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Alla ricerca della perla nera (#1)

di Mariolina Bongiovanni Bertini

perlanera.jpg [Ecco il racconto “fatto in casa” destinato ai visitatori di Nazione Indiana dotati di criature, siano esse reali o interiori.
Ve lo affiggo a puntate, come un vero feuilleton.
Ringrazio Mariolina per averlo regalato a mia figlia e permesso di distribuirlo a tutti.
Un abbraccio a tutte le criature. DV.]


Prologo . La notte dei lampi-senza-tuono

Nelle notti serene o nelle belle giornate di sole, Varigotti è un paesino della costa ligure come tanti altri, stretto tra il mare e la collina, con le sue casette rosa o gialle dal tetto piatto, qualche cupoletta che ricorda il passaggio degli arabi e, in alto, la torre saracena tra il cielo e gli ulivi, come una sentinella che sorvegli tutto quanto dalla cima di Punta Crena. Questo pacifico panorama però cambia completamente in certe notti di agosto, le notti più magiche e terrificanti di tutta l’estate: quelle notti che io chiamo le Notti-dei-lampi-senza-tuono. Non sono notti di vento o di pioggia: l’aria è immobile, calda e come impregnata di un’acqua dolce invisibile che non si decide a cadere. Sul mare si ammucchiano nuvoloni grossi e scuri di tutte le forme possibili: giganteschi funghi, dischi volanti, faccioni dalle guance a palloncino, dinosauri, balene. D’un tratto, una luce bianchissima ne illumina uno, da sotto; poi si spegne, ed è un’altra figura ad accendersi per un istante, come se il lampo la disegnasse a tratti splendenti sullo sfondo scurissimo. A volte lo spettacolo, nel più profondo silenzio, dura tutta la notte, ed è molto difficile, in quel caso, decidere di andarsene a letto, staccarsi dalle finestre rivolte verso il mare, distogliere lo sguardo da quella cavalcata di spettri che cambiano profilo di continuo a seconda che il lampo li investa dal basso o dall’alto, oppure li squarci attraversandoli da un capo all’altro, a zig zag. Proprio in una di queste notti – dico notte, ma saranno state le dieci di sera- sulla terrazza grande che fa da tetto alla casa di Mariolina, in riva al mare, Evelina e il suo vecchio amico, il pipistrello Guglielmo, se ne stavano a guardare il cielo illuminato a giorno: Guglielmo appeso a testa in giù (è la sua posizione preferita) a una delle corde per stendere la biancheria, Evelina compostamente seduta per terra, con l’orsacchiotta Tedda in braccio da una parte , il Tigrotto dall’altra e gli occhioni ben spalancati per non perdere nemmeno un guizzo dei candidi lampi tra le mutevoli montagne di nubi.
D’un tratto, proprio mentre un lampo più bianco degli altri tracciava in un nuvolone l’immagine sogghignante di un orco, Evelina sussultò.
– Guglielmo-, chiamò a bassa voce – Guglielmo, ho paura che a Tedda stia venendo la febbre. Ha la fronte caldissima, batte i denti e le trema un orecchio, quello che è stato ricucito dalla mia mamma. Ce l’avresti un po’ di tachipirina?
-Accidenti, Eve – brontolò Guglielmo – Non ce l’ho, a noi pipistrelli la febbre non viene mai. Avrei lo sciroppo di mosche del dottor Pipistrone, che serve contro la tosse: andrà bene lo stesso?
A sentir nominare lo sciroppo di mosche, Tedda cominciò a battere i denti ancora più forte, per lo schifo, mentre il Tigrotto, sempre pronto a immischiarsi di quello che non lo riguarda, batteva gli zampini:
-Sì, sì, che bello! Voglio vedere Tedda che beve la spremuta di mosche! Dài, Tedda, dài! Chissà che buona, la spremuta di mosche!
Evelina lo zittì con uno sculaccione poi, molto preoccupata, si tolse la felpa rosa per avvolgere ben bene l’orsacchiotta, come fosse in un sacco a pelo. Nel frattempo Guglielmo aveva chiamato il dottor Pipistrone con il cellulare e gli stava esponendo il caso di Tedda con tutti i particolari, compreso il tremito dell’orecchio, che sembrava il sintomo più inquietante.
– Hum, hum- si raschiò la gola il dottor Pipistrone per darsi importanza – la malata è molto raffreddata, le cola il naso?
– Ma no, per niente, rispose Guglielmo dopo aver consultato Evelina con lo sguardo.
– Allora – tuonò il dottor Pipistrone, solenne e pomposo come al solito, – non ci sono dubbi, né sulla diagnosi, né sulla terapia
– Ma dottore, lasci perdere questi paroloni, e ci dica che cos’ha Tedda e che cosa dobbiamo fare per farla guarire.
– Tedda ha una gran crisi di Tremarella, caro il mio Guglielmo, e per farla guarire c’è una sola cura: raccontarle una bella fiaba che finisca bene, in modo da farle passare la paura che, nelle Notti-dei-lampi-senza-tuono, viene un po’ a tutti quanti. Comunque, anche una bella cucchiaiata di sciroppo di mosche male non le farà, agirà sulla …
Prima che il dottor Pipistrone ricominciasse con i suoi incomprensibili termini medici, Guglielmo lo ringraziò calorosamente e chiuse la comunicazione. Sempre appeso a testa in giù, posò lo sguardo su Evelina, su Tedda imbacuccata e sul Tigrotto, che alla luce dei lampi lo guardavano preoccupati. – Miei cari – annunciò – la febbre di Tedda è una febbre da fifa, e secondo il dottor Pipistrone c’è un solo modo di farla passare: raccontarle una fiaba bella lunga, che la distragga dalle sue paure.
– Io saprei la storia del Golem – intervenne Evelina, piena di buona volontà.
– La storia del Golem! Ma quella fa più paura di tutti i lampi messi insieme!- protestò Guglielmo . – Minimo minimo, con la storia del Golem a Tedda le viene la febbre a quarantadue… E se invece vi raccontassi io una fiaba, una fiaba di quando a Varigotti c’erano i delfini?
Alla parola “delfini”, Evelina fece un salto di gioia, Tedda smise di battere i denti e Tigrotto cominciò a fare le fusa; allora Guglielmo capì di essere sulla buona strada, si mise comodo, sempre a testa in giù, e cominciò a raccontare. Neanche a farlo apposta, proprio mentre cominciava, il lampo disegnò nel cielo due nuvole allungate, una grande e una piccola, due nuvole che sembrava avessero il rostro, le pinne e la coda: una mamma delfino accompagnata dal suo piccolo, che attraversava a grandi balzi il cielo in tempesta, nel bagliore silenzioso dei fulmini muti.

—-

1 – continua

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6 Commenti

  1. Ma Mariolina Bongiovanni Bertini non è una studiosa di Proust? come fa a scrivere così bene una favola? Dario mi sento circondato dai genii. (Alla faccia di Luperini).

  2. Ma perché, Andrea, una studiosa di Proust non può scrivere bene delle favole?
    (ehi sto scherzando, meglio dirlo prima che qui sono tutti nervosi…)
    ;-) G.

  3. Dài è difficile saper scrivere un saggio di 300 pag su Proust e il romanzo e poi scrivere una bella favola.
    Certo che per adeguarmi ai tempi Gianni dovevo scriverti:
    Dott. Biondillo lei sinceramente mi ha stufato giacché non dimentico quell’episodio in cui Lei scrisse in un post-it verde incollato alla porta del frigorifero (che non è nemmeno igienico) “pò” invece di “po’”. Le sembrano cose da fare? Incitare al refusum? Guardi, Le va bene che il mio avvocato è in Sardegna altrimenti una raccomandata non gliela levava nessuno. Hehe.

  4. Gent.mo sig. Barbieri,
    riceverà comunicazione dal mio collegio difensivo, avendo lei vilipeso la mia persona, dichiarando il falso su alcune mie azioni svoltesi nel passato (il post it era giallo, non verde!). L’aspetto in tribunale, G.B.

  5. La storia promette bene. La lingua è bella bella.
    Credo sia perfetta nel caso del lettore adulto che legge “per” il bambino.
    Più problematico mi sembra il caso della lettura fatta dal bambino in prima persona. Mi danno da pensare quelle frasi lunghe (anche se – è vero – prevale la paratassi), quella punteggiatura, la ricchezza di aggettivi, la descrizione iniziale…
    Insomma, ho l’impressione sia un testo adatto a un bambino con solide abilità di lettura e con un patrimonio linguistico forte. Ma sarei davvero felice di sbagliare.

  6. Credo che sia meglio leggerla a un bambino anziché fargliela leggere. Almeno, io ho fatto così. Ciao

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