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L’elegia e il conflitto #2

sbobinato da Tiziano Scarpa

sierv2.jpgIL MIO AMICO FILOSOFO: Del Siero della vanità, il film di Alex Infascelli, mi è piaciuto che il mago illusionista rapisca gli altri ospiti, e non la conduttrice del talk show, una specie di algida e antipaticissima Maria De Filippi. Eppure è lei la vera orchessa, la responsabile delle illusioni fatte a pezzi, quella che decide i destini delle persone che invita alle sue trasmissioni, crea personaggi e li distrugge…

IO: Come fa all’inizio del film con lo psicologo.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Una specie di Paolo Crepet che si liscia il baffo…

IO: Immagina come devono guardarlo con risentimento, Crepet, i suoi colleghi psicologi che non sono invitati in tivù…

IL MIO AMICO FILOSOFO: Eh sì. E lo psicologo, con tutta la sua esperienza di vita e la saccenza sulle dinamiche interiori e relazionali, è il primo a perdere la testa durante la prigionia nelle fogne! Anche questa cosa mi è piaciuta.

IO: Ma sì. Il film si vendica di alcune macchiette televisive riconoscibilissime. Platinette, il Gabibbo, la Miss Italia di turno, la cantante che imbrocca una canzone sola nella vita…

IL MIO AMICO FILOSOFO: Be’ anche aver ipotizzato che dentro il pupazzotto del Gabibbo ci sia lo stesso attore che si traveste da diva camp cicciona è una bella trovata… Comunque, il mago illusionista rapisce gli altri ospiti, e questa è una mossa intelligente della narrificazione del film, perché sono loro i veri responsabili! Sono loro i veri colpevoli: colpevoli di aver puntato la loro vita su un talk show.

IO: Senaldi e Piotti direbbero…

IL MIO AMICO FILOSOFO: E chi sono?

IO: Due tuoi colleghi. Marco Senaldi e Antonio Piotti. Gli autori di Lo spirito e gli ultracorpi. Loro direbbero che questi Piccoli Sé ambivano a diventare prestigiosi, Più Grandi Sé, ma per farlo hanno dovuto alimentare il sistema simbolico televisivo del Grande Altro. In questo modo, in realtà, il risultato che hanno ottenuto è quello di aver fatto diventare ancora Più Grande il Grande Altro.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Stai andando troppo sull’astratto.

IO: In altri termini, il potere dello spettacolo televisivo riesce ad assorbire gli antagonismi sociali, le ambizioni individuali, il desiderio di successo e affermazione, che sono potenzialmente pericolosi. Accoglie nelle sue braccia (o nelle sue spire, se vuoi) gli individui caricati a molla dal loro desiderio di rivalsa e affermazione, e li soddisfa con visibilità e successo. Ma nel far questo li ingloba dentro di sé, diventando più grande, più potente, e intanto li neutralizza, li ammortizza: non gli sono più nemici, ma alleati.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Anzi, sono il carburante stesso del suo funzionamento, diventano il suo motore! Rapendo gli ospiti e non la conduttrice del talk show, il mago illusionista colpisce i veri colpevoli! Non i nazi ma i collaborazionisti, i kapò, i delatori, la maggioranza consumatrice, le percentuali di share e di audience… Il popolo che “non sapeva” ma applaudiva entusiasticamente alle adunate oceaniche…

IO: Non fare confusione. Ti stai infervorando. Esageri. Una cosa è chi la tivù la guarda, altra cosa è chi desidera entrarci e diventare famoso lì dentro.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Forse hai ragione. Comunque, questa storia mi è piaciuta perché non è populista. Non assolve le vittime. Non scusa, per partito preso, i più deboli.

IO: C’è da dire che la conduttrice era difficile da rapire, con tutte quelle guardie del corpo.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Vero.

IO: Cos’altro ti è piaciuto?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Il secondo talk show, nello scantinato. Il mago lo rifà con scenografie infantili, la sigla è un’audiocassetta su uno stereo portatile, con gli applausi gracchianti registrati… Gli ospiti sono stremati dalla prigionia nelle fogne, luridi, graffiati dalle pantegane, nutriti a cartoni di pizza…

IO: Qui ho riconosciuto la fantasia di Niccolò Ammaniti. I cartoni della pizza sono un suo tocco inconfondibile! Solo a lui poteva venire in mente che un rapitore psicopatico nutre i suoi prigionieri andando a comprare le pizze nel posto… Come si chiama?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Che cosa?

IO: Come si chiama dove fanno pizze da asporto, e te consegnano pure a domicilio?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Non lo so. Pizza express?

IO: E in italiano?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Non lo so. Comunque quella narrificazione è molto bella, sì. E anche il talk show rifatto artigianalmente è un momento notevole, visionario ma anche molto realistico, perché delle persone tenute per giorni in quelle condizioni non possono che essere ridotte così. Ma allo stesso tempo è come se fosse uno squarcio aperto sulla psiche del mago illusionista. Dentro la sua anima, il secondo talk show si svolge davvero in quei termini mostruosi.

IO: Non parodistici.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Niente affatto! La parodia la fa la televisione su se stessa, per affermarsi! Ripete se stessa, proprio per porsi come Storia. Si inventa un sillogismo. Se la tragedia si ripete come farsa, allora tutto ciò che si ripete come farsa ha la nobiltà della tragedia. La tivù fa continua farsa di sé. Si imita, si prende in giro, si parodizza. Così facendo fonda la sua nobiltà: si postula come tragica. In questo film invece la tragedia si ripete, ma in forma di tragedia ancora peggiore! Mi è piaciuto molto quando la cantante, durante il secondo talk show, nello scantinato accanto alle fogne, dice al mago: “La storia non si ripete.” In un certo senso ha ragione. La storia lì non si sta ripetendo veramente.

IO: Senti, ma ti sono piaciute un sacco di cose di questo film!

IL MIO AMICO FILOSOFO: Aspetta. Non mi è piaciuto proprio che non sia successo niente. Che la storia non si sia ripetuta, perchè in realtà non è successo nulla.

IO: Ma come! Succedono un sacco di cose! Il mago riesce a ripetere l’esperimento, e questa volta ce la fa a liberarsi dalle catene immerso nella vasca, mentre Margherita Buy, l’investigatrice zoppa, arriva nello scantinato, e la troupe della conduttrice algida irrompe insieme al poliziotto che spara al mago e…

IL MIO AMICO FILOSOFO: Lo so, lo so. Ma sono narrificazioni forzose della sceneggiatura, queste.

IO: Che cosa volevi?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Io? Niente. Mi va bene anche così. Ma noto una cosa. Lo spunto è molto bello, ne abbiamo parlato a lungo.

IO: Abbiamo rilevato che dev’esserci una grande frustrazione sociale, una frustrazione che Niccolò Ammaniti ha colto nella figura del mago fallito.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Come tu l’hai colta nella poetessa erotica.

IO: Oh, ma io riportavo una cosa che ho visto, senza il merito di aver fatto lavorare la mia fantasia.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Comunque, un senso ce l’hai trovato. Ti sei pacificato conoscitivamente in quella considerazione. Ti sei soddisfatto eticamente.

IO: E questo film no?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Questo film narrifica. Cerca il conflitto. Non gli basta la narrazione di un fallimento e la conseguente constatazione etica.

IO: Parli difficile! “Constatazione etica”! Di’ pure la morale, no?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Eh. Un mago illusionista che ha sprecato l’occasione della sua vita, per il narrificatore, dovrà assolutamente fare qualcosa per trovare un risarcimento. Non può mettersela via. Noi, da fuori, possiamo commiserare il suo fallimento e accontentarci della “morale”. Ma lui è nella mischia, ossessionato dai rimpianti. Il disastro è intollerabile. Non può convivere con quel rimorso. Il danno va riparato.

IO: L’irreparabile. È un punto chiave di tutte le narrazioni.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Vedi, per i narrificatori non esiste nulla di irreparabile. O meglio, per i loro personaggi non esiste nulla di irreparabile. Essi vivono nel conflitto! Io, da filosofo, o tu, da narratore, viviamo nell’elegia. E nella constatazione etica, nella morale. Il narrificatore vive nel conflitto, insieme ai suoi personaggi!

IO: Io e te nell’elegia? Fammi un esempio.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Ti muore una persona cara durante un’operazione chirurgica, per una complicazione inaspettata. Ci stai male. Piangi sulla sua tomba. Ripensi alla sua vita, e a come è stata interrotta improvvisamente. Questa è l’elegia. È una narrazione. Ma è una narrazione elegiaca.

IO: E il conflitto?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Fai causa all’ospedale, torturi l’anestesista, assassini il chirurgo, progetti un attentato al Ministero della Sanità. Trovi a tutti costi una responsabilità, una colpa. Non accetti l’irreparabile. Vedi conflitti dappertutto, responsabilità, colpe. E tu stesso li inneschi di conseguenza.

IO: Quindi l’elegia è filosofica.

IL MIO AMICO FILOSOFO: In che senso?

IO: E’ più saggia di un atteggiamento conflittuale.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Che ingenuità! Non confondere filosofia e saggezza. Ad ogni modo, anche l’elegia è una forma di narrazione. Ma è come se la parte in causa, sì, fosse più saggia, e riuscisse ad adottare uno sguardo olimpico, vicino a quello di un dio: accetta il destino, o perlomeno se ne fa una ragione. Ci soffre, e tanto. Ma riconosce l’irreparabile, e si disarma di fronte a esso.

IO: Be’, piano. Io posso avercela con Dio, perché ha fatto morire la persona che mi è cara. O con la Natura, con il Destino. Non mi limito a maledire l’anestesista, non mi limito neanche a denunciarlo, o a torturarlo, o a ucciderlo. La vendetta a spese dell’anestesista sarà anche un conflitto, ma rispetto allo scontro con Dio è piccino! Nell’elegia non è detto che io mi pacifichi. Passo a un livello più grande. Inveisco contro il cielo e la terra, ruggisco di rabbia contro i fondamenti della vita, metto in discussione la teodicea, accuso l’ingiustizia dell’Essere! Il conflitto fa causa al chirurgo, ma l’elegia trascina in tribunale Dio! L’elegia sposta il conflitto su un altro livello. Dal risentimento sociale, ingaggia una titanica lotta metafisica…

IL MIO AMICO FILOSOFO: Cosa che va benissimo al potere politico.

IO: Be’, piano. I mistici, i metafisici, sono anche grandi attivisti politici!

IL MIO AMICO FILOSOFO: Accetto la tua obiezione. Ma per il momento vorrei che tu accettassi la mia versione di elegia malinconica, rassegnata, che contempla l’irreparabile senza ravvisarvi, dentro, un conflitto.

IO: Nella tua concezione dell’elegia, insomma, la narrazione finisce con il pianto davanti alla tomba.

IL MIO AMICO FILOSOFO: Sì. Nella narrificazione, nel romanzo conflittuale, invece, lì la storia è appena cominciata!

IO: Ma perché dici che in quel film non succede niente?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Perché quel che succede è la pura applicazione del fantasma mentale del mago illusionista. Lui vuole rimettere in scena il talk show per correggere quel che è stato, e ci riesce. Ma non può avere una seconda possibilità: non verrà riconosciuto come mago provetto da nessun pubblico televisivo. Il secondo talk show non lo vede nessuno, non esiste: gli eventi prodotti dal suo desiderio di rivalsa sono una pura gesticolazione psicotica dei suoi desideri. Non interagiscono veramente con la realtà. Non muovono nulla.

IO: Non è vero. Muovono un’indagine, una serie di personaggi vengono messi in crisi… Il mago non ha alternative, la sua è disperazione pura, perché non potrà mai avere una seconda possibilità. Il mondo gli può dare solo un modo di disfarsi della sua ossessione, del suo senso di fallimento. Gli offre solo la possibilità di cancellare il suo ricordo da incubo, di estirparlo. Radicalmente. Con la morte.

IL MIO AMICO FILOSOFO: D’accordo, d’accordo. In effetti il film ci mostra la messa in atto della disperazione del mago. La sua gesticolazione. Non la sua azione. Tutta la storia raccontata dal film è pura narrificazione di questa condizione psichica…

IO: Che però serve a regalarti la visione che tu hai apprezzato, il talk show infernale…

IL MIO AMICO FILOSOFO: O paradisiaco. In quello scantinato bianchissimo, pieno di luce, piuttosto pulito, dopo tutte quelle sequenze di fogne, sotterranei, cunicoli della metropolitana…

IO: Che dici, torniamo al cinema stasera?

IL MIO AMICO FILOSOFO: Sei matto? Molto meglio la tivù!

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(2 – fine)

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36 Commenti

  1. Caro Tiziano, a proposito di Ammaniti e della discussione di ieri tra realta è finzione nel cimena e in tv, ti consiglio di leggere Il Manifesto di oggi 29 aprile, nel quale in coda c’è uno stupendo articolo di Antonello Catacchio il quale parla della vicenda del bambino protagonista di “Io non ho paura”…aspetto tue riflessioni…

  2. In questa seconda parte, effettivamente, si motiva la scelta di quel titolo. Trovo che la distinzione fra elegia e conflitto possa essere proficua per capire il modo di pensare e raccontare degli italiani. Voglio esagerare: forse gli italiani – e non solo gli scrittori, ma tutti gli italiani – sono narratori, sì, ma narratori tendenzialmente elegiaci.

  3. Bah, Tiziano, questa seconda parte non mi ha convinto molto. Se volessi fare il Maligno (sempre montinariamente), direi che dopo certe polemiche ti stai specializzando in cripto-promozioni, ma so che sei stufo di certe tiritere e quindi vengo al sodo.

    Mi sembra che il tuo discorso stia diventando troppo semplicistico e schematico, di un manicheismo abbastanza spicciolo. Narratori vs narrificatori, elegia vs conflitto… Non mi convince. Non mi convince anche perché tu stesso lasci intravedere una complessità delle cose che il tuo schematismo e manicheismo non prende in considerazione, per così dire accantona . Nel primo post su narratori-narrificatori, ad esempio, all’obiezione di Montinari (se Ammaniti fosse un narratore o un narrificatore) accennavi al fatto che, in una stessa opera, uno stesso autore può alternare momenti di narrazione a momenti di narrificazione. Dunque, non narratori da una parte e narrificatori dall’altra, ma una sorta di commistione narratore-narrificatore con la prevalenza ora dell’una ora dell’altra componente (e chi ci dice che non ce ne sia una terza?). Ora, anche qui, dopo aver esposto il contrasto elegia-conflitto, accenni all’eventualità che l’elegia sia anche conflittuale, e a un livello più alto del conflitto stesso (un livello metafisico direi), ma poi subito fai marcia indietro e non entri nel merito. Premesso che schematismi e generalizzazioni sono le fondamenta del discorso, mi sembra comunque che qui davvero esageri. Ormai vedi tutto in bianco e nero, o meglio: non vedi tutto in bianco e nero (sei troppo intelligente per questo), ma in bianco e nero ce lo proponi. Davvero ottimi li spunti sulla televisione-Grande Altro e sull’autoironia (ottimo davvero, devi ritornarci), ma per quasi tutto il resto mi sembra – e rubo le parole al tuo personaggio – che “stai andando troppo sull’astratto”…

  4. Ho come la sensazione che questi dialoghetti, leopardiani quasi, non diano la soluzione al problema ma lo enuncino solamente. La soluzione non è, in effetti, veramente espressa da Tiziano, che si sdoppia perché è doppio il suo approccio. Lui stesso non ne è veramente certo. Come fai a dire che “io” sia proprio lui? E “Il mio amico filosofo” chi è allora? Se non ancora lui, l’altra parte di sé? Aspetto, da un momento all’altro, una moltiplicazione delle voci. Le varie anime di Tiziano, il diavoletto e l’angioletto, ma poi anche tutti gli altri, il simpaticone, lo stronzo, il logorroico, il timidone, l’ermeneuta, il coprofilo, etc., in una sorta di psicodramma, esporci “il problema”. Maieuticamente. Ché poi alla fine siamo noi che dobbiamo partorire.
    D’altra parte anche Raul (Malatesta MontAnari, non MontInari, ti prego. Già è tutta la vita che sbagliano il mio cognome, lasciala a me questa croce), anche Raul, dicevo, cerca da tempo di distinguere. Scrittori da Narratori. E’ chiaro che questa “distinzione” è una procedura, una semplificazione, un po’ da laboratorio. Metto in evidenza due polarità, ne do una descrizione da tavola sinottica, semplifico, determino l’asta e il puntone (roba da meccanica razionale, tutta ingegneristica) anche se so che l’elemento, in natura, libero non esiste, anche se so che il materiale presupposto infinitamente rigido in realtà si deforma e muta.
    Il problema non è, quindi, cercare la”semplificazione” da laboratorio, ma credere che in effetti esistano liberi, e puri, in natura narrificatori e narratori. Oppure, scrittori e narratori. Oppure cazzi e mazzi. Credere quindi che si debbano progettare gli edifici così come vengono semplificati nelle analisi statiche degli ingegneri. O che si debbano scrivere libri solamente come un narratore o uno scrittore. Non è così, ovviamente. E faremmo torto a Raul e a Tiziano se lo credessimo e se credessimo che loro lo credano.
    Persino Gadda, nei tempi che furono, si impelagò in una polemica simile. E, addirittura, difese l’idea di una scrittura che dovesse raccontare al di fuori del preziosismo della parola. Difese “Gli indifferenti”. Lui, il gioielliere, l’esteta, lo sbalzatore, l’espressionista. Il maestro.

    Saluti, Gianni

    p.s. se non si era ancora capito a me piacciono moltissimo questi dialoghetti. Anche se di quest’ultimo rimprovero, amichevolmente, a Tiziano il finalino un po’ sgonfio. Diciamo che la battuta gli è venuta male. Ma il ragazzo ha talento, si farà… ;-)

  5. Sì, ho sbagliato il cognome (chiedo venia a Montanari). Il fatto è che ho amici con cognomi come Montinari e Montinaro – cognomi tipici dei miei luoghi. Già facevo confusione in passato, ora che mi si è aggiunto anche Montanari, mi si scusi il lapsus ogni tanto… (d’accordo, caro Biondilla?)

  6. E comunque, Gianni, ho già detto che certi schematismi ci stanno, hanno un valore classificatorio e pragmatico, non certo ontologico, e dicono: “in due parole, le cose stanno così”. A volte, è un atteggiamento che va di pari passo con l’intento pedagogico, esplicativo (pensa un attimo agli Scritti corsari di Pasolini, opera di uno schematismo cercato, pedagogico, giornalistico ecc.)… Ciò che non mi sembra utile è continuare su questa linea, tagliare tutto in due fette, ogni volta, senza entrare nel nocciolo.
    Che poi Scarpa non pensi che il discorso sia così riduttivo, questo è pacifico anche per me, se ho detto che Tiziano è troppo intelligente per vedere le cose solo in bianco e nero. Ciò che ho criticato, mi pare, è che così ce le proponga. Che poi egli si limiti a sollevare il problema, senza affondare il colpo, libertà sua. Ma permettimi di pretendere qualcosa di più da un testo di molte righe, in più puntate, in forma di contraddittorio in cui figura addirittura un “filosofo”. Cioè: è quando parla della televisione onnivora o dell’autoironia che Scarpa “pone il problema”, e lo fa in poche righe, e in maniera davvero mirabile (e ti fa venire la voglia, come è capitato a me, di dire: ritornarci su; la stessa cosa non può dirsi del resto). (Poi io non dico che il testo sia tutto brutto o sbagliato, mi limito a denunciare una tendenza, un rischio, una possibile deriva…)

  7. Grazie di suggerimenti e commenti, ne terrò conto. Una sola cosa a Malatesta: “…direi che dopo certe polemiche ti stai specializzando in cripto-promozioni”, dici. Be’, perdonami: lo dico per l’ultima volta. Fa’ uno sforzo di onestà, e cerca di considerare se non sei tu quello che ha questa OSSESSIONE di rintracciare questo atteggiamento negli altri. Tendi ad analizzare tutti i gesti culturali critici come promozione, spinter amicali, pubblicità. E’ questa la prima cosa che leggi e ravvisi ovunque. Ti pare che questo dialogo PROMUOVA questo film? Ti pare che io abbia il potere di mandare la gente al cinema? (Dove si ragiona “en masse”, e il successo non sono tremila copie di libro venduto in più, ma centomila persone che vanno o no in sala).Questo dialogo è pieno di obiezioni radicali a sceneggiatura e montaggio, a personaggi che mancano di rotondità umana…! Adesso non si può più commentare NIENTE di quel che accade nella cultura italiana, perché c’è sempre qualcuno che legge ciò come “promozione”? E’ veramente sconcertante. Ma te lo dico senza umori negativi, con animo davvero pacifico. Un caro saluto e grazie ancora a tutti.

  8. No, Tiziano, è ovvio che scherzavo. Se io avessi creduto sul serio a un simile tuo intervento in malafede, non l’avrei accennato in un rigo, ma gli avrei dedicato tutto il post.

    Solo, dopo che avevi postato “la letteratura italiana in pillole” di Biondillo con tanto di riferimento marginale a libro e presentazione e dopo questo intervento in cui dicevi tutte le cose che ti sono piaciute del film del “nostro amico” Ammaniti (per citare Montanari), ho pensato con un sorriso: chissà che direbbe Tiziano davanti all’accusa di “pubblicità occulta”… Mi piaceva farti notare la cosa, che poteva dare adito a, senza cattiveria o malizia… Ma mi rendo conto che questo è un nervo scoperto, la prossima volta mi limiterò a denunciare situazioni reali…

    D’altronde, non vedo perché mi accusi di vedere sempre e ovunque promozione. Se ti vai a rileggere i commenti al post di Massimiliano Parente, vedrai che sono quello che ti/vi ha difeso a spada tratta dall’accusa di fare “la lista della spesa”… (e poi, vatti a vedere sul domenicale quello che scrive l’incorreggibile Parente di Lello Voce e poi vai sul sito di Lello…)

  9. In effetti, dopo la promozione a tambur battente di Tiziano, ho venduto credo una, ma no che dico, due copie alla “libreria del giallo”. (ma forse tre, dai, ma tutte grazie al battage scarpiano?). Direi che se mi metto a pagare un caffè a Tiziano, a Raul e al sottoscritto al bar dell’angolo forse qualche centesimo sui diritti dei volumi venduti mi resta…

    Comunque, Malatesta, ti adoro: nella vita mi hanno chiamato Biondino, Biondello, Biondolillo, ma Biondilla MAI! Sei un grande!

    (hey, questo è un post scherzoso, chiaro? Non incazzoso… nessun nervo scoperto, intendiamoci)

    G.

  10. No, Gianni, ho già detto che scherzavo…

    E comunque, per farmi perdonare, adesso la faccio io la pubblicità al tuo libro: signori e signore, leggete il libro del Biondilla, “Per cosa si uccide”…

    PS. Uff, ecco, adesso anch’io mi sono guadagnato il mio caffé …

    PPSS. senza zucchero, grazie …

    PPPSSS. adesso sì che vai in perdita …

  11. Oh, ragazzi, qualche giorno ci facciamo un serissimo dibattito sulla pubblicità? (e poi, a farla- o farsi- la pubblicità, che c’è di male?)
    Vedo che tanto, gira e rigira, si finisce sempre a parlare di quello.

  12. E’ vero: siamo arrivati al caffè. (Non ancora alla frutta).
    Il caffè ristretto, grazie. E che sia LAVAZZA QUALITA’ ORO!…

  13. “la prossima volta mi limiterò a denunciare situazioni reali…”

    Mala testa…c’è altro da aggiungere?

  14. Sì, G.A., hai colto nel segno… è uno dei significati del mio nick (l’avevo già detto e scritto) … quindi, grazie per il complimento

    (e poi si possono denunciare anche rischi, eventualità, situazioni non o non ancora reali, come già dicevo, oppure – e anche questo l’ho detto – si può scherzare a fare i maligni e poi andarsi a prendere un buon caffè con Tiziano, Raoul, Franz e gli altri, tanto paga il Biondilla…)

    (Franz, l’authority ha fortemente criticato la tua pubblicità del caffé … la prossima volta se non vuoi incorrere in sanzioni sei tenuto a mettere un bip, un asterisco, le iniziali appuntate o dei puntini invece del nome… ma di’, la lavazza ti paga per questo? … ah, a proposito: la sanzione consiste nell’obbligo di pubblicizzare l’ultimo libro di Vespa per due mesi ininterrottamente…)

  15. RAGAZZI……..ma perchè non cercate vivere un pò più tranquillamente e serenamente…??? Tiziano, ti prego, intervieni a sciogliere questi animi irrequieti…
    Dai libri di Scarpa non imparate niente??? Rileggetevi “Venesia se un pese” (Venezia è un pesce)…e la semplicità con la quale comunica la complessità della semiosfera veneziana è la grande qualità del suo libro…ecco…cominciate anche voi a essere un po più semplici….!!!!!!!

  16. No, elvis, nessun animo irrequieto…

    Comunque, io “Venezia è un pesce” non l’ho ancora letto. L’altro giorno ero a Venezia, sono entrato in una libreria e l’ho preso in mano. Ho letto le prime venti righe, di sapore brodskjano (ricordano una pagina del bellissimo “Fondamenta degli incurabili”) e ho deciso che a breve lo leggerò. Solo che devo comprare un pacco di libri della Feltrinelli – ho un po’ di arretrati, un mucchio di titoli annotati da evadere – e quindi aspetto qualche settimana, che la Feltrinelli lanci la campagna con lo sconto del 30% su tutti i titoli, così ci risparmio qualcosa, visto che ultimamente i libri mi stanno mandando al lastrico…

  17. Come ti capisco, Malatesta…

    (Elvis, calma, ti prego, probabilmente imbarazzi pure Tiziano con il tuo ardore!)

    G.

  18. “Venezia è un pesce” non è per niente di sapore brodskjano, a mio modesto parere. Forse, prende spunto come idea di romanzo a “Guida sentimentale di Venezia” che anche Tiziano cita nel suo libro, ma Brodskj racconta Venezia con una complessità sintattica che è figlia del suo tempo, mentre il romanzo di Scarpa è “più anni novanta”…e sincderamente lo prediligo. Ho provato a leggere “Venezia ritrovata” di Paolo Barbaro ma non ha lo stesso imprinting di libro di Tiziano.

  19. No, elvis, ho detto di non aver letto il libro, ma solo l’incipit, e che questo mi ha ricordato una pagina di Brodskj. Tutto qui. Non ho detto che il libro è brodskjano.

    Quanto alla complessità sintattica di Brodskj, sono d’accordo, anche se non mi sembra figlia del suo tempo, ma il prodotto di una vera e propria poetica che, a strappi e in maniera anche volutamente sorniniona, lo stesso Brodskj ci propone nel libro. In sostanza, egli adotta volutamente il caos e la disarmonia come criterio di montaggio, speculare sia alla struttura del sogno(e c’è tutto un percorso onirico nel libro) sia alla struttura di Venezia, labirintica nell’intrico dei suoi calli e canali (e qui si rifà a un romanziere letto in passato, che cita e di cui non ricordo il nome, che aveva ambientato un racconto a Venezia riproducendo nella complessità del racconto la complessità fisica della città) …

  20. però l’intrico dei suoi calli non è male come idea, da l’idea di un cammino faticoso e con le scarpe sbagliate… :-)

  21. Bevete più latte… (bip) il latte fa bene (bip)…il latte conviene… (bip)

    (Le tent… (bip) del Dott… (bip) Anton… (bip)- di Feder… (bip) Fell… (bip)…)

    (Dal caffè al latte. Prossima tappa: Nesc… (bip) Capp… (bip))

  22. Ok, Franz è completamente andato… trovandomi malaticcia a casa, mi metto a cazzeggiare pure io.
    Questa è per te Gianni:
    io ti pago un caffè, se tu ricordi il nome della signora a cui hai autografato il libro( quella che doveva andare via prima!)alla “libreria del giallo”… ne hai venduti due, non dovrebbe essre difficile!

  23. Figurati! Ho problemi a ricordarmi come mi chiamo io! Gianni? Giovanni? Biondolillo? Biondino?

    g.

  24. Si, il testo della canzoncina che viene cantata nel finale è Ennio Flaiano, musica di Nino Rota… Quell’episodio di Boccaccio 70 (Le tentazioni del Dottor Antonio)è il primo film (mediometraggio) a colori di Federico Fellini. Con un grandissimo Peppino De Filippo. E Anita Ekberg.
    Il film è già stato pubblicizzato nel 1961, quindi l’authority è salva… I bip non erano necessari.
    Auf wiedersehen.

  25. I tuoi commenti, Malatesta, sono sempre acuti. Non trovo qui, però, tutto questo manicheismo. E’ la forma del dialogo, del resto, che comporta l’esposizione di tesi contrapposte. Ed è giusto che non si tirino le somme, altrimenti l’adozione del dialogo risulterebbe solo un espediente.

    Piuttosto mi piacerebbe che Tiziano collegasse la questione elegia alla questione mito, di cui si parla altrove: l’elegia, secondo lui, è una condanna dello scrittore italico? O potrebbe costituire la via autarchica al mito?

  26. Cari, oggi pomeriggio citavo “Guida sentimentale di Venezia” ma non ricordavo l’autore…mannaggia…cmq è il grande Diego Valeri.
    SALUTI.

  27. No, Paoloni, la forma del dialogo qui è fittizia (non è il mio un giudizio di valore, ma una nota tecnica). Scarpa non presenta due personaggi opposti ognuno dei quali esprime, in maniera antitetica, la propria visione delle cose. Spesso l’uno, dopo aver espresso qualche dubbio in merito, riprende le argomentazioni dell’altro, continuando il discorso in quel senso. Posizioni e asserzioni si scambiano di posto, di bocca, di personaggio, in continuazione. Qui accade come in certi dialoghetti pubblicitari, ad es.:

    A. Come posso lavare questa macchia?

    B. Usa Dash. I suoi enzimi aggrediscono lo sporco.

    A. Sì, e il bucato profuma per un’intera settimana.

    Dove A, dopo essersi mostrato all’oscuro della risposta e del discorso di B, solo per stimolarlo fittiziamente a dare quella risposta, poi continua sulla falsariga di B. E’ evidente che la distinzione dei due interlocutori è fittizia: il discorso è unico, unico l’interlocutore che si interroga e risponde da sé.

    Il dialogo scarpiano, in realtà, è la trasposizione del ragionamento di Tiziano fotografato nel suo farsi, nel suo interrogarsi e rispondere. Le tesi qui – tranne che raramente – non sono contrapposte, ma si ha lo svolgimento di uno stesso ragionamento nelle sue tappe, nei suoi diversi momenti. Caro Paoloni, tu scrivi che “altrimenti l’adozione del dialogo risulterebbe solo un espediente”: ma l’adozione del dialogo da parte di Scarpa è chiaramente un “espediente” (tra l’altro, l’aveva già notato Biondolillo).
    E poi, io non pretendo che Tiziano tiri le somme. Ma tra il porre appena il problema e il tirare definitivamente le somme, c’è – ne converrai – una gradazione di possibilità di approfondimento.

  28. “è la trasposizione del ragionamento di Tiziano fotografato nel suo farsi, nel suo interrogarsi e rispondere.”

    Verissimo, anche se l’esempio del dialoghetto pubblicitario è tirato per i capelli: le posizioni non sono rigide, certo, ma restano diverse.

    E trovo che Tiziano si fermi al momento giusto. “porre appena il problema” non è esattamente il modo in cui definirei pezzi polposi come questi, tenendo presente che già molti lamentano eccessive lunghezze e che Tiziano è costretto a spezzettarli.

    Porre il problema, in ogni caso, mi sembra esattamente l’intenzione e il merito di Tiziano, che lascia ai commentatori il compito di tirare le somme, ammesso che debbano essere tirate.

  29. Chiarisco qualche cosa.

    1) Io, come ho già scritto, non penso che il pezzo di Tiziano sia brutto o sbagliato tout court, anzi. Fin dall’apparire dei primi dialoghi, mi sono dichiaratamente compiaciuto con Tiziano per le sue capacità di critica (gli ho dato del “troppo intelligente” o no?). Anche questo pezzo è bello: l’analisi del film mi sembra pertinente (anche se non l’ho visto, e quella sulla cripto-promozione era solo una battuta e istigazione intorno ai post su Caliceti, Biondillo e Ammaniti, volevo fare un po’ il verso ai Massimiliano Parente quasi a dire: ma lo sai, Tiziano, che per gli ultimi post qualcuno ti potrebbe accusare di pubblicità occulta? se si vuole rubricarla come battuta infelice, va bene…), spunti come quello sulla televisione e sull’ironia li ho dichiarati interessanti ecc.

    2) La mia notazione sul dialogo come finzione ed espediente, come ho già scritto, è una notazione puramente tecnica. Non abbiamo davanti due personaggi ognuno rappresentante il proprio mondo e la propria visione delle cose, come in Leopardi, ma uno stesso personaggio (Tiziano Scarpa) che, fingendo di dialogare, in realtà dialoga con se stesso. Per questo avevo già scritto che questi dialoghetti più che a Leopardi (come sostiene Bionillo) fanno pensare a Silone, precisamente al Silone de La scuola dei dittatori, dove sono messi a dialogare un aspirante tiranno, un suo consigliere e un rivoluzionario, ma in realtà è sempre Silone che parla, spesso senza rispetto delle personalità e mentalità dei personaggi, tanto che l’aspirante tiranno arriva a elogiare enfaticamente la rivoluzione americana come migliore di quella francese poiché non aveva avuto alle spalle idee (quelle illuministiche per la rivoluzione francese) ma fatti, elementi pratici, un malessere concreto (il pensiero, ovvio, non è da dittatore ma da rivoluzionario, e a parlare è il rivoluzionario Silone). Questo, naturalmente, non sminuisce il valore letterario e soprattutto saggistico del libro di Silone (per me uno dei suoi migliori), come l’uso del dialogo come espediente non sminuisce questi pezzi di Scarpa.

    3)Ho scritto di voler denunciare “una possibilità, un rischio, una deriva” dei dialoghi di Tiziano, perché dopo averci proposto il contrasto narratori-narrificatori, ci proponeva quello elegia-conflitto, quasi a scongiurare certa tendenza alla semplificazione e schematizzazione che, ho anche scritto, è in parte positiva e di ordine pratico (perché Tiziano vuole porre il problema, d’accordo, non scrivere un trattato), ma che alla lunga rischia di…

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