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I narrificatori

sbobinato da Tiziano Scarpa

Skng.jpgIO: Senti, l’altra volta avevi detto una cosa che mi è rimasta in testa.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Almeno una… È già molto.

IO: A un certo punto hai tirato fuori i narrificatori.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Io?

IO: Tu.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Io ho pronunciato un obbrobrio simile? Mi sarà uscito per caso.

IO: A me piaceva.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Avrò voluto dire…

IO: Lascia stare che cosa avrai voluto dire tu. Spiegamela meglio e basta.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Come faccio a spiegarti una cosa che non pensavo neanche di aver detto? Una cosa che se anche l’ho detta per caso una volta, adesso non so più che cosa volevo dire?

IO: Prova a improvvisare.

IL MIO AMICO FILOSOFO: I narrificatori… Bah. Sì. Sono quelli che riducono tutto a narrazione, che prendono un’idea, uno spunto e lo sviluppano fino ad ottenerne sempre e comunque un racconto, secondo le regole dell’arte del racconto. Regole artigianali, in qualche modo canoniche… Sono quelli che non fanno entrare nell’opera niente che non sia trasformabile in racconto.

IO: Esempi.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Mah… Stephen King è il più grande narrificatore vivente, dicono.

IO: Prende qualsiasi spunto e ne fa una narrazione avvincente, irresistibile.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Ultimamente dicono che sia un po’ in calo. Un po’ meno irresistibile, intendo.

IO: E allora dimmene altri.

IL MIO AMICO FILOSOFO: I grandi best seller. Grisham. Wilbur Smith. Crichton.

IO: Leggi questi autori, tu?

IL MIO AMICO FILOSOFO: No.

IO: Ma… e allora, scusa?!

IL MIO AMICO FILOSOFO: Non li leggo proprio perché so che sono narrificatori!

IO: Ma, scusami, non sono narratori anche loro?

IL MIO AMICO FILOSOFO: E come no? Scherzi? Certo che sono narratori! Ma sono solo una parte dei narratori. Un sottoinsieme. O una punta di diamante. Dipende dai punti di vista.

IO: E gli altri chi sono? Il resto dell’insieme, dico.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Oh, ce ne sono tanti. Ma non hanno questa capacità (o se vuoi questa attitudine deliberata, dipende…) di rendere narrazione tutto quel che gli passa attraverso l’alfabeto… Sono disposti ad accogliere anche i non sequitur, quelle zone di narrazione che non sono per forza inserite in una struttura serrata di cause ed effetti: di motivazioni, di azioni e conseguenze. Sono disposti a non ridurre tutto a narrazione.

IO: Ma se hai appena detto che sono narratori!

IL MIO AMICO FILOSOFO: Ma il narratore è quello che sa accettare anche la quota di non narrazione che c’è nella narrazione. È quello che non riduce tutto a racconto consequenziale, a personaggio motivato e agente. È quello che non fa tornare i conti a tutti i costi. È quello che è disposto, al limite, a snocciolarti una serie di aneddoti scollegati, non inseriti in un’architettura coesa. Una raccolta di racconti, un elenco di cose notevoli, di illuminazioni, di casi senza spiegazione: sono comunque narrazioni, o no?

IO: Che cosa è meglio? Il narratore o il narrificatore?

IL MIO AMICO FILOSOFO: E chi lo sa.

IO: Ma la vita è narrazione o narrificazione?

IL MIO AMICO FILOSOFO: E’ tutte e due le cose. E certe volte non è nessuna delle due. Si può raccontare tutto, ma anche ritenere che non c’è senso, non c’è consequenzialità in nulla. Si può raccontare quello che mi è capitato ieri rappresentandolo come un caos senza capo né coda: e non per questo non si sarà fatta una narrazione…

IO: …ma non si è narrificato, mi par di capire.

IL MIO AMICO FILOSOFO: No. Si è narrato, ma non si è narrificato.

IO: Quindi la narrificazione fa torto alla verità della vita.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Dipende. A volte le fa un servizio. Dissoda. Mette in chiaro. Porta alla luce. Semplifica utilmente. Coglie l’essenziale.

IO: Ti piacerebbe essere narrificato?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Che cosa intendi?

IO: Ti piacerebbe che qualcuno raccontasse la tua storia, la storia della tua vita, facendo tornare i conti, rintracciando cause ed effetti, mettendo in ordine prologhi, svolgimenti ed epiloghi di tutti i fili del tuo destino?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Di tutti i fili?

IO: Tutti.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Penso che ne resterebbe fuori un sacco di roba. Anzi, no: penso che ne resterebbe fuori pochissima.

IO: E che cosa resterebbe fuori?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Io.

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12 Commenti

  1. Bellissimo Tiziano. Mi pare sia una caleidoscopica discesa nella riflessione letteraria. Qualcuno la definirebbe una riflessione ontologica sul tema del narrare. Ho molto apprezzato anche il plusvalore unico che hai mostrato; il plusvalore umano che nessuna narrificazione può riuscire a rendere archetipo.

  2. chi era quello che parlava di (descrizioni della) realtà paradigmatica vs realtà sintagmatica? è uno di quelli che studiavo all’università, e che adesso magari ti ritrovi come guru del pensiero no-global. un linguista, sicuro. semiologo. forse. russo? boh!
    in ogni caso: diceva la stessa cosa, solo che se avessi letto allora questo tuo “scritto”, l’avrei capita subito senza dovermici scervellare tanto…

  3. Ma qualcosa di simile non lo sostenevano già i surrealisti? non erano loro contro il “romanzo borghese”? i libri non poetici dello stesso Breton non sono “anti-narrificazioni”? Il discorso, in fondo, non è nuovo. Certo, a Scarpa il merito di riprenderlo e di aggiornalo alla situazione attuale.

  4. Una conclusione da grandissimo dialoghista, bravo Tiz. Se poi sostituiamo a “io” il “vuoto” sembra quasi un pensiero taoista.

  5. Prima giocavo a palla a canestro, non ero male. Era ai tempi in cui i più fortunati potevano vedere i professionisti dell’NBA su tele Kapodistria, io ero fra quelli. Era la metà degli anni ottanta ed il mio preferito era Bird, un bianco di 2,02 di una lentezza paradossale e di una classe cristallina. Poi arrivò Jordan, che aveva una tecnica niente male, ma soprattutto due gambe fantastiche, un corpo che volava sul parquet.
    Fra i due potrei chiedermi adesso qual era il narratore dell’arte del canestro e quale il narraficatore. Bird, lentone, rimase il mio favorito, perché era un artista, Jordan che ebbe molto più successo era la macchina, il superuomo. Inizialmente pensai che Bird fosse quello più imitabile, bisognava copiarne la tecnica deliziosa, ma mi sbagliavo, era impossibile da imitare, troppa Arte per chi aveva poco talento. Epigoni di Jordan invece ce ne sono stati a camionate, tutte guardie dai fisici esplosivi, ma di poca poesia.
    Ecco per me quei due andrebbero bene per il tuo amico filosofo.

  6. Off Topic. Vins, ma ti ricordi Bird e Magic in quella finale nba vinta da Los Angeles all’ultima partita in non mi ricordo quale lontanissimo anno, una roba epica, erano ancora i tempi del gancio cielo di Jabbar. Che bel gioco era, non c’erano ancora quelle mostruosità muscolari tipo quel play alto 1.70 che ha vinto la gara di schiacciate. Bird schiacciava a fatica, ma era intelligentissimo, con un sangue freddo terribile, sempre un canestro quando era necessario o un tiro da tre punti. E ti ricordi che bravi Stokton e Ishaia Thomas. E quello slavo morto giovane, come si chiamava già Dragan Petrovic?
    (devo aver scritto tutti i nomi con le grafie sbagliate, vabe’, era l’entusiasmo).
    Ehm, comunque ora che ci penso io allora tifavo per Magic, Bird rappresentava i wasp. Scusate l’OT.

  7. Ho conservato solo questa parte, che avevo copiato e inoltrato a Raul per posta elettronica:

    A Raul: perché dovrebbe essere da “Maligno” la tua domanda? Non è mica un male essere “narrificatori”. Anche tu a volte lo sei. Anch’io, quando scrivo racconti serrati. Niccolò lo è certamente. Non sempre, ma molto più frequentemente di me e di te. Diciamo che Niccolò ha un talento eccezionale nel saper immaginare una storia a partire dagli spunti che lo toccano nel profondo. O meglio: per come lo conosco, Niccolò Ammaniti accende il suo godimento artistico (la sua ispirazione, la forza motrice spirituale che lo muove verso l’opera) quasi esclusivamente con le storie: gli piacciono le storie, il succedersi narrativo, la forma che prende il mondo quando comincia a succedere serratamente. Tutto il resto, per lui, non rientra dentro l’opera; non nella sua, perlomeno. Personalmente, io diffido invece dei narrificatori che PIEGANO qualsiasi spunto verso la narrazione serrata, che lo fanno diventare PER FORZA narrazione serrata (per demagogia, per mercato, per feticismo sociale che onora il romanziere e non il poeta o il saggista, ecc.). Capisci la differenza? Una cosa è dire: “sono sbalordito, sconvolto, ispirato: questa idea, questa illuminazione, questo spunto mi fa venir voglia di raccontare una storia!” (Niccolò). Altro è dire: “dunque, vediamo un po’… Com’è che posso far diventare una storia quest’idea qui? Se mi ci metto so che con il mio mestiere riesco a sceneggiare pure questo spunto” (i narrificatori sistematici). Mi è venuto un altro paragone. Facciamo finta che Niccolò sia un giallista (non lo è; il mio è un esemplum fictum). Se gli venisse in mente una storia senza assassinio, il fantaNiccolò Giallista manco lo inizierebbe, il libro. Se la stessa storia viene in mente al Narrificatore sistematico, eccolo lì che rimugina: “dunque, sì… spunto interessante… ma ci manca il morto… Vediamo, chi posso far assassinare di questi personaggi? E da chi lo faccio uccidere? E da chi faccio scoprire il colpevole?…”

  8. E il lettore? Il lettore chiede narrazione o narrificazione? Proviamo a ridurre i lettori in tre categorie: statunitensi e gente al mare, europei e scrittori, “asiatici”.
    Il primo sembra chiedere a gran voce narrificazione. Il secondo, con la puzza sotto il naso e il manoscritto nel cassetto vuole narrazione. Il terzo ci frega tutti. E’ il lettore di “101 storie zen” e affini. Non vuole storie, non vuole digressioni, legge un mini plot di poche righe, ci pensa su, sente di sfiorare un concetto vitale che non afferra, spegne la luce sul comodino. Dorme. Dorme più di tutti. Beato lui!

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