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La pancia (del lupo) aperta

pensieri di oggi. giovanni maderna

Liberarsi. Essere sé stessi. Come aprirsi la pancia per mettere le proprie budella in contatto con quelle degli altri. (ci penso spesso, è evidentemente che di questo ho bisogno, e che questo sto cercando di fare). Ma il taglio addominale (come quello che ho realmente, dopo l’intervento di colecistectomia di qualche hanno fa) fa male. E va rifatto ogni giorno, almeno finché non sopraggiunge una normalizzazione, un’accettazione fisica, una mutazione per cui la ferita smette di sanguinare e non si rimargina più.
E la nostra pancia rimane aperta.

Prima di arrivare a quello stadio la percezione fisica della propria liberazione è di fatto di dolore. Di autolesionismo disperato.

E’ un intervento traumatico che si rende necessario quando, nella prima infanzia, il corpo è stato chiuso là dove doveva rimanere aperto.

Nelle favole dei bambini si parla spesso di pance aperte o ricucite. Il più noto è l’episodio del lupo di Cappuccetto Rosso, cui il cacciatore apre la pancia con un coltello.
Ma ancora più efficace è “Il lupo e i sette capretti“, dove la pancia del lupo è riempita di sassi e ricucita, con efferrata (e perversa) crudeltà. Il bambino non può che essere impressionato dall’episodio e immedesimarsi nel lupo, in quanto vittima, in quanto debole.
Tanto che poi quando il lupo cade nel fiume e sta affogando mio figlio mi chiede sempre che, a dispetto del finale originale, il cacciatore (o, meglio, la mamma dei capretti) intervenga per salvarlo.

E’ esplicito il tentativo di repressione. Di demonizzazione della realtà. Il lupo mangia, divora le sue prede secondo natura, e poi si addormenta beato (beatamente privo di sensi di colpa).
Il cacciatore interviene con una prima perversione estraendo i capretti dalla pancia con un intervento chirurgico, e poi si abbandona al sadismo, mascherato (come sempre) da intenti pedagogici e polizieschi. E’ quest’ultimo sadismo che il bambino non riesce ad accettare e trova ingiusto. E’ questo sadismo che noi cerchiamo di fargli accettare e considerare etico. E’ questa la “ricucitura”.

E’ chiaro che per toglierci le pietre dalla pancia (almeno i molti di noi cui sono state cucite dentro nell’infanzia) è necessario un nuovo intervento traumatico, doloroso e apparentemente insensato. E che inizialemente provoca un “perverso” senso di colpa, di fronte alla morale comune. Almeno finché non otterremmo di mantenere la nostra pancia definitivamente aperta.

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11 Commenti

  1. Giovanni ho una domanda da porti: ma tu trovi normale che il lupo divori cappuccetto rosso o nella fiaba del lupo e dei sette capretti trovi ok che il lupo si faccia passare per la mamma usando la farina per mascherarsi e poi si divori i sette capretti? voglio dire in primis è in atto un divoramento da parte dell’ombra rappresentata dal lupo, della parte innocente rappresentata da cappuccetto rosso e dai sette capretti… e l’uccisione da parte del cacciatore è la sacrosanta catarsi a un atto omicida cioè il divorare. Semmai la perversione è quella del lupo che si fa passare per qualcun altro. Così è una lettura psicologica un po’ spiccia andando a spanne con i ricordi delle interpretazioni delle fiabe. Poi invece il discorso che fai sulla pancia aperta e ricucita mi trova d’accordo con te.

  2. A proposito di lupi e di agnelli, mi è capitato di comprare “Il domenicale”, quotidiano su cui scrive il Parente che qui intervenne qualche settimana fa portando casino. A parte la pesantissima stroncatura di Nove, e anche l’accusa di “lobby” a Scarpa e Evangelisti e Wu Ming, sbertuccia antipaticamente Elio Paoloni per ben tre volte. Elio, che gli hai fatto al provocateur? Tra l’altro taccia Indymedia di averlo minacciato, e per fortuna omette il vaffanculo di Tiziano (forse perché pensa di esserselo meritato?).
    MilitantK

  3. P.S: tra l’altro non ho capito se il suddetto confonde Nazione Indiana con Indymedia o se intende due cose diverse.

  4. Usare l’astuzia non è perversione. Può essere sleale, ma non perverso. Perversione è modificare sostanzialmente il significato del proprio atto, facendolo passare per qualcos’altro da ciò che è. Il cacciatore dovrebbe effettivamente uccidere il lupo (per istinto direi quasi, così come il lupo divora i capretti), se gli capitasse a tiro, ma il suo atto viene spacciato per un gesto riparatore, in grado di resuscitare le vittime della prima violenza, e il successivo infierire sul lupo (a questo punto gratuito) vuole essere atto di giustizia doveroso (c’è una sorta di contrappasso). Il risultato è che alla fine lo schematismo è evidente, e soprattutto non tiene conto di come, per fortuna, i personaggi della favola vivono di vita propria nell’immaginazione del bambino, divengono reali e non si riducono mai a puri simboli. Il bambino si ribella a tutte queste forzature e mascheramenti (di significato), immedesimandosi imprevedibilmente nel lupo, proprio quando questi viene eliminato come simbolo del male del mondo.
    Tutto qui.

    (detto questo io non ho problemi ad accettare il sadismo del cacciatore, così come accetto l’efferatezza del lupo, come descrizione della realtà, purché le cose vengano chiamate col loro nome. Se mai constato come il sadismo, al solito, sia generato da (o asservito a) un desiderio moralizzatore.
    Che il cacciatore sia un sadico travestito dimostra del resto di averlo capito anche mio figlio, che preferisce che a salvare il lupo nel fiume intervenga la mamma stessa dei capretti, come dire un personaggio immacolato, di cui si può fidarsi, e non quell’altro, che si è già capito di che pasta è fatto…. )

    Tornando invece alle pance, la ricucitura di cui volevo parlare è quindi anche questo schematismo, che non sta in piedi ma su cui si regge una morale difficilmente attaccabile, come dimostra la tua reazione.

    (Delle teorie di interpretazione delle favole cmq non so un bel niente. Quindi dire che vado a spanne è dire poco… )

    g.m.

  5. Molto bello il pezzo, con tutte le inevitabili contraddizioni della materia. E stimolante il post di Gabriella Fuschini che mi fa dire: No, quella del cacciatore non e’ sacrosanta catarsi di atto omicida ma uccisione dell’ombra. E’ restaurazione dell’ordine, dell’innocenza a fine di controllo (ah, la bambinella…). L’ombra nella favola divora proprio perche’ si presenta mascherata, irriconoscibile, la “bestia”, il demonio. Possessione che in questo caso procede al contrario,ingoia, non uccide ma nasconde la forma umana che diventa alimento per cio’ che la insidia e distrugge (a detta di nonne, mamme e cacciatori). Umani ed agnelli (interessante eccezione). Quel reiterato omicidio con apertura di pancia ricaccia l’ombra nel bosco dove non si puo’ evitare di passare. Nessuno mai racconta la favola del lupo che esce dalla pancia squarciata della bambinella fatta donna. Doloroso mantenere quel varco aperto, farsi mangiare e mangiare, riconoscersi in forme vergognose, nude, farsi distruggere senza morirne. Titanico sogno junghiano.

  6. Giovanni, mi rendo conto che la fretta non ha reso chiare le mie parole: la lettura a spanne un po’ spiccia era la mia che andava di ricordo a libri letti sull’interpretazione delle favole… Aparna, hai ragione quella del cacciatore è uccisione dell’ombra e riequilibrio, il sadismo di cui parla Giovanni da parte del cacciatore che riempie la pancia del lupo con le pietre non compare in tutte le versioni della fiaba. Mentre in cappuccetto rosso non trovo il sadismo : il caccciatore apre la pancia del lupo per liberare cappuccetto rosso, la libera dall’ombra che l’ha inglobata e la restituisce trsformata dall’esperienza alla vita.
    Per rispondere a Giovanni faccio fatica a capire il senso dello schematismo di cui parli. Nel tuo pezzo ci sono due livelli di lettura: quelklo simbolico della fiaba e quello legato al vissuto del corpo in una visione psicosomatica, non a caso io trovo fortissimo il legama tra il tuo intervento di colicisti(con calcoli?)eil riferimento alle pietre nella pancia del lupo. Davvero molto interessante.
    ciao

  7. che pezzo inutile (e ora vediamo se vi mettete a starnazzare per 70 post come nel thread precedente).
    belacqua (però non il belacqua di prima, quello dei bordelli, voglio dire, e neanche quello, chiaro?, di “inutile” – ma non era guccini quello? – un ALTRO belacqua ancora, capito? in pratica, se volete, io sono un falso belacqua ma voi (molti di voi) andate VERAMENTE all’asilo)

  8. Sì, cara Gabriella, con calcoli. La mia pietruzza ce l’ho ancora in una specie di provetta da qualche parte, me la diede il chirurgo dopo l’intervento (che sbagliò, doveva essere in laparoscopìa, ma prese una vena…. laparo-scopìa anche questo interessante, io faccio il regista, ma non ne posso più di guardare e basta… o almeno di concepire lo sguardo così come si fa convenzionalmente, come qualcosa che non tocca le cose…)

    Quanto alle versioni della favola io conosco solo quella. (Che l’abbia inventata mia madre? in tal caso capirei tante cose…)

    ciao

  9. No, non l’ha inventata tua madre… è una versione popolare magari influenzata da quel moralismo di cui parli tu nell’articolo. Lo so che fai il regista, ci siamo conosciuti al reading di Moresco a gennaio, ricordi? Comunque il discorso sulla pancia aperta è un discorso importante, le viscere scoperte rimandano al mondo delle emozioni e allo stesso tempo è un problema girare con le viscere scoperte sempre e comunque, perchè potrebbe verificarsi una confusione delle proprie emozioni con quelle altrui, nel senso che anche troppa empatia fa male. Sto riflettendo insieme a te perchè è una problematica che mi coinvolge. Sentire con la pancia e un po’ meno con la testa. Buffa l’analogia che fai tra lo sguardo(da regista) e la laparoscopia. Però se sei preso da riflessioni di questo tipo forse lo sguardo entrerà in un territorio oltre il guardare e basta. Uno sguardo che arrivi anche a toccare le cose: mica male, no?ciao

  10. caro maderna, ho avuto modo di apprezzare i suoi lavori, la sua forza innegabile, ma, devo dirle, non riesco a capire questo passo indietro nella riflessione, lei ci parla di qualcosa dalla quale riesce a liberarsi filmando, certo; tuttavia questo scritto risente di un certo autocompiacimento, e mi risulta indigesto, liquoroso, mi sento la bocca impastata.
    inutile dire che atto etico è cacciare se stessi, dunque evolvere, mi sbaglio?

    saluti,
    g.carotenuto.

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