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Book-safari

di Elio Paoloni

scaffale Nelle brochure degli hotel Movenpick può mancare la foto della Jacuzzi ma non quella della biblioteca, senza la quale il benessere (Wellness è la parola che campeggia sui plessi appositi) non sarebbe realmente completo. In quella del resort di El Quseir, ex porto sulla costa egiziana del Mar Rosso, il tedesco batte l’inglese 7 a 2. Uno scaffale e mezzo è riservato ai libri in lingua italiana, uno agli Other Languages. Sugli scaffali tedeschi molte traduzioni dall’americano ma anche qualcuna dal francese e un Valerio Massimo Manfredi. Handke è ben rappresentato: c’è anche La donna mancina, in un passo del quale il marito di lei riporta da un romanzo inglese questa considerazione: “Essere l’oggetto di questo fiero e rispettoso lavoro di servo, significava per lui, sia pure per il breve spazio di un tè, non soltanto la conciliazione con se stesso bensì stranamente anche la conciliazione con tutta la razza umana”.

Non c’è descrizione migliore degli effetti del trattamento Movenpick (catena svizzera) sugli ospiti. Con una differenza: nelle brume nordiche il lavoro sarà fiero e rispettoso, certo non rilassato e cordiale. Qui si ha la percezione che gli opposti siano conciliabili. Ci si è rassegnati all’idea che l’efficienza nordica sia la naturale compagna della freddezza e della rigidità, così come la cordialità e l’ospitalità mediterranea sembrano inscindibili dalla pigrizia e dal menefreghismo. Ma a El Quseir la solerzia si accompagna al sorriso (quello vero, non quello da hostess), alla capacità di scherzare con i colleghi e, se è il caso, garbatamente, con i clienti. Non c’è uomo, dall’inizio della giornata alla fine del turno, la cui voglia di salutare appaia appannata. Questo, s’intende, è personale accuratamente selezionato, felice dei suoi privilegi. Specie il direttore di sala. Che però, invece di sfoderare l’arroganza tutta particolare di chi nei paesi caldi è investito da un’autorità, non esita a ritirare i piatti sporchi quando necessario. Senza perdere il sorriso. E al più oscuro degli operai, che è stato addestrato solo a non comparire, chi impone tutta quella amorevolezza per i bambini?

Va bene, questo villaggio è un esperimento in vitro, una riserva umida piantata nel deserto, una colonia su Marte, una “piattaforma nel centro del mondo”, ma a me basta sapere che, sia pure artificialmente, due mondi possono intrecciarsi dando il meglio di sé: è possibile essere efficienti e puntuali, puliti e precisi, e tuttavia sorridenti ed elastici, scherzosi e felici.

Manca di sicuro in brochure la foto della postazione di polizia addossata al muro di recinzione, defilata rispetto all’ingresso e delimitata da un semicerchio di cemento alto quasi quanto un uomo, con uno dei cinque agenti sempre in piedi al centro. Un altro agente con al braccio la fascia “Tourist and Antiquities Police” siede in permanenza di fianco al metal detector nell’ingresso della hall, con un monitor davanti. Tourist e antiquities, due cose distinte: non sempre i turisti sono interessati alle antichità, al passato, spesso si limitano al presente della tenda beduina e della fauna marina, l’immensa vasca dei pesci rossi (e gialli e verdi e blu e di altri 65532 colori). Ma sono contemporanei i beduini? Sono contemporanei i nubiani dei canali intorno al Nilo? No, antiquities anche loro. Pure i pesci appartengono a chissà quale passato: quei reggimenti carnevaleschi sottratti alla natura, cioè alla selezione della pesca, non riguardano il nostro tempo. E i coralli spenti delle barriere più battute sono, come quelle dei templi, rovine. Antiquities.

Uno si aspetta che i libri siano divisi per genere: gialli, avventure, amore, umorismo. Con quale altra bussola dovrebbe pescare un libro il turista reduce da un’escursione, una sauna, un bagno nell’Acquario? E invece sono ordinati per editore – riportato sulla targhetta applicata a ogni mensola – col risultato che le opere della collaboratrice di Cosmopolitan Penny Vincenzi (almeno una decina di romanzi sulle ottocento pagine) sono dislocati su mensole diverse. Non si spiega. Va bene il rigoroso senso dell’ordine svizzero, ma qui non si entra a cercare testi per tesi di laurea, con la lista per editore, luogo e data di pubblicazione: uno spiaggiante vorrà solo sapere in quale scaffale trovare i gialli, o i romanzi d’amore, o la fantascienza. Già una disposizione in ordine alfabetico sarebbe una forzatura, figuriamoci se uno in bermuda può farsi venire in mente il marchio che detiene i diritti dell’ultimo Grisham.

Gli autisti delle Jeep fanno di tutto per rendere avventurosa l’escursione nel deserto, magari affrontando di brutto l’unica collinetta nel giro di qualche miglio invece di girarci intorno, ma non c’è brivido più autentico dell’attraversamento su strada asfaltata in carovana, dove carovana non è definizione pittoresca ma richiamo al motivo originario del formarsi delle carovane. Il centro di raccolta di Safaga è un caravanserraglio nel senso più proprio del termine: accoglie ogni mattina i pullman di villaggi e alberghi di tutta la fascia costiera. Alle nove si parte, tutti insieme, a ranghi serrati: cento pullman attraversano, scortati da camionette della polizia (un altro corpo: anche loro in nero ma non nel panno grezzo della polizia turistica, panno di una consistenza impossibile da trovare altrove, una sorta di pile al cubo senza alcuna chance di assumere una forma) il primo tratto della strada tra Safaga e Qena, decine di chilometri tra un susseguirsi di montagnole rocciose, praticamente un’unica, interminabile gola. E sei sbattuto indietro nei secoli, a quando da ogni rilievo potevano precipitarsi giù le orde urlanti del rezzou, il raid meharista, “il sale della vita libera”. Il brivido vero non viene decantato dalle brochure (l’ufficio marketing non ha ancora compreso che il rischio terroristico è più interessante di fasulli percorsi “survival”).

Tra i libri in lingua inglese, moltissimi i romanzoni da mille pagine ma c’è anche The Dante Club, la cui esibita erudizione dovrebbe riscattare il genere thriller. Ci sono autori comuni a più scaffali: Smith, Forsyth, King, Cussler. C’è Omertà di Mario Puzo in almeno tre lingue che spicca perché il titolo non viene mai tradotto, neppure in lingua olandese, lingua alla quale, nello scaffale misto, sono dedicate due mensolette. Una mensoletta è riservata al francese, il resto a lingue diverse: due libri cechi, uno polacco, uno danese, uno svedese. E uno norvegese, con La commedia umana di Saroyan, un’edizione del 1946 con copertina rigida, donato nel dicembre 2003. Molti libri della Movenpick Library sono lasciati lì dagli ospiti, invogliati al book crossing da un cartoncino apposito presente nelle camere nonché dalla voglia di sganciare zavorra da un bagaglio già al limite dell’eccedenza e ora gravato dai souvenirs, ma non tutti sono firmati e datati come questa Commedia umana, il cui percorso non è comune: non lo si preleva dalla biblioteca di famiglia un libro del quarantasei (non per le vacanze) né lo trovi all’edicola del terminal. Chi sarà stato a passare, in maglione a disegni vivaci, davanti a una bancarella (oops, il Remainder’s avrà avuto un solido tetto coibentato) prima di partire per i dintorni del Tropico e abbandonare questo vecchissimo libro di un autore fuori moda? E l’avrà letto? Quanti, tra bagni, escursioni, saune, colazioni, pranzi, cene e sesso avranno avuto modo di leggere un intero volume, specie certi spaventosi tomi da mille pagine? Saltano fuori cinque volumi in giapponese (strano, qui giapponesi non se ne vedono, nemmeno nei luoghi deputati): uno riguarda un documentario girato tra i mongoli (si capisce dalle foto), due non danno nessuna possibilità di decifrazione e due, chissà perché, recano in copertina, oltre a foto (una grande e due piccole) di donne bionde in paesaggi tra l’iperrealistico e il surreale, una scritta (il titolo presumibilmente) in caratteri latini: Casanova’s sigh e Cleopatra’s dream (siamo in tema). In portoghese, infine, i due volumi dell’Alessandro il Grande di Manfredi, che per un comprensibile equivoco sono finiti nello scaffale italiano.

Alle postazioni sulla strada per Qena invece dei muretti c’è uno scudo metallico pesante corredato da ruote e manici, una sorta di carriola da guerra. Difficile per un europeo comprendere come sia semplice controllare una strada da queste parti. Il deserto arabico orientale, tutta la fascia che va dal Nilo al Mar Rosso, è assolutamente privo non solo di paesi ma finanche di oasi. Non c’è neanche la sabbia in quei duecentomila chilometri quadrati di pietraia, quindi ad attraversarlo ci sono solo tre strade, di cui una non ancora sistemata. E quando si dice strade si dice duecento chilometri senza un solo incrocio: niente vie secondarie, piste che partono per pozzi o oasi o vecchie roccaforti o aree archeologiche. Questo vuol dire che nove posti di blocco controllano tutto il traffico di un’area grande quanto l’Italia. Traffico normale, s’intende, che cammelli e jeep possono passare per molte piste (non moltissime: i rilievi ripidi di questo deserto roccioso non permettono attraversamenti fuori pista come in altri deserti).

Nello scaffale tricolore (sì, sono identificati da una bandierina, in alto) i Pocket e gli Oscar Mondadori hanno targhetta apposita, come si trattasse d’altro editore rispetto al Mondadori senza attributi di altri due scaffali. C’è poi Sperling Paperback, scelta abbastanza ovvia. Ma perché TEADUE, che non è un editore imponente? Chi avrà scelto i libri in italiano? Con quali criteri? Stranamente, questi libri non sono meno stropicciati degli altri. Spiccano albi a fumetti, da Tex a Dylan Dog, compreso un Supermito, Paperincas. Inevitabili i King, i Cussler, i romanzoni passionali, il comico di turno (qui Max Pisu, il meno notevole della schiera, che pure ha avuto l’onore di uscire da Rizzoli) e l’O’ Brian di Ai confini del mare (febbraio 2003, prima dell’uscita di Master and Commander) con un suo pendant nobile, sempre TEA: una ristampa ’98 di Riti di passaggio, primo volume della Grande trilogia del mare del Premio Nobel 1983 William Golding. I gialli Mondadori la fanno da padrone ma c’è un thriller più bizzarro: un Delitto di mezza estate in 600 pagine. La mezza estate farebbe pensare al clima di qui (a marzo) ma le vicende narrate da Henning Mankell, tradotte nelle Farfalle Marsilio col contributo dello Swedish Institute di Stoccolma e del programma Cultura 2000, si svolgono in Svezia.

L’approssimarsi del Fiume va definito col termine più abusato delle brochure: favoloso. Dopo tre ore di pullman in un universo a dominante unica (non monotono: il deserto è la cosa meno monotona che esista) benché la mancanza di vegetazione non sia stata assoluta (lungo l’acquedotto spuntano spesso cespugli: tamerici e acacie, mai palme, neanche una palma, in tutto il deserto orientale, che non sia stata piantata dai giardinieri dei resort o dagli abitanti dei paesi) il verde della prima coltivazione, un quadrato perfetto su una trapunta beige, appare iperrealistico e onirico allo stesso tempo. Non si capisce perché si trovi proprio lì e come mai. Dopo tre minuti ne vedi altre due, eccitato come se non avessi mai visto un campo di insalata, e dopo dieci minuti sei ritornato nel mondo: alberi, cespugli, qualche casupola, altre coltivazioni. E poi, finalmente, gli incroci. Da questi incroci spunterebbero, normalmente, asini e motocarri carichi di canna da zucchero. Ma stiamo passando noi e, come se fossimo nobili in portantina, tutto si ferma: davanti a ogni incrocio un uomo in tunica col fucile fa le veci del vigile, o della sbarra dei passaggi a livello. Il fucile in genere è decorato, sembra un’arma vecchiotta, ma il fuciliere ha un’aria carismatica. I contadini in attesa non sembrano seccati.

Un vecchio Theoria, Emma della Austen tradotto da Sandra Petrignani nel 97 (anno della strage sulla spianata del Tempio), comprato al Libraccio di Milano (Mel Bookstore) al 50%. Al Libraccio di Como, invece, era stato acquistato Una ignota compagnia di Giulio Angioni, un Narratori Feltrinelli sull’amicizia di un bianco e di un nero, dipendenti di una fabbrica di indumenti intimi, dove a essere più spaesato è il bianco. Il prezzo è cancellato col pennarello, dunque abbiamo un regalo (un regalo taccagno, se si è andati al Libraccio) che viene tranquillamente abbandonato (o il Book crossing è la destinazione più grata per un libro che si ama, anche se ricevuto in dono?). E’ del marzo ’92, ha fatto un lungo percorso questo libro. Angioni, del resto, è un autore che viene spesso bookcrossato se il suo Il mare intorno (Sellerio di Giorgianni, 2003) è stato trovato da una commentatrice (entusiasta) di Internetbookshop all’aeroporto di Ronchi.

Da Quena a Luxor la strada è punteggiata da grossi orologi a cucù in mattoni: c’è un pilastro e sopra un parallelepipedo con una piccola apertura. Quando ti rendi conto che sono in corrispondenza di postazioni di polizia cominci a sospettarne la funzione ma solo quando all’apertura vedi affacciarsi la testa di un poliziotto invece di quella di un uccellino ti convinci che sono gabbiotti antiterrorismo (ci sarà una scala di corda che viene ritirata). I gabbiotti sono rivestiti di piastrelle chiare, accorgimento non ovvio in un paese dove la rifinitura è un curioso optional e i neon su supporti arrugginiti dai vetri lerci che illuminano i sarcofagi nella Valle dei Re striderebbero pure nel capannone di uno sfasciacarrozze campano.

Il pezzo pregiato: Sillabari di Parise, stampato nel 1997 da Rizzoli, che a Parise ha dedicato una vera e propria collana. C’è un altro sillabario: Leggere e amare di Annamaria Testa contiene ventuno storie di donne che partono da una parola. Sembra messo lì apposta per far risaltare l’originale. Ci sono due romanzi Avagliano, cosa ben strana: due titoli di un piccolo editore campano quando mancano del tutto grossi editori. Tra l’altro la clientela italica sembra ripartita tra milanesi e romani, che hanno più facilmente accesso agli scali. Viene il dubbio che a lasciarli sia stata la stessa persona: si tratta infatti di storie scritte da donne e ambientate nel mondo dell’arte, pubblicate tutte due nel 2000. Una rosa nel cuore è di Simona Weller, pittrice, specializzata in romanzi su donne artiste. Il cielo capovolto, invece, è di Antonella Cilento. Ma chi ha potuto depositare l’Itinerario turistico dell’uomo contemporaneo di Umberto Fragola (Edizioni Scientifiche Italiane, 1989)? Chi va in un villaggio turistico sul Mar Rosso munito di siffatto saggio, scritto da un docente di Diritto Amministrativo in una forma tra il divulgativo e il serioso che fa sospettare il testo ad uso degli studenti? Sarà stato un turista “ecologico, colto, di gruppo, razzista, vagabondo, fotomane, gastronomico”? Sarà stato un lettore particolarmente ironico? Sarà stato lo stesso Fragola?

Se c’è una cosa che caratterizza la polizia egiziana è la discrezione nei confronti dei turisti: all’arrivo all’aeroporto di Marsa Alam un grosso poliziotto sorridente aveva inscenato un gioco “te lo do non te lo do” con i passaporti di una famiglia. D’altro canto il metal detector all’ingresso della hall del Movenpick è così chiaramente inutile (fischia sempre e nessuno fa una grinza) che c’è anche la volontà di far presente che sì, siamo qui, ci curiamo di te. In spiaggia a vegliare sulla nostra incolumità c’è solo l’assistente bagnante sul suo trespolo. Sui lettini si vedono anche libri portati da casa: ne riconosco uno già visto in aereo, un grosso tomo con una copertina bigia che fa pensare a qualcosa di cerebrale. Guardo bene: è Il signore degli anelli. Inutile sperare di imbattersi, qui o in biblioteca, in qualche testo di Pierre Loti. Ho ricordi vaghi del suo libro sull’Egitto, un vecchio BUR con copertina color deserto: sarebbe bello rileggerlo adesso, vedere se qualcosa ha resistito. Paragonare il suo esotismo a quello sessuale dell’altro autore mancante, Houellebecq, che in Piattaforma descrive la ricerca della formula perfetta per i villaggi vacanze. Ma quando si azzecca la formula, arriva anche, dal mare, l’aggressione dei fondamentalisti. Se dovessero arrivare su questa piattaforma, beh, quel quadrato di sacchetti di sabbia sistemato tra il chiosco del baretto e la capannina spogliatoio non sarebbe un gran riparo.

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8 Commenti

  1. Molto bello “Piattaforma” di Houellebecq. Il Movenpick è una catena anche di ristoranti. Vi si mangia benissimo. Se andate in Svizzera non perdetevi la cotoletta alla zurighese e il roesti di patate. Fino a un anno fa, alla Standa vicino a casa mia, trovavo anche un ottimo gelato Movenpick in “vasche” da 1 Kg. Tre gusti: pistacchio, cioccolato, panna. Eccellente.

  2. I diari e i resoconti di viaggio incuriosiscono sempre. Spesso più per quello che dicono su chi li scrive che per quello che dicono sulla realtà o sul paese che dichiarano di descrivere.

  3. gentile emma, non si capisce dove lei va a parare. le è piaciuto il pezzo di paoloni? a me sembra un ottimo resoconto di viaggio, senza programmi, senza scalette. come un vero viaggiatore fa appunto quando viaggia. che ne dice?

  4. Gentile Sorel, cerco di spiegarmi meglio.
    Non mi pare che questo resoconto manchi di scalette o di programmi. C’è una calibrata alternanza tra la storia dei libri e quella del viaggio, anzi l’aspetto letterario più interessante mi sembra proprio questo doppio binario, questo solo apparente divagare.
    È piuttosto la sottile pretesa di imparzialità – l’osservatore neutro e non coinvolto – la cosa che mi dà da pensare.
    Credo ci siano (e siano in crescita) grossi limiti nello sguardo e nella condizione del turista, anche del turista più scafato.
    Poniamo che la domanda sia: “Sei stato in Egitto?”.
    La risposta – secondo me, qui – dovrebbe essere: “No, non sono stato in Egitto. Però nella primavera del 2004 ho partecipato a un viaggio organizzato con meta l’Egitto”.

  5. Nel brano si trovano diversi accenni a una condizione blindata e falsa. Facendo un po’ di conti, scopriamo che i soli egiziani con cui ha a che fare l’autore sono gli addetti ai servizi turistici e alla sicurezza dei turisti. Tutti gli altri autoctoni sono ai bordi, anzi bloccati, letteralmente impediti a muoversi e ad avvicinarsi. Ma in effetti anche i compagni di viaggio sono poco più che fantasmi, compaiono soprattutto come probabili (o improbabili) lettori di libri.
    Posto in una condizione che ha del paradosso, l’osservatore (l’autore) sembra complessivamente a suo agio, o indifferente; si limita a fare osservazioni minute, distaccate, a ricorrere a schemi interpretativi di tipo prettamente sociologico.
    E allora chi legge si sente legittimato ad applicare quegli stessi schemi all’osservatore (all’autore). A pensare, per esempio, che chi scrive è un turista occidentale (italiano, del sud), che questo turista è un intellettuale che non vorrebbe sembrare un intellettuale ma che in effetti ci tiene molto ad esserlo, che politicamente questo intellettuale è orientato a… che sulla guerra e il terrorismo pensa che…
    Insomma, se si comincia – con la sociologia – non si finisce più.

  6. Dici benissimo, Emma: non potrei che rispondere esattamente in quella maniera. Io NON sono stato in Egitto, lo dichiara l’intero pezzo, in alcuni casi esplicitamente: mi trovavo in una piattaforma artificiale. Il titolo, infatti, non è “Ve lo do io l’Egitto” ma qualcosa come: “Ve la do io la biblioteca” o “Ve lo do io il resort” o “Ve la do io l’escursione organizzata”.

    Non mi ero invece accorto di aver fatto ricorso “a schemi interpretativi di tipo prettamente sociologico”.

    E non è vero che ero indifferente: ero tramortito dall’intensità dell’esperienza, sia pur limitata, del deserto e del Nilo. Troppo, per scriverne bene e non banalmente. E ho la strana – e piacevole – sensazione che di certe esperienze, anche più prolungate, non vorrei scrivere.

  7. emma fa considerazioni interessanti, epperò paoloni spiega ciò che era comunque chiaro: niente distacco, anzi. (vedi quando parla del deserto). paoloni è una specie di Houellebecq su piattaforma araba.il suo è un viaggio nel “tutto compreso” che però ingloba notazioni interessanti sulla letteratura “alberghiera” e non è affatto un’asettica descrizione, o filo interdentale di sensazioni. tantomeno è un pezzo di giornalismo turistico = redazionale = che palle. paoloni ha scritto un pezzo originale. ed emma – in fondo è così – si è incuriosita per il suo autore. missione dello scrittore: compiuta.

  8. Rispondo con molto ritardo e mi scuso.
    Dunque, gentile Sorel, secondo me ti piace molto il lieto fine :-)
    Mi rimane però un piccolo dubbio. “Piattaforma” di Houellebecq è un romanzo.
    L’io di un resoconto di viaggio (non un diario, in effetti, ma una via di mezzo tra diario e saggio; anzi più saggio che diario) è come l’io protagonista di un romanzo?
    Se il testo ha anche solo vagamente a che fare con la fiction, il mio discorso in effetti non ha senso.
    Ma Paoloni è d’accordo?

    P.S.: Comunque anche io sono dell’idea che ambiente, oggetto e circostanza di questo pezzo siano molto interessanti. Insomma – deserto del reale o reale deserto – il tutto meriterebbe un approfondimento e uno sviluppo.

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