’artista (evitandogli la pena di snaturasi in apparizioni che, se non è un’animale da schermo, potrebbero risultargli letali) e mi ci affeziono perché comunque gli ho dedicato un pezzetto del mio esistere. E questo non è male è bene.

  11. Tiziano, io trovo GRAVE che tu non abbia la televisione. Il televisore, intanto, come periferica del DVD o del videoregistratore, è l’unico modo, almeno dalle mie parti, per non perdersi un film da concorso o riacchiappare i classici che non erano neanche passati da Ghezzi night. Permette, se collegato al satellite, uno sguardo davvero ampio sul mondo. Compresi gli “scrittori che camminano” o “gli scrittori in piedi” o lunghe riprese sulle presentazioni di libri. Ma anche la televisione generalista ha la sua importanza: è stata praticamente l’UNICO mezzo per le apparizioni di Carmelo Bene. E se anche volessimo far finta che non ci siano trasmissioni godibilissime, come possiamo dire di sapere cosa succede intorno se non sappiamo di cosa si nutrono i nostri simili?

    Ma veniamo al comparire. Tu dici: “snatura”. Certo ti riferisci alla difficoltà di far passare la letteratura in Tv. Si è già parlato di questo e sappiamo tutti che pretendere di star lì a far conferenze non ha senso. Non si tratta di parlare di libri, o di “recitare” la letteratura. Faccio un esempio: nell’unica occasione in cui ho sentito Busi in queste lezioni, stava trattando di “economia e commercio”, di come sia necessario imparare a non farsi sfruttare, a porsi con grinta e dignità e preparazione di fronte a un contratto. Lo faceva a suo modo, s’intende. E penso al modo in cui Giordano Bruno Guerri condusse alcune trasmissioni, con le sue superga rosse e il suo accosciarsi felinamente e sornionamente qua e là. Penso a tante facce “strane” di scrittori che potrebbero fare incursioni trattando gli argomenti come li tratterebbero in un post frettoloso. Guastafeste, appunto, guastatori.

    Hai detto benissimo, altrove: potere alla parlantina, intesa come prontezza di spirito. E moltissimi scrittori non ce l’hanno. Ricordo un Mozzi a cui Costanzo impedì letteralmente di parlare. Ma Montanari, per esempio, mi sembra uno veloce. E’ un problema di capacità, insomma, di carattere. Certamente non di etica. Chi non è tagliato continui pure a lavorare sullo scritto ma non vanti superiorità chi si rinchiude nel suo server d’avorio.

  12. Ieri sera sono passato dal Punto Einaudi di Forlì, ho cominciato la solita tiritera degli scrittori svegli oppure cotti, anzi ho analizzato solo la categoria svegli, il primo nome citato non lo sto a dire, tanto se legge ha già capito, il secondo è stato Scarpa. La signora-Punto Einaudi mi fa: Sì sì, Scarpa, me lo ricordo a RaiEducational a parlare ai ragazzi dell’Odissea, fu una cosa diversa dal solito, bellissima.
    Ecco lei si ricorda ancora con visibile gioia di quell’intervento. (Bisognerebbe cercare di farne altri così). E Scarpa la signora-Punto Einaudi la conosce anche, infatti lo aveva invitato a Bertinoro, insieme a Raul, per una lettura di Covers , quaranta gradi all’ombra.

  13. Per andare in televisione o comunque per avere visibilità, penso sia condizione necessaria essere “animali da palconescenico”. Quindi accettare le regole che sottostanno al mondo televisivo. Conosco un paio di psicoanalisti a cui hanno proposto di partecipare a trasmissioni in cui avrebbero dovuto dovuto fare la parte del guastatore(alla Sgarbi per intenderci): hanno rifiutato, non per snobismo ma perchè non era nella loro natura fare lo show, non gli interessava. Altri, senza fare nomi, non hanno problemi. Busi è uno di quelli che non si è mai sotratto ai riflettori, vestito da fatina o da miss Italia, per provocare, parlare di sè e anche di letteratura. Personalmente non me ne frega nulla di andare a vedere cosa racconta Busi nella trasmissione Amici, è una trasmissione che non mi interessa e non la guarderei nemmeno se ci andasse il mio migliore amico. Una questione di scelte, non di arroganza o snobismo. Comprendo il discorso di Tiziano, non trovo grave non avere la televisione e non trovo che non sia un problema di etica. E’ anche un problema di etica, nel senso che se si ritiene la televisione uno strumento anestetizzante della coscienza non la si possiede e non ci si va. Magari si fa slam poetry e quindi si ha potere di parlantina e capacità di stare sopra un palco e non si ha voglia di andare a fare i giullari di corte nel tubo catodico! Alla fine, penso che gli interventi di Busi siano uno dei tanti modi per chiamare audience, ma per favore non pensiamo che Santa Busi da Montichiari ci libererà dal trash televisivo per inoculare cultura nelle menti di partecipanti e spettatori! D’accordo che viviamo a Walt Disney, ma ogni tanto cerchiamo di prendere una boccata d’aria nel mondo reale.

  14. Cerco di fare il punto.

    Naturalmente, quando indicavo il pericolo di essere usati non volevo scongiurare la partecipazione di Busi ad Amici: il mio discorso, infatti, andava nel senso opposto e non a caso avevo esordito chiarendo come, secondo me, sia Busi a “usare” la televisione, in maniera onestamente individualista, mi verrebbe da dire “stirneriana”.

    Concordo con Paoloni quando denuncia come “grave” il fatto che Scarpa non abbia una tv. Premesso il rispetto della libertà di scelta di ognuno, premesso anche che io ho la tv ma la guardo praticamente niente o cinque minuti al giorno facendo zapping (non esagero, è proprio così, e non ho visto nessuna puntata di Amici, neanche quelle con Busi, né le vedrò), credo comunque che rinunciando alla tv si rinunci a osservare e comprendere una parte – forse la più importante – della nostra attuale società, che è una società mediatica. La tv è oggi una realtà così onnipresente e onnipotente che può essere lecito (e secondo me è giustissimo, lo faccio anch’io) criticarla e disprezzarla, ma non è assolutamente lecito – non dal punto di vista intellettuale – negarla o ignorarla. Con la tv si vincono le elezioni, si influenzano o creano comportamenti di massa, si forgiano indirizzi di opinione pubblica… è una formidabile cartina al tornasole della società. E poichè la nostra società è malata, ergo la tv è quello che è. Cosa credete, che in una società approdata allo stadio estremo e selvaggio del capitalismo, sovracarica di nevrosi di ogni sorta, ostile a qualsiasi forma di umanesimo, beatamente assorta nello sperpero di un patrimonio politico e culturale più che secolare, la tv possa essere intelligente, profonda, libera, seria ecc. (parlo della maggioranza delle trasmissione televisive, è ovvio, al di là delle isole e minime parentesi)?

    Penso, inoltre, che davanti all’evidente sfacelo morale e culturale della tv i comportamenti di rifiuto intellettuale possibili – dipendenti da carattere o da volontà o da entrambi – siano essenzialmente tre:
    1) l’atteggiamento cataro (Tiziano Scarpa): la tv è qualcosa di estremamente negativo, ergo non mi comprometto in alcun modo con essa;
    2) l’approccio compromissorio o riformistico (Aldo Busi): la tv è qualcosa di negativo, ma mi comprometto con essa per usare quel pochissimo di positivo che ne posso ricavare o per inserire al suo interno momenti anche brevi di positività;
    3)il gesto rivoluzionario (Dario Fo): la tv è qualcosa di negativo, ma io ne faccio qualcosa di positivo, cerco di mettere in piedi una tv alternativa, diversa da questa.

    (Chiarisco subito che non c’è da parte mia alcuna volontà di attaccare Scarpa sul piano personale, alludo naturalmente al suo atteggiamento, assumendolo come modello comportamentale. Il discorso è generale e verte sul rapporto intellettuale-tv. Tra l’altro, sono d’accordo con lui quando afferma che “per essere efficaci in tivù bisogna sentirsi a proprio agio, essere reattivi, appassionati all’argomento, e non bisognerebbe avere l’ansia di non essere abbastanza “pop” (come a volte è capitato a me)”.)

    Concordo con Biondillo circa l’importanza della negazione e del carattere esemplare dei comportamenti, ma trovo la sua visione del rifiuto un po’ semplicistica. Solo superficialmente può essere paragonato il rifiuto dell’auto a quello della tv. L’auto appartiene a un ambito schiettamente materiale (per carità, influenza alcuni comportamenti, ma non siamo comunque al livello di pensieri e concetti). La tv invece è uno strumento di presa culturale e intellettuale, è un “media”. Per di più, se io scelgo di andare a piedi, non mi precludo la possibilità di osservare quanto concerne auto e automobilisti: il traffico, gli incidenti ecc. Posso cioè ancora osservare quella realtà da me rifiutata, che fa comunque parte del mio mondo (e alla quale anche io, in parte o indirettamente, sono legato – dovrò pur attraversare la strada! dovrò sapere che le auto possono investirmi, che alcune di esse non si sfermano davanti alle strisce pedonali ecc.!-). Se invece scelgo di non avere la tv, mi precludo (fatta eccezione per gli echi prodotti su altri media) la possibilità di osservare il fenomeno televisivo (al quale, anche in questo caso, sono pur indirettamente legato: mutamenti politici, antropologici, economici della società in cui vivo passano di lì o ne sono il prodotto).
    Ma anche fosse diversamente, resta pur sempre da considerare l’effettiva portata pratica di un simile comportamento. E’ possibile che, sul nostro esempio, non dico tutti, e neanche la maggioranza, ma anche solo una parte consistente della cittadinanza mondiale, o anche cittadina, o rionale, rinunci all’auto o alla tv? In sostanza, chi migliora di più, dal punto di vista pratico ed effettivo, la situazione ambientale deturpata dalla diffusione dell’auto: chi non la usa affatto(atteggiamento cataro), chi le apporta delle modifiche interne anche minime, ad esempio inventando l’auto a idrogeno (approccio riformistico) o chi inventa uno strumento alternativo ad essa (gesto rivoluzionario) (naturalmente, la bicicletta non è uno strumento totalmente alternativo all’auto, considerandone bisogni e capacità, parlo di qualcosa di futuristico)?

    Infine, sono ancora d’accordo con Paoloni quando addita le importanti (e l’importanza delle) presenze televisive degli ultimi anni, portando fra gli altri l’esempio di Carmelo Bene, a proposito del quale aggiungo un’osservazione. Per un’eterogenesi dei fini, comparendo in tv Bene non ha solo promosso se stesso e la propria opera, ma anche l’opera altrui. Ad esempio, è merito delle sue comparse televisive se per la prima volta tanta gente ha ascoltato il nome e le poesie di Folgore da san Gimignano! Ed è merito delle sue comparse televisive e della fama da esse derivata se tanta gente si è recata a Bologna ad ascoltarlo leggere – magari ascoltandone i versi per la prima volta – la poesia di Dante.
    Penso, dunque, che per analizzare obiettivamente gli effetti di una partecipazione anche minima, anche distorta e snaturata, della cultura in tv, non bisogna prendere in considerazione solo i terremoti o le eruzioni vulcaniche letterarie, ma anche i minimi e appena percettibili spostamenti tellurici, che danno avvio a piccoli movimenti a catena, echi, rimandi, che producono effetti a volte nella lunga durata e molto spesso non visibili.

  15. Analisi nitidissima, questa di Malatesta. C’è poco da fare.
    Voglio solo aggiungere che Busi è comunque personaggio davvero differente; ha una marcia in più, è evidente. Un pò come il qui varie volte evocato Carmelo Bene. Busi è un grande scrittore che usa la televisione non semplicemente accendendola, e quindi facendosi in certo senso usare da essa, spesso; ma facendone un uso proprio ai propri interessi e lavorandoci sopra e beffandosene ecc. ecc. Non c’entra qui Maria de Filippi, non c’entra il tipo di programma, potrebbe essere Augias, per dire. E’ che Busi- perlomeno come animale mediatico – sta in un altro pianeta. I “similbusi” sono vaghe stelle nell’orsa d’imitazione, come i prodotti made in Taiwan.

  16. Meglio: “I ‘similbusi’ sono vaghe stelle dell’orsacchiotta d’imitazione, come i prodotti made in Taiwan”.

  17. io non sono nemmeno andato a “l’altra edicola”, insieme a tutti gli altri cannibali. non sono stato a torino alla presentazione di gioventù cannibale (“non sarei che un giubbotto in più” gli risposi citando celine). non sono andato da elkan. non sono andato a videomusic. io non sono andato nemmeno alle due presentazioni dei miei libri. io non sono mai stato da nessuna parte e non ho intenzione di andarci in futuro. ma il mio è un altro discorso, un discorso un po’ ottocentesco.

  18. Caro Malatesta, capisco quello che dici, ma non sono d’accordo.

    1)Gli scrittori non sono attori con il talento di Dario Fo. Non si può pretendere che abbiano la forza di rivoluzionare la comunicazione con la loro presenza scenica. Gli scrittori scrivono.

    2) Per sapere che cosa passa in tivù basta una mezz’ora alla settimana. La si mette insieme passando a casa di amici, guardicchiando lo schermo nei bar, accendendo il televisore in una camera d’albergo la notte dopo una presentazione in una libreria a cinquecento chilometri da casa, accettando un invito a pranzo dai propri genitori.

    3) Sulla “cartina di tornasole” avrei molto da dire, comne su “E poichè la nostra società è malata, ergo la tv è quello che è”. E’ un’analisi errata e ingenua. La tivù NON E’ un fenomeno sociale! Non è la CONSEGUENZA di un male, ma una delle sue CAUSE. E’ un meccanismo autopoietico, che CREA società, relazioni, modelli. Non li RAPPRESENTA, non RENDE CONTO, ma MODELLIZZA. E’ cedere a un ricatto sottilissimo e madornale pensare che BISOGNA tenere d’occhio la società attraverso la tivù. Posso essere d’accordo fino a un certo punto: bisogna tenere d’occhio CHE COSA, attraverso la tivù, SI vuole che la società sia. E questo soggetto impersonale, “si”, è il capitalismo, Berlusconi, ecc., ma anche la tivù stessa che autoproduce e autoseleziona alcuni lògoi al posto di altri per motivi del tutto autoreferenziali (audience, pubblicità, ecc.). Ma mi pare che anche tu sia d’accordo su questo, in sostanza quando altrove dici che la tivu “forgia” e fa vincere le elezioni, dici la stessa cosa. Ti rimando comunque all’analisi di Piotti e Senaldi (“Lo spirito e gli ultracorpi”, Franco Angeli) su come il Grande Altro (il potere simbolico, cioè istituzionale, efffettivo), con la tivù, sia diventato Più Grande Altro inglobando i Piccoli Sé sociali individuali…

    4) Lo sforzo di scardinare un tale meccanismo è talmente grande che non basta una vita, non basta una persona (non basta nemmeno il titanico Dario Fo). Io, nel mio minimo, per igiene personale spirituale, MI RIFIUTO di avere in casa un ordigno simile, e spero che il mio comportamento sia di esempio. Miglioro il mondo? Intanto miglioro me stesso. Perché lo faccio? Perché passerei le ore a intossicarmi, felice e divertito! Perché sono un proletario intellettuale anch’io! Perché dentro di me, come dentro tutti noi, ci sono i personaggi di Aldo Nove che, irresistibilmente, si fanno forgiare dagli stuzzichini televisivi piacevoli, dalle pubblicità, dai personaggetti, dalle canzoncine, e si affezionano allo schifo! Mi è successo talmente tante volte, per così tanti anni, fin da quando ero bambino, che a un certo punto non ne ho potuto più.

    5) Benissimo Carmelo Bene, ma che prezzo hanno avuto cinque minuti di poesia? Quanti secoli di Pippo Baudo, Emilio Fede, Raffaella Carrà, Maria De Filippi, Alda D’Eusanio, Aldo Biscardi, Toto Cutugno, Ezio Greggio, Mara Venier, Clemente Mimun ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. sono costati cinque minuti di Folgore da San Gimignano?

    6) Sono io che trovo GRAVE che tu e Elio vi permettiate di trovare grave che uno scrittore non abbia la tivù. Con tutte le vostre garbatissime e sottili analisi, siete di fatto agenti della televisione, emissari dello Schifo, ideologi totalitari in panni eleganti e modi beneducati. Siete ultracorpi posseduti dalla tivù anche voi, e LAVORATE per lei. Ritenete che viga il TeleModello Unico, di Vita e di Scrittura, e di ScritturaVita. Siamo arrivati al punto che uno scrittore, se vuole essere tale, DEVE avere la tivù, altrimenti la cosa è GRAVE. Pensateci bene, vi prego. Non vi sembra MOSTRUOSO?

    7) Naturalmente lo dico in pace e amicizia, i toni polemici sono circoscritti alla polemica stessa. Un saluto carissimo, un abbraccio umano extratelevisivo e un grazie di cuore degli interventi.

  19. Massimiliano, piano con l’Ottocento. Nell’Ottocento per esempio c’era Mark Twain che girava gli Stati Uniti a fare letture pubbliche affollatissime. Ancora oggi gli audiobooks realizzati leggendo i suoi libri sono in testa alle classifiche di Amazon, perché probabilmente la sua frase collaudata in pubblico mantiene una forza ritmica intatta all’ascolto. Non è una critica a te. E’ solo un invito a non appellarsi a un passato inesistente, diverso (o “migliore”) per scelte individuali rispettabilissime, ma che andrebbero fondate su se stesse o su motivi argomentabili. Un caro saluto anche a te

  20. Ovviamente io non paragonavo il rifiuto della TV con quello dell’automobile, o della carne o che ne so. Io non paragonavo un bel niente. Parlavo di “esemplarità” che si oppongono senza imporre. Senza poi dire: “io, solo io, ho ragione. E’ grave, gravissimo, quello che fai tu.” (avere la TV, non avere la TV; andare in TV, non andare in TV).

    “Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.” (Pasolini, Scritti Corsari)

    Noi siamo i figli della post omologazione. Allora, io dico, usando le parole di Scarpa: abbiamo questo mezzo? (Scarpa, il mese scorso, parlava della lingua italiana in rapporto con la tv): “Il costo è stato altissimo, però, voglio dire, se io compro un panino a dieci milioni, non è che, perché l’ho pagato dieci milioni, lo butto via: almeno questo panino, l’unica cosa buona che mi è venuta da questi dieci milioni, lo mangio, no?”
    La Tv esiste, giusto? E’ possibile che la si debba lasciare in mano a tali e tanti mostri? Siamo sicuri che non si può fare un’altra TV?

    Io, d’altra parte, “M” o “Freaks” in TV li ho visti, mica al cinema…
    Avevo un amico che la TV non la possedeva (era un proibizionista accanito). Ogni volta che veniva in casa mia passava tutto il tempo a guardarsi tutta la merda più incredibile, monopolizzando il telecomando. L’unico modo per disintossicarsi è stato “liberalizzare la tv”. Alla fine sua moglie l’ha comprata. Averla in casa lo ha rilassato, nel tempo ha iniziato a guardarla sempre meno. Ora che ha persino il satellite e potrebbe vedere tutto il mondo, passa le serate a leggere.

    Ciaociao, Gianni

  21. Biondillo, lei mi ha fatto morir dal ridere! La storia del suo amico, voglio dire. E’ un approccio che condivido in pieno. Anch’io guardo la tivu con moderazione, anch’io ho visto Freaks M ecc. da Ghezzi e ho riempito videocassette di film di tutti i generi. Ho scoperto registi incredibili, non sto qui a citarli. Per il resto passo anch’io, come il suo amico, le serate a leggere. E a drogarmi…
    (Scherzo).

  22. Gianni, sono d’accordo con te ma ti chiedo: come è possibile fare un’altra TV, quando i programmi che citi passano in orari per insonni o lavoratori notturni, quando personaggi scomodi vengono esiliati perchè infastidiscono, quamdo scatta la censura, quando un Biagi viene “licenziato”? Qualcuno ha detto che la TV rappresenta la realtà sociale. Quale realtà? Quella che vedo in TV non è la mia realtà e neppure quella dell’ambiente in cui vivo. Questa è una querelle molto antica: la TV è effetto o causa? Ognuno aderisce a scuole di pensiero con cui si riconosce; di fatto, come persona libera, ho il potere di spegnerla o di non possederla. Per fortuna.
    Un abbraccio

  23. Gabriella,
    quello che dico io non esclude quello che dici tu, ovviamente.
    Ti riabbraccio, Gianni

  24. scusate se intervengo rozzamente ma, sembra, si confondi il medium col messaggio per usare un bleso slogan (semplificante della complessita del pensiero macluhaniano). Ma a) Televisione= elettrodomestico atto a convertire segnali elettronici in immagini. Interfaccia di output di altre apparecchiature come dvd, vhs, fotocamere, console, satelliti ecc… b) Televisione= agente dello Schifo, sineddoche di fedecarràgrandefratelli ecc..
    Ora a me pare chiaro che a è diverso da b. e mentre di b faccio facilmente a meno, rinunciare ad a sarebbe sacrifico di gran lunga superiore agli ipotetici benefici. Mi sembra come rinunciare al computer perchè in polemica con internet: il mio odio per internet può essere giusto o sbagliato ma come potrei rinunciare, solo per tirarmi fuori dalla rete, a tutto il resto che un computer fa? e word? e il montaggio video? e excel? e gli mp3? e i vg?
    detto questo e contraddicendomi clamorosametne devo però dare ragione a scarpa. Da un punto di vista strettamente personale: anch’io se volessi rinunciare alla tv (ver. b) dovrei per forza rinunciare anche alla tv (ver. a) per una sorta di coatto autocontrollo. Non puoi semplicemente dire ad un eroinomane di non farsi più e poi lasciargli la droga nell’armadietto delle medicine. Per chi come me (e a quanto dice anche scarpa) la tv ce l’ha conficcata nell’inconscio non è facile uscirne…

  25. Non ci credo, non può essere Tiziano Scarpa a usare termini come Ordigno, Schifo. Oppure non era Tiziano quello che sulla televisione rimbeccava Consolo tempo fa (quello citato da Gianni).

    Potrebbe essere Tiziano l’autore di:

    “Sulla “cartina di tornasole” avrei molto da dire, come su “E poiché la nostra società è malata, ergo la tv è quello che è”. E’ un’analisi errata e ingenua. La tivù NON E’ un fenomeno sociale! Non è la CONSEGUENZA di un male, ma una delle sue CAUSE. E’ un meccanismo autopoietico, che CREA società, relazioni, modelli. Non li RAPPRESENTA, non RENDE CONTO, ma MODELLIZZA.”

    A questo Tiziano vorrei dire che TUTTE E DUE le analisi sono “errate e ingenue”. Né conseguenza, né causa: SPECCHIO. La televisione è uno specchio. Non della realtà, naturalmente, ma dell’immaginario delle persone, dei loro gusti, delle loro perversioni, dei loro esorcismi. La televisione generalista è il più DEMOCRATICO dei media. E’ FATTA dalla gente, ancor più della PAY, checché ne dicano i reverendi sociologi citati. E’ una gigantesca opera collettiva popolare.
    Ma è un discorso troppo lungo. Poi, magari, lo facciamo

    Sul non possederla: i toni da vade retro mi fanno pensare a un posseduto, o a un ex-posseduto di recente conversione. Io, che ne sono veramente fuori, non la accendo neanche un minuto per almeno tre mesi all’anno. Tu e Angeli farete la fine dell’amico di Moretti in Caro Diario.

  26. io la fine dell’amico di moretti l’ho già fatta, senza però lo snobismo di partenza :-)). l’ultima parte del mio post era assolutamente ipotetica (SE volessi disintossicarmi dalla tv ALLORA dovrei liberarmi dell’apparecchio) dato che non ho assolutamente intenzione di liberarmene, ma anzi perseguo l’ideale di fondermi -in una sorta di estasi parabuddhistica -con la natura. in questo caso con la natura artificiale del paesaggio mediatico. ATTENZIONE: Bambini non fatelo a casa!

  27. Caro Scarpa, in linea teorica non mi spiace il suo massimalismo, ma su alcune cose non convengo.
    Io e Paoloni saremmo “agenti della televisione, emissari dello Schifo, ideologi totalitari in panni eleganti e modi beneducati” nonché “ultracorpi posseduti dalla tivù anche voi, e LAVORATE per lei. Ritenete che viga il TeleModello Unico, di Vita e di Scrittura, e di ScritturaVita.” Mai detto questo. La tv, specie nostrana, è di pessima qualità (e ripeto: la sbircio soltanto, non guardo quasi niente), ma rinunciare ad osservarla è, secondo me, da reazionari. Prenda Chomsky: forse nessuno più di lui disprezza la tv, nessuno più di lui coglie il sistema totalitario e ideologizzante dei media (e stiamo parlando della tv americana, certamente migliore e più pluralista della nostra), eppure egli non rinuncia ad averla, a guardarla, analizzarla e sviscerarne i perversi meccanismi…
    Busi, qualche anno fa, denunciava – in tv! – che in Italia non ci sono più giornali di sinistra, che sono tutti di destra, che il giornalismo italiano fa schifo. Forse per questo Busi non legge i giornali? Perciò parlo di atteggiamento cataro, cioè di chi dice: questo è il Male e non voglio averci niente a che fare. Ma il Male va guardato in faccia, conosciuto… L’esempio di Biondillo, in questo caso, è illuminante: chi non ha la tv è meno critico e vaccinato contro di essa di chi invece la guarda – ovvio, con senso critico – e sviluppa un anche minimo sistema immunitario…
    Quanto al rapporto tv-società, è ovvio che i nostri discorsi di quattro righe e metaforizzanti sono riduttivi, mutili, banalizzanti, ingenui: la tv come cartina al tornasole, come causa della società, come specchio… E’ chiaro che la tv è tutto questo e altro… Ma su una cosa, mi sembra, che tutti siamo d’accordo, cioè sull’esistenza di un rapporto società-tv. Se questo rapporto esiste, sia esso di causa-effetto o effetto-causa o rispecchiamento o altro, mi sembra – ripeto – MOLTO GRAVE non avere la tv, non dal punto di vista dello scrittore, ma dell’intellettuale, che è chiamato alla responsabilità di conoscere e indagare la propria società, anche nei suoi elementi negativi. Faccio un esempio concreto: Roberto Saviano. Lui scrive della camorra e della poco o male conosciuta situazione meridionale. Non è forse importante che egli veda che, in tv, cioè nel maggiore strumento di comunicazione di massa, non se ne dice niente e quindi la popolazione non ne sa niente? non è forse importante che egli veda che, quando se ne parla in tv, il tema “camorra” è trattato in maniera estremamente superficiale, dilettantistico, con discorsi infarciti di luoghi comuni e futili slogan, e che questo è quello che ne sa la maggioranza (e come potrebbe combattere contro visioni superficiali e luoghi comuni se non li vedesse e conoscesse?)? e non è forse importante, per la sua stessa conoscenza e analisi della camorra, che egli veda la promozione degli ideali borghesi e consumistici che, come denunciava anni fa già Pasolini, creano un modello di riferimento per le classi subalterne che, nella sua irraggiungibilità o difficile raggiungibilità, crea nevrosi e cioè l’humus naturale per il diffondersi della tossicodipendenza, che la camorra gestisce? e non è importante che veda l’edonismo consumistico promosso dalla tv, che è una delle cause del reclutamento mafioso dei giovani, disposti a rubare e spacciare e taglieggiare per comprarsi il cellulare, le nike, la play-station ecc.? dica, caro Scarpa, non è importante? oppure sostiene che Roberto Saviano, guardando la tv, sarebbe vittima e complice dello Schifo televisivo? non ha egli, in quanto intellettuale, il dovere di sapere cosa succede nel più potente strumento di comunicazione, in quale modo esso rappresenti e in quale modo esso influenzi quello che avviene nella società?

  28. Ma no, ma no… Della tivù sappiamo già TUTTO. Finché non cambia radicalmente l’abbiamo GIA’ vista. Al limite, per sapere che cosa succede in tivù basta leggere i resoconti sui giornali e immaginare. basta rubacchiarne mezz’ora alla settimana (l’ho pur detto che la guardo, seppure a spizzichi occasionali! Ho detto che NON POSSIEDO UN TELEVISORE!)

    “Non potrai mai dire di averla vista tutta” è una delle frasi ricorrenti e più acute di Ghezzi sulla televisione. Esempio: la famosa puntata in cui Platinette e la Pivetti mostravano l’intervento chirurgico estetico grandguignolesco in “diretta”. Io ho visto la parte più moscia della puntata,. mi sono stufato e ho spento, ho mancato “l’evento” per un soffio, l’epifania di uno degli eventi televisivi recenti che contano… E come me moltissimi telespettatori che erano su un altro canale. E allora, che cosa significa “guardare la tivù”? In quel caso chi era su un altro canale con trasmissioni di ordinaria amministrazione è come se quella sera NON avesse guardato la tivù…! Io non mi sono sentito deprivato di qualcosa: ho letto i resoconti dei giornali scandalizzati per gli schizzi di sangue, ho incrociato un po’ di Blob, tanto mi basta… ORMAI sappiamo già tutto. La lezioncina non la accetto, per interposto Roberto Saviano. Non la accetto a nome degli intellettuali (presuntuosamente), Gli intellettuali, se sono veramente tali, lo SANNO che cosa va tenuto d’occhio e che cosa va studiato, e che cosa è stato già studiato e capito e non merita di far perdere altro tempo. Mi spiace, ma io lo so. Il resto è attardarsi sulle fregnacce, le lezioncine su cosa dovrebbe fare l’intellettuale (pfui! Come la formazione della nazionale), le battute sul personaggio di Moretti, vecchie come il cucco… Anch’io sono GIA’ stato come quel personaggio lì, non lo diventerò, non c’è pericolo. Le cretinate sui neoconvertiti… Luoghi comuni, ragazzi, luoghi comuni… fate lavorare il cervello, che ce l’avete sopraffino. QUESTA tivù l’abbiamo sviscerata fino allo sfinimento, e ci ha sfiniti ed eviscerati. Non abbiamo più nulla da imparare da questo catorcio di Medusa. E poi comunque i guarrdiani della tivù ci sono già: tutti la monitorano, fanno statistiche, contano i minuti di apparizione dei politici. Esiste anche una divisione del lavoro, o no? Io ammiro Marco Travaglio che si mette via tutti i ritagli stampa delle dichiarazioni di Berlusconi. Lo fa bene, benissimo. Devo farlo anch’io? Tutta l’Italia è ipnotizzata dalla tivù, metà per divertirsi, metà per parlarne male, e un uno per cento per fare la lezioncina agli intellettuali. Devo farmi ipnotizzare anch’io, cari i miei normalizzatori totalitari omogeneizzanti agenti del pantelevisismo armati di garbati e ragionevoli argomenti pro intellettualismo consapevole e aggiornato? No grazie!

  29. A scanso di equivoci; non mi sognerei mai di decretare che gli scrittori DEBBANO fare tv. Ho solo capovolto un esortazionme ventilata al “dovere” di evitare le apparizioni.
    Gli scrittori scrivano, ovvio. Se hanno doti vocali leggano dai palchi. Se hanno doti da showman, come Nori, leggano e facciano pure un pensierino alla TV.
    Se un uomo di genio (qui non parlano solo scrittori, no?) è in grado di creare programmi come Passepartout o l’ultimo programma di Albanese, in tv ci deve andare.

  30. La tv non l’accendo quasi mai, ho questa abitudine da quando compro un sacco di libri (di letteratura e letteratura disegnata) e ci trovo dentro una buona parte dell’immaginario di cui ho bisogno per essere felice (mentre la tv è una noia mortale). Sopra la tv ho messo anche un’anatra di plastica per rendere meno triste(è un richiamo per cacciatori) il mobile, che mi tocca tenere per vedere i film in cassetta. L’altra parte di immaginario la trovo guardando le cose direttamente, tipo ho una pianta tropiacale che fa un fiore curioso, è una specie di spatola dentellata, da ogni dente esce un fiore viola, ne esce uno per volta quando pare alla pianta, alla fine sembra un film. Spero di aver reso l’idea.
    Ma questa notte, alle 0.40, accenderò l’anatra, cioè la tv, sui rai due, per vedere un programma che si chiama Mizar (mi pare), perché in quel programma intervisteranno Moresco.

  31. In ritardo, comprendo: Tiziano si sta caricando per un’opera, sta coltivando la paranoia per alti scopi e, come gli attori portano nella vita i caratteracci del film che stanno interpretando, continua, anche tra gli amici, a scorgere virus, complotti e maligne presenze. Si allena, insomma. E però scardina certezze: Gianni, siamo sicuri che sotto la tua aria pacioccona non si nasconda un pericoloso emissario della Banda Nova?

  32. Una premessa per chiarire le mie condizioni personali, da cui scaturisce la mia visione della tv: io guardo la tv pochissimo e quasi per niente (ad es. negli ultimi due giorni l’ho vista solo cinque minuti, un pezzettino di tg mentre pranzavo, la notizia dell’approvazione della devolution, tutto qui…), non vedo quasi nulla, non seguo mai il calcio (ritengo, con Chomsky, che sia uno sfogatoio sociale per dirottare dalla politica l’interesse, le passioni e i discorsi della gente), disprezzo e non guardo mai i varietà, i talk show, i quiz, i reality-show, non seguo la finta satira di Striscia e Le iene ecc. Ritengo, con Scarpa, che la tv “snaturi” messaggi e contenuti e sia estremamente omologante. E come Scarpa avverto il senso di esilio di chi non guarda la tv: discorsi, opinioni, battute… a volte mi capita di non capire il senso di una frase o di un motto di spirito solo perché fa riferimento a un programma o a una pubblicità televisiva… Inoltre, come ho scritto altrove, ho la stessa pessima opinione dei giornali: trovo che l’Espresso, ad esempio, non possa dirsi un giornale di sinistra, se pubblica un articolo di Bocca contro Murdoch e Sky e lo fa seguire, nelle pagine subito attigue, da due paginoni consecutivi di pubblicità di Sky (e sappiamo tutti che la dislocazione delle pagine pubblicitarie, in una rivista, non è mai casuale). Trovo orribili, nella tv e nei giornali, anche queste piccole cose, meschinità, compromessi, utilitarismi, paradossi o controsensi appena percettibili…
    Ma detto questo:

    1) trovo che il fenomeno tv sia importantissimo nella nostra società e vada analizzato e compreso fino in fondo. Per questo mi leggo, oltre a Pasolini, Chomsky e altri intellettuali che dicono cose interessantissime sulla questione (e poi vado a verificare certe argomentazioni e intuizioni sbirciando la tv). E per questo non condivido Scarpa quando afferma: “Ma no, ma no… Della tivù sappiamo già TUTTO”. Perché non è vero. E non lo condivido neanche quando sostiene che “comunque i guardiani della tivù ci sono già: tutti la monitorano, fanno statistiche, contano i minuti di apparizione dei politici”. Non confonderà, caro Scarpa, la statistica con l’analisi sociologica? Non vorrà mettere sullo stesso piano Klaus Davi e Karl Popper, vero?

    2) Non voglio fare la “lezioncina” agli intellettuali, né stilare un elenco di ciò che un intellettuale è o non è o di ciò che un intellettuale deve fare o non fare. Ma perché non si può fare un discorso sugli intellettuali, che subito uno se ne risente? E poi, chi è il presuntuoso, chi dice:”Forse, come intellettuali, dovreste seguirla la tv, dal momento che influenza così fortemente la società” o chi afferma: “ORMAI sappiamo già tutto. […] Gli intellettuali, se sono veramente tali, lo SANNO che cosa va tenuto d’occhio e che cosa va studiato, e che cosa è stato già studiato e capito e non merita di far perdere altro tempo.” Ecco, il punto è proprio questo: secondo me, la tv, che ha appena cinquant’anni e che di continuo si rinnova internamente, non è stata ancora DEL TUTTO studiata e capita tanto da “non meritare di far perdere altro tempo”. Ma soprattutto, caro Scarpa, io metto l’accento sull’analisi socio-antropologica, che ritengo molto importante e che, ne converrà, non può prescindere da uno studio e una conoscenza approfonditi del fenomeno televisivo. Magari lei, come intellettuale, predilige un approccio storico o politico o filosofico ecc. alla analisi della società: ben venga! Io, invece, sono un accanito pasoliniano: ritengo che la cronaca sia più importante della storia, che sia fontamentale l’analisi socio-antropologica del nostro tempo per comprenderlo appieno, e questa analisi passa anche per il non mai troppo studiato e compreso fenomeno televisivo. Ad es., Pasolini, partendo dalla pubblicità di un paio di jeans che sfruttava e snaturava l’immagine di Cristo, deduceva profeticamente la vittoria della nuova religione, quella dell’edonismo consumistico, sul cristianesimo e la Chiesa. Oppure: Wolf, nell’incipit del suo libro “In difesa dell’anarchia”, osserva come, attraverso la tv e il cinema, abbia trovato sempre più diffusione nonché simpatia presso il pubblico l’immagine dell’anarchico (da Robin Hood a Lupin, al poliziotto che fa di testa sua contro il collega che segue pedissequamente e goffamente regole e procedure ecc.). Ecco, io trovo che la tv vada studiata (non amata, approvata, seguita con strenua partecipazione ecc.) perché – causa, effetto, specchio, cartina al tornasole e altro della società – ci offre la possibilità di importanti analisi o intuizioni sul nostro tempo. Con questo fine – e quindi con estremo senso critico – converrà, caro Scarpa, che un intellettuale possa e anzi debba guardarla (e dunque possederla)…

    3) Infine, lei dice di non possedere la tv per scelta, una scelta dichiarata ed esibita come modello negativo paradigmatico: lei vuol dimostrare col suo esempio che, della tv, si può fare a meno. Bene. Ma quando le si obietta che, in una società mediatica come la nostra, non avere neanche una minima idea di quello che avviene in tv è molto grave, lei è pronto a rettificare che, in fondo, ne segue gli echi su giornali e web e che, ora in albergo ora in bar ora a casa di amici, una mezz’oretta alla settimana la guarda, giusto per farsi l’idea. Dunque, lei segue la tv, anche se indirettamente, e in minima parte la guarda anche. Ma non dimostra così che anche un irriducibile come lei non ne può fare a meno (ripeto, non di apprezzarla, ma di seguire quanto vi accade al livello sociale)? E che differenza passa tra lei che non la possiede ma la segue su giornali e web e la guarda una mezz’oretta alla settimana e chi la possiede ma, come lei, la guarda pochissimo (vedi il sottoscritto, l’amico di Biondillo, Andrea Barbieri ecc.)? Dunque averla o non averla, la tv, pur guardandola con lo stesso spirito e nelle stesse dosi, segna la differenza tra uomini liberi (Tiziano Scarpa) e “agenti della televisione” (Paoloni, il sottoscritto e tanti altri)?

    4) Ma, in fondo, un’altra volta ci troviamo a controbattere dicendo, pur con diverse sfumature, le stesse cose. In fondo lei dichiara ammirazione per Fo, Busi, Travaglio e quanti, in maniera riformistica o rivoluzionaria, “usano” la televisione e i media (“Busi le palle le ha, è reattivo, ha la battuta pronta. La prontezza di spirito è essenziale in tivù. Con quella forse ci si può incuneare anche in trasmissioni orrende e disseminare una parola intensa che magari apre gli occhi a qualcuno. Chi riesce a farlo ha tutta la mia ammirazione”; “Io ammiro Marco Travaglio che si mette via tutti i ritagli stampa delle dichiarazioni di Berlusconi. Lo fa bene, benissimo. Devo farlo anch’io?”; “Gli scrittori non sono attori con il talento di Dario Fo. Non si può pretendere che abbiano la forza di rivoluzionare la comunicazione con la loro presenza scenica. Gli scrittori scrivono.” – riguardo quest’ultima affermazione, posso farle il nome di un non-attore ma scrittore-giornalista che, come Fo, si è impegnato nell’impresa di dar vita a una televisione alternativa: Giulietto Chiesa –).

    5) Morale della favola: la televisione la si guardi poco (le cose migliori, che pure ci sono), senza affezione e con spirito critico (averla o non averla, sbirciarla in casa propria o d’amici, è irrilevante), e se si ha il carattere, la volontà e la capacità di comparirvi per usarla, scassinarne qualche perversa logica dall’interno, proporre alternative, ben venga.

    Un saluto amichevole a Scarpa e a tutti gli altri.

  33. Cari amici, grazie per gli interventi, spiritosi (Paoloni) e come sempre equilibrati e molto attenti alle ragioni degli altri (Malatesta). Io dico solo che di QUESTA tivù così com’è ADESSO sappiamo già tutto. Non possedere un televisore è un mio atto simbolico (ma anche pratico) di ribellismo. Se ci pensate, per un motivo o per l’altro (o per essere informati, o per capire le battute a cena, o perché si è analfabeti di ritorno e non si leggono i giornali, o perché si è poveri e non si hanno soldi per andare al cinema leggere un libro andare a teatro, o perché si è intellettuali che devono studiare la società), alla fine il risultato è inquietantemente TOTALITARIO: per il tuo BENE devi avere in casa un televisore. Questa è l’essenza del totalitarismo nella sua espressione più pura, pensateci. Non vi do dei complottisti o dei malintenzionati, vi chiedo amichevolmente se per caso non avete introiettato un diktat, senza accorgerne, e magari con le migliori intenzioni lo riproponete agli altri (in questo senso vi ho dato degli “agenti” della tivù…). Ma scusate se ho esagerato in maniera spero anche un po’ comica (nel senso che procura allegria) nei toni. Un saluto caro, come sempre.

  34. Se io sono un’agente della televisione, la televisione sta fresca.
    Comunque siete proprio algidi, nemmeno una parola su quello che sarà credo l’esordio televisivo di Moresco.

    p.s. a Tiziano lo registro io dài, che se no va a svegliare Genna all’una di notte :-)

  35. Qui spira aria di affettuosità… Moresco starò sveglio per vederlo. Però ora voglio regalarvi una famosa battuta tratta da un famoso film:

    (Chissà se quel personaggio guardava la televisione)

    “Cosa hai fatto in tutti questi anni?”
    “Sono andato a letto presto”.

  36. ma non si parlava di scrittori che vanno in televisione? adesso si è finiti a parlare della televisione che va nelle case degli scrittori. (a a casa di scarpa c’è sempre la porta chiusa, sbarrata).

  37. Beh, ora torniamo a parlare di scrittori che vanno in televisione. Ho appena visto l’intervista a Moresco a Mizar. Che dire? Moresco è un puro, dice quello che pensa con il modo schivo che lo caratterizza da sempre. Scrivere è fiamma, ha detto. Qualcuno in una delle discussioni sulla scrittura chiedeva perché si scrive, ecco una risposta. In quella frase c’è tutto un mondo.

  38. don, le nostre case sono talmente sbarrate che tu entri qui quando ti pare, e sei molto benvenuto

  39. Busi è uno dei miei autori preferiti e guardo il Maurizio Costanzo solo quando c’è lui. Questa inizitiva mi sembra bellissima e spero che possa essere ripresa da scrittori volenterosi e appassionati di lettura in tutta Italia.

  40. Caro Scarpa,

    capisco. Effettivamente, a chi cerchi di vivere senza la tv, ritenendolo un apparecchio totalitario, e si senta dire, a destra e a manca, per un motivo o per l’altro, che la tv non può non averla, è facile gioco affermare: come volevasi dimostrare… Sì, c’è puzza di totalitarismo, capisco…
    Ma naturalmente, in questo senso, il totalitarismo è anche del computer, del telefono, del frigo, della lavatrice ecc. (non lo dico con ironia).
    Apprezzo il suo gesto di “ribellismo” (anche se gli preferisco la “ribellione” effettiva di un Giulietto Chiesa o un Dario Fo – ma anche qui lei non ha del tutto torto, non tutti gli uomini di palco o di penna sono capaci di simili imprese-).
    Il mio punto di vista voleva essere non comune, privilegiato, “intellettuale” (se mi passa la parola). E’ come – mi consenta la metafora – se la tv fosse un corpo nudo di donna, che induce alla libidine, al peccato, al male… Lei, da buon puritano, da “cataro”, ha ragione ad affermare: non voglio guardarlo, non voglio esserne corrotto! Ma si dà il caso che io voglia fare il ginecologo e il corpo nudo, capirà, per i miei fini non solo “posso” ma “devo” guardarlo. Ma lei non vuole avere sulle cose, anche negative, uno sguardo scientifico, “ginecologico”?
    Insomma, se si vuole “studiare” la tv, cioè monitorarne sia i perversi meccanismi che la nefasta portata sociale, si “deve” possederla e guardarla (e poi riferire, riferire…), se invece si vuole solo “guardare” la tv, guardare per guardarla, allora sì, si segua l’esempio di Scarpa, o si faccia come in quel film di Tornatore: si mettano dei panni colorati in lavatrice, si accenda e, quando i colori iniziano a mulinare nell’oblò, ci si sieda a guardare, sì, meglio guardare là…

  41. Premessa: non vivo in Italia da sei anni, e all’estero dell’Italia si parla e si scrive ben poco, giusto quando Berlusconi scandalizza mezzo mondo con un’altra delle sue battute (eppure, non ci abitueremo mai, quell’uomo continua a sorprenderci, e – questo mi fa incazzare veramente – accanto a lui tutti i nostri mostri locali sembrano meno mostruosi) oppure quando intere regioni italiane vengono devastate da un’alluvione o da un terremoto, o quando ci scappa qualcosa tipo G8 a Genova. Per il resto, l’Italia è un paese inesistente, e non riesco a capire se questo sia un bene o un male.

    Continuo invece a seguire da lontano un’altra Italia: quella dei libri e dei siti come NI. E in quel campo cerco punti di contatto con altre realtà che conosco. Ce ne sono, ma si nota inevitabilmente una differenza importante che rende specifica la situazione italiana: pochi sono i paesi dove la televisione ha un impatto così forte sulla realtà sociale e culturale.

    Da qui probabilmente l’imperativo cui si è voluto sottoporre gli scrittori: dovete andare in TV, dovete vedere la TV – altrimenti non esistete (semplifico, ovviamente). E da qui le lodi agli scrittori che ci riescono, che usano la televisione in modo intelligente e alle volte addirittura sovversivo. Benissimo. Buon per loro, e ancora meglio per tutte quelle teste di rapa davanti al teleschermo, che si ritrovano a guardare (magari anche ad ascoltare) un Aldo Busi, un Carmelo Bene, se non per altro per inerzia, perché il telecommando è rimasto managgia su uno scaffale troppo lontano, e chi va ad alzarsi per acchiapparlo, fa troppa fatica…

    Ma cosa ne sarà degli scrittori che in TV invece non ci vanno? Quali conseguenze subiranno gli scrittori bravi a scrivere, ma così deludenti davanti alle telecamere? Quelli dalla battuta pronta quando si tratta di battere sulla tastiera, e così lenti invece quando si tratta di rispondere a un Maurizio Costanzo?

    Temo che le conseguenze siano gravi, e concordo con Scarpa quando dice che il rapporto causa-effetto va ribaltato, perché la TV non è mero specchio della realtà bensì una forza attiva che produce effetti devastanti sulla realtà – e qui intendo parlare anzitutto della realtà letteraria.

    Esempio n. 1 (estero): l’attrice W va in TV con un talk-show settimanale, poi ne fa un libro. Il libro fa schifo, ma l’attrice W, grazie al talk-show televisivo, è un’icona della “cultura” nazionale e nonostante tutte le stroncature dei critici letterari il suo libro si vende in decine di migliaia di copie. Poco a poco, a colpi di tirature strabilianti, l’attrice W – ormai anche scrittrice – viene presa sul serio anche dalla critica: insomma, non facciamo gli snob, forse non è una grande scrittrice, ma se vende tanto è un vero fenomeno letterario e non possiamo chiudere gli occhi e far finta di non accorgercene, dobbiamo occuparci anche di fenomeni letterari, dobbiamo tener conto anche della ricezione di un’opera, anche questo in un senso o nell’altro fa parte della letteratura… Ovviamente, dei libri dell’attrice-scrittrice W si scrive anche su riviste che di solito alle novità librarie non dedicano nemmeno una riga.

    Esempio n. 2 (estero): lo scrittore X, non troppo bravo ma nemmeno da buttare via, scrive libricini divertenti (ma niente di più), ai critici letterari del paese all’inizio non fa né caldo né freddo, recensiscono i suoi libri senza entusiasmo, così, giusto per riportare la notizia… Ma lo scrittore X è una vera belva mediatica, è onnipresente, è divertente, ogni sua apparizione in TV mi fa pensare “Ma perché non scrive così, che peccato, è tanto bravo a fare letteratura orale” (lungi da essere un Omero, però). E, ovviamente, vende. Diventa un fenomeno letterario. Le recensioni sono pur sempre piuttosto fredde, ma ci sono, su ogni quotidiano, su ogni rivista, la pubblicazione del nuovo romanzo di X viene annunciata nel telegiornale.

    Esempio n. 3 (estero): lo scrittore Y, bravissimo, ha anche la battuta sempre pronta, s’improvvisa tuttologo con una facilità che fa invidia, e riesce pure a dire sempre qualcosa di intelligente, su qualsiasi argomento. Vendeva bene da sempre, ma da quando è in TV una settimana sì e una no, da quando tiene una rubrica su diverse riviste tipo Cosmopolitan o versione locale dell’Espresso, si moltiplicano le ristampe delle sue opere giovanili, ogni suo libro nuovo è destinato a diventare bestseller nel giro di poche settimane. E anche il suo nuovo libro è una notizia degna del telegiornale.

    Esempio n. 4 (estero): lo scrittore Z, bravissimo quanto lo scrittore Y, anzi più bravo di Y, è invece un tipo schivo e taciturno. Non scrive per i giornali, non rilascia interviste – o non gliele chiedono, men che meno va in TV. Di un tipo così noioso (parla sempre e quasi esclusivamente di letteratura), cosa se ne fanno in TV? È contento se riesce a vendere qualche migliaio di copie del suo ultimo libro, le ristampe se le può scordare. Osannato dai critici, ignorato dai media, e non solo dalla TV ma anche dai giornali e riviste non specializzate: perché il redattore delle pagine di cultura del maggiore quotidiano nazionale sa che la recensione del nuovo libro di W, X o Y farà vendere almeno qualche decina di copie del giornale in più, e quella del nuovo libro di Z no, perché Z è SOLO scrittore. A differenza dei suoi colleghi W, X e Y, che se la cavano benissimo con la sola pubblicazione di libri e pezzi per i giornali, lo scrittore Z continua a fare il suo umile lavoro di professore in un liceo.

    L’unico che perde è Z, ovviamente; gli altri tre, a prescindere dalla qualità della loro scrittura, ci guadagnano. L’assenza mediatica, che si tratti di una scelta o di una serie di circostanze che impediscono allo scrittore di presentarsi in TV (alle volte basta a crearle la sola posizione geografica: chi va a spostare tutta una equipe televisiva per un tipo bizzarro che non vuole trasferirsi nella capitale e rimane incollato alla tastiera del suo computer in un paesino sperduto della provincia fangosa?) – l’assenza mediatica si traduce in fin dei conti in assenza letteraria. Chi è abile a sfruttare i media (anche nel senso positivo), a prescindere dai meriti propriamente letterari, si garantisce una presenza anche come scrittore; chi non ce la fa, è destinato, nel migliore dei casi, a una posizione di autore cult per pochi eletti (ovvero ostinati). La presenza mediatica ha una diretta influenza sulle tirature, le tirature finiscono per influire sulla critica e, alla lunga, sulla memoria critica, che si traduce in enciclopedie, programmi scolastici, antologie… Temo che anche tra cento anni W, X e Y saranno più presenti e più letti di Z – e va bene per Y, passi anche per X, ma W… Temo che il chiasso mediatico che si forma intorno ai “fenomeni” letterari, grazie alla loro destrezza mediatica, produca effetti devastanti di lunga durata, per cui lo sfortunato Z non può più riporre le proprie speranze nemmeno nel giudizio disinteressato dei posteri, come si faceva una volta.

    E tutto questo succede non in Italia, ma in un paese molto meno “televisivo”, con una sviluppatissima rete di biblioteche e di bibliobus che una volta alla settimana raggiungono anche i villaggi più sperduti; in un paese dove nei mezzi pubblici di trasporto si vedono ancora persone che stanno leggendo un libro; ma il libro nelle mani del viaggiatore, inutile dire, è sempre più spesso dell’attrice W, quasi mai dello scrittore Z. Perciò anche le biblioteche e i bibliobus acquistano dieci copie del libro di W e una sola del libro di Z. Non basta che lo scrittore sappia scrivere: deve diventare un “intrattenitore” a tutto campo, deve essere brillante in ogni occasione, e se può vantare anche una bella presenza, tanto meglio. Se qualche Z osa poi alzare la voce, irritato dalla logica perversa dell’industria del divertimento, di cui anche la letteratura ormai sembra far parte, e se ha la fortuna di essere udito, viene tacciato come povero sfigato invidioso.

    E nell’Italia supertelevisiva, allora?

    P.S.
    Giusto per la statistica: ho attraversato un lungo periodo di astinenza totale dalla televisione, non possedevo un televisiore – 6 anni;
    poi, costretta a tornare a vivere dai miei, dove la TV è sempre accesa, ho subìto uno shock culturale, non sapevo più staccarmi dalla TV – 1 anno;
    tornata ad avere una casa propria, ho tranquillamente fatto a meno del televisore e non ne sentivo la mancanza – 2 anni;
    in occasione delle ultime Mondiali di calcio (ora devo sperare che Scarpa non legga mai questo post) ho acquistato un televisore, e adesso mi studio bene il programma prima di accenderlo, e spesso mi scordo di accenderlo anche quando c’è qualche trasmissione interessante che volevo vedere.

  42. Mi tocca qualche precisazione (come sempre: tra amore per le ellissi e il rispetto per interlocutori e astanti che mi induce a non infliggere ad altri quello che non vorrei fosse inflitto a me ? i post grattacielo – sforno condensati da premio Reader?s Digest. Vabbè, cazzate: la mia laconicità è pura pigrizia, vizio sempre punito perché non mettere subito i puntini sulle costringe a triplicare i post).

    Rischio dunque di passare per uno che vuol costringere gli scrittori

    1) a guardare la televisione (con le pinze alle palpebre come Mc Dowell)
    2) a comparire in televisione

    sul primo punto rimproveravo a Tiziano diverse cose. A un primo livello, tre cose in ordine di importanza:

    – privarsi del televisore come mero schermo per apparecchiature che ci permettono un nutrimento culturale tutt?altro che televisivo
    – privarsi del televisore come terminale di una parabola, pay o anche soltanto free, che rappresenta comunque un?esperienza diversa dalla televisione generalista (quella a cui si allude in tutti questi nostri discorsi). Dovrei dilungarmi sulle stimolazioni da parabola, dal Fo free all?esperienza sublime del lasciarsi ipnotizzare da una tv araba, ma siamo tutti antennuti (in senso metaforico), tutto è già ben noto. In Egitto ho visto parabole su case di fango senza tetto. Mi hanno rovinato le inquadrature, strappato al sogno da milleeunanotte del Nilo (e soprattutto dei suoi canali artificiali) ma non ho indugiato a lungo in rammarichi pasoliniani: quelle parabole portano il mondo a quella gente, anzi quella gente al mondo. Forse li imbastardirà ma non ci vantiamo, noi, di essere i più grandi bastardi dell?universo (nel senso di incrocio di sangue e culture)? Forse i loro sorrisi non saranno più splendenti come ne ?Il fiore? (per ora lo sono, lo sono ancora, lo sono davvero), ma li vogliamo inchiodare all?età della pietra, alla versione del mullah e del notabile locale, per poter andare a rapinare i loro sorrisi volando su tappeti Alpitour? Diamogli la versione di Murdoch: non può essere peggiore. Diamogli almeno Al Jazeera.
    – privarsi del televisore come strumento quotidiano della lercia televisione generalista che ogni tanto ci regala perle: Report, Paolini, Paolini in Report, anche solo Camera Cafè.

    Si può rispondere: io i film li guardo al cinema, su grande schermo, Paolini lo seguo a teatro e al multimediale accedo nelle mostre. Bene, cose da ricchi e, comunque, da cittadini. Il disprezzo per la tv è disprezzo per i poveracci che non possono andare in gita a Chiasso.

    Questi aspetti riguardano la persona Tiziano.

    Poi c?è lo scrittore Tiziano. Non uno scrittore come certi che conosco io (come me, per esempio, notoriamente un qualunquista concentrato sul suo ombelico). No, uno scrittore attento alla realtà, aperto al mondo, interessato alla politica, agli sconvolgimenti planetari, alla globalizzazione (qualsiasi cosa si voglia intendere con questo termine). Forse, semplicemente, uno scrittore d?oggi. Che stima Aldo Nove almeno quanto me. Aldo Nove, che non avrebbe potuto scrivere il suo capolavoro senza essersi ?fatto? di televisione.
    Ma abbiamo già dato, ci siamo fatti e poi disintossicati, bisogna andare oltre. Bene, andiamo oltre, neanche Aldo Nove è riuscito a replicare Woobinda.
    E poi la televisione capita di guardarla in altri posti, dice Tiziano. Bene, così va meglio, prima si era presentato come un cataro (dice ?., io direi talebano che c’azzecca di più). E tutto sommato continua, sostenendo che la televisione sia il Male (non ci crede davvero ma adesso gli va di dire così) e che dobbiamo tutti spegnerla. E qui dice bene ?.: a quando i cellulari e i pc portatili e la radio e il fax e il bisturi-laser e i fumetti e gli strumenti amplificati e le automobili?

    Io non dico che si DEBBA possedere il televisore. Se uno mi dice “ah, non ho mai trovato il tempo per procurarmela, bah, non l’ho portata con me nella nuova casa, guarda, preferisco spendere quegli euro per comprarmi un lettore mp3, tanto chi la guarda mai?” bene, questi sono atteggiamenti naturali, non snobistici. Ma trovo assurdo che ci si ponga il Problema. Che si dica “Non deve entrare in casa”. Conosco ragazzi traumatizzati da genitori puri e duri che gli negavano la televisione.

    Tiziano dice:

    Sul secondo punto, non ho sostenuto nulla di diverso da quello che sosteneva Tiziano tempo fa: boh, è lì, usiamola, se ci va , se ce la sentiamo, se siamo adatti. Chi ci va e riesce a usarla fa benissimo. Non mi si dica: no, perché comunque ci si prostituisce. E poi si snatura il pensiero, si tradisce la scrittura. Esiste dunque una veste “naturale” della poesia? Sì, l’oralità. E allora? Niente più scrittura, e niente stampa e niente WEB: la televisione è il posto giusto per riportare la poesia al suo alveo primigenio, alla sua purezza.
    Vedete, io me ne frego delle possibilità educative della TV. Non sono un operatore culturale, non mi occupo di questo. Che facciano pure tutto il defilippismo che gli pare. Ma che persone sensibili e attente e preoccupate e indignate come se ne trovano in queste riserve sappiano solo dire stolidamente “facciamoli saltare questi ordigni” beh, che coscienza civica sarebbe? Che intelligenza?

    SNJEZANA:

    – Ma cosa ne sarà degli scrittori che in TV invece non ci vanno?

    Quello che ne sarebbe stato se l’intero alfabeto non fosse passato in TV, cioè:

    – lo scrittore Z continua a fare il suo umile lavoro di professore in un liceo.

    Inoltre:

    – La presenza mediatica ha una diretta influenza sulle tirature, le tirature finiscono per influire sulla critica e, alla lunga, sulla memoria critica, che si traduce in enciclopedie, programmi scolastici, antologie… Temo che anche tra cento anni W, X e Y saranno più presenti e più letti di Z ? e va bene per Y, passi anche per X, ma W… per cui lo sfortunato Z non può più riporre le proprie speranze nemmeno nel giudizio disinteressato dei posteri, come si faceva una volta.

    Falso: chi si ricorda di Pitigrilli? e di tutti gli scrittori in voga cent’anni fa, i più celebrati, coloro che in mancanza di salotti televisivi, frequentavano i salotti in muratura e tappezzeria, o, ancor prima, le corti, dove la mancanza di spirito – di parlantina, come dice Tiziano – avrebbe lasciato nelle stalle persino Voltaire.

    – Si vedono ancora persone che stanno leggendo un libro; ma il libro nelle mani del viaggiatore, inutile dire, è sempre più spesso dell’attrice W, quasi mai dello scrittore Z.

    Meglio quelli che NESSUN libro, perché questa sarebbe l’alternativa.

  43. Elio, alcuni passi del tuo ultimo post mi hanno fatto morire dal ridere, lo dico con stima e simpatia e amore per l’ironia. L’analisi serbocroata di Snejzana l’ho trovata lucida e appassionata. Ma sono d’accordo con te su quel punto dove si citano i famosi W, Y, Z: chi si ricorda di Pitigrilli?…
    Basta andare in libreria: leggete Cocaina, Mammiferi di lusso, ecc. Lui si che ci sapeva fare anche senza la televisione! E dire che nei salotti, la televisione non c’era…
    Ma consntimi solo una critica: meglio NESSUN libro, che quello della W. La W vada in televisione al suo talk-show e non rompa i coglioni- indirettamente, si capisce- agli scrittori veri.
    Un saluto a tutti

  44. Ma che succede qui? Saltano lettere, apostrofi, trattini. Boh. Già non ci si capisce con l’ortografia a puntino.

  45. No, Franz, stiamo parlando del libro, sai, quell’oggetto in via di estinzione. Meglio un Panda rompicoglioni, con le gambe storte, che nessun Panda. Deve esistere un’industria perchè l’Arte possa infilarvicisi. Vale per le lettere, il cinema, la musica, ma soprattutto per la narrativa. Senza Neri Parenti non ci sarebbero sale, nè distributori, nè Cinecittà, nulla.

  46. Chi si ricorda di Pitigrilli? Evidentemente, se ne ricordano almeno due persone: Elio Paoloni e l’austroungarico/napoleonico Franz Krauspenhaar.
    (Scusa, Franz, non ho saputo resistere: trovo assurdo aver ancora a che fare con i mappamondo di 15 anni fa e con gli atlanti linguistici politicamente contraffatti nelle stanze dello Stato Maggiore dell’Armata Popolare Jugoslava.)

    Tirando in ballo tutti i Pitigrilli della storia della letteratura, si perde di vista proprio quello su cui volevo attirare l’attenzione, e che è un contesto mediatico radicalmente diverso da quello di cento o anche solo cinquant’anni fa. Sarà pur vero che in tutti e due i casi – salotti tappezzati e salotti televisivi – si tratta di forme di comunicazione orale, ma ci sono anche delle differenze secondo me non trascurabili: il salotto televisivo rimane registrato e alla sua parlantina assistono diversi milioni di persone. Dunque l’impatto lasciato dalla prima forma di parlantina è difficilmente commisurabile con l’impatto della seconda. I Pitigrilli di una volta non avevano a disposizione tutto il macchinario mediatico di cui possono approfittare i Pitigrilli odierni.

    Nel post precedente mi riferivo più che altro all’impatto che i fenomeni letterari costruiti dai media hanno sulla critica, ma c’è pure un altro fattore in gioco: l’editoria. Ci lavoro da parecchi anni e osservo da vicino (anzi: dall’interno) i cambiamenti in atto; i redattori, davanti alla difficile decisione “pubblicare o no”, soppesano ormai anche l’abilità e il potenziale mediatico non del libro, ma dell’AUTORE. Gli autori teledisabili sono sempre più spesso confinati nella riserva della piccola editoria, il che ulteriormente significa distribuzione in quelle due librerie del rione in cui si trova la sede della casa editrice. Il che significa poi anche l’assenza dagli scaffali delle biblioteche pubbliche, e questo è veramente grave.

    “Basta andare in libreria”, scrive Franz. Si tratta proprio di questo: BISOGNA andare in libreria (e quale libreria, poi), ma BASTA accendere il televisore. Ora, cerchiamo di fare un po’ di conti, con riferimento solo agli atti automatici: quante persone accendono il televisore ogni giorno, e quante persone vanno in libreria almeno una volta al mese a rovistare tra le novità? Togliendo l’automatismo del gesto: quante persone andranno invece in libreria solo perché in TV hanno visto un programma esilarante con lo scrittore WXY e vogliono proprio il suo libro?

    La teleabilità rappresenta oggi un vantaggio importantissimo per lo scrittore, ed io temo che con il tempo la situazione si aggravi ulteriormente e che alla fine raggiunga tali livelli da impedire un serio lavoro di scrematura critica compiuto a distanza di tempo. Perciò provo molto rispetto per gli scrittori che rifiutano di partecipare alla teleparlantina pur avendo tutte le predisposizioni per diventare delle star televisive; ne conosco diversi, e nel loro rifiuto riconosco anche un atto di solidarietà (magari inconsapevole) con i colleghi teledisabili, in nome di un purismo che una volta tanto non viene a nuocere.

    P.S. per Tiziano
    A Zagabria tutto bene; tutti siamo contentissimi di rivederti al Festival!

  47. Elio, guarda che lo sapevo che esiste l’industria. La mia era una piccola provocazione incazzata, vogliamo chiamarlo uno sfogo?
    Mi scuso con Snjezana per l’imprecisione: il mio “serbocroato” era volutamente un riferimento linguistico, non etnico. Sono ignorante ma non troppo. Poi, sul fatto che posseggo un mappamondo: no, non ne ho. Lo vorrei dell’era napoleonica, ovviamente. Posseggo un atlante di mio nonno risalente al 1913… L’unico lascito di un’antica famiglia sudetica ben presto finita con le pezze al culo…
    Di nuovo a Elio:sei così sicuro ch senza Neri Parenti non ci sarebbe che il NUlla cinematografico? E i Vanzina perchè non li citi? Senza questi signori non potremmo gridare al mondo intero che il nostro cinema può sfornare ben altro: il neorealismo chic, di G. Muccino, per esempio!…
    L’industria, l’industria. Snjezana ha ragione su tutta la linea, oltretutto nell’editoria ci lavora dall’interno, dunque è proprio in prima linea. Ma il discorso sui teledisabili mi convince fino a un certo punto: sa tanto di handicappati, con tutto il rispetto, e lo dico sul serio. Ora, io sono certo che esistono degli Z che non hanno nessuna voglia di andarsi a ficcare nel circo mediatico. Forse anche perchè non conviene, alla lunga. Alla breve la troia da talkshow vende di brutto, ma alla lunga? 15 milioni di euro di celebrità, e poi? E poi, si potrebbe dire, tu, Z, rimani con le tue solite pezze al sedere e lei ha i milioni di euro a Miami Bitch. Va bene. Non lavoriamo per i posteri, al massimo per i postumi dell’ultima cattiva sbronza. Lo Z può essere un fenomeno proprio perchè ha capito che esporsi troppo fa male al suo buon nome. Il nome è tutto, non ditemi che non è così. Il nome del coglione ma anche quello del serio. C’è gente (poca, lo so) che vende un sacco senza apparire. Mi direte che le mie sono evocazioni di Panda Letterari. E va bene. Nella massa critica ‘sto discorso va a perdersi nel marasma dei grandi numeri. Poi ci siamo noi, qui: esseri più o meno pensanti, alcuni addirittura degli intellettuali, che seminano qualcosa. Che seminano, imparano l’uno dall’altro. E qualcuno legge. E qualcuno s’interessa. O forse dice chi se ne frega. Ma insomma, io l’industria l’ho praticata anche in settori meno “mentali”, e un pò la conosco. Ma il libro è libro, ragazzi, come la… Va bè, avete capito. Non si può, non si deve mercificare tutto. Snjezana fa discorsi corretti ma è afflitta senza saperlo dal cinismo dell’industria. Teme che la situazione possa precipitare. Ma è già precipitata. Peggio di così si muore senza aver letto nemmeno l’ultima preghiera. Esistono persone che fanno circolare nomi, titoli, interessi. Basta andare in libreria, si. E’ chiaro che tra l’accensione del teleschermo e la passeggiata in libreria (soprattutto nei piccoli centri) il rapporto è di 12.000 a 1. Ma qui si fa la cultura o si muore, non sto scherzando. O qui si fa qualcosa in modo alternativo (come mi pare stia facendo Scarpa) o si affonda. Lui si tira fuori eppure potrebbe reinfilarsi nel condom mediatico. Va senza, e fa bene. Il discorso è lungo, io propongo sempre una birra a tutti, nel caso.

  48. Una birra, Franz, sempre molto volentieri – ma mi sa che l’Italia dovrà aspettare un altro po’ la mia riapparizione, e perciò per ora non mi rimane altro che questi comments.

    Guarda che io so di essere afflitta dal cinismo dell’industria. Ma sai come si dice, i cinici sono solo dei romantici delusi (l’avrò preso da qualche film con Clint Eastwood). Parlando con grande stima degli scrittori che rifiutano di ficcarsi nel circo mediatico, avevo in mente anche Scarpa e i suoi modi alternativi; lui infatti è uno che con la sua intelligenza e la sua cultura, per di più “pop” al punto giusto (anche se lui temeva di non essere abbastanza “pop”), tutte le troiette da talk-show potrebbe mangiarsele per colazione. E invece non lo fa, non in diretta televisiva. E perciò (non solo perciò, ovviamente) ha tutta la mia stima e ammirazione.

    La mia è una frustrazione di chi cerca di fare la differenza all’interno di un’industria cinica e di non scendere a troppi compromessi. È la frustrazione di chi deve prima creare una collana figa, a colpi di nobel e altri nomi famosi, per poter poi pubblicarvi anche i non nobel e i vari Z – e sperare che il solo marchio di una collana prestigiosa induca la gente a comprare il libro; alle volte funziona, alle volte no. Perché, come giustamente dici, non si può mercificare tutto; è una realtà con la quale devo fare i conti quotidianamente. Io credo anche che non tutto si debba mercificare, ma maledettamente mi ritrovo a dover fare, in certa misura, proprio quello. La mia è la frustrazione di chi deve trovare la misura giusta e non attraversare la sottile linea che separa una mercificazione a scopi nobili (far leggere uno Z anche alla gente che normalmente in libreria comprerebbe solo X o Y) dalla prostituzione editoriale totale (W). È la frustrazione di chi vende benissimo un libro buono ma non troppo di uno scrittore famoso, ma vende così-così un libro geniale di uno scrittore non tanto famoso ma nemmeno del tutto sconosciuto.

    Certo, potrei gettare la spugna e cercarmi un altro lavoro. Ma chi pubblicherebbe allora i libri del mio Z? (Non è quello dell’esempio del mio primo post, ma rientra nella categoria.) Il mio Z, autore cult degli anni ’80, dopo quasi vent’anni di assenza totale dalla scena letteraria finisce il nuovo, bellissimo romanzo, e si vede rifiutare il manoscritto da 7 case editrici – perché non segue il trend del momento, perché rifiuta di prostituirsi con i media sfruttando il proprio passato di rock-star – prima di imbattersi in me. Il romanzo glielo pubblico nella collana figa, il mio Z vince il più prestigioso premio letterario nazionale e il suo romanzo è distribuito in tutte le librerie del paese, per cui qualche copia si vende, per forza di cose. Sì, è vero, il mio Z avrebbe trovato un editore anche se non si fosse imbattuto in me, ma molto probabilmente sarebbe stato un piccolo editore, uno di quelli i cui libri le giurie li scartano senza nemmeno darci un’occhiata, uno di quelli senza accesso ai migliori canali di distribuzione libraria – e allora non sarebbe bastato nemmeno andare in libreria.

    Perciò non getto la spugna. Nonostante tutto il cinismo dell’industria, cerco di fare la cultura, perché credo che anche questo significhi fare la cultura. Se non la faccio, non muoio; ma muore qualcosa di importante dentro di me.

    Ok, mi sono sfogata, ora levo il disturbo.

    No, un’ultima precisazione per Franz: ho letto tempo fa l’articolo di un linguista italiano (purtroppo non mi ricordo il nome) il quale sosteneva che una lingua avesse tutte le condizioni necessarie per passare dallo status di dialetto a quello di lingua riconosciuta dal momento che aveva un esercito. E con ciò confermo definitivamente di essere una bieca cinica.

  49. Una birra a Zagabria, allora.

    Cara Sniezana, permettimi di insistere sul tuo penultimo post. Non è per voglia di polemizzare con te – o con Franz – ma per me questi sono punti cruciali.

    “… un contesto mediatico radicalmente diverso da quello di cento o anche solo cinquant’anni fa. Sarà pur vero che in tutti e due i casi – salotti tappezzati e salotti televisivi – si tratta di forme di comunicazione orale, ma ci sono anche delle differenze secondo me non trascurabili: il salotto televisivo rimane registrato e alla sua parlantina assistono diversi milioni di persone. Dunque l’impatto lasciato dalla prima forma di parlantina è difficilmente commisurabile con l’impatto della seconda. I Pitigrilli di una volta non avevano a disposizione tutto il macchinario mediatico di cui possono approfittare i Pitigrilli odierni”.

    Certo, all’epoca – per fortuna? – gli alfabetizzati erano un po’ pochini. I salotti erano davvero per pochi intimi, così il gagà di turno poteva influire su poche centinaia – o migliaia – di persone. E con ciò? Questo vuol dire che il valore trionfava? Il teledisabile Leopardi veniva spernacchiato e le dame leggiucchiavano chissà quali porcherie, di cui non abbiamo più notizia. Manzoni pubblicava a proprie spese e passava nottate a immaginare come doveva far quadrare i conti, se l’investimento sull’incisore avrebbe avuto un “ritorno” e simili amenità. Cosa rimpiangiamo? Il falso boom dei “migliori anni della nostra vita” quando Editori Riuniti riempiva le case di orrendi saggi deliranti che non ha mai letto nessuno?

    Quando ero piccolo si criticava la scuola d’elìte. Si è giustamente voluto che fosse di massa, obbligatoria. Cosa credete, che tutti gli studenti siano dei geni? Il livello è sceso. Poco male: la scolarizzazione è più importante. La gente legge libri di non eccelsa qualità, oppure quelli di qualità ma solo dei teleabili? Qual è il danno? Gli autori di qualità teleinabili vendono sempre le stesse copie, anzi forse qualcuna in più. Non ci sono perversi complotti. La gente non è interessata, stop. Se la televisione fosse in mano ai docenti universitari (a proposito, non è stata in mano a Pedullà e a Siciliano?) o ai più elitari esponenti e seguaci del gruppo 63, che cosa cambierebbe? La gente non la guarderebbe, si rifarebbe con Telepummarola o tornerebbe ai fotoromanzi. Horcynus Orca continuano a non capirlo i critici squisiti, perché mai dovrebbe apprezzarlo il popolo? Lo volete capire che è un altro target? Non andrebbero comunque a comprare i capolavori che la TV non lancia (e che forse fa bene a non lanciare: sarebbe disonesto nei confronti della maggior parte del suo pubblico, che si sentirebbe tradito).

    Lavori nell’editoria. Bene, sono sempre contento di ascoltare chi ha la mani in pasta, invece di teorici, scribacchini e cazzeggiatori come me. Spiegami dunque esattamente – e senza tirare in ballo le proporzioni, che le abbiamo già valutate – la differenza tra l’editoria, la stampa e i giochi di società attuali e quelli descritti da Balzac ne Le illusioni perdute.

    PS: a proposito di Pitigrilli, i presenti non fanno testo. E Pitigrilli non è certo nel Canone.

  50. Snjezana, il tuo è “il cinismo del sensibile”. (Questa è mia). Sono contento per il tuo sfogo. Ci hai raccontato delle cose interessantissime sul tuo lavoro. Fatto di sangue, sudore e lacrime. Forse, nel mio piccolo, ho contribuito a fare uscire dai “numeri magici consuntivi” questo tuo “bieco cinismo”. Ecco, nel mio post inzaccherato e un pò furibondo volevo, senza saperlo, che ci si venisse a dire una frase come la tua, che vado testè a citare: “Perciò non getto la spugna.Nonostante tutto il cinismo dell’industria, cerco di fare la cultura, perchè anche questo credo che significhi fare la cultura. Se non la faccio, non muoio;ma muore qualcosa d’importante dentro di me.” Il linguista italiano che hai citato non so chi sia e non lo voglio sapere. Non ha capito un cazzo, comunque, questo l’ho capito anch’io. A Elio tanto di cappello, vado a farmi un Pilsner Urquell (da solo) e domani me lo rileggo con tutta calma perchè mi pare importante.
    Birra per tutti a Ljiubiana (ci veniamo incontro…)
    Birra “Callaghan”!

  51. Eppure se un Scarpa o un Busi andasse in TV e dicesse: “Hey, la fuori c’è gente che scrive… si chiamano Montanari, Krauspenhaar, Moresco, Cazzi&mazzi…” io, scusate la banalità, io sarei contento. Meglio un urlo nella notte che il silenzio assordante del buio.

    ciao, G. (mi accodo per la birra)

  52. Scarpa in tv a urlare “guardate che c’è gente che scrive lì fuori” ci è andato eccome (vedi Per un pugno di libri, quando ha spiattellato alla telecamera una copia non di Occhi sulla graticola, NON di Amore marchio registrato, NON di Cos’è questo fracasso?, ma di Canti del caos).

  53. Concordo in tutto e per tutto con Paoloni, le sue affermazioni mi sembrano sacrosante.
    Innanzitutto, non è vero che i successi di vendita influenzino la critica specializzata. Forse la critica più prossima, quella contemporanea, ma non certo la critica tout court, anche quella futura la quale, anzi, esente dalle influenze – televisive, promozionali, commerciali ecc. – del momento, può permettersi spesso di essere più obiettiva.

    Nell’ottocento, grazie anche alle sue feste di salotto alle quali prendeva parte un certo Goethe, la madre di Schopenhauer era una scrittrice delle più note, sulla cresta dell’onda, i suoi romanzetti si vendevano a tutti gli angoli. Il figlio, invece, era un imberbe anonimo appena laureato, nel salotto materno si accostava agli intellettuali, anche a Goethe, senza essere notato. Era timido e non aveva la parlantina della madre.
    Un giorno Johanna – questo era il suo nome – prendendo in mano la dissertazione filosofica del figlio sulla “Quadruplice radice”, esclamò: “Dev’essere qualcosa per i farmacisti”.
    Ma Arthur le rispose: “Quest’opera sarà ancora letta quando dei tuoi libri si troverà a malapena un esemplare in qualche ripostiglio.”
    E il tempo noi sappiamo a chi ha dato ragione…

  54. Sono sempre un post indietro (colpa dell’ora legale, il jet lag dei poveri?). L’ultimo post di Snjetana mi fa felice, anche perchè Snjetana mi dà ragione:

    – Perciò non getto la spugna. Nonostante tutto il cinismo dell’industria, cerco di fare la cultura, perché credo che anche questo significhi fare la cultura –

    Appunto: sporcarsi di cacca nel cinismo dell’industria per pubblicare Z è lo stesso che andare in TV a gridare che c’è gente là fuori (non a quella sciocca trasmissione, però, ma nella cacca più cacca). Perciò se c’è qualcuno da ammirare, Snjetana, sei tu, non Tiziano. Sei tu l’idolo di tutti noi Z (come Zero).

  55. Allora tutti d’accordo: il primo che qui va in Tivù poi lancia l’urlo: Ci sono Cazzi&Mazzi ecc.!
    (Gianni, confido soprattutto in te…);-)
    Elio che fai, mi rubi le citazioni?…

  56. Ma, cari amici, chi c’invita ad andare in TV? E poi, anche se dovesse capitare, ci lascerebbero dire quello che noi magari vorremmo dire, nel modo in cui vorremmo dirlo?
    Dico per esperienza: tagliano fuori proprio quelle due frasi a cui tu tenevi di più; ti fanno una domanda talmente cretina da costringerti a una risposta forse solo un po’ meno cretina, ma pur sempre cretina. Bisogna essere un Busi per svignarsela con dignità, bisogna avere uno status di cemento armato.
    Non rimpiango nessun passato migliore, perché non credo in un passato migliore. Ma non credo nemmeno in un futuro migliore, ed è questa forse l’unica differenza che ci sia tra di noi. Me la devo vedere con la cretinaggine attuale, e mi basta e avanza.
    La cretinaggine poi non è solo e non è tanto della massa amorfa di potenziali consumatori di cultura. Ogni anno, alla Fiera del Libro di Zagabria, tra due appuntamenti di lavoro mi metto a fare la commessa allo stand e parlo con i visitatori: operaie, ragionieri, casalinghe, liceali, pensionati, donne delle pulizie. E quella gente mi racconta tutta musica per le mie orecchie: di come è difficile sapere dell’uscita di un nuovo libro, di come fanno schifo le poche trasmissioni in cui si parla di cultura e di libri, di come sono delusi dalle librerie e biblioteche che ordinano solo merda, e anche gli editori tendono a pubblicare sempre più merda e diventa difficile trovare un buon libro… E comprano Pennac, Grass, Burgess, de Botton, Bulgakov, Trevor… Poi io racconto all’operaia di quella volta, pochi anni fa, che ho pubblicato la prima traduzione croata integrale delle Cosmicomiche, e una famosa giornalista specializzata nel settore librario ha chiamato per sapere come faceva ad avere un’intervista con Calvino – e l’operaia si mette a ridere di gusto.
    Insomma, le leggi di richiesta e offerta non sono poi così semplici, e il pericolo di sottovalutare i potenziali consumatori di cultura è sempre in agguato. Anzi, la sottovalutazione del pubblico è in atto. La mia esperienza mi dice che i lettori semplici sono meglio dei media che dovrebbero essere al loro servizio (in un altro mondo, in un mondo ideale).
    Prima o poi, brinderemo insieme alla salute dell’operaia che legge Calvino.

  57. Snjezana anche io la penso come te sui lettori semplici, eppure si concepisce la mediazione culturale soltanto per i lettoria “graduati”, per esempio quelle orrende recensioni dei quotidiani che ammiccano a un pubblico di tecnici, o quelle pagine culturali stracotte. Ma capisco che per per quei mediatori culturali lì è difficile pensare al lettore semplice, a uno che è dall’altra parte, pieno di intuizioni perché confronta il libro con la vita. E’ più semplice farsi un target di mediocolti benestanti e fare di tutto per vendere a loro. Mica tutti sono dei Pivot. Però bisognerebbe fare qualcosa per togliere ai nani il potere culturale (e anche quello politico magari).

  58. Franz, ci tocca trasferirci in qualche birreria di Zagabria, dove i ragionieri leggono, cosa che mi stupisce molto più delle buone letture dell’operaia o della donna delle pulizie (con qualche perplessità su Pennac).

  59. Mi sembra chiaro che la realtà, ancora una volta, e come sempre, è più complessa dei discorsi in cui ci affanniamo a rinchiuderla. Dunque, senza la pretesa di dire la parola ultima e definitiva sull’argomento, essendo anch’io come dice Paoloni un “cazzeggiatore”, provo a dare una visione un po’ più complessa(ma ancora schematica e semplicistica, com’è ovvio) del rapporto lettore-televisione.
    La divisione dualistica e semplicistica tra “lettore semplice” e “lettore profondo” non corrisponde alla realtà. La platea letteraria, infatti, presenta un ampio ventaglio di situazioni, certo non riducibile alle sole due citate. A queste mi sembra fondamentale aggiungere almeno (ma non è l’ultima) una terza tipologia di lettore, quello che legge pochissimo e niente, generalmente non ama farlo ed è “indotto”, in maniera del tutto eccezionale, dalla televisione a leggere, a farsi lettore.
    La fascia dei lettori “indotti” è importante e ci interessa molto nell’ambito di questo discorso, in primo luogo perché è una fascia molto ampia e, soprattutto, perché è quella più sensibile alla promozione letteraria televisiva. In sostanza, come ha detto altrove Paoloni, questi lettori o leggono il libro del calciatore, della presentatrice, del comico ecc. oppure non leggono nulla: non c’è alternativa.
    Qualche esempio: ho un amico fruttivendolo, bocciato alle scuole superiori, che non ha mai letto un libro se non uno di Luttazzi. Una mia amica universitaria, che non legge nulla al di fuori dei testi di studio, e l’unica cosa non universitaria che ha comprato e letto negli ultimi dieci anni è stato il libro di antipoesie di Flavio Oreglio. Mia zia, impiegata comunale ostile alle letture, ha comprato anni fa, quando il personaggio era in voga in tv, un libro di Antonio Lubrano, senza neanche portarne a termine la lettura. L’anno scorso un mio amico (ha avuto una figlia, lavoricchia dove può e non ha molto tempo per leggere) mi ha chiesto in prestito il Satyricon di Petronio, dopo aver seguito in tv Satyricon di Luttazzi (è il caso, che citavo a Scarpa, di promozione letteraria trasversale).
    E’ ovvio che esiste un’ampia fascia di lettori “semplici”, che amano leggere e mancano di indicazioni e consigli interessanti, per cui finiranno col leggere il libro più esposto in vetrina. Ma è ovvio anche che esiste una non meno ampia fascia di lettori “indotti”, che non amano Rai-educational (e quindi non vedranno mai neanche Scarpa o Moresco) e che libri più profondi o complessi non li leggeranno mai. In questo caso, come dice Paoloni, meglio un libro qualsiasi che nessuno: meglio un lettore occasionale di cose mediocri che un non-lettore, uno che non sa neanche che cos’è un libro, un discorso con capo e coda, una suddivisione in capitoli, un minimo di sintassi…
    Dunque, il discorso di Snjezana e quello di Paoloni, lungi dall’essere in netta contrapposizione, mi sembra che si completino a vicenda. Naturalmente, tutti noi ci auguriamo una maggiore presenza e promozione della cultura in tv e, nelle poche isole culturali televisive, una promozione letteraria che esuli da logiche meramente clientelari o commerciali e che sia di qualità. Certo, la situazione non è rosa…
    Infine, capisco il senso di frustrazione di Snjezana davanti al personaggio televisivo che scrive un libro che, al di là delle sue qualità letterarie e anzi nonostante l’assenza di dette qualità, vende milioni di copie, al contrario (e a scapito, aggiungerebbe lei) del bravo scrittore “teleinabile”. Le soluzioni sono due: o si impedisce al personaggio televisivo di scrivere un libro o si sprona il bravo scrittore ad andare in tv. La prima, essendo antidemocratica, non mi sembra praticabile e dunque, se vi pare…

  60. Elio, a Zagabria ci conviene farci una sana slivovitz; io con la birra ci vado cauto… poi andiamo a caccia di ragionieri che sanno leggere perlomeno il 740, perchè qui in Italia di simili lettori non se ne trovano più…

  61. La mia ‘morosa è ragioniera, legge, mi ha fatto conoscere Il “Teatro delle Albe, e anche tante altre cose.
    Nel giugno del 1915 Eugenio Montale si licenziò ragioniere al “Vittorio Emanuele” con buoni voti. Il 23 ottobre del 1975 gli fu assegnato il Premio Nobel per la Letteratura.
    State bene.

  62. Scusa Andrea, ma con tutto il rispetto, che c’azzecca la tua morosa intellettuale e il ragionier Montale con Zagrebskipoint? Guarda che prossimamente (il tempo d’espletare alcune formalità burocratiche), precisamente in Olanda,a me, si a me, daranno il Premio Van der Pulitzer… E dire che io ho preso la “maturità” a calcioni nel culo all’Enrico Fermi di Velletri… (giuro). E solo perchè si è scomodata la Santa Sede, altrimenti…

  63. Mi pareva che Elio scrivendo:

    “Franz, ci tocca trasferirci in qualche birreria di Zagabria, dove i ragionieri leggono, cosa che mi stupisce molto più delle buone letture dell’operaia o della donna delle pulizie (con qualche perplessità su Pennac).”

    avesse scritto una cagata (quindi rispondevo a lui). Tu mi dirai che era una battuta, però a me sembra una cagata lo stesso. (Mentre quella del 740 effettivamente mi pareva una battuta).

    Franz, beccati questa microsbobinatura dell’intervista a Moresco passata – a notte fonda naturalmente – su Raidue:

    “…la letteratura è fiamma, deve portare un dramma, deve farti vedere quello che hai sotto gli occhi come non hai visto mai, se no a cosa serve scrivere, leggere.”

  64. Mi fate fare gli straordinari…;-)
    Dunque, a me quella di Elio pareva una buona battuta riferita a un discorso di Snjezana che puoi rileggerti qua sopra agevolmente. La mia era una controbattuta, credo lanciata sulla stessa lunghezza d’onda. Punto.
    Tu, forse, ti sei sentito preso in mezzo per fatto personale: la fidanzata, il Premio Nobel Rag. Montale. Sul passato ragioneristico di Montale ero abbastanza informato, ma comunque hai fatto bene – nonostante l’evidente stizza a pelo di computer – a ricordarlo agli astanti tutti. (per chi si fosse messo solo ora in ascolto ricordo che si era partiti da Busi e dal rapporto scrittore-televisione).
    Dato che ho una discreta memoria, e avendo visto l’intervista a Moresco in televisione (arieccoci) non mi devo beccare- con tutto il rispetto, genuino, per te e per tutti- proprio niente: nè sbobinato nè blobbevacuato.
    Cosa vuoi che ti dica? Moresco ha ragione da vendere e anche da NON vendere. Lui la letteratura la vive sulla sua viva pelle, evidentemente.
    Poi, a a mio parere, c’è la letteratura vissuta sulla pelle degli altri. Quella ci interessa di meno, no?
    (E Paoloni dov’è? E’andato a informarsi sui bed and breakfast di Zagabria?)
    Ciao, un caro saluto

  65. Ok, ma sinceramente, dimmi una cosa, se un lettore “semplice” passa di qui e legge quella battuta di Elio (che non c’entra una mazza col discorso interessantissimo di Snjezana), non pensa che questo è un posto di snob del cavolo?

    p.s. mi è venuta in mente una cosa, dove facevo il servizio civile, c’era un sacerdote salesiano di Schio. Suo fratello era un pittore del gruppo “Corrente”, Dino Lanaro.

  66. Ah, e comunque, mentre qui si parla di ragionieri, l’operativo Biondillo sta facendo il giro dei media del pianeta terra. A casa mia è arrivato in forma cartacea col Venerdì di Repubblica, accompagnato da Augias, ma anche con Sinibaldi di Radiotré, attraverso gli altoparlanti dello stereo.

  67. Gulp, mi avete stanato! Mi vorrete ancora per la birra? ;-)

    G.

    p.s. E che dire, Andrea, di Quasimodo, che lavorava in un ufficio tecnico?
    Qui mi sa che per prendere il Nobel conviene evitare gli studi classici!

  68. Esatto, Gianni. (E complimenti e in bocca al lupo per tutto);-))
    Ragazzi (parlo per i più giovani eventualmente all’ascolto), se volete arrivare al Premio Nobel per la Letteratura NON STUDIATE!!! Fate i ragionieri, gli impiegati del catasto, basta stare tra quattro mura. Ottime anche quelle della prigione: eventualmente vi scarcereranno per meriti letterari (Genet, Auguste Le Breton, ecc.ecc.) E dalla prigione al viaggio all inclusive destinazione Stockholm il passo sarà senz’altro breve!
    Elio mi preoccupa: che sia scappato a Zagreb senza avvertirmi?…
    Andrea, sai che a me – impressione strettamente personale- l’ammiccamento di Elio mi sembrava tutt’altro che snobistico? Scrivo davvero.
    (E Elio continua a scartabellare

  69. Andrea, dimenticavo una cosa. Domanda: credi che un lettore “semplice” sappia anche minimamente cosa sia Nazione Indiana? Io ho i miei dubbi, in proposito. Però sono pronto a non averceli più se mi portate degli esempi concreti di “lettori semplici”. (Già la definizione non mi piace per niente, è leggermente “snobistica”, non trovi?)

  70. Andrea, io SONO ragioniere. Presi il diploma con la precisa intenzione di commuovere i giurati del Nobel. Pensavo al futuro, insomma.
    E con la tua morosa siamo in due, a leggere. Se me ne trovi altri otto, ti offro la slivovitz. Anche alla gentile collega nonchè tua morosa.
    Il fatto è che io vivo nel mondo dislessico descritto da Malatesta (che però sta sulle sue e non vuol venire in Croazia. Sarà astemio o non vuol pagare il giro?)

  71. Caro Paoloni,

    grazie per l’invito. Non sono astemio e, visto che sono un leccese, uno di questi giorni salgo su da lei e ce la prendiamo, una birra (magari con Livio Romano) …

    P.S. Questo discorso su ragionieri e Nobel mi sembra possa ricollegarsi a quello sulle scuole di scrittura di qualche tempo fa. A proposito, Pablo Neruda abbandonò quasi subito l’università, lo sapevate? Un altro Nobel che di scuola non ne ha fatta poi tanta…

    P.P.S.S. Ho visto Biondillo in una recensione su Famiglia Cristiana. Un faccione molto, molto simpatico(direi che corrisponde all’idea che me ne ero fatto leggendone i commenti)…

    P.P.P.S.S.S. Non sto sulle mie, sono impegnato a prendermi le rampogne di Scarpa circa la poesia di Aldo Nove…

  72. Qua si scoprono gli altarini, Elio. Meno male che sei tornato. Senti, per andare in Croazia possiamo partire dalle tue parti se ci ospiti almeno un giorno, a noi tutti ragionieri e diplomati. Per il mezzo di trasporto, chiediamo al nostro grande amico Geom. Flavio Braitore se ci presta un motoscafo per la traversata.

  73. a me questa discussione ha fatto un pò girare la testa. Complimenti però a tutti per la pasionaria ironia. Però volevo dire all’ottimo Malatesta che nelle scuole di scrittura mica si scrive e basta. C’è la condivisione dell’esperienza letteraria. E in più, se ciò non bastasse, ci sono anche, talvolta, delle affabili e carezzevoli fanciulle…
    Come la mettiamo?…

  74. E no, caro Malatesta, bevo birra solo in trasferta: da noi solo Primitivo (di Sava, s’intende, non dell’usurpatrice Manduria). Comunque portate lo scafo blu che poi facciamo la traversata con gli amici milanesi (anche se il Biondillo, ormai, non accetterà di salire che su panfili)

  75. Sono una diciottenne di Mazara del Vallo (Trapani) e frequento l’ultimo anno del liceo classico.Da adolescente posso dire che l’intervento di Busi ad Amici è stato certamente utilissimo.E’ ovvio che la televisione snaturi l’essenza della letteratura, che ridicolizzi lo scrittore, che tenda a rendere tutto “molto simpatico e molto divertente”.E’ evidente che la qualità della televisione vada calando sempre di più e che ci sia sempre meno spazio per la cultura. E’ chiaro che Fazi abbia abilmente architettato il personaggio di Melissa P. e l’abbia “lanciato” in TV riuscendo a fare tradurre un libro-spazzatura in 15 lingue (l’ho visto in Spagna qualche giorno fa, edizioni Columna).Il mezzo televisivo è potentissimo, è pericoloso, ma è anche terribilmente utile per chiunque si consideri un operatore culturale, un amante della letteratura, uno scrittore.Io leggo circa 60 libri l’anno.Mi rendo conto che non è molto ma, considerando la mia età e l’ambiente in cui vivo, faccio parte di una minoranza. Ho provato per anni ad avvicinare i miei coetanei alla lettura e, attraverso attività e manifestazioni organizzate con fatica, sono riuscita ad ottenere qualche risultato. Ebbene, una sola apparizione di Busi alle 16 del pomeriggio è stata molto più efficace.Nessuno dei miei amici conosceva Aldo Busi e, adesso, lo conoscono tutti.Colui che ritiene di essere il più grande scrittore del secolo è, adesso, uno degli autori più conosciuti dagli under 18. Un pò perchè sta in TV, un pò perchè è terribilmente simpatico, un pò perchè è un grande architetto della parola.

  76. Maura, sarei tentato di credere che sei un pesce d’aprile, tanto sei adorabile.

    felicità, Gianni

  77. I ragazzi o, come direbbe Barbiellini-Amidei, “I nostri ragazzi”, non sono tutti celebrolesi come ce li fanno apparire nei media. Oggi è il 2 Aprile e Maura, magari, comincerà a leggere un nuovo libro. O ne terminerà uno. E ne parlerà agli amici che possono esserne interessati.
    Quando dicevo che Busi in tv ha una marcia in più, che è di un altro pianeta, mica dicevo cose campate in aria. O no?
    Complimenti a Maura. Io alla sua età leggevo qualche romanzo (magari di gran qualità) e MOLTO il “Guerin Sportivo” di Italo Cucci.

  78. Gianni, hai contattato Adnan K. per il panfilo? Vedi anche se viene Lory Del Santo, ci farebbe piacere…
    Crociera in Croazia per tutti!

  79. Venite piuttosto tutti al Festival del Racconto Europeo, 24-28 maggio a Zagabria e poi a Hvar (Lesina). Ci saranno Aldo Nove e Tiziano Scarpa, e poi Wladimir Kaminer, Mike McCormack, Miljenko Jergović… e molti altri!

  80. Paga Biondillo, l’uomo che non si sa più se è vero o se è un file sonoro, comunque paga anche se è un file.
    Paoloni fa i conti, che lui è ragioniere puro.

  81. Sentite: Paga Paoloni. Così per i conti non deve neanche chiederci le pezze giustificative. Ma poi Snjezana un giro turistico per Zagabria ce lo fa fare? Se no io non mi muovo proprio!…

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

In uscita

Condivido in pieno il messaggio di Antonio. Anch’io ho deciso di uscire da Nazione Indiana. Non descriverò qui le...

Busi: 4 sì ai referendum

di Flavio Marcolini A sostegno della campagna referendaria per i sì alla consultazione del 12 e 13 giugno...

Tutto su sua nonna e molto altro

Giuseppe Caliceti intervista Silvia Ballestra Con Tutto su mia nonna, da pochi giorni nelle librerie per Einaudi Stile Libero,...

I leoni

di Beppe Sebaste All’incontro torinese sulla Restaurazione dello scorso 9 maggio, Beppe Sebaste aveva inviato questo brano tratto da un...

Il male dell’America

Intervista a Emmanuel Todd L’ultimo numero di Una Città si apre con questa intervista allo storico e antropologo francese Emmanuel...

“Guadagno più di te e quindi ne so più di te”

di Aldo Nove Leonardo ha più di 30 anni e dirige una piccola e agguerrita casa editrice. Per vivere, dopo...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: