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Corsica: la deriva mafiosa del nazionalismo politico (#1)

di Enrico Ratto

corsica.jpgQuando la mattina del 30 ottobre 2003, alla vigilia della sua seconda visita in Corsica dal fallimento del referendum sull’autonomia, il Ministro dell’Interno francese Nicolas Sarkozy annuncia alla stampa di voler “neutralizzare la deriva mafiosa del nazionalismo corso”, in molti sull’isola si sono chiesti se si trattasse della bordata di un politico o, piuttosto, di un tecnicismo. I 273 attentati compiuti in Corsica tra la primavera del 2003 e l’inverno del 2004 sembrano accreditare l’ipotesi di un nazionalismo logorato da vent’anni di scissioni interne, i cui protagonisti, oggi più che mai, sono i clan legati alle attività finanziarie dell’isola piuttosto che allo storico movimento politico e culturale. Nicolas Sarkozy pronuncia queste parole nel novembre del 2003, un giro di vite annunciato di fronte allo spettro del fallimento della politica francese nella gestione della regione, ma le radici di questa pericolosa connessione tra politica, finanza e controllo capillare del territorio risalgono almeno a dieci anni prima.

Le conseguenze sociali di un fallimento politico.

Gli osservatori francesi collocano l’inizio della deriva mafiosa del nazionalismo corso all’inizio degli anni ’90, con la scissione del Front de Liberation National Corse (FLNC) nei due tronconi: Canal Historique e Canal Habituel. In questo periodo crescono le faide, si allunga la lista degli omicidi incrociati, il nazionalismo si impegna in una continua, paradossale, ricerca di rapporti privilegiati con lo Stato francese. Il complesso sistema dei movimenti, pubblici e clandestini, che si formerà in seguito alla scissione dell’FLNC sarà segnato da ambiguità strutturali che porteranno, di fatto, all’utilizzo dei partiti come vetrina legale della lotta armata. Di fronte ad un sistema politico così articolato e pericolosamente fragile, lo Stato francese ha tentato a più riprese di instaurare un rapporto con i leader nazionalisti, per esempio nel 1994, quando il Ministro dell’Interno francese Charles Pasqua, anch’egli corso, scriveva una lettera aperta ai nazionalisti intitolata “À mes compatriotes”. Ma i rapporti costruttivi di quegli anni hanno un duplice effetto: da una parte sono in grado di sancire brevi, e sempre interrotte, tregue della lotta armata sul territorio francese, dall’altra mettono in piedi un sistema di finanziamenti provenienti dalla Francia e volti a rilanciare l’economia della regione. La Corsica, improvvisamente, si trova a dover gestire importanti capitali.

Quando nel 1998 il premier francese Lionel Jospin apre il tavolo del confronto con i delegati nazionisti corsi, il cosiddetto Processo di Matignon, forse in pochi immaginavano le ripercussioni sull’assetto sociale francese che il negoziato avrebbe portato con sé. Nel 1998, infatti, in seguito all’assassinio ad Ajaccio del prefetto Claude Erignac, il governo francese tenta di ristabilire “lo stato di diritto” sull’isola con una manovra che porta in carcere 150 personaggi legati al nazionalismo e, tra questi, 80 vengono condannati a pene superiori ai 3 anni di reclusione. Condanne da scontare nelle carceri continentali, lontane dall’isola e dalle rispettive famiglie. Non è un caso che nello stesso periodo, le richieste che avanza Jean Guy Talamoni, portavoce di Corsica Nazione a Matignon, riguardano in particolare l’amnistia dei nazionalisti in carcere, allargata anche ai condannati per crimini comuni, e la modifica dello Statuto d’Autonomia. Il Processo di Matignon, che avrebbe dovuto essere un negoziato esclusivamente economico e politico, osservato dalla Corsica si trasforma in un forte motore di scontento sociale. La deriva mafiosa di cui parla Nicolas Sarkozy, le divisioni tra i clan storici che hanno portato ad essa, forse, nascono proprio da questo fallimento del sistema politico.

E’ importante osservare come durante i difficili mesi di Matignon, i clan locali stringono accordi tra famiglie storicamente antagoniste, e dividono famiglie da sempre alleate. La società corsa subisce uno scossone. Alcuni esempi. In occasione delle presidenziali del 2002, Paul Giacobbi, leader del clan radicale regionalista di sinistra, tenta un’alleanza con il movimento corsista che va da Toussaint Lucciani a Robert Feliciaggi, e che passa per l’ex presidente dell’Assemblea Territoriale José Rossi, vicino all’accentratore RPR di Jacques Chirac. Un tentativo di coalizione inedito e inspiegabile, fino a qualche anno prima. Sempre durante la stessa tornata elettorale, i nazionalisti dell’Alta Corsica si attivano per far cadere il sindaco di Bastia Emile Zuccarelli, uomo vicino a quel Jean Pierre Chevenement che aveva definito i nazionalisti “terroristi e mafiosi, e propongono come candidato alle legislative il radicale di sinistra Francois Vendasi, direttore di una compagnia di navigazioni, la cui ambizione è diventare, una volta eletto, il più importante imprenditore della regione di Bastia.

Per quanto riguarda la Corsica del Sud, nel 2002 la situazione delle alleanze è altrettanto complessa: le famiglie storiche di Ajaccio e Porto Vecchio appoggiano tre diversi candidati, i cui equilibri sono incredibilmente fragili. Roland Francisci, fratello di un militante ucciso nel 1982, si propone come candidato ufficiale del RPR di Jacques Chirac, con un programma contrario a qualunque ripresa del Processo di Matignon. Camille de Roccaserra, discendente dello storico clan dei Rocca Serra, ex sindaco di PortoVecchio e oggi eletta tra le file dell’UMP con 15 seggi all’Assemblea territoriale, nel 2002 è legata all’RPR, esattamente come Francisci, ma si dichiara moderatamente favorevole al varo di un nuovo negoziato, probabilmente in quanto esponente di un clan che ha spesso trovato l’appoggio politico del nazionalismo. Il terzo candidato del sud, nel 2002, era Robert Feliciaggi, che oltre ad essere stato uno dei sostenitori di Charles Pasqua durante gli anni ’80 e ’90, è un personaggio piuttosto noto alla giustizia francese. Nel gennaio del 2002, quando era sindaco del paesino di Pila Canale, Robert Feliciaggi viene indagato per “corruzione aggravata e continuata”. Secondo i magistrati francesi, Robert Feliciaggi sarebbe l’erede politico di Jean-Jérome Colonna, il “padrino della Corsica del Sud” e presunto fondatore della “banda du Valinco”. Nel 1998, ad attirare l’attenzione della Commissione d’Inchiesta Parlamentare sulla Criminalità in Corsica, furono le acquisizioni da parte dei Feliciaggi di alcune attività commerciali come l’Elf-Corse, l’installazione di alcune slot machines al casinò di Ajaccio e, infine, l’acquisto dell’Hotel Miramar di Propriano, per il quale Feliciaggi avrebbe beneficiato di una serie di prestiti privi di copertura, proprio grazie all’aiuto del vecchio Jean-Je Colonna. Ancora prima della deriva mafiosa, dunque, è necessario individuare i nodi politici che hanno caratterizzato la gestione di quest’isola, perché è da qui che derivano le contraddizioni che segnano, oggi, lo sviluppo economico della Corsica.

Le strade del denaro in Corsica.

Per trasformare il clanismo storico in un’organizzazione mafiosa, c’è bisogno di capitali. In termini generali, nel 2002 lo Stato francese ha sovvenzionato l’economia corsa con 378 milioni di Euro, a fronte di un prodotto interno lordo dell’isola di 4910 milioni di Euro. Una cifra che gli analisti ritengono sproporzionata, se si considera che lo Stato è anche il maggior datore di lavoro della regione, dove il 20% della forza lavoro è impiegata nell’apparato amministrativo, e che dal 1996 la Corsica gode di uno statuto fiscale speciale. E’ evidente che la Francia ricava dalle imposte sulle attività commerciali e dall’industria corsa (voce che incide solo per il 5% sul PIL) quote assolutamente marginali rispetto all’entità delle uscite. Ma esiste una seconda via di finanziamento che spiega l’improvvisa disponibilità di capitali della Corsica: si tratta di Femu Qui, una società di capitali di rischio costituita da tre collegi azionari – uno formato da piccoli privati (29%), uno da rappresentanti pubblici (48%) e un terzo da grandi imprese private presenti sull’isola in franchising (23%) – e creata per rilanciare l’economia locale. Nata nel 1998, in pieno Processo di Matignon, quando le aspettattive offerte dall’economia della regione erano improvvisamente cresciute, Femu Qui ha conosciuto un periodo di crescita durante il quale ha visto aumentare il proprio capitale da 460 mila a 3,51 milioni di Euro in due anni. Poi, improvvisamente, si è aperta la crisi, più legata all’equilibrio dei poteri interni e ai conflitti di interesse che alla pura gestione degli investimenti. Nel giugno del 2002, infatti, di fronte alla necessità di sostenere un grande progetto, i manager della società annunciano che investiranno parte dei capitali di Femu Qui nella costruzione dell’Hotel Ibis di Bastia. Un paio di mesi dopo l’inizio dei lavori, il cantiere è oggetto di ben tre attentati, saliti a sette nel giro di un anno. Perché? Esiste una spiegazione di carattere “etico”: l’investimento nell’Hotel Ibis, legato in franchising ad una casa madre multinazionale, secondo i corsi non era esattamente ciò che ci si poteva aspettare da una società costituita per rilanciare la piccola impresa locale. Ma esiste un’altra spiegazione, che riconduce, come molte delle cose che succedono in Corsica, alle dinamiche dei clan: l’accusa arriva da Pierre Vorgioni, un azionista di Femu Qui presente negli ambienti finanziari dell’isola da più di trent’anni, il quale nell’ottobre 2003 dichiara al Journal de la Corse che “nessun fondo d’investimento degno di questo nome può investire in un progetto che non solo non appare in linea con il suoi obiettivi costitutivi, ma addirittura porta la firma dello stesso presidente della società Femu Qui”.

Durante l’assemblea del giugno 2002, infatti, viene denunciata la presenza del presidente di Femu Qui tra i beneficiari del finanziamento emesso della sua stessa società: Jean-Nicolas Antoniotti è tra i membri della società costruttrice dell’Ibis. In seguito alla denuncia, la direzione di Femu Qui ha rinunciato a sostenere il progetto, ma secondo Pierre Vargioni “la gestione del capitale di rischio resta azzardata ed estremamente personalizzata”. Tuttavia, l’escalation di attentati al cantiere, sembrano dimostrare che l’Hotel Ibis di Bastia non è stato solo un affare tra personaggi legati al mondo imprenditoriale.

———————-

[1 – continua]

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