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Il giorno più bello

di Tiziano Scarpa

lucgaucc.jpgIl Perugia si è salvato. Nel prossimo campionato resterà in serie A.
In tribuna, a fine partita, un giornalista si complimenta con il presidente della squadra:
“Il giorno più bello della sua vita!”, dice sorridendo eccitato, e gli porge il microfono.
Il presidente del Perugia risponde:
“Be’, uno dei giorni più belli della mia vita”.

Luciano Gaucci è un uomo sanguigno, impulsivo, rudemente spontaneo, tanto da risultare a volte arrogante e smargiasso.
Eppure, con quella precisazione, ha pronunciato una parola di saggezza, ha messo un piccolo argine alla falsificazione della vita.

Il giornalista sportivo gli aveva imboccato un’affermazione iperbolica precotta, perfettamente in linea con la filosofia calcistica (cioè con l’ideologia italiana attuale), che prevede esercizi spirituali codificati, come per esempio la gioia sguaiata quando la tua squadra vince il campionato o ottiene la salvezza (altra parola enfatica diventata, nel calcio, un termine tecnico che non stupisce più nessuno). Sarebbe stato così facile rispondergli di sì, far contenti i tifosi euforici. Tanto più che, per un presidente, una squadra che resta in serie A significa maggiori introiti, oltre che prestigio e notorietà personale. Si tratta insomma di soldi, soldi veri, e presenza mediatica, potere.

“Il giorno più bello della sua vita!”
Detto a un uomo quasi anziano che si sarà sposato, avrà avuto figli e nipoti, e comunque di giorni ne ha vissuti tantissimi, alcuni parecchio brutti, qualcuno molto bello…
Ma qual è il giorno più bello della vita di un uomo, per l’ideologia al potere oggi? Quello in cui la sua squadra si salva.

Quel giornalista, per me, è un agente della peggiore propaganda. È un addetto all’irrealtà, un funzionario della finzione strumentale, è un finzionario che ha venduto l’anima all’abbattimento dell’umano.

Quel giornalista, per me, è il nemico.

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30 Commenti

  1. guarda, da tifoso del perugia mi costringi a intervenire.
    il perugia innanzitutto non si è ancora “salvato” dalla retrocessione cui era stato destinato. dovrà affrontare uno spareggio con la sesta classificata in serie b.

    e poi, fermo restando che non è solo quel giornalista il nemico, ma grossa parte dei giornalisti, l’affermazione che mette in bocca a gaucci non è troppo dissimile dalla realtà. nel senso che se investi la tua vita, e non solo economicamente, sottolineo: non solo, in qualcosa, se quel qualcosa ti dà delle soddisfazioni (ora perché il calcio è quello che è non significa che non possa regalare delle gioie anche intense a qualcuno) puoi anche essere molto, moltissimo felice. felice sul serio. su una persona come gaucci la cosa è a maggior ragione credibile, visto il tipo, ma io temo che in questo caso la risposta sia sensata e proporzionata, diversamente dalla domanda. ma per una questione di intenti.

    quindi, forza perugia.

    f.

  2. ero allo stadio olimpico ieri (a vedere forse la mia ultima partita, perché ho deciso, dopo 35 anni, di non mettere più piede in uno stadio), e quando ho saputo che il perugia vinceva e che probabilmente avrebbe fatto lo spareggio con fiorentina (una batracomiomachia, in pratica!) o col piacenza, ho gridato ai giocatori laziali di farsi fare tre gol dal modena. mi sono sgolato, per più di mezz’ora, ma purtroppo non sono stato ascoltato. il perugia in a, questo sì, è un vero scandalo.

  3. Grazie delle precisazioni.
    In effetti, così le cose cambiano.
    Si potrebbe pensare che Gaucci sottintendesse: “Sarà il giorno più bello della mia vita se vinceremo lo spareggio e resteremo davvero in serie A.”
    E io che credevo che Gaucci avesse pronunciato una parola di saggezza, difendendo in diretta televisiva altri giorni più belli della sua vita: quelli dell’amore, che ne so, della nascita dei figli…
    Avevo trovato un piccolo residuo di umanità, e ora debbo ricredermi.

  4. eh sì, un vero scandalo. non si è capito perché, ovvio che non lo sai nemmeno tu, ma è uno scandalo! sono indignato!!! il perugia in a?? ma scherziamo???? è uno schifo!!!

    boh.

    f.

  5. è uno scandalo perché ha fatto un campionato inverecondo. è uno scandalo perché gaucci (quest’anno più degli altri anni) ha manipolato tutto e tutti. intendiamoci, è uno scandalo anche se lazio e roma rimarranno in a senza trovare i soldi per rimanerci. è uno scandalo, certo. il calcio è uno scandalo.

  6. Non disperare, Tiz: dall’uomo di Neandertal a oggi sono stati fatti passi avanti. Pochi, lenti, ma bisogna accontentarsi.

  7. condivido in pieno l’articolo. è da questi dettagli che si capisce qual è la sottocultura della nuova destra italiana che, grazie allo strapotere mediatico di berlusconi, è diventata l’ideologia di metà delle persone del nostro paese. il fatto che il perugia non si sia ancora salvato non esclude il barlume di saggezza di gaucci (concediamogli il beneficio del dubbio!), semmai rende ancora più penosa la frase del giornalista… e la sottocultura di destra…
    lorenzo

  8. condivido in pieno l’articolo. è da questi dettagli che si capisce qual è la sottocultura della nuova destra italiana che, grazie allo strapotere mediatico di berlusconi, è diventata l’ideologia di metà delle persone del nostro paese. il fatto che il perugia non si sia ancora salvato non esclude il barlume di saggezza di gaucci (concediamogli il beneficio del dubbio!), semmai rende ancora più penosa la frase del giornalista… e la sottocultura di destra…
    lorenzo

  9. oi governi, il campionato inverecondo cos’è? non mi piace entrare nel merito calcistico perché ormai non si è ridicoli solo se del calcio si dice tutto il male possibile (forse a ragione, chissà), però una cosa voglio dirtela: gaucci è sicuramente un bersaglio facile per quanto si espone e quanto è – spesso – avventato nei proclami e i giudizi, ma almeno non ha mai avuto il potere di manipolare chicchessia, anzi. quel potere magari ce l’ha una fiorentina che passa dalla c2 alla b per volontà divina (anzi ce l’ha firenze), ce l’hanno roma e lazio che nonostante i furti e le truffe resteranno dove devono restare per non scatenare guerre civili. se parli in termini da rotocalco femminile, lo “scandalo” è ovunque. è uno scandalo che giada de blanck scriva un libro per bambini, è uno scandalo che la velina mora sia più sveglia di quella bionda, è uno scandalo che qualcuno trovi sexy roberto pregadio, è scandaloso che alba parietti non faccia più televisione, è uno scandalo che katia del grande fratello 4 dica “1892” quando le chiedono l’anno della scoperta dell’america. se questi sono gli scandali sono d’accordo con te. se ne alzi la portata no. ma proprio no.

    se posso permettermi ancora, è troppo facile essere anche schifati da ciò che il calcio è stato reso o rappresenta. perché allora se ti fanno schifo i soldi e gli interessi che ci girano intorno (e a me fanno schifo, come a te immagino), perché non ne apprezzi il residuo di sportività e non lo segui ai livelli più bassi? c’è una squadra in c2 o in d o in eccellenza che ti fa simpatia? i giocatori sono bravini? segui loro, divertiti con i campionati inferiori. non ti va? sei della LAZIO? il problema è tuo. il calcio da qualche parte c’è, è che non tutti lo apprezzano per ciò che è (un gioco, uno sport), ma per un infantile e sciocco spirito di appartenenza deviato (anche nei piccolissimi club c’è una forma di appartenenza, ma forse un po’ più sana, magari solo un po’).

    dico sul serio, a costo di risultare ridicolo: gaucci e cosmi, soprattutto il secondo, sono due persone che per adesso il calcio lo aiutano. a meno che tu non disprezzi il perugia per quel “forza roma” urlato da cosmi dopo una certa partita… e non lo escluderei, sai. se ci andavi addirittura allo stadio a vedere le celtiche dei tifosi della lazio…
    almeno, qualunquismo per qualunquismo, vuoto per vuoto, se vai al curi a perugia ci trovi che guevara in curva.

    p.s. che palle, mi stufo anch’io a parlare di calcio.

    f.

  10. Domanda seria: Tiziano, a quando una raccolta dei tuoi scritti o un libro sistematico sulla tua costante riflessione linguistico-letterario-filosofico-sociologico-politica sul calcio? Metti tutto insieme, segui un po’ di più tv e giornali sportivi (per la competenza e il materiale, ovvio, onde evitare imprecisioni come sopra) e inforna il tutto. “Il calcio come metafora” oppure “Questo non è un pallone” (con la foto di un pallone in copertina, molto magrittiano) o simili… Allora: a quando?

  11. stai parlando da tifoso, da malato cioè. li riconosco subito i malati. perché sono stato malato anch’io (guarirò mai?) per anni. non ti rispondo su tutto perché sennò la nazione, da indiana diventa biscardiana. però ti dico una cosa. un amico, un giorno, litigando con un altro mio amico, gli disse: “stai zitto te che sei peggio di me!” (poi, ci penso un po’ su) “anzi, che sei come me!” ecco, gaucci secondo me è peggio degli altri. anzi, è come gli altri!

  12. “Ma il cielo è sempre più blu”

    Chi vive in baracca, chi suda il salario
    chi ama l’amore e i sogni di gloria
    chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
    Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
    chi vuole l’aumento, chi gioca a Sanremo
    chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
    Chi ama la zia chi va a Porta Pia
    chi trova scontato, chi come ha trovato
    na na na na na na na na na
    Ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
    ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh…
    Chi sogna i milioni, chi gioca d’azzardo
    chi gioca coi fili chi ha fatto l’indiano
    chi fa il contadino, chi spazza i cortili
    chi ruba, chi lotta, chi ha fatto la spia
    na na na na na na na na na
    Ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
    ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh…
    Chi è assunto alla Zecca, chi ha fatto cilecca
    chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
    chi legge la mano, chi regna sovrano
    chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
    chi gli manca la casa, chi vive da solo
    chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
    chi vive in Calabria, chi vive d’amore
    chi ha fatto la guerra, chi prende i sessanta
    chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
    na na na na na na na na na
    Ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
    ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
    ma il cielo è sempre più blu
    Chi è assicurato, chi è stato multato
    chi possiede ed è avuto, chi va in farmacia
    chi è morto di invidia o di gelosia
    chi ha torto o ragione,chi è Napoleone
    chi grida “al ladro!”, chi ha l’antifurto
    chi ha fatto un bel quadro, chi scrive sui muri
    chi reagisce d’istinto, chi ha perso, chi ha vinto
    chi mangia una volta,chi vuole l’aumento
    chi cambia la barca felice e contento
    chi come ha trovato,chi tutto sommato
    chi sogna i milioni, chi gioca d’azzardo
    chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo
    chi è stato multato, chi odia i terroni
    chi canta Prévert, chi copia Baglioni
    chi fa il contadino, chi ha fatto la spia
    chi è morto d’invidia o di gelosia
    chi legge la mano, chi vende amuleti
    chi scrive poesie, chi tira le reti
    chi mangia patate, chi beve un bicchiere
    chi solo ogni tanto, chi tutte le sere
    na na na na na na na na na
    Ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
    ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh..

    Rino Gaetano

  13. t’ho capito a te. secondo me tu sei convinto che Chinaglia
    non può passare al Frosinone.

  14. … non si può capire chi è convinto che nell’amaro benedettino sta il segreto della felicitààààà.

  15. I say i’ve been meaning to move your way,
    I hope that no one will make fun of me,
    I go live in a new society, I wanna live in it, live in it,
    Wanna learn, wanna live, live wanna learn,
    Wanna live it it, live in it, oh i’m ready to learn.

    I don’t know,is it the same for everyone,
    Maybe that i’ve done something wrong,
    Why do they call me names.

    Outside, will you come out and play with me,
    I’ve been scrubbing at my skin you see,
    But the colour still remains on me,
    I wanna be the same, be the same,
    Wanna be, wanna be the same as you,
    Wanna be the same, be the same,
    Oh i’m ready to go.

    I don’t know, is it the same for everyone,
    Maybe that i’ve done something wrong,
    Why do they call me names.

    Why do you cal me names
    Call me names
    Why do you call me names
    Why, call me names
    Oh why, call me names.

  16. “Mio fratello è figlio unico”

    Mio fratello è figlio unico
    perche’ non ha mai trovato il coraggio di operarsi al fegato
    e non ha mai pagato per fare l’amore
    e non ha mai vinto un premio aziendale
    e non ha mai viaggiato in seconda classe
    sul rapido Taranto-Ancona
    e non ha mai criticato un film senza prima prima vederlo
    mio fratello e’ figlio unico
    perche’ e’ convinto che Chinaglia non puo’ passare al Frosinone
    perche’ e convinto che nell’amaro benedettino
    non sta’ il segreto della felicita’
    perche’ e’ convinto che anche chi non legge Freud
    puo’ vivere cent’anni
    perche’ e’ convinto che esistono ancora
    gli sfruttati malpagati e frustrati
    mio fratello e’ figlio unico sfruttato
    represso calpestato odiato e ti amo Mariù
    mio fratello e’ figlio unico deriso
    frustrato picchiato derubato e ti amo Mariù
    mio fratello e’ figlio unico dimagrito
    declassato sottomesso disgregato e ti amo Mariù
    mio fratello e’ figlio unico frustato
    frustrato derubato sottomesso e ti amo Mariù
    mio fratello e’ figlio unico deriso
    declassato frustrato dimagrito e ti amo Mariù
    mio fratello e’ figlio unico malpagato
    derubato deriso disgregato e ti amo Mariù

    Rino Gaetano

  17. Elena, la tua è una consideraione ingenua.
    Il pallone, come tu lo chiami, entra in tutte le sfere sociali, abbiamo un capo del governo che ha fondato un partito che si chiama Forza Italia, che fa della visibilità calcistica un potente strumento di persuasione sociale ed elettorale.
    Mi piacerebbe proporre una intervista che ho realizzato a Vittorio Zucconi che spiegava questo e tante altre cose.
    Ma qui sono un ospite.
    Ad maiora, semper

  18. Caro Tiz, quel giornalista potrebbe semplicemente essere un collaborazionista della Cina, dove, come ben sai, si sta preparando una grande campagna di denigrazione dell’Occidente.
    Purtroppo il quadro dell’Occidente che ne uscirà non sarà peggiore di quello dell’Oriente che i cinesi già conoscono per esperienza diretta.

    A proposito, i miei amici più intelligenti sostengono che tu sia molto bravo, ma che non ci abbia ancora dato il meglio di te. Sei proprio sicuro che, per tirarlo fuori, tu non debba congedarti dal tuo consueto armamentario e recuperare, ironia della sorte, proprio quella tua nonna da cui avevi preso le distanze forse troppo precipitosamente?

    [Riferimento: “Mia nonna è morta, e fra sette mesi, sei giorni e sette ore morirà anche il Novecento. Di tutti e due – che pure ho amato tanto e che mi sono stati carissimi – delle loro tremende, tragiche carabattole, io non ne voglio più sapere.”]

    Un abbraccio.

  19. Intervista a Vittorio Zucconi :

    “Nel momento in cui scrivo scelgo sempre la libertà, che si manifesta nell’utilizzo di un linguaggio diverso, perché esprime quello che io sono e non quello che gli altri vogliono che io dica”.

    di Giuseppe Aletti

    G.A.: Nella e-mail dove ti comunicavo la volontà di intervistarti, avevo fatto presente che dopo sette anni di attività la rivista Orizzonti, attraverso il sito Internet, si era occupata di calcio mandando una newsletter agli iscritti della nostra comunità, ricevendo una risposta inaspettata con decine e decine di lettere; nella tua e-mail di risposta c’era scritto: “Il linguaggio del calcio è un linguaggio trasversale, e qualcuno in Italia lo aveva capito….”; ne vogliamo parlare?

    V.Z.: Il riferimento a Silvio Berlusconi è evidente, ma senza una volontà di fare polemica, ma solo come una constatazione. In una società come la nostra dove le differenze tra chi sta da una parte e chi dall’altra sono inesistenti, dove tutti sembrano essere all’interno di un enorme frullatore, parlare di calcio significa avere a disposizione un linguaggio totalizzante.
    Ho provato a sperimentare questa trasversalità con la mia rubrica > sul rito repubblica.it, e facendo riferimento ad eventi calcistici riesco a parlare dei Palestinesi, del mercato globale, e noto che la partecipazione dei lettori è molto forte, mi scrivono le persone più diverse, dal professore universitario, allo studente, alla casalinga.
    A dimostrazione che il calcio è un linguaggio universale.
    Scherzando con il mio amico Tullio De Mauro, avevamo pensato di proporre un vocabolario di Bruno Pizzul; c’è la possibilità di utilizzare quelle che io chiamo parole di legno, o di pietra, che prediligono un linguaggio che è a disposizione di tutti e che tutti comprendono, ma che sottendono anche un conformismo entro il quale tutti si riconoscono. Una volta, per le persone della mia generazione, questo linguaggio di pietra riguardava il sesso, il bordello, oggi invece investe il calcio.
    La commistione tra linguaggio calcistico e quello politico è stata utilizzata da Berlusconi, che è entrato nella sfera politico-sociale con il Milan; ha usato Paolo Maldini e Franco Baresi come testimonial della campagna elettorale di Forza Italia, altro evidente riferimento calcistico, chiamando azzurri la sua squadra elettorale.

    G.A.: In Italia si parla sempre più spesso dell’indipendenza dei giornalisti, del ruolo dell’informazione; vivi in America, si può fare un paragone tra quella che viene considerata la più grande democrazia del mondo e l’Italia?

    V.Z.: Vizi strutturali diventano massicciamente evidenti nell’attuale regime televisivo, ma la lottizzazione è sempre esistita, viene utilizzata in quanto già preesistente. I posti sono sempre stati suddivisi tra i partiti politici, se si dovevano dare 5 posti, 4 se li spartivano i partiti, e l’ultimo andava ad uno bravo. In Italia l’informazione, la cultura, è sempre arrivata dall’alto, è sempre appartenuta ad una elite, dunque è sempre stata controllata politicamente. In America tutto questo è impensabile, la cultura proviene anche dal basso. Ma è un dato storicamente determinato, la storia dei due paesi è diversa e anche la diffusione della cultura va ad inserirsi in una tradizione che ha regole differenti.
    Mi ricordo che negli anni di piombo, appena arrivato in Italia, rimasi colpito dal fatto che chiunque mi chiedeva…- e qui incredibilmente, contemporaneamente diciamo: “da che parte stai?”.
    (fragorosa risata)
    Anche se sono passati quasi trent’anni non è poi cambiato molto
    La tendenza dei partiti ad avere degli sbandieratori non è venuta meno con gli anni. Basta guardarsi intorno. La scelta di un giornalista deve essere sempre quella di fare della informazione obiettiva, anche se questo, a volte, può non essere appagante. Però negli anni ti dà credibilità presso i lettori, perché si fidano. Il problema di oggi è la tendenza ad appiattire il confronto, di qualunque cosa si discuta basta che uno dice: “ma tu sei di sinistra” e tutto prende una connotazione diversa, si svuota di contenuti. Come se solo il fatto di essere di sinistra o di destra comporti sempre la necessità di doversi difendere dall’altro.
    Io dirigo Radio Capital ed ho detto da subito alla redazione che i politici vanno in radio solo se fanno notizia. Ad esempio se il Ministro Moratti fa una riforma se ne parla, perché è una notizia ma se dice che tutti i vecchi governi hanno rovinato l’istruzione in Italia, allora è solo una opinione. Bisogna evitare il costume italiano che prevede prima l’opinione sulla notizia, e forse, successivamente, la notizia stessa.

    G.A.: Dopo l’attacco alle “Torri Gemelle”, in Italia come in tutto il resto del mondo, c’è stata una attenzione totale verso quello che è accaduto, oggi i giornali non ne parlano quasi più, ma qual è la situazione reale, e soprattutto l’opinione americana cosa pretende?

    V.Z.: Gli americani vivono una psicologia di guerra, del tipo “attento, il nemico ci guarda”; lo stesso governo americano tiene molto alta la tensione, visto che dà i suoi benefici elettorali: nella storia d’America nessun presidente ha avuto un consenso così alto, pari al 90%, per un periodo così lungo. Il padre di Bush aveva avuto un consenso altissimo durante la guerra del golfo, ma dopo soli sei mesi la sua popolarità era scesa sotto il 50%. Questa situazione sta favorendo leggi liberticide, che legittimano le discriminazioni razziali, o di religione, e nessun giornale si lamenta perché, anche se ideologicamente sono cose che nessuno approva, c’è il rischio che se domani mettono una bomba a Los Angeles e muoiono diecimila persone chi si prende la responsabilità ? C’è un condizionamento molto forte, una pressione sui media che impedisce una informazione più libera.
    Per quel che riguarda la politica viviamo nella fase della “doppia scarpa”.
    Se uno la notte al piano di sopra va a dormire, si sente il tonfo dovuto al rumore della scarpa sul soffitto, e si aspetta da un momento all’altro di sentire anche il rumore della seconda scarpa. L’opinione che circola in america è quella che quando arriverà la seconda fase non sarà una scarpa ma addirittura uno stivalone, qui l’attacco lo danno per scontato, con il rischio di allargare il conflitto in tutta la regione araba, anche se ho dei dubbi che questo allargamento avvenga.

    G.A.: Dopo l’11 settembre la visione del mercato globale- che mi piace descrivere come un incrocio dove non si sono più semafori, nessun controllo nella circolazione, maggiore velocità ma anche maggiori rischi- in america ha avuto dei cambiamenti, anche alcuni massimi teorici della macroeconomia hanno avanzato obiezioni, secondo te cosa è realmente cambiato ?

    V.Z.: La globalizzazione sono gli Stati Uniti, sono loro che controllano il mercato globale. Dopo l’11 settembre le cose stanno cambiando; il simbolo del Mc Donald’s è diventato il più popolare del mondo, superando anche quello della Coca Cola, e questo va ad urtare con la rabbia dei fondamentalisti che considerano empi quei simboli. Bisogna rendersi conto di cosa significhi per loro questo bombardamento di simboli che loro riconoscono come ostili, che li minacciano nella loro concezione dell’esistenza.
    Questa è una globalizzazione parcellizzata, cosa pensano ad esempio gli egiziani a cui l’America dice “io ti do i miei prodotti, ma tu non mi madare le tue persone”.
    Il mercato se deve essere globale, nella concezione di un villaggio globale, tutto deve circolare liberamente, persone e merci, e sono proprio gli americani che non vogliono questo; il mercato globale prevede una perdita di controllo e di conseguenza di potere.
    Ci sono delle massicce anomalie nella situazione attuale, l’america considera il mercato globale solo per la possibilità di poter controllare l’economia mondiale, infatti già prima dell’11 settembre l’America aveva varato norme a protezione del suo mercato come quelle sull’acciaio, cosa confermata dal trattato di Kioto, che gli americani non hanno voluto firmare perché c’era scritto la cosa più evidente: che se il mercato è davvero globale non deve avere nessun controllo.
    Di fronte a vantaggi comuni, responsabilità comuni.
    Certo l’11 settembre ha dato una dimensione oscura al mercato globale, ma la crisi della globalizzazione era già in atto, e gli eventi di cui ho appena parlato lo testimoniano.
    Quello che è avvenuto non è accaduto per caso, era insito in una situazione così sbilanciata, se lo portava dietro fin dalla sua genesi.

    G.A.: Si nota intorno alla tua persona un grande interesse, specialmente tra i giovani giornalisti e giovani lettori che apprezzano l’utilizzo di un linguaggio asimmetrico se rapportato al giornalismo italiano.

    V.Z.: Mi capita di parlare spesso di questo. E’ una cosa che mi chiedono in molti. Ritornando a quello che dicevo prima, l’utilizzo di un linguaggio di legno, codificato, evidenzia una mancanza di libertà; è una forma di conformismo. Nel momento in cui scrivo scelgo sempre la libertà, che si manifesta nell’utilizzo di un linguaggio diverso, perché esprime quello che io sono e non quello che gli altri vogliono che io dica.
    E la gente questo lo nota, c’è uno sforzo, un lavoro ulteriore sulla parola. Bisogna considerare che dietro ogni forma di repressione c’è la pigrizia, è sempre più faticoso andare contro l’andamento generale, perché questo sottende un impegno maggiore, di trovare delle forme di comunicazione che fanno capo ad un tuo stile, e non a quello che dicono tutti.
    Sono stato anche in Russia, negli ultimi periodi prima della caduta del regime, i dissidenti che denunciavano il regime utilizzavano volutamente un linguaggio totalmente opposto a quello che utilizzavano tutti, ed i vecchi oligarchi cercavano di tranquillizzarli dicendogli che non erano stalinisti, che non li avrebbero perseguiti ma li invitavano a parlare il linguaggio che parlano tutti.
    Il linguaggio non inganna.

    G.A.: Iniziare uno studio sulla parola, che ricerca uno stile personale, è tipico della letteratura.

    V.Z.: E’ una forma di letteratura più bassa, i giornalisti non sono mai dei bravi scrittori.

    G.A.: Intorno ad una rivista letteraria ruotano sempre nuovi artisti, scrittori e giornalisti. Che consiglio ti senti di dare per quelli che si apprestano ad iniziare questo lavoro?

    V.Z.: Bisogna evitare l’insincerità, molti giovani giornalisti pensano che bisogna solo scrivere bene, senza preoccuparsi di cosa scrivono, si nascondono dietro un facile manierismo che nasconde un nuovo conformismo. Bisogna sempre utilizzare una lingua che sia corrispondente all’argomento trattato. Devi porti come obiettivo quello di far arrivare al lettore quello che vuoi dire.
    Se proprio devo offrire un consiglio a chi scrive è questo: la prima parola che ti viene in mente è sempre quella sbagliata. Viviamo in questa società e da questa siamo influenzati, dunque la prima cosa che ti viene in mente è quella più scontata, tipo “Allarme Rosso”, “Città Blindata”, i telegiornali ne sono un esempio eclatante, dove viene utilizzato un linguaggio codificato, che non invita alla riflessione.
    La più grande soddisfazione professionale è stata la pubblicazione di un libro “Stranieri come noi” pubblicato da Einaudi, dove ci sono una serie di raccontini che parlano metaforicamente di cose sociali, alcuni bambini mi scrivono dicendomi :”leggere è bello”.
    Vorrei concludere questa nostra conversazione con una domanda: la gente non ci legge perché non siamo abbastanza bravi o perché non ci vogliamo far leggere?

  20. Da secoli il Laos è occupato da thai migrati da altre zone (tra cui shan, siamesi e lao) e da tribù hmong-mien che vivono sulle montagne praticando l’agricoltura con il sistema ‘taglia e brucia’. I primi principati si consolidarono nel XIII secolo dopo l’invasione della Cina sud-occidentale da parte delle armate mongole di Kublai Khan. Nella metà del XIV secolo un comandante militare di nome Fa Ngum, con l’appoggio dei Khmer, unì alcuni principati sparsi nella zona di Luang Prabang e diede vita a un regno proprio, chiamato Lan Xang (‘un milione di elefanti’). Inizialmente il nuovo regno prosperò, ma nel XVII secolo, a causa delle divisioni interne e delle pressioni esercitate dai principati vicini, si suddivise in tre regni le cui capitali erano Luang Prabang, Wieng Chan (Vientiane) e Champasak.
    Alla fine del XVIII secolo gran parte del Laos era sotto la sovranità siamese (thai), ma subiva anche pressioni dal Vietnam; non potendo (o non volendo) servire due padroni, negli anni ’20 del XIX secolo il paese entrò in guerra con il Siam, ma questa scelta si rivelò disastrosa e i tre regni caddero sotto il controllo dei Thai. Alla fine del XIX secolo la Francia aveva già dato vita all’Indocina francese nelle province vietnamite di Tonchino e Annam e in seguito i Thai cedettero interamente il Laos ai Francesi, i quali si accontentarono di utilizzarlo come zona cuscinetto tra i loro possedimenti coloniali e il Siam.
    Durante la seconda guerra mondiale i Giapponesi occuparono l’Indocina e nel Laos si formò un gruppo di resistenza, il Lao Issara, con lo scopo di impedire il ritorno dei Francesi. Nel 1953 il paese ottenne l’indipendenza, ma continuò a essere dilaniato dai conflitti tra le fazioni realiste, neutraliste e comuniste. Nel 1964 gli Stati Uniti cominciarono a bombardare le truppe nord-vietnamite sul sentiero di Ho Chi Minh nel Laos orientale, esacerbando il conflitto tra il governo realista di Vientiane e il Pathet Lao comunista schierato accanto al Vietnam del Nord. Quando nel 1973 fu negoziato un cessate il fuoco, il Laos deteneva il triste primato di paese più bombardato della storia.
    Venne formato un governo di coalizione, ma, quando Saigon cadde nel 1975, la maggior parte dei realisti lasciò il Laos per trasferirsi in Francia. Il Pathet Lao assunse pacificamente il controllo del paese e nel dicembre del 1975 nacque la Repubblica Democratica Popolare del Laos. I lao rimasero alleati con i comunisti vietnamiti per tutti gli anni ’80. Dopo il 1975 molti esercizi privati vennero chiusi, ma a partire dal 1989 le regole riguardo alle imprese private sono state ammorbidite e i primi passi verso l’economia di mercato hanno determinato una modesta rinascita economica. Con l’ingresso nell’ASEAN nel luglio del 1997 il Laos ha rafforzato i propri legami con i paesi confinanti. Nel 1998 l’ex primo ministro Khamtai è diventato presidente.
    Dalla fine degli anni ’90 l’economia ha subito un periodo di crisi, avendo sperimentato un’inflazione che ha superato il 100% e un deprezzamento del kip, la moneta nazionale, di più del 500%: in seguito a ciò il risoluto paese socialista ha fatto qualcosa che mai era stato fatto in precedenza, escogitando una campagna ‘Visita il Laos’ al fine di far affluire i dollari dei turisti. Nonostante un successo non proprio travolgente, il kip si è risollevato e l’inflazione è tornata sotto controllo. Cosa forse più significativa, ci sono state notizie ufficiose di laotiani scontenti che hanno scosso le catene del Politburo e di un ritorno di alcune frange del draconiano Partito Rivoluzionario Popolare del Laos.
    Secondo molte stime internazionali, il Laos è uno dei paesi più poveri del mondo a causa dell’alternanza di inondazioni e siccità, a partire dal 1993. Il Fondo Mondiale Internazionale nell’aprile del 2001 ha concesso al paese un prestito triennale di 40 milioni di dollari.
    Con oltre 2.300 dollari di debito il Partito non è in grado di bonificare le campagne dalle migliaia di mine inesplose, di far arrivare la corrente elettrica nei villaggi rurali; ma a Xieng Khouang (la Piana delle Giare) sono riusciti ad alimentare i computer producendo l’energia elettrica pedalando, come in bicicletta, e a collegarsi al Web tramite una rete wireless (senza fili). Ai bambini viene insegnata l’informatica mentre gli adulti attraverso la rete si tengono informati ed esercitano nuove attività economiche. Per completare il progetto occorrono tuttavia ancora 20.000 dollari e ne occorrerebbero ben 100.000 per portare la medesima tecnologia in altri villaggi.

  21. a me me lo dici, albe’… ‘sta ggente s’attarda ne li post come se n’annasse de la loro stessa vita. ‘St’infamoni fragichi.

  22. Mio padre, che è morto poco più di due anni fa, non sarebbe contento.
    Mio padre mi guarderebbe sorridendo.
    Mio padre sorrideva venti giorni prima, solo venti giorni, poi gli dissero che aveva una medaglia al valore in mezzo ai polmoni.
    Venti giorni dopo, mio padre, era diventato una cosa.
    Un secondo, uno soltanto, e da persona ci si trasforma in una cosa.
    Mio padre direbbe che sono un ingenuo.
    Mio padre sarebbe contento di avere un figlio ancora ingenuo – presso i latini ingenuo indicava chi era nato libero da genitori liberi.
    Mio padre direbbe che non è bene che l’ideatore della rivista letteraria più venduta della capitale e la più venduta nel circuito Feltrinelli non tenga mai conto del ruolo.
    Mio padre direbbe che i numeri non contano.
    Mio padre farebbe notare che quando questi numeri riguardano la cultura e la sua diffusione è bene evidenziarlo.
    Mio padre si chiederebbe cosa questo figlio cerca nel suo divenire.
    Mio padre direbbe che ho già scritto troppo.
    Mio padre, sì mio padre, non vorrebbe essere ricordato con un “ma li mortaci vostra”.

    Papà, è arrivata l’ora di riprendere il cammino.

  23. se vede che nun sei romano. “li mortacci tua”, a roma quasi mai è un’offesa, perchè l’uso è più folkloristico che offensivo. la caustica risposta a questa espressione è: e de tu’ nonno.

  24. Ettore Bassi inizia la sua carriera televisiva nel 1991. Nel maggio del 2002 entra a fare parte del cast di “Carabinieri” nei panni del Maresciallo Ferri uomo solare, ironico e semplice. Ad agosto iniziano le riprese della seconda serie, 24 puntate dirette da Raffaele Mertes.

    Ettore Bassi inizia la sua carriera televisiva nel 1991 specializzandosi come conduttore di programmi per bambini: “La banda dello Zecchino”, “Disney Club”, “Zip Zap”. E’ nel 1995 che approda come attore nella serie tv “I ragazzi del muretto” dimostrandosi immediatamente un personaggio poliedrico caratteristica che lo porta, l’anno successivo, al fianco di Michele Placido in uno spettacolo teatrale “Uno sguardo dal ponte”.
    Laureando in Scienze dello Spettacolo, nel maggio del 2002 entra a fare parte del cast di “Carabinieri” nei panni del Maresciallo Ferri. Ad agosto inizieranno le riprese della seconda serie, 24 puntate dirette da Raffaele Mertes.

    Inizia la sua esperienza televisiva a soli vent’anni prima nei panni di conduttore e poi in quello di attore di televisione e teatro. Come si è avvicinato al mondo dello spettacolo?

    E.B.:”Ho iniziato, come spesso capita, da bambino cercando di capire cos’era quest’attrazione che provavo – non essendoci peraltro nessun artista in famiglia – tramite i giochi di prestigio, un hobby diventato passione che ha indirizzato, poi, i miei studi in questo campo.
    In seguito, le prime opportunità di fare spettacoli, prendere dimestichezza con il pubblico e avere diverse occasioni di simulare uno spettacolo.”

    E’ noto che i bambini sono – tra le diverse fasce di pubblico – i più difficili tra intrattenere, gestire. Ricordi qualche episodio in cui ti sei sentito realmente in difficoltà con loro?

    E.B.:”Nessuno in particolare. E’ certo, però, che loro sono molto attenti: se c’è qualcosa che non va te lo fanno notare subito! Quindi, più che altro, mi è successo di cercare di mantenere sempre alta la soglia di interesse…sempre all’erta!”

    Nel maggio di quest’anno sei entrato a far parte del cast di “Carabinieri” nel quale interpreti il ruolo del Maresciallo Ferri acuto, allegro, solare. Hai dei punti di contatto con il tuo personaggio e con chi ti sei trovato meglio a lavorare?

    E.B.:”Punti di contatto ce ne sono. Ferri è un uomo che non ama le formalità, è schietto e dà la giusta dimensione e importanza alle situazioni: interviene con tempismo quando è necessario, è un uomo affidabile, sul quale ci si può sempre contare e che è anche in grado di sdrammatizzare, di fare venire fuori la sua allegria passata l’emergenza.
    In particolare, su quest’aspetto “calare la tensione” quando è alta è una pratica nella quale mi riconosco. Certo, non mi è servita nel cast di “Carabinieri” dove ho lavorato in armonia con ottimi attori e attrici e ho avuto la possibilità di collaborare con professionisti importanti come Villaggio e Caruso che mi hanno insegnato qualcosa.”

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