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Attuali tendenze della narrativa italiana (viste dal buco della serratura)

di giuliomozzi

Il mio mestiere è leggere. Circa l’ottanta per cento delle pagine che leggo sono pagine dattiloscritte. Circa l’un per cento dei dattiloscritti che leggo vengono poi letti anche da qualcun altro. Circa l’uno o due per mille dei dattiloscritti che leggo vengono poi pubblicati da un editore che li manda in libreria. Il mio mestiere mi consente di osservare le attuali tendenze della narrativa italiana. Della narrativa reale, intendo: quella che esiste; non della sola narrativa pubblicata, che è una frazione insignificante (in termini quantitativi) della narrativa esistente.
Lo so: per conoscere davvero le attuali tendenze della narrativa italiana reale bisognerebbe prendere in considerazione anche la narrativa autopubblicata in carta (in proprio o presso editori a pagamento) e in rete. Mi difendo dall’obiezione proponendo l’ipotesi, che mi sembra accettabile, che non ci siano sostanziali differenze tra la narrativa del tutto inedita e quella autopubblicata, almeno per quanto riguarda le tendenze.
Infine: non ho mai tenuto un accurato schedario delle mie letture di dattiloscritti. Ciò che sto per dire può essere tranquillamente catalogato come “impressionistico”.

Prima tendenza. Si conferma la prevalenza delle scritture maschili. Da più di dieci anni conduco laboratori di scrittura (nelle sedi più diverse) e l’esperienza mi dice che le donne che scrivono narrativa sono di più dei maschi; e che la qualità media delle scritture femminili è generalmente superiore alla qualità media delle scritture maschili. Tuttavia la stessa esperienza mi dice che i maschi sono più motivati alla pubblicazione, mentre le donne tendono più spesso a considerare la scrittura come un’attività privata o, al massimo, da mettere in comune dentro una cerchia di amicizie. Nei laboratori di scrittura la presenza delle donne è attorno al settanta per cento; dei dattiloscritti che ricevo, circa l’ottanta per cento è di provenienza maschile.

Seconda tendenza. Sta lentamente sparendo il romanzo giovanilista, che aveva conosciuta una stagione d’oro dopo il grande successo del romanzo d’esordio di Enrico Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Mi succedeva, alla fine degli anni Novanta, di ricevere romanzi simil-brizzi scritti da maschi quarantenni o cinquantenni. Ora non succede più. Gli stessi ventenni sembrano praticare ormai raramente l’imitazione di quel tipo di scrittura.

Terza tendenza. Sono ancora pochi – ma fino a qualche anno fa non ce n’era proprio nessuno, e stanno velocemente aumentando in quantità – i romanzi epistolari. Si tratta naturalmente di romanzi in cui la lettera cartacea è completamente sostituita dalla lettera elettronica (e-mail) o dalla conversazione in rete (chat). La differenza sostanziale tra questi romanzi epistolari e quelli della tradizione sta, com’è ovvio, nella velocità dello scambio. Inoltre il romanzo epistolare della tradizione tende a considerare il mondo come esistente; mentre il romanzo epistolare attuale, così come l’ho incontrato nella mia attività di lettore, tende a considerare la rete come esistente, e il mondo come eccezione. Spesso la scena chiave del romanzo consiste nell’uscita dalla rete e nell’incontro fisico dei personaggi. Generalmente tale scena chiave si conclude o con la rottura della relazione o con la scelta dei personaggi di restare in contatto solo attraverso la rete. Può essere considerato una terza tendenza bis il romanzo epistolare scritto effettivamente da più persone, ciascuna delle quali redige le lettere di competenza di uno, e solitamente uno solo, dei personaggi. Quando ciò avviene, è normale che gli autori o le autrici risiedano a grande distanza tra loro.

Quarta tendenza. Il genere quantitativamente dominante è sicuramente la narrativa d’anticipazione. Il termine fantascienza sarebbe inappropriato. Si tratta peraltro di un sottogenere all’interno della narrativa d’anticipazione: si potrebbe definirlo “narrativa d’anticipazione sociologistica cyberpunk“. I modelli attuali per questo genere o sottogenere di narrativa non mi sembrano tuttavia essere direttamente gli autori della fantascienza sociologica o cyberpunk, ma piuttosto il film Blade Runner di Ridley Scott (e imitatori) e le opere di Philip K. Dick (e imitatori), con qualche limitata escursione nel catalogo Fanucci AvantPop. Spesso agli autori (pressoché tutti maschi) sembrano essere note solo le opere imitative (in particolare: opere di narrativa grafica, ossia fumetti). Sia chiaro che per “opere imitative” non intendo “opere brutte“: ci sono opere imitative assai belle. Questo genere è quantitativamente dominante non per numero di opere (vedi il genere successivo) ma per numero complessivo di pagine: è difficile che un’opera di narrativa d’anticipazione faccia meno di quattrocentocinquanta cartelle. Questo è il genere nel quale mi sembra di poter registrare la più bassa qualità media della scrittura (sintassi casuale, lessico minimo).

Quinta tendenza. Dominante per numero di titoli è senz’altro la narrativa del delitto (anch’essa quasi solo maschile), nei vari sottogeneri (peraltro dai confini incerti, almeno nella percezione degli autori) del giallo, del noir, del thriller, del legal thriller, eccetera. Queste sono, di solito, le narrazioni che più s’impegnano sul fronte dell’intreccio. Spesso l’intreccio è assai deludente. Non mancano narrazioni il cui intreccio è appassionante. Tuttavia, il livello della scrittura è generalmente appena un po’ superiore a quello della narrativa d’anticipazione di cui sopra. E’ insistita la ricerca di un “investigatore all’italiana”, ossia di un investigatore che sia narrativamente interessante e capace di muover la storia pur senza essere il classico “concentrato di volontà di potenza” (uso, con autorizzazione, una formula che ho letta nella lettera di autopresentazione di una di queste opere narrativa) di derivazione statunitense. Non mi sembra che questa ricerca abbia finora trovato ciò che cercava.

Sesta tendenza. La narrazione fantastico-paradossale. Per una volta, donne e maschi contribuiscono al genere in quote pressoché uguali. La narrazione fantastico-paradossale ha spesso ambizioni allegoriche. Il fallimento mi sembra pressoché totale. La presenza di questo genere di narrazioni mi sembra in aumento.

Settima tendenza. Il romanzo storico. Se ne vedono pochi, ma più oggi che qualche anno fa. Sono scritti prevalentemente da maschi, ma le donne non mancano. Tendono a essere piuttosto buoni: magari noiosi, ma ben costruiti e bene scritti. Gli autori hanno spesso un’età superiore ai quarantacinque anni. Il problema di queste narrazioni è che di un romanzo ben fatto, lodevole, gradevolmente scritto, eccetera, ma che non dice proprio niente di nuovo, e nemmeno niente d’importante, spesso non si sa che cosa pensare.

Ottava tendenza. La narrativa memoriale. Qui il campo è quasi del tutto femminile. Si tratta in genere di narrazioni scarsamente congegnate (si va dal principio alla fine, senza alcuna costruzione), spesso assai bene scritte, talvolta commoventi, nella quasi totalità dei casi del tutto prive d’interesse per una lettrice o un lettore che non appartenga alla cerchia dell’autrice (o, raramente, autore). Il mio stato d’animo è paradossale: sono scritture che vorrei tanto incoraggiare, ma che non penso sia opportuno incoraggiare con la pubblicazione. Sono scritture che mi sembrano molto sane, ma ho l’impressione che la pubblicazione non sia la cosa migliore che possa loro capitare.

Nona tendenza. La narrativa siciliana. Devo fare una premessa. Sono personalmente convinto che la narrativa siciliana non sia una parte della narrativa italiana, ma sia un’entità a sé stante. Questo ovviamente non è un giudizio di valore (se lo è, è un giudizio di valore positivo) né un invito al separatismo. Dalla Sicilia mi giungono narrazioni scritte da ventenni con la sicurezza stilistica dello scrittore maturo; narrazioni che si tengono in piedi per la sola forza dello stile (e che forza!); narrazioni piene di pietre, di mani, di arbusti, di albe e tramonti, di venti, di paesi, di fichidindia, di mare, di capre (in sostanza: piene di cose non fatte dall’uomo). Narrazioni scritte in un italiano perfetto, nitido e fiammeggiante. Narrazioni delle quali, tuttavia, spesso stento a capire di che cosa parlino. Mi sembra che mi giungano frammenti, tanti frammenti, di un interminabile epos della luce e delle cose. Difronte a queste narrazioni, che spesso ammiro, il mio sconcerto è grande.

Decima tendenza. La narrativa meridionalista. Che è scritta da meridionali meridionalisti, soggetti ben diversi dai meridionali non meridionalisti (la cui meridionalità è ricavabile solo dai dati anagrafici). La narrativa meridionalista ha modelli novecenteschi che spesso non conosco (difetto mio) e modelli attuali perfettamente riconoscibili se non addirittura citati e dichiarati: Peppe Lanzetta, Giuseppe Montesano, Antonio Pascale, più raramente Diego De Silva o Livio Romano. Si tratta di una narrativa fortemente politica (“di denuncia”, si sarebbe detto una volta), spesso portata a un favolismo della trama e dei personaggi che non rinuncia a un sostanziale (dickensiano?) realismo dell’ambientazione, nella cui scrittura abbondano il dialetto (per lo più come “citazione di realtà”, ma talvolta anche in funzione espressiva) e la simulazione dell’oralità. C’è una differenza interessante tra scritture maschili e scritture femminili: le maschili tendono a essere ossessivamente volte al presente, le femminili scelgono spesso uno sfondo storico. Qualche anno fa sembrava che solo la gioventù del Nord Italia avesse in mente la scrittura; oggi certamente non è così.

Undicesima tendenza. Ricevo un certo numero di narrazioni che sono tentato di definire narrazioni minimum fax. Direi che sono tendenzialmente in aumento. Il confronto con i modelli (i narratori statunitensi tradotti da Minimum Fax) è disastroso.

Dodicesima tendenza, nonché ultima: il romanzo fantasy-newage-sapienziale. Credo che una letteratura in buona salute possa sopportare allegramente l’inoculazione di una certa dose di narrativa fantasy: perciò trovo che il proliferare di romanzi fantasy sia una novità né buona né cattiva. Quello che mi turba è l’incrocio tra il fantasy del contenuto narrato, il New Age dell’ideologia, e il sapienziale dello stile. Le narrazioni di questa specie sono in continuo aumento (sia come numero di titoli, sia come numero di pagine per ciascun titolo). Dal 1998 a oggi ho letto una, e una sola, buona narrazione ascrivibile a questo genere (ancora inedita, peraltro).

Tendenze e mercato. Queste sono le tendenze che ho riscontrate. Mi rendo conto che alcune di esse sembrano corrispondere alle tendenze del mercato editoriale italiano. Non credo che il mercato editoriale italiano dipenda dalle tendenze della narrativa reale; credo piuttosto che la produzione reale di narrativa dipenda dalle tendenze del mercato editoriale. Ossia, c’è un sacco di gente che legge un romanzo nuovo e si dice: “Wow! Che roba! Lo faccio anch’io!”.

Altre tendenze? Qualcuno ha riscontrate altre tendenze? I miei riscontri non corrispondono ai riscontri di altri? La mia classificazione fa acqua? Non ho capito un accidente di quello che sta succedendo?

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135 Commenti

  1. “Tutto e’ iniziato quando ho scritto una specie di romanzo di fantascienza alla Blade Runner che ho mandato “tipo Jack London” a tutte le case editrici. Solo Canalini ha risposto e a 16 anni, timido ed emozionato, mi sono presentato a quell’incontro. Canalini, dopo aver cestinato il mio libro, mi ha proposto di scrivere qualcosa di più vicino alla vita reale. E allora io, che in quel periodo vivevo questa storia con una ragazza, praticamente suora, l’estate successiva alla sua partenza ho lavorato alla stesura del romanzo”. (E.Brizzi)

  2. Da qualche mese sto lavorando sull’idea che sia possibile produrre una nuova forma di narrativa utilizzando la tecnologia blog e le risorse infinite della Rete. Non si tratta solo di usare al massimo le potenzialità degli ipertesti, nè di produrre un’opera a più mani stile “Luther Blisset” e neanche di proporre un “incipit” (più o meno lungo) la cui continuazione è affidata ai navigatori del Web: lo strumento del blog consente di andare oltre tutto questo.
    Si tratta di produrre un romanzo polifonico (perchè si avvale dei contributi tratti da tutte le discipline artistiche: musica, poesia, pittura, eccetera) multimediale (perchè il testo può venire “letto” con il supporto di filmati, file musicali, immagini, eccetera) interattivo (perchè la tecnologia dei post e dei commenti consente di lavorare insieme ad altre persone) in evoluzione continua (sulla base dei contributi provenienti da altri, o anche di nuove idee dell’autore, si possono aggiornare continuamente i post, i link e tutto il resto del blog).Con un neologismo potremmo chiamarlo un “Blogromance”.
    Nella sperimentazione pratica che ho avviato sul blog arthurcab.splinder.com sto quindi cercando di fare contemporaneamente più cose:
    a) scrivere un romanzo – per leggerlo dall’inizio, basta cliccare sulle categorie “romanzo” (1,2,3…) sulla colonna di sx – che nella fattispecie si propone come un viaggio nella letteratura fantastica (intesa in senso ampio, alla Borges) di tutti i tempi (attraverso la ripresa,il rimescolamento, il “tradimento”, la mutazione di luoghi, miti, formule degli autori del passato, nella convinzione che, sostanzialmente, tutto sia già stato scritto, si tratta solo di reinterpretarlo….ma qui il discorso si farebbe lungo -vedi ad esempio, su questo, Omar Calabrese, Caos e bellezza, 1991, ma anche Francesco Varanini in Le Nuove frontiere della cultura d’impresa, ETAS, 2004), nonchè come una nuova versione dei Quadri ad una esibizione di Mussorsgky. Questo romanzo, come quelli d’appendice ottocenteschi, viene pubblicato a puntate sul blog (ogni post una puntata)
    b) all’interno del romanzo inserire immagini, musiche o filmati che si riferiscono direttamente o indirettamente al testo o che sono lo spunto per sviluppi ulteriori della trama
    c) mettere a punto una struttura di link che consenta la navigazione verso altri contenuti reperibili in rete coerenti con i contenuti del testo, ma non inseriti direttamente “nel” testo;
    d) scrivere, oltre al romanzo, il commento al romanzo (clicca la categoria “spiegazioni” per visualizzare solo questo elemento)
    e) realizzare “variazioni” alla trama attraverso l’inserimento di trame parallele da parte di altri autori, che potrebbero essere raggruppate in singole nuove categorie. L’insieme del Blog consentirebbe di leggere quindi non un “romanzo polifonico multimediale interattivo”, ma “n” romanzi. Il Blogromance è una “unità molteplice”.
    Dietro questo metodo solo una follia?

  3. Mozzi con tutte le cose belle che puoi scrivere, ci proponi sempre queste cazzate da esperto – ma tu sei un esperto di tendenze? I tuoi libri non stanno neanche nelle librerie… Enrico Brizzi potrebbe essere un esperto o Ammaniti. Ma tu…

  4. Caro Pacioni, la questione non è se io sono “per natura” esperto o no. La questione è se nel riscontrare certe tendenze nel materiale che ho esaminato (e che è simile, immagino, a quello che circola per tutte le case editrici) io ci ho preso o no. Secondo te, ci ho preso o no?

  5. Caro Mozzi, “il cielo a volte è azzurro a volte grigio a volte ha altre sfumature”. Ci ho preso o no?

  6. Caro Pacioni, sui cielo ci hai preso benissimo, ma la cosa è irrilevante. Prima hai scritto che io ho scritto “cazzate”: hai espresso un giudizio sul contenuto di ciò che ho scritto. Ritenevo quindi (credo legittimamente) che tu ti ritenessi in grado di esprimere un giudizio sul contenuto di ciò che ho scritto. Invece, divagando in questo modo, fai intendere di non essere in grado di esprimere questo giudizio: e cioè che quella parola, “cazzate”, che hai scritta, l’hai scritta senza nemmeno sapere di che cosa stavi scrivendo. Se non è così, ti invito a spiegare perché e percome le cose che ho scritto sono secondo te “cazzate”.

  7. Caro Mozzi, en passant, non ho scritto che scrivi cazzate, ma che “ci proponi sempre queste cazzate da esperto”. Credo ci sia differenza differenza.
    Tu dici che io sul cielo ci ho preso benissimo; ma io non sono un esperto di “cielo”.
    Credo sia palese dove voglio arrivare.

  8. ciò che dici della scrittura femminile e maschile è fuori dalla realtà. stai proprio fuori con l’accuso, ma di brutto.
    la parte sulla cosiddetta “letteratura minimum fax” è abbastanza vaga da poter essere presa come una provocazione tout court, quindi non saprei come commentarla.
    sul resto, sostanzialmente, si potrebbe pure essere d’accordo. però boh.

  9. Dagli ultimi commenti mi viene in mente una tredicesima tendenza (sempre fortunata): la narrativa scurrile. Ma ha un po’ stufato, direi.

  10. un po’ basita da questo suo intervento. se non avessi seguito altri suoi pezzi il giudizio sarebbe affrettato. non metto bocca sulla pertinenza della categorizzazione. ma sull’idea e il metodo: che vor dì? quali sono i parametri? sesso, frequenza, imitazione buona, imitazione brutta, interesse (suo)? bah. evviva la narrazione fantastico-paradossale, che mette d’accordo moglie e marito…

  11. I lettori italiani leggono (quei pochi che leggono!) solo quello che vogliono gli editori e che piace ai loro “consulenti”, come è tra gli altri Giulio Mozzi. Ma se Giulio Mozzi ha davvero le idee (o, meglio, le “non idee”) che ha espresso qui, allora si capisce perchè molti libri “piuttosto buoni: magari noiosi, ma ben costruiti e bene scritti” oppure “romanzi ben fatti, lodevoli, gradevolmente scritti” (parole del Mozzi) rimangono inediti. Occorrerebbe un po’ più di coraggio (negli editori) ed accettare (i “consulenti” che sono essi stessi autori) anche i libri che … fanno concorrenza ai propri! E poi, quanta parte dell’editoria italiana è fatta di libri scritti a catena di montaggio da autori “mostri sacri”, che ne sfornano uno ogni sei mesi e che la gente compera per automatismo mentale e perchè è chic dire di averli letti (anche se magari non è vero)? Quanto al maschile-femminile, è assodato che a leggere romanzi (oltre che a scriverli) sono più le donne che gli uomini (che si limitano, se va bene, alla Gazzetta dello Sport al lunedì), per cui gli editori e i loro “consulenti” tendono a privilegiare romanzi comunque graditi alle lettrici: e non intendo, ovviamente, solo i romanzi “rosa”, ma si tratta sempre libri in cui la “letteratura” (amore, odio, famiglie più o meno in crisi, droga, problemi personali, ecc., cioè temi vicini al proprio vissuto – vedi il successo delle trasmissioni TV in cui la gente va a raccontare le proprie cose senza alcun pudore) ha il sopravvento sui “fatti”, sulla costruzione di un intreccio che stia in piedi, che dica qualcosa (possibilmente) di nuovo e con la sintassi e l’ortografia al loro posto. I pochi italiani (maschi) che leggono davvero, questo lo trovano – e non sempre – in autori stranieri che qualcuno ha il coraggio di pubblicare. Ad esempio, prima che nascesse il “legal thriller” e avesse la fortuna di diventare un genere, nessuno in Italia ha mai “osato” pubblicare romanzi contenenti tali temi. Così nel giallo e nel noir, basti pensare alle difficoltà incontrate per affermarsi da uno Scerbanenco, ecc. ecc., la casistica potrebbe moltiplicarsi.

  12. Ciao Giulio Mozzi. Non ci conosciamo. Ho scritto un racconto in un’antologia minimum fax uscita qualche mese fa. Poi sono più o meno tornato nel dimenticatoio, cosa che non mi spiace, del resto se ne può uscire facilmente – basta scrivere un altro racconto (e ti pare poco). Solitamente i miei veri e più sentiti amici mi accusano di non dire le cose apertamente, e hanno ragione. Sono uno di quei puerili individui che ancora sentono la fascinazione del tramare nel buio. Ma con te voglio essere esplicito. Non ho mai letto niente di tuo, niente nel senso metodico, scientifico. Leggiucchiare in libreria non è leggere. Però andresti comunque monumentalizzato per aver pubblicato il miglior libro italiano da decenni a questa parte, sto parlando ovviamente di Pausa Caffè di Giorgio Falco. Sul resto, voglio cominciare timidamente a comunicarti che ti trovo buffo. Pensando a te, penso alla provincia, alla superficialità, all’ignoranza, alla cultura dozzinale, all’Italia alle vongole, alle sigarette nazionali, insomma, ti guardo un po’ dall’alto in basso. Sei come un’opera di arte povera. Non penso tu sia male (certo migliore di me, ci vuol niente) penso però che non sarai mai veramente affascinante. Tu dirai: chi se ne importa. Oh certo. Però, e continuerei per migliaia di parole, io ho come la sensazione di trovarmi in seconda classe, ogni volta che entro nel tuo mondo.
    Abbi pazienza, sono sotto psicofarmaci.

  13. salve
    sono la titolare di una libreria di Siracusa
    abbiamo organizzato degli incontri con autori, ditor ecc. per parlare della scrittura creativa, delle autoproduzioni ecc. ecc. gli incontri si svolgeranno a dicembre…
    avevamo contattato una scrittrice che purtropo aoogi ha dovuto disdire per impegni improvvisi… tra gli invitati c’è matteo b. bianchi, che è ormai venuto più volte qui a siracusa e che più volte cii ha parlato di lei , perchè è con lui che è venuta l’idea di organizzare questi incontri… ora ci chiedevamo se lei avesse il tempo per poter venire… le date sono o fine novembre o metà dicembre.. tutti gli altri sono già confermati.. lei dovrebbe tenere una sorta di lezione diciamo sulla scrittura.. se fosse disponibile le faccio avere tutto al più presto.. ovviamente mi dice anche quali sono le condizioni, a parte viaggio, soggiorno ecc.
    spero di essere stata chiara e saremmo contetissimi se fosse tra i nostri ospiti
    grazie per l’attenzione e attendo sue notizie in ogni caso
    luisa fiandaca (titolare)

  14. “La narrativa memoriale. Qui il campo è quasi del tutto femminile. (…) : sono scritture che vorrei tanto incoraggiare, ma che non penso sia opportuno incoraggiare con la pubblicazione. Sono scritture che mi sembrano molto sane, ma ho l’impressione che la pubblicazione non sia la cosa migliore che possa loro capitare.”
    Cosa significa?
    Perché le vorresti incoraggiare?
    In che senso le vorresti incoraggiare?
    E perché poi la pubblicazione non sarebbe la cosa migliore che potrebbe loro capitare?
    Quale sarebbe la cosa migliore per loro?
    E come si conciliano queste affermazioni con quelle che fai in precedenza, quando sembri lamentare il fatto che le donne, pur scrivendo (a tuo dire) meglio degli uomini, “tendono più spesso a considerare la scrittura come un’attività privata o, al massimo, da mettere in comune dentro una cerchia di amicizie.”?
    Voglio dire: sono le donne che non hanno il coraggio e la voglia di pubblicare o forse non vengono incoraggiate a farlo perché i maestri fan loro capire che “non sarebbe la cosa migliore che potrebbe capitare ai loro scritti”?
    Sono io che non capisco o qualcosa non funziona in questa tua analisi panoramica?

  15. P.S Dimenticavo: cosa significa che le scritture di narrativa memoriale, prevalentemente femminili, sono molto “sane”?

  16. Cara Anna Setari, rivolterei il modo in cui tu poni la faccenda. Secondo me, non è che “le donne non hanno il coraggio e la voglia di pubblicare”; è che i maschi hanno un eccesso di coraggio e di voglia di pubblicare.
    Non credo che l’unica forma di esistenza per la scrittura sia l’essere pubblicata (stampata, mandata in libreria). Credo che abbiano senso le pubblicazioni private, le circolazioni di testi all’interno di cerchie ben definite. Credo che molte donne facciano benissimo a considerare la scrittura un’attività privata. Credo che molti maschi dovrebbero rendersi conto che le scritture che tentano di far pubblicare sono in realtà scritture private. Credo che le scritture femminili di narrativa memoriale siano “sane” perché, mentre le leggo, mi sento assai bene. Al contrario, la maggior parte delle scritture maschili che leggo mi mettono a disagio.

  17. Caro Pacioni: no, non mi sembra palese dove vuoi arrivare. Sei disponibile a dire quello che vuoi dire, o intendi solo alluderlo? Adesso che hai presa la parola, perbacco!, ùsala.

  18. Scusami, Giulio Mozzi, se torno ancora sull’argomento. Ma sul serio vorrei capire.
    Anch’io non penso che l’unica forma di esistenza per la scrittura sia l’essere pubblicata (stampata, mandata in libreria).
    La scrittura più che altro vuol essere letta – e anche una piccola cerchia privata può appagare pienamente questo bisogno.
    Però ugualmente non capisco.
    Cioè: capisco che un autore possa non essere smanioso di pubblicare (non solo lo capisco, ma mi è anzi particolarmente simpatico).
    Non capisco, invece, il “lettore di casa editrice” che giudica un testo “ben scritto” e, addirittura, “si sente assai bene” nel leggerlo e poi, però, non ne promuove la pubblicazione: decide cioè di privare i lettori comuni di una buona e gradevole lettura.
    Insomma: se tu “ti senti bene” nel leggere quelle memorie femminili, perché poi pensi che solo chi conosca l’autrice potrebbe essere interessato a leggerle?

  19. La parola l’ha usata, Pacioni, eccome! Caro Mozzi, l’ha usata per smascherarti, te e il tuo metodo pseudo oggettivo, da santone dei fenomeni e dell’esistente. Ora sei tu che farfugli, con le tue pose da esperto, che trova credito ormai soltanto presso gli ingneui “aspiranti scrittori”.

  20. Cara Anna. (1) Immagina di lavorare per un editore che può permettersi di pubblicare una dozzina di libri l’anno. Immagina che di questa dozzina di libri non più di quattro possano essere libri d’esordio (ci sono delle ragioni economiche, per questo). Immagina quindi di prendere in mano ogni anno sette-ottocento dattiloscritti di persone che non hanno mai pubblicato nulla.
    (2)Sarebbe bello poter dividere la massa delle proposte in schifezze (da buttare) e capolavori (da pubblicare). Il problema è che, una volta eliminate le indubbie schifezze (circa il 90% del tutto), ti restano comunque settanta-ottanta testi (ogni anno!) da prendere seriamente in considerazione. Tra questi settanta-ottanta testi ne troverai probabilmente uno o due che si imporranno facilmente sugli altri. E poi ne troverai dieci, quindici, se non addirittura venti, che ti sembreranno bene scritti, di gradevole lettura, ben congegnati, interessanti, commoventi, eccetera. Ma tu hai la possibilità di pubblicare quattro libri d’esordio ogni anno. Quindi fai le tue scelte. Porti quei libri “buoni” in redazione, li fai leggere, se ne discute, ci si confronta. E (a volte con fatica, con litigi, con delusioni, con perplessità, con tutto quello che ci vuole) si sceglie.

  21. “Il confronto con i modelli (i narratori statunitensi tradotti da Minimum Fax) è disastroso.”
    aspetta.
    “disastroso” per chi?

  22. molto divertente la disamina di mozzi, con alcuni appunti: come ha già detto qualcuno il buco della serratura è a nostro danno, chi scrive e vuole pubblicare magari si può autoincanalare in qualcuna delle tendenze che mozzi legge, ma è improbabile per noi commentare qualcosa di cui non possiamo tastare il polso. il giudizio di mozzi poi mescola assieme un giudizio quantitativo con uno qualitativo, e quindi alcune tendenze vengono bollate senza rimedio (come ad esempio la tendenza minimum fax). resta nel lettore il dubbio sull’oggettività di questo giudizio negativo, ovvero, può mozzi serenamente giudicare un romanzo epistolare, uno fantasy, uno ironico-surreale, riuscendo ad ‘entrare’ nelle dinamiche di generi così diversi: ovvero: può essere che mozzi legga un discreto romanzo cyberpunk e lo bolli perché magari il cyberpunk gli fa venire l’orticaria? o al contrario che sia clemente verso forme che gli sono più congeniali, tipo il romanzo epistolare?
    detto questo, dall’altra parte della barricata, ci vorrebbe una vendetta degli scrittori inediti che individuino le tendenze dei romanzi *pubblicati* e ne facciano una pagellina simile a quella che mozzi fa dei manoscritti che gli arrivano sulla scrivania.
    credo sarebbe una cosa sommariamente istruttiva, certi giganti visti dal basso hanno i peli nel naso.

    un saluto

    f.

  23. di fronte a tanti commenti pieni di livore, vorrei solo dire a Mozzi che ho trovato molto interessante il suo articolo.

  24. giulio, cosa intendi quando scrivi “la maggior parte delle scritture maschili che leggo mi mettono a disagio”? perché? in che senso?

  25. pur avendo spesso delle perplessità nei confronti di quel che mozzi dice, in senso estetico, questi ultimi due interventi su NI del buon giulio mi sembrano buoni, coraggiosi e onesti. la cosa che più mi intriga, in quanto non ancora compresa, è come possa egli smuovere così tante reazioni. forse non ho ancora inquadrato quanto sia importante nel panorama letterario; sarà perchè lo conosco da pochi anni o forse per le mie resistenze interiori. ma tant’è, non vedo buone ragioni per scagliarcisi contro.
    concludo aggiungendo che non sono tra quelli che osannano l’imperatore in quanto gli ho già proposto i miei racconti e sono stato non scelto.
    credo che non tutte le sue scelte editoriali siano state così felici, ma magari se ne parlerà un’altra volta.
    cristiano prakash

  26. Caro Ivano: è disastroso per gli imitatori. Ripeto: questa è una *tendenza*. Rispetto a questa tendenza, mi sembra che il lavoro del gruppo FaM sia in netta controtendenza.

  27. ho scritto un romanzo storico su un giovane castoro cyberpunk omosessuale nato in sicilia ma residente a brandizzo che scrive lettere autobiografiche al femminile allo scopo di uccidere un salmone killer nella notte con amore.

  28. se io mi sentissi a disagio con le scritture maschili – cosa che per fortuna, per adesso, non è – probabilmente riterrei opportuno intraprendere un lungo percorso di autoanalisi.

  29. L’unica cosa è che non mi risponde più alle e-mail e per contattarlo faccio fatica come quando avevo ventidue anni e non gli avevo ancora organizzato una conferenza, una presentazione di un libro (Il Suicidio di Angela B.), e due laboratori di scrittura, non avevo ancora aperto un blog dove ho creato il genere letterario “santificazione Giulio Mozzi”, e non gli scrivevo ancora soltanto e-mail dove gli propronevo progetti (gli parlavo, a ventidue anni, soprattutto di me e delle mie aspirazioni e cercavo di farmelo amico, cercando di instaurare un rapporto confidenziale, da fanciullino). Be’, uffa.
    Ma adesso tra me e lui è spuntato Tiziano.

  30. Ah, visto che ci siamo, che sono tutto preso dal livore e dalla frustrazione di essere ignorato da Giulio Mozzi, una delle migliori menti in circolazione, oso dubitare che le migliori menti in circolazione dicano “è in controtendenza”. Voglio dire, da quando le migliori menti in circolazione scrivono come le peggiori?

  31. Caro Giulio, io ti proporrei una tredicesima tendenza, e poiché ignoro quasi tutto della narrativa italiana contemporanea non saprei neppure dire se esiste (se ha qualche consistenza) oppure no. Poiché però qui si lapida, me la tengo per me. (E quelli che lapidano, lanciano romanticamente le loro pietre contro l’editoria – contro il mondo – che non è come vorrebbero che fosse). Una domanda: ‘Il suicido di Angela B.’ in quale tendenza rientra? Sospetto in nessuna. E quelli che lapidano, è tutta gente che non rientra (non vuole rientrare) in nessuna tendenza. Immagino che per uno che scrive, rientrare in una tendenza procuri già una buona incazzatura. Ficcarceli, in una tendenza, credo proprio che sia invece il mestiere dell’editore. In attesa che arrivi ‘Il suicidio’.

  32. E il ghiaccio? Sono sicuro che Mozzi ci liquiderebbe nella tendenza “fantastico-paradossale”. E, invece, noi ci sentiamo “settentrionalisti” (il nord, il ghiaccio), che è una tendenza che Mozzi non ha elencato e che pure esiste.
    Suggerisco: dopo le tendenze, Mozzi si eserciti nell’elenco dei nomi, come si fa negli USA, una cosa tipo “i venti giovani nel futuro della narrativa italiana”… magari esce Candida, sai che ridere…

  33. A me è piaciuto il tentativo di classificazione, ma nel senso che l’ho trovato divertente. Mi incuriosisce la scelta di chiamarlo Attuali tendenze della narrativa italiana, mentre io avrei scelto Attuali tendenze delle cose scritte dagli italiani che vorrebbero diventare scrittori. Questo mi sembra un gesto rispettoso di giulio mozzi: da un lato falcia (e sotto sotto prende un po’ per i fondelli) e dall’altro però chiama tutto questo materiale informe e grossolano “narrativa italiana”.
    Forse il tutto si poteva riassumere in due grosse categorie: – le imitazioni (di ammaniti, di faletti, di pulp fiction, di lucarelli, di camilleri, dei colossal cinematografici americani di fantascienza…) nelle quali predominano gli uomini; – il diario personale nella quale predominano le donne e che è una sorta di seduta psicoanalitica per stare meglio (il fatto che giulio mozzi dica sane riferendosi a questo tipo di scritture mi sembra una specie di associazione mentale non so quanto volontaria o involontaria).
    Un po’ triste. D’altra parte che la gente chiuda un libro e dica – Wow! Che roba! Lo faccio anch’io – è sempre dovuto a una eccessiva considerazione di sé come scrittori? E se spesso fosse una eccessiva pochezza delle cose pubblicate e spacciate per buone e vendute a 25 euro. La vera frase sarebbe: Vabbé ma sta’ roba la scrivevo anch’io!

  34. Lancio una provocazione, sperando che qualche mente fine capisca! Innanzitutto le obiezioni alle “impressioni” di Mozzi non riescono proprio a “impressionare”, non sembrano né argomenti, né fatti, tanto meno ragionamenti e impressioni. Ma la provocazione è questa: imitare fa male, m’insegna René Girard, quando diventa rivalità mimetica. Ora mi sembra che gli scrittori italiani soffrano più di altri di questo complesso. Questa mia impressione, tutt’altro che certa perché non mi sono mai preso la briga di fare un’analisi in profondità della questione, nasce a mio parere da un rifiuto che sento sempre più forte nella società italiana della comprensione di quello che è il cuore della cristianità: la morte e resurrezione di Cristo. La perdita, l’oblio di questa comprensione è perdita di ciò che l’evento cristico presenta: la possibilità di rottura del sistema di rivalità mimetica. L’Italia, paese costruito con un collante alquanto indegno, è stata fortemente influenzata da una Chiesa che geopoliticamente ha prodotto una fortissima pressione sul sentimento religioso degli italiani, fino al punto di rottura, di travalico, lì dove la secolarizzazione, per insofferenza al religioso ecclesiale ormai palese, è degenerata fino a far perdere di vista ciò che caratterizò una generazione di scrittori cattolici e non cattolici, ma che avevano chiaro il significato della cristianità come meccanismo di rottura della rivalità mimetica. La rivalità mimetica certo abita il mondo e non solo l’Italia, ma l’Italia proprio perchè più di altri paesi ha subito la geopolitica cattolica, sembra diventata, per reazione, per rigetto, insofferente a qualsiasi positività cristica e finisce così per perdere ciò che più di altro può difenderla dalla rivalità mimetica.
    Preciso: Non mi sento un fedele della chiesa cattolica, io sono per la filosofia perenne, che il Cristo comprende.

  35. Un sacco di seghe mentali… mentre un cazzone come Faletti… pubblica, si prende recensioni (marchette) imbarazzanti e stravende… e ci metto pure Ligabue!! roba da piangere…

    Una nuova categoria è: scrittori troppo bravi per il pubblico italiano…
    Andrea

  36. Confesso di non aver capito su cosa si sia sviluppata la discussione. Mozzi ha riepilogato le sue impressioni di lettura professionale. E’ stato coperto di insulti. Io vorrei ringraziarlo. Non che dalla sua esposizione abbia capito con quali criteri vengono scelti i libri da pubblicare, ma sono diventato un po’ più comprensivo verso i redattori editoriali. Quando uno è costretto a leggere una valanga di cattive imitazioni, è comprensibile che non si soffermi su un testo a meno che non veda l’immediato sfolgorio del capolavoro. Forse tutti quanti dovremmo fare un esame di coscienza. Se Faletti vende un milione e mezzo di copie ci sarà pure un motivo. D’accordo il battage pubblicitario, d’accordo che l’autore era una persona già nota, d’accordo che ha trovato una sponda come d’Orrico, d’accordo tutto quel che volete, ma un milione e mezzo di italiani ha comprato Io uccido. Perché ? Sono tutti ignoranti ? Tutti lettori di Harmony ? Credo che Mozzi, più che dare risposte, volesse porre questa domanda. Io vorrei azzardare un’ipotesi. Questa: l’autore italiano non scrive per far divertire il pubblico ma per dirgli: “Visto come sono in gamba ?”. Al pubblico (che spende il suo tempo e il suo denaro a leggere) non gliene può fregare di meno.

  37. E’ la prima volta che scrivo in un “blog”, accogliete dunque la mia parola con benevolenza.
    Ho fatto lo stesso lavoro di Mozzi per qualche anno presso una casa editrice parigina e avrei alcune tendenze da aggiungere (forse solo francesi?).
    1.La scrittura terapeutica: dopo un grande trauma — un lutto, una separazione, una malattia — ci si serve della parola scritta per elaborare e superare il dolore. Ero molto in difficoltà nel rispondere a questi autori: da una parte avevo voglia di abbracciarli, dall’altra sentivo di dover dire loro che questa non è letteratura…
    2. Il romanzo autobiografico che comincia — ne ho incontrati tantissimi — con la nascita dello scrivente. Tipo: sentivo il battito del cuore di mia madre, intorno era buio, poi all’improvviso una luce accecante….

    Vorrei dire a Mozzi che trovo intelligenti e giuste le sue considerazioni. Adesso sono lettrice di libri italiani (già pubblicati) per un’altro editore francese e riscontro tali tendenze anche nella letteratura che approda in libreria.

    Per il resto
    non ti curar di lor…

  38. Riccardo, secondo me hai in parte ragione. Molti mostrano i muscoli e via. Al lettore non gliene frega niente, giustamente. Però nell’editoria italiana c’è qualcosa che non va. Il problema grosso sta nel dopo pubblicazione. Non è che in Italia ci siano solo scrittori da “bella pagina”. Ci sono un sacco di scrittori che raccontano la realtà. Forse, anche qui, i lettori ne hanno piene le palle. Della realtà, dico. Anche perchè siamo invasi dalla realtà. E allora Faletti, col suo fumettone ben scritto e ben articolato ambientato a Montecarlo (regno dell’immaginario per antonomasia) tra cadaveri, belle donne, ecc. ecc. sfonda le classifica. E’ letteratura, la sua? Più che altro è intrattenimento di classe. Ovvio che a fronte di un mercato piccolo come quello italiano (perchè gli italiani, mettiamocelo bene in testa, non leggono)un Faletti uccide il resto. Si, lui uccide, proprio. Agli altri restano le briciole. Forse il problema è alzare il tiro. Sbattersene una buona volta delle nostre belle e delicate e letterarie storie provinciali e guardare verso il mondo. Salgari, che non era un idiota qualsiasi, faceva così. Senza muoversi da casa.

  39. Nessuno risponde a Tedoldi?
    (Steinbeck è il racconto più divertente e disperato che abbia mai letto)

  40. Speriamo… comunque ogni incursione nel mare magnum manoscrittaro, per quanto catalogatoria e erratica come questa mozziana, mette imperscrutabilmente addosso il buonumore. Non saprei dire perché. Spigolare argh-sempre-più-di-rado su NI e trovare alfin questo post, tié, m’ha acquietato.
    Ciao briscole.

  41. Io leggo per lavoro…
    Una domanda, tu leggi qualsiasi manoscritto? Indipendentemente dal genere?
    E la lista che hai fatto è basata su generi pre/esistenti?
    E la commistione tra i generi?
    E i “generi” che preferisci, quanto influenzano la lista che hai stilato?
    Ottanta, venti. Uomini, donne.
    In questa statistica rientra l’attitudine dell’editore medio nella ricerca del “genere femminile”?

  42. Franz, ma che cosa uccide il buon Faletti ? Per il fatto che lui ha venduto tanto c’è forse qualcuno che ha venduto meno ? Io non credo. Il codice da Vinci e le barzellette di Totti hanno rubato copie agli altri scrittori ? Direi piuttosto il contrario: se anche uno solo dei lettori di Faletti ha preso gusto alla lettura al punto da cominciare a leggere anche altro, Faletti ha reso un servizio alla patria. Il numero di lettori che prendono gusto alla letteratura “alta” è necessariamente ristretto. Non spetta solo ai lettori il compito di elevarsi: spetta anche agli scrittori andargli incontro, accattivarseli, indorargli la pillola. Una volta gli scrittori erano meno schizzinosi. Goethe ha esordito con un best seller. Balzac, Dickens e Dostoevsky scrivevano a puntate per i giornali. Borges ha scritto cose raffinatissime che possono essere lette e gustate anche dagli incolti. Il nome della rosa non era affatto da buttar via (su Baudolino&Co stendiamo un velo pietoso). Insomma: non è vietato scrivere in modo da farsi leggere, mentre chi scrive solo di argomenti “alti” deve rassegnarsi a vender poco o a non trovare un editore. Ma non è colpa degli editori: il loro mestiere è vendere (e se non vendono falliscono).

  43. Messaggio per Arturo Palamara:

    Scrivo anche io (e incompresa anch’io).
    Vorrei incontrarti, ma non fra cent’anni.
    Così mi spieghi, che non ho capito, se è il salmone che fa il killer nella notte con amore o se la notte con amore è la location spazio-temporale-emotiva che hai immaginato per lo scopo finale del protagonista del tuo incompreso romanzo.

  44. La sola comunicazione che possiamo auspicare a un libro, come perfettamente adatta al mondo moderno, è il modello di Adorno, la bottiglia nel mare, o il modello di Nietzsche, la freccia scagliata da un pensatore e raccolta da un altro.
    La produzione di libri di valore e la buona vendita dei medesimi è in contraddizione con ciò che la modernità predica!

  45. Riccardo, quante copie vendeva Goethe? Quante Dostoevskji? Erano bestseller “nell”‘ epoca in cui scrivevano i loro capolavori. Oggi in quale classifica si troverebbero?
    Faletti è un fenomeno. Come tale fa tendenza. Dove fa tendenza? Presso il pubblico. Che anzichè comprare due libri meno commerciali ne compra uno suo di 600 pagine. Sinceramente non credo che le Barzellette di Totti facciano vendere di più noialtri. Non lo credo proprio. Il pubblico delle barzellette di Totti è un pubblico,sono pronto a scommetterci, di non lettori. Su Faletti il discorso è diverso: lì, tra il suo pubblico, c’è di tutto: non lettori, lettori medi, e anche lettori forti. Soprattutto, credo, gente che ama il genere giallo/noir. (Che come ben sappiamo sono due cose ben distinte ma in Italia spesso si confondono. In altre parole, il giallista italiano dipinge di noir le sue storie molto più dei giallisti stranieri, nella maggioranza dei casi). D’altra parte, esiste anche un certo Camilleri che vende più di Faletti ed è un signor grande scrittore. L’hanno infilato nei “Meridiani”. Mica a caso. E non farmi, cortesemente, dei paragoni tra Goethe e il Codice Da Vinci. Balzac etceterà scrivevano a puntate sui giornali. Certo. Quanti scrittori contemporanei scrivono a puntate sui giornali? Gli scrittori contemporanei scrivono “a videoclip”: schizzi di prosa in forma di articoli sulle riviste; in sostanza sui giornali e sulle riviste fanno i giornalisti esperti di letteratura. O, quelli che vendono bene, i tuttologi. E meno male, perchè altrimenti sarebbero dolori di pancia. Dalla fame.

  46. Comunque tra i vari misteri dell’universo io ci metto anche “il mistero della discussione editoriale”: si fanno delle discussioni infinite su come sono scritti i libri (e Faletti e non Faletti e il Codice da Vinci e Eggers e gli americani e no gli italiani…), che vanno parallele a discussioni infinite su chi legge e chi no (e sono ignoranti e no è colpa di chi scrive e siamo colonizzati e non si legge…), ma non si affronta mai il problema di come i libri dovrebbero passare dall’autore al lettore, cioè di come sono distribuiti e di come sono presentati. Come può arrivare per esempio “Morto un Papa” di Bajani se girovagando sul web si trova scritto in una recensione al libro:

    “Non sbattetevi, ché in libreria purtroppo non si trova – non si è MAI trovato, credo. Se volete leggerlo, andate sul sito http://www.portofrancoeditori.it e ordinatelo da lì. Oppure chiamate direttamente l’editore, Alberto Gozzi, al numero 0118121379).”

    E ancora, ormai le librerie sono diventate catene di librerie, e queste, evidentemente facendoci i conti (forse male), non si sbattono per trovare il libro che cerchi. Se uno vuole leggere certa letteratura italiana deve ordinare su internet. Ma se fossi uno che entra in libreria e si fa trasportare dall’estro, come potrei scoprire i libri delle piccole-medie case editrici?
    Allora l’unico modo è presentare quei libri. E poi magari si scopre che il pubblico (che in genere nelle discussioni fa la parte del bove) non li compra non perché sono scritti in un certo modo ma perché proprio ne ignora l’esistenza.
    E ancora può darsi che se lo stile dei giovani scrittori è “minimumfax” invece di “Lettere a nessuno” questo accada perché minimumfax si fa in quattro(cento) per promuovere e distribuire i suoi libri.

    Uff.

  47. Esatto. E’ la promozione che manca. Metti il ditone sulla piaga. Per il pubblico, districarsi tra la marea di pesci della “pescheria letteratura” è impresa disumana. Ci sono tanti cavalli, allo start, ma gli “operatori del settore” puntano su pochi. Il perchè lo sanno loro; e lo sappiamo anche un po’ noi.

  48. Tutto vero: la distribuzione, la promozione, i tempi che cambiano. Ma siamo noi che dobbiamo adeguarci alla situazione. Se aspettiamo che il mondo si adegui a noi, tra vent’anni saremo ancora qui con la barba bianca a lamentarci della promozione, della distribuzione, dei tempi che cambiano…

  49. Sa, Mozzi è il più grande scrittore italiano vivente.
    Forse batte anche Moresco.
    Mi sembra che lo abbia dimostrato anche oggi – c’è qualcuno in Italia che sa scrivere in modo più perfetto?
    Mozzi deve scrivere un libro che sbanchi le classifiche: è tutta l’editoria italiana che glielo sta chiedendo. Ma possibile che Mozzi non possa compiere il prodigio della qualità unita alla quantità?
    Io sono sicuro di sì.
    E ne è sicura anche Monica Winters.

  50. La commedia sexy all’italiana degli anni ’70 (quella in-giustamente celebrata all’ultimo festival veneziano: sembra che l’intellettualità italiana, con tutto il casino che c’è nel mondo, non sappia come passare il tempo)ci aveva abituati a vedere dal buco della serratura zone corporee mooolto interessanti (come direbbe un Sup di mia conoscenza): le coscione dlla Edwige, le tette al vento della Gloria, il culetto sbarazzino della Lilly, il triangolo d’oro di quella ex cantante… come si chiama?… ah sì, la Carmen, e noi (vale a dire i reduci degli assalti al cielo) indugiavamo, compiacenti, con l’occhio in quel buco… ma adesso, proporre dal buco un colpo d’occhio sulle “attuali tendenze della narrativa italiana”, e considrato che “prima tendenza è la prevalenza della scrittura maschile” non mi pare altrettanto alluppante, con tutti quei peli e quei foruncoli poi che si vedrebbero… ma questo sproloquio parentetico e ingarbugliato, mi si potrà domandare, che cosa c’entra con le attuali tendenze narrative itliane? boh, a dire il vero proprio non lo so… farò meglio, lo prometto, la prossima volta… eppoi mica c’ho la adsl, io…

  51. un’altra promessa mi tocca fare:la prossima volta, prima di armeggiare con una tastiera, mi metterò gli occhiali, così eviterò qualche errore di battitura (per quelli dell’ignoranza, però, non posso farci nulla)

  52. Ritengo che tutta la disamina parta da 2 presupposti errati:

    1. Si parla delle cose che arrivano a te e che non sono tutte le cose che vengono scritte: uno alla fine sceglie anche a chi inviare i suoi lavori.

    2. Si attribuisce alla letteratura inedita un’influenza sulla narrativa italiana che non ha e non può avere proprio perchè inedita: nessuno l’ha letta e nel 90% dei casi nessuna la leggerà. Quindi come può esercitare un peso sulle tendenze letterarie e quindi modificarle o indirizzarle in qualche senso? Per non parlare del fatto che (spesso) se quei dattiloscritti sono inediti un motivo ci sarà. E poi il discorso è ancora più inesatto riguardo le autoproduzioni: come si può considerare tra le opere che incidono su una tendenza, i romanzi o qualsiasi altro tipo di libro che nessuno ha voluto pubblicare e che si è stati costretti a pubblicare a proprie spese? La letteratura è un mercato e in quanto tale deve rispondere ad una domanda e l’offerta solo raramente prevale sul consumatore-lettore, le case editrici pubblicano ciò che il lettore vuole, o che ritengono potrà apprezzare, e al massimo possono anticiparne il gusto ma (quasi) mai determinarlo di prepotenza; è chiaro quindi che gli inediti sono tali nella stragrande maggioranza dei casi perchè non sono validi o perchè non rispondono alla domanda del mercato.

    Al massimo si poteva fare una disamina della tendenza narrativa dei manoscritti inediti che ti arrivano, ma non è detto che in questi si rifletta la tendenza che caratterizza ciò che è edito.

    A prescindere da queste considerazioni, fingendo per un attimo che questa analisi si basi sui corretti presupposti (secondo me, naturalmente):

    a. il romanzo giovanilista mi sembra – purtroppo – vivo e vegeto, e sempre più frequente.

    b. la narrativa di delitto – o di genere in senso lato – in Italia soprattutto, mostra una qualià della scrittura molto alta ed è l’unica al momento che offre intreccio e trama.

    c. cos dovrebbe dire di nuovo il romanzo storico? A parte che proprio perchè storico si riferisce a fatti e scenari noti e quindi vecchi, e poi se è scritto bene, se ha una trama ben organizzata e risponde al requisito essenziale di un buon libro, ossia di farti trascorrere qualche ora piacevole, cosa dovrebbe dare al suo lettore? La cura per l’erpes?

    d. La narrativa siciliana è narrativa italiana, eccome. E se ci guardiamo indietro, nel ‘900 la migliore narrativa viene proprio da quell’isola: Pirandello, Verga, Sciascia. Togliamo i grandi romanzi siciliani dalla storia della letteratura italiana e nel ‘900 ci resta ben poco. E poi, non so cosa gli arrivi a lui, e qui torniamo al punto 1., ma da sempre la letteratura siciliana, ha dei caratteri forti: importanti temi sociali, passioni, personaggi ben delineati, grandi epopee familiari (si veda I malavoglia), eventi storici di massa. Capre e fichi d’india? Mah.

  53. Hai fatto parte delle due antologie contemporaneamente, Intemperante che Dovremmo Conoscere?:-)
    Hai ragione, secondo me, sulla merda percentuale.La tua intuizione è buona, anche perchè ormai è risaputo che ci sono più editi che inediti.

  54. Caro Giulio, la classificazione di per se’ potrebbe anche non far acqua. Il punto e’ che parti con la categorizzazione (che io definirei “semi-oggettiva”) del materiale che leggi per poi concludere con un parere su cosa per te e’ buono o no, cosa e’ degno(termine mio) di pubblicazione o no.

    Credo che la tua analasi sarebbe piu’ chiara, completa, coerente e (a mio parere) interessante se chiarissi cosa per te e’ ‘Letteratura’ e cosa non lo e’ (altrimenti dovresti limitarti all’elenco delle tendenze, tipo elenco della spesa).

    Poi si sa, il concetto di ‘Letteratura’ e’ un concetto costruito… e via che si parte! :)

  55. Franz, ma la piantate con questa superputtanata che ci sono più editi che inediti! Ma che stracazzodivelletri dici? Siamo sessantamilioni in Italia e come fai a dire questa grancagatamperiale? BASTA! Il mercato dei lettori si espande per la prsenza di TANTI scrittori che vendono. Non necessariamente bravi o poieti o maieuti. In Italia le piccole case editrici scoprono talenti da settemila copie al massimo che ti spaccano così le palle che non solo non compri più i loro libri, ma ti viene voglia di cagare e pisciare su tutta la narrativa contemporanea. Invece uno come Faletti ha il merito di far avvicinare alla lettura: un metalmeccanico compra Faletti e magari arriva a Genna – molto più superultraiperraffinato di Faletti. Le piccole case editrici dovrebbero cercare bestseller all’americana – e non questi poetucoli dall’animo nobile che si sono strafottutti la vita per adempiere la loro vanità. E soprattutto i cazzo di scrittori da tremila copie se va bene, questi del gotha internettiano inventato con adepti di tutti i tipi, la piantino di fermare le persone e di scoraggiarle a farle scrivere. Si cerchino invece i Faletti – se ne avete la generosità di scoprire uno che può avere SUCCESSO senza che questo mi faccia rodere il fegato a vita. Ecco, Franz, questo è un discorso, straporcaputtanaccia.

  56. Il commento qui sopra di Maporcaecc. è molto interessante. Lasciamo stare le sue trivialità maschiliste, anche se molto indicative della folla di dèmoni da cui è popolato l’animo di quest’uomo.

    Secondo Maporcaecc. le case editrici piccole dovrebbero fare da agenzie capillari al mercato dei bestseller di intrattenimento (cfr Faletti). Non basta dunque la valanga di libri di bassa qualità riversata nelle librerie dalle grandi case editrici a puro scopo mercantile. Pure le piccole ci si debbono mettere. A Maporcaecc. sfugge che la situazione del mercato – ho scritto “del mercato”, si noti bene, non “della letteratura” – dipende da apparati, pubblicità, media, ecc. Se si scambiassero di copertina i libri di Faletti e di Genna, quest’ultimo sarebbe in testa alle classifiche. Perché? Perché Genna era un comico televisivo, perché ha fatto il cantante ed è arrivato secondo a Sanremo, perché per due volte il supplemento del Corriere della Sera l’ha messo in copertina dicendo che è il più grande scrittore italiano vivente, perché Fabio Fazio lo invita nel suo programma e dice che lo invidia… Naturalmente ho sostituito con la parola “Genna” il curriculum vitae di Faletti…

    Non esiste un “gotha” internettiano. Ciascuno può aprirsi un sito e farsi conoscere con la forza della sua scrittura e le sue idee. Parlare di “gotha” riguardo alla rete, soprattutto nell’epoca dei blog, è una sciocchezza, a meno che non ci si riferisca a siti industriali, finanziati, imprenditoriali, o più genericamente “professionali” (che naturalmente possono essere anche ottimi, come repubblica.it, eccetera).

    “In Italia le piccole case editrici scoprono talenti da settemila copie al massimo che ti spaccano così le palle che non solo non compri più i loro libri, ma ti viene voglia di cagare e pisciare su tutta la narrativa contemporanea.” Quindi il messaggio di Maporcaecc. è: scrittori editi o inediti, non scrivete ciò che vi detta l’ispirazione, la necessità, l’urgenza e la gioia, ma scrivete per aumentare il mercato, per ampliare il mercato dei lettori, altrimenti se scrivete per dare forma a un’opera d’arte recate danno alla letteratura contemporanea, e se per caso un lettore incappa in un vostro libro gli viene voglia di andare di corpo sopra tutti i libri di letteratura contemporanea esistenti, e voi risulterete essere gli assassini di un lettore potenziale di letteratura, dunque sentitevi pure in colpa, oh voi danneggiatori del mercato librario, della letteratura contemporanea, dell’universo!

    “Si cerchino invece i Faletti – se ne avete la generosità di scoprire uno che può avere SUCCESSO senza che questo mi faccia rodere il fegato a vita”, scrive Maporcaecc. L’autore del commento dimentica che sta commentando un intervento di Giulio Mozzi, scrittore, che in una piccola casa editrice (Sironi) ha avuto la generosità di scoprire Tullio Avoledo, e di spendersi in prima persona per farlo conoscere (Mozzi ha scritto al giornalista letterario del supplemento del Corriere, per ottenere attenzione pro Avoledo, e la sua lettera è stata citata dal giornalista stesso nell’articolo che lanciava Avoledo – secondo me con il compiacimento del giornalista che dimostra il suo potere, facendo sapere che scrittori ed editori vengono a mendicare attenzione da lui).

    Poi c’è un lapsus interessante nella frase di Maporcaecc. che ho citato: “senza che questo mi faccia rodere il fegato a vita”. Il verbo precedente era alla seconda persona plurale, è evidente che Maporcaecc., per consequenzialità sintattica e logica voleva scrivere “senza che questo VI faccia rodere il fegato a vita”, ma uno dei raffinati dèmoni che popolano il suo animo gli ha fatto scrivere: “senza che questo MI faccia rodere il fegato a vita”. Ossia gli ha fatto scrivere la verità. Ma tanto a lui che gliene importa? Non si firma, non rischia nulla.

  57. Abbi pazienza, ogni tanto mi prende il raptus del paradosso. Era per dire che si pubblicano troppi libri, ecco. Sono d’accordo che si devono cercare i Faletti, si. In realtà si dovrebbero cercare un po’ tutti.ccontare delle storie in maniera accattivante – senza rompere i coglioni al lettori – non è da tutti. Faletti ha questa capacità. Il mio non era un guidizio: facevo presente, freddamente, che lui è uno che uccide la concorrenza. Fa pure bene. Quando mi vengono a dire (persone che stimo, sia chiaro) che concetti come “fruibilità” sono concetti diciamo così “sporchi” io sono il primo a non essere d’accordo. Gli esempi di grande letteratura al contempo “fruibile” da una gran massa di persone non mancano, nel passato e anche nel presente. Parlavo di guardare verso il mondo, di non fermarci al ns condominio. Che puo’ essere anche interessante e pieno di personaggi ma che non graffia, alla fine, non interessa, non intriga. Hai capito adesso che stracazzodavelletri volevo dire? rimango col dubbio, se stracazzodavelletri me lo permetti, che Faletti (che considero bravo, perchè è sempre bravo chi sa appassionare in gran numero i lettori di vari paesi) porti i lettori a comprare anche i libri di altri. Forse di altri giallisti. Ma è pieno anche di bravi scrittori che col giallo e col noir non hanno niente a che fare. Io sono un uomo che pensa a tutti.;-)

  58. Caro Franz, in che senso dici che “si pubblicano troppi libri”? In Francia si pubblicano molti più libri che in Italia. A ogni “rentrée” (a settembre) si pubblicano alcune migliaia di libri di narrativa, e la cosa non è vista come un lugubre marasma oppressivo ma come una festa. Il numero degli esordienti francesi (circa trecento all’anno) è assai più numeroso di quello italiano. Esistono festival dedicati esclusivamente agli esordienti (Chambéry; ci sono stato), comitati di lettura popolari (non solo di “addetti ai lavori”) che con gran desiderio li leggono e segnalano i più appassionanti. Ma forse tu intendevi che “si pubblicano troppi libri” rispetto alle capacità ricettive del mercato ITALIANO, ovvero rispetto alla disponibilità dei lettori ITALIANI di curiosare fra le pagine di un libro: sbaglio?

  59. Io e Tiziano stavamo scrivendo in contemporanea. E’ chiaro che Faletti è stato aiutato dal suo essere un personaggio. Ma ciò, a mio modesto avviso, non basta. E’ anche vero, come dice Tiziano replicando a Maporcaecc., che il mercato editoriale italiano è zeppo di thrilleroni stranieri. Che però spesso falliscono. Anche lì, c’è chi vende e chi no. Quello che ha fatto Mozzi con Avoledo rientra nella professionalità di un operatore culturale serio e motivato: scopro un libro che unisce qualità letteraria a potenzialità di vendita, e mi faccio in quattro per farlo conoscere. Che questo sia indicato da Tiziano quasi (correggimi se sbaglio) come un’eccezione fa pensare. Dovrebbe essere la norma per tutti quanti. La letteratura di nicchia deve essere non solo protetta ma bisogna farla uscire dalla nicchia, a mio parere. Io ho la sensazione che ci siano scrittori, in Italia, che possono essere veramente forti a livello internazionale (e questo non puo’ che portare beneficio alla ns cultura) che però non vengono lanciati adeguatamente. Tiziano parla di Genna: lui è uno scrittore di respiro internazionale e di qualità letteraria. Bisogna che ci liberiamo (almeno noi scrittori) degli “scaffali mentali”: thriller, romanzo epistolare, romanzo di formazione, giallo, noir, antiromanzo ecc. I generi. Ma chi se ne frega, onestamente.Andiamo all’osso: dei generi si occupino gli uomini di marketing che indirizzano il pubblico. Noi possiamo tranquillamente parlare di romanzi buoni o cattivi, di non romanzi, di antiromanzi, di pastiches, di romanzi cattivi che vendono e di buoni che non vendono, e di buoni che vendono.

  60. Continui a sorpassarmi, Tiziano, frena!;-) Si, volevo dire proprio questo. E aggiungo quest’altro: in Francia la macchina editoriale funziona meglio che qui da noi. E dunque, io credo, si fanno scelte che in certo senso rendono più appassionante per il lettore il grande incontro con i libri, un incontro che a volte cambia addirittura le esistenze delle persone. I libri hanno una forza straordinaria.

  61. Ricordo en passant, che il manager francese legge, in media, intorno ai 50 libri l’anno. Il manager italiano 7 (praticamente solo testi tecnici).

  62. Caro Franz, grazie del dialogo.

    Hai scritto:

    “Bisogna che ci liberiamo (almeno noi scrittori) degli “scaffali mentali”: thriller, romanzo epistolare, romanzo di formazione, giallo, noir, antiromanzo ecc. I generi. Ma chi se ne frega, onestamente. Andiamo all’osso: dei generi si occupino gli uomini di marketing che indirizzano il pubblico. Noi possiamo tranquillamente parlare di romanzi buoni o cattivi, di non romanzi, di antiromanzi, di pastiches, di romanzi cattivi che vendono e di buoni che non vendono, e di buoni che vendono.”

    Faccio alcune riflessioni su questo tuo pensiero.

    Il genere non è soltanto una categoria merceologica. E’ una posizione nei confronti della vita, dell’arte, del linguaggio, della letteratura.

    Il genere conta. Non tener conto del genere, in nome di una più ampia nozione di letteratura, o di “libro” buono o cattivo, è senz’altro nobile, ma secondo me può impoverirci. “Letteratura” è come dire “linguaggio”. E’ un termine troppo vasto. Con il linguaggio si può pregare, insultare, dichiararsi innamorati, blandire, chiedere, comandare, decretare, sposare, rallegrare, intristire… Capisci, Franz? NON E’ LA STESSA COSA DICHIARARSI INNAMORATI O CONDANNARE A MORTE. Una cosa simile accade con i generi letterari. I generi sono come atti linguistici (pregare bestemmiare lodare scusarsi ecc.). Scegliere un genere o un altro, per uno scrittore, conta eccome, anche come scelta artistica, estetica, etica, insomma, come scelta “di vita”.

    E adesso ti faccio un discorso che per metà è un esempio e per metà una divagazione, perché è a cavallo fra letteratura e merceologia editoriale.

    Di recente ho finalmente letto il libro di Melissa P. Credo che l’autrice si sia messa d’accordo con l’editore (ed eventualmente con i suoi genitori, per rassicurarli – essendo all’epoca una minorenne) scegliendo di presentare il suo ROMANZO come un DIARIO: genere letterario completamente diverso dal romanzo: nel diario l’autore si dichiara implicato come personaggio, anzi, come PERSONA nella storia che ci racconta.

    Perché sospetto che le cose siano andate così? Perché gran parte delle scene di “100 colpi di spazzola…” è troppo vaga, risulta difficile pensare che una persona che abbia appena vissuto quelle esperienze torni a casa mezz’ora dopo e le descriva in maniera così sommaria, umanamente indifferente per i dettagli – e non mi riferisco affatto ai dettagli morbosi, ma proprio agli scenari esistenziali, alla rappresentazione minuta degli eventi e alle ripercussioni emotive immediate. E poi ho letto una dichiarazione dell’autrice sulla “Rivisteria” (n. 140) che di fatto ammette queste cose.

    La scelta (presentare un romanzo come un diario) è stata decisiva per la diffusione del libro. Se fosse statto presentato come un romanzo, avremmo avuto le fantasie di un’adolescente pruriginosa che sognava di fare cose toste. Con il diario, abbiamo una ennesima variazione sul tema della perdita dell’innocenza, insaporita dal fatto che la protagonista è del sud, addirittura siciliana (a proposito, Giulio, come la mettiamo con la tua categoria della narrativa sicula? Melissa è sicula, e parla di cose e oggetti contemporanei, telefonini ecc.) E’ solo un esempio di come non basti nemmeno la sostanza testuale di un libro, ma la sua catalogazione di GENERE, a deciderne le sorti, a farne variare anche la valutazione, la ricezione letteraria-umana (e non solo quella mercantile).

    Scusa il colpo basso, ma come valuteresti “Il diario di Anna Frank” o “Se questo è un uomo”, se fossero romanzi d’invenzione? Parleresti di libri “belli o brutti”, A PRESCINDERE? La tua proposta è nobile, ma la definirei “paradisiaca”: presuppone un lettore “disimplicato” dal mondo, che se ne sta in paradiso a fare la classifica, il canone dei patrimoni dell’umanità…

  63. Su Melissa P. non dico niente di mio, non l’ho letto. Il ragionamento che tu fai, Tiziano, per me è ampiamente condivisibile, così a spanne.
    Perchè colpo basso?
    Io parlavo di valutazioni di noi scrittori. Parlavo anche di “marketing che indirizza i lettori negli scaffali del genere”. Quale proposta paradisiaca? Il lettore non è disimplicato dal mondo, certo. Noi scrittori nemmeno, anche perchè – e non è un dettaglio- siamo lettori a nostra volta. Però possiamo ragionare in modo più “nobile” (se ti piace questo termine) eccome. Perchè nella letteratura ci stiamo dentro con tutto, mani e piedi, cuore e cervello, passato presente e, vada come vada, futuro.
    La tua ultima domanda su Anna Frank, lo ripeto, non è un colpo basso. Ma, consentimi, è una domanda che per me ha poco senso. Dal momento che ho sempre saputo che si tratta di fatti reali come posso risponderti?

  64. E’ un colpo basso, il mio, perché è una mossa argomentativa un po’ scorretta fare esempi prendendoli da opere canonizzate, valori consolidati ecc. E poi è un colpo basso anche perché stavo parlando di un diario che racconta la perdita di un’innocenza, e improvvisamente faccio due esempi che raccontano la perdita della vita di milioni di persone…

    Comunque ti consiglio di leggere “100 colpi di spazzola…”. E’ molto interessante. Mi piacerebbe sapere se anche tu ne cogli l’impressione di una vaghezza descrittuva che è probabile indizio di invenzione.

  65. 1) Io posso dichiararmi innamorato in un “noir” e condannare a morte in un “rosa”. I generi non sono rigidi. Cos’è “Mattatoio n.5”? Autobiografico? Fantascienza? Romanzo di guerra? Testo pacifista? Commedia? Romanzo surreale?
    2) Melissa P. vende perché 15 anni fa vendeva “volevo i pantaloni” (che non è “in forma di diario”), e nel 1976 “porci con le ali”. E’ il voyerismo pruriginoso, aggiornato al momento storico, che fa vendere, non la forma, o l’evidente fintoautobiografismo.
    3) Se un libro è brutto è brutto. Anche se è autobiografico. “Se questo è un uomo” non è l’unico romanzo autobiografico che è stato scritto dopo Auschwitz. una ragione ci sarà se ci ricordiamo sempre di quello, però.
    4) E’ vero però che conoscere o meno “l’autenticità” di un testo può porre il lettore in una “posizione” differente rispetto al testo. Nel mio caso, ad esempio, se sapessi che “Se questo è un uomo” fosse il racconto di uno che ad Auschwitz non c’è mai stato me lo renderebbe ANCORA PIU’ BELLO. Scendere così profondamente nel male, senza conoscerlo, è cosa di puro genio.
    5) Tutti credevano, uscito “il segno rosso del coraggio”, che Stephen Crane avesse vissuto la guerra. Non l’aveva vissuta affatto.
    6) Tutti credono che Robert De Niro sia figlio di una famiglia povera italiana del Bronx. E’ figlio di un italiano e di una irlandese, famiglia altoborghesissima, dedita alla cultura, all’arte e alle buone maniere.
    7)Che Salgari avesse o non avesse visto i luoghi che racconta (ci sono quelli che, per esaltarlo, raccontano di suoi misconosciuti viaggi in Malesia, quelli che, per denigrarlo, parlano di un pantofolaio mai uscito di casa), a me NON ME NE FREGA NIENTE.
    8) I più bei viaggi Marcel Proust li fece con in una mano un atlante e, nell’altra, l’orario dei treni.

  66. Tiziano, se me lo presti…
    A parte gli scherzi (?), lo leggerò senz’altro e poi ti mando molto volentieri una email con le mie impressioni. Anche perchè sono stufo di Emmanuelle Arsan… e Anais Nin… Ed Erica Jong… Viva l’Italia.
    Biondillo rende ancora più ampio il discorso che io avevo fatto in fretta e furia, e fa esempi precisi, controllabili. Soprattutto mi piace il suo discorso sulla non rigidità dei generi. L’esempio di Mattatoio 5 del grande Vonnegut è maledettamente calzante. Ecco: quando dicevo poco fa che noi scrittori dobbiamo perlomeno sforzarci di non prendere in considerazione i soliti discorsi sui generi mi riferivo grosso modo a questo. Io personalmente sono stufo di sentir parlare di generi. Non me ne frega niente.

  67. A parte che è illogico tirare fuori un faletti o una melissa p., noto che ci si appiattisce, dunque, su di loro e sul mercato.
    Ebbene Scarpa dice di amare Savinio…infatti ha scritto “Corpo”, un testo lemmatico.Imbarazzante. Le volevo dire, caro scarpa, non pensa di essere pure lei monnezza come i sopraeccitati?
    Ho letto il suo libro e sinceramente non ho capito che necessità ci fosse di un libro così. è possibile che abbia solo pugnette in testa, i travalicamenti, il senso, dove sta?
    Quindi simile coi simili…
    bei tempi quelli di savinio, ora, invece, le menti sono devastate :-))

  68. Sono d’accordo con Biondillo fino al punto 4. Da lì in poi ho l’impressione che esageri per rincarare la dose. Il fatto che l’autore si presenti come protagonista è uno degli artifici della scrittura e da parte dell’autore è una scelta tecnica. A volte è azzeccata, a volte no. Il fatto che l’autore NON abbia partecipato ai fatti che racconta non dovrebbe influire sul giudizio né in bene né in male. Che poi l’artificio faccia leva sul voyeurismo pruriginoso, beh, è un vizio coltivato da molto prima di Melissa P. (e anche da fior di artisti !).
    Sulla questione “generi letterari” credo che Tiziano abbia ragione quando dice che il genere è linguaggio. Però forse Franz vuole sostenere qualcosa del tipo: una volta stabilito il “patto col lettore” sulla base di un certo linguaggio, non è più necessario rinchiudersi, si può anche “tradire” il genere, purché non resti tradito il linguaggio.

  69. Melissa p.: secondo me questo libro RAPPRESENTA alcune TENDENZE. Editoriali, dei lettori (o non-lettori), scrittorie.
    1. La tendenza a pubblicare, e promuovere, battendo sui tasti che il libro consente. In questo caso si trattava dello “scandalo” che le esperienze, dichiaratamente autobiografiche, promettevano e che lo dichiaravano, già ancora manoscritto, un probabile best-seller, un libro che sarebbe arrivato, insieme all’autrice, nei salotti televisivi, luogo in cui, sempre meno forse, la letteratura spesso stenta ad entrare, pur volendo e potendo; atto editoriale (anche contestabile “ideologicamente”, come mi pare fece Christian Raimo proprio su Nazione Indiana)che comunque garantisce un bilancio attivo, l’esistenza in vita o l’espansione della piccola casa editrice che può, eventualmente (ma di solito è così, nel caso di Fazi lo è) pubblicare altri libri, che presentano maggiore interesse, necessità e qualità, che potranno essere meno – o da pochi o da nessuno – letti, ma che comunque saranno stati pubblicati. Quella editoriale è pur sempre un’azienda, in alcuni casi innanzitutto, in altri pur sempre.
    2. La tendenza del non-lettore (non abituale almeno) ad “attivare l’inerzia della carne” (cito Pagliarani, ricordando che non a caso questa è una delle due citazioni di Giorgio Falco in epigrafe al suo “Pausa caffè”, “attivare l’inerzia della carne è già protesta”), quindi a COMPRARE e LEGGERE un libro, per motivazioni tutt’altro che letterarie o di fruizione tipicamente letteraria e che determinano un’involuzione più che una rivoluzione, letteraria o assoluta che dir si voglia; motivazioni che possono essere diverse:
    a) l’autore è già famoso e si cimenta con la scrittura (Giorgio Faletti, Ivana Spagna – ha scritto un libro di fiabe “trashando” Madonna!, Marina Ripa di Meana, COSTANTINO!!!, Totti che raccoglie le barzellette su di lui; cosa comunque legittimissima, soprattutto nel caso in cui, come credo nel caso di Faletti, libro comunque di genere, e di uno dei generi più acquistati dai non-lettori, il libro sia valido o nel caso di Totti che devolve in beneficenza i proventi del libro); b) l’autore è uno sconosciuto, ma i fatti raccontati nel libro sono CONFONDIBILI con la sua vita (Melissa p., J.T.Leroy, che appartengono alla stessa casa editrice e che rappresentano la minima e la massima qualità raggiungibile in una scrittura DI TIPO autobiografico; nel caso di Leroy, d’accordo con Biondillo, sapere con certezza assoluta che quanto racconta è autentico, a me come lettrice non ha suscitato altro che un’ammirazione ancora maggiore, per la capacità di elaborazione artistica di quegli eventi che attiene a Leroy PERSONA – cioè la necessità di trasfigurare una realtà UMANAMENTE difficile, per negarla e insieme per sopportarla, cercando il “cielo” che, in quel “vomito”, non c’è – ma soprattutto alla sua poetica e al suo stile);
    3. I collegamenti tra realtà narrata e realtà eventualmente vissuta sono molteplici. Come dimostrato dallo stesso Tiziano in “Kamikaze d’Occidente” e – teoricamente e criticamente – nel notevolissimo scritto “Istruzioni per la creazione di ordigni esplosivi”. La vita dello scrittore si confonde, si può confondere con la scrittura. La scrittura è sempre un rifugio da cui si osserva, quattro mura in cui ci si chiude per guardare. Quello che dovrebbe contare però – e per un lettore, non voglio dire di professione, cioè il critico, ma almeno per il lettore per scelta – è il risultato artistico, aldilà del tipo di implicazione tra realtà narrata e realtà vissuta. La pura testimonianza è appunto una testimonianza ed ha valore in quanto tale. Che poi uno scrittore possa scegliere la FORMA della pura testimonianza, autoreferenziale (con invenzione dell’alter ego come Bukowski o Paolo Nori) o eteroreferenziale (Balestrini), questo è un altro paio di maniche, rientriamo nel campo della letteratura. In un’intervista Leroy diceva appunto che gli era capitato di leggere il tentativo di romanzo di una persona che aveva vissuto una vita d’inferno. Il romanzo faceva tanto schifo quanto orribile era stata la sua vita. Non ERA un romanzo. Può avere valore artistico, rappresentatività artistica, la rappresentazione brutta di una brutta vita? Qui torniamo a Melissa p., al suo “Cento colpi di spazzola”. Il diario-romanzo è scritto malissimo. Potrà avere valore come “testimonianza”, ma dal punto di vista letterario è irritante per un lettore per scelta. Perché posso anche dirmi che quella scrittura può essere volutamente MIMETICA, nell’ambito di una RAPPRESENTAZIONE diaristica delle esperienze erotiche hot di una sedicenne siciliana, della capacità scrittoria di questa sedicenne. Ma per salvare il libro devo quindi entrare nel campo del contenuto, dell’eventuale “messaggio”: a un certo punto, verso la fine del libro, la protagonista si compiange sostenendo, e insieme “denuncia”, che nessuno l’ha fermata. “Neanche gli editori purtroppo!”, mi venne da dire come lettrice per scelta. Poi mi dissi che le tendenze sono appunto tendenze, che si possono e devono conoscere, monitorare, rafforzare o contrastare. Come si può, nel ruolo che si possiede.

  70. — Cara Seia, mi attribuisci “2 presupposti errati”. Tuttavia, (1) è scritto ben chiaro all’inizio del mio pezzo che mi baso solo su ciò che arriva a me e alla casa editrice per la quale lavoro, e si precisa inoltre che le mie osservazioni sono “impressionistiche”: non c’è da parte mia alcun tentativo di generalizzare più di quanto sia lecito; (2) in nessuna parte del pezzo attribuisco “alla letteratura inedita un’influenza sulla narrativa italiana”: il titolo del pezzo, “Attuali tendenze ecc.”, è un titolo scherzoso (credo che la specificazione: “Viste dal buco della serratura” renda ben palese la scherzosità).
    — Cara Mirfet, se ogni volta che prendiamo la parola dovessimo definire i termini generali (es: “Che cosa è Letteratura”), sarebbe difficile non dico concludere un discorso, ma anche cominciarlo.

  71. Caro Giulio, hai ragione: tu hai “messo ampiamente le mani avanti” .-) però le premesse che tu citi sono smentite da alcune tue affermazioni nel pezzo – proprio quelle che mi hanno spinto a commentare come ho fatto – perchè tu dici: e quello che io contesto, passami l’espressione forte, è che la narrativa inedita appartenga alla narrativa esistente, che TU definisci reale, e lo stesso vale per quella autopubblicata. Dopo l’avvertenza che l’analisi si riferisce agli inediti che arrivano a te, il tuo discorso è generale e sembra inglobare tutto ciò che – per te – è narrativa, tanto che poi aggiungi: ed infine: Dunque tu parli sempre, di narrativa reale, narrativa che esiste e che quindi ha un’influenza sul mercato, non di mere tendenze nell’ambito di quello che arriva a te. L’unica narrativa che si può considerare – mi sembra – è quella edita, il resto (gli inediti finchè non diventano editi) ha lo stesso valore delle chiacchiere da bar.

  72. Se mi rispondesse, vorrei domandare a Giulio Mozzi cosa mai abbia scritto per giustificare il suo pontificare sulla letteratura italiana. Quali romanzi, quali racconti di sicuro e duraturo valore. Lo stesso mi piacerebbe domandare a Tiziano Scarpa, sempre che non abbia contratto il virus del non-ti-rispondo di Mozzi. Cosa credete di aver fatto di storicamente importante nella letteratura italiana? No, sul serio. Mi sono abbastanza rotto di sentirvi parlare perché siete “scrittori”. Scrittori di che? Fuori le pezze d’appoggio, please.

  73. Caro Giordano Tedoldi, credo di non aver fatto nulla di storicamente importante nella letteratura italiana. Semplicemente, a volte ho delle cose da dire. Non è obbligatorio leggerle.

  74. Mozzi, Scarpa, non cascateci!
    Leggete qua — da http://www.spore.it:
    “…uno dei personaggi più inquietanti di quegli anni, quel Giordano Tedoldi che riuscì a scatenare le risse più sanguinose sia in chat che aree e conferenze…”
    Tedoldi è un provocatore matricolato, ormai lo conoscono tutti.

  75. Bene, io sono un provocatore matricolato. Poi sentite questa: “Ricevo un certo numero di narrazioni che sono tentato di definire narrazioni minimum fax. Direi che sono tendenzialmente in aumento. Il confronto con i modelli (i narratori statunitensi tradotti da Minimum Fax) è disastroso”. Giulio Mozzi dixit. Sono un provocatore perché chiedo all’autore di questa frase di avere l’onestà di dirci cosa ha scritto lui di non disastroso. Ce lo dica. Se non lo fa, il provocatore, è lui. E allora deve essere lapidato insieme a me. Però separatamente, stanze separate, sì.

  76. Caro Tiziano Scarpa, grazie per il caro. Secondo me non vali niente come scrittore, ma probabilmente sei una brava persona.

  77. Sono Marco Candida. Ho ventisei anni. Ma chi è ‘sto Giordano Tedoldi? A Belgioioso l’ho conosciuto e mi pareva ce l’avesse un po’ con Giulio. Adesso mi è proprio chiaro. Ma perché l’ha su con Giulio così? Cosa gli ha fatto? Lo dica, così capiamo tutto questo astio. Non posso credere che si tratti solo delle scelte editoriali di Giulio. Giulio ha fatto a Tedoldi qualcosa? Qualcosa che lo ha ferito? Lo ha illuso e disilluso? Ha promesso e non ha mantenuto? Non si è presentato a qualche appuntamento sotto il ponte dei baci? Tedoldi non mi è parso un cattivo uomo; mi è parso solo un po’ rosso ai lati del collo. Ma perché Tedoldi non pubblica le sue cose da solo? In fondo ci vogliono solo, quanto ci vorrà?, millecinquecento euro. E se è roba buona verrà fuori prima o poi. Forza, Tedoldi, sono Marco Candida, e sono sicuro che prima o poi pubblicherai in barba a tutti. :-)

  78. Giordano Tedoldi ha già pubblicato, a quanto mi risulta. Un racconto in “La qualità dell’aria”, antologia di m.f., intitolato “Steinbeck”. L’unico racconto, dell’intera raccolta, che mi sia piaciuto. Lo ricordo come un racconto cattivo, lucido, spietato, e molto divertente.

  79. ino, il mio intervento non entrava nel merito degli interventi di Tedoldino, che sono affar suo. La mia era, semplicemente, una precisazione. Importante, se si vuole, per me: dato che Giordano Tedoldi fu l’unico sprazzo di vitalità in un reading, al Teatro Argentina, che ricordo come mortalmente noioso: reading in cui egli lesse, appunto, quel racconto lì. Sulla questione del fare o meno lo smargiasso, credo che non sia lecito farlo, in nessun caso: che tu abbia scritto (e pubblicato) un raccontino ino ino, o l’epopea di Gilgamesh, poco importa. Con ciò, non voglio dire che Tedoldi abbia fatto lo smargiasso, o no (il che, francamente, non m’interessa).

  80. Davide, e’ lo stesso Tedoldino ad aver scritto che puo’ parlare solo chi ha pubblicato cosone importantone. E lui? Lui ha scritto un raccontino: e dunque, secondo il suo stesso modino di ragionare, non potrebbe fare lo smargiassino, né mettere qui un commentino. Ti mando un salutino

  81. adesso, quando si sveglia tedoldi (non prima di mezzogiorno, è sotto psicofarmaci), so’ cazzi tuoi, ino!

  82. ino, la mia sensazione è che Tedoldino trovi la parola “disastrose”, impiegata da giulio mozzi, un po’ forte per descrivere le cd. “narrazioni minimum fax” italiane: e che, di conseguenza, si domandi con quale diritto mozzi si serva di quella parola, non avendo scritto – in base all’opinione di Tedoldino – nulla di così significativo, o importante, da servirsene. E’ anche vero che, poche righe dopo, dice a T.S. “Secondo me non vali niente come scrittore”, che mi sembra un’affermazione altrettanto forte, se non di più, rispetto a quella che lo ha infastidito. La mia opinione è che sia mozzi che Tedoldino, avendo espresso opinioni effettivamente forti, dovrebbero argomentarle: spiegando (Mozzi) perché le narrazioni italiane di “categoria m.f.” sarebbero disastrose, e (Tedoldino) perché T.S., secondo lui, non val niente come scrittore. Altrimenti si ha la sensazione che tali opinioni siano, come dire, un tantino gratuite.

  83. A differenza di Mozzi, il problema di Tiziano Scarpa è complesso. Dovrei leggere “Venezia è un pesce” per parlare più precisamente. Persone fidate mi dicono che sia il suo libro più bello. Tempo fa sul Foglio è uscito un bel pezzo di Alfonso Berardinelli dove si sosteneva che Scarpa è una specie di coprolalico. Avrebbe un occhio capace di vedere simboli, idee, solo nella gestazione della loro decomposizione. La merda dentro. Se fosse così: poco male, anche Rilke aveva tentazioni del genere. Berardinelli concludeva che alla fine questa inclinazione produceva risultati puerili e perfino meramente scandalistici. Come il bambino che grida “merda” per farsi notare (ma esistono questi bambini?). Secondo me non ha capito niente di Scarpa. Scarpa crede profondamente in quello che fa. Non vuole scandalizzare, né semplicemente emergere. E siccome non è Marco Candida, non vuole nemmeno leccare il culo in seconda classe. Però usa una lingua TERRIBILE. Adotta la lingua come fosse una strumentazione infinita. Lo stesso equivoco desiderio di libertà (anticonformismo creativo) lo porta a adoperare materiali di tutti i tipi – dalle istruzioni per l’uso di un cellulare all’oggettistica pornografica per imbottire le pagine dei suoi romanzi. Credo che ci sia anche il terribile problema della materialità della lingua. Temo Scarpa sia uno di quelli che amano il linguaggio in sé. Ma la lingua non è un mezzo di identificazione né di distinzione, è un’illusione. E’ equivoca, plurisensata, si presta a giochi di ombre e luci che apparentemente Scarpa odia (e infatti nei suoi scritti tutto è così stolidamente perspicuo). Ora, se si pensa che si debba scrivere racconti e romanzi con la cristallina evidenza di un filosofo del linguaggio anglosassone, leggete e godete Tiziano Scarpa. A me piace la prosa neurotica di Immanuel Kant.

  84. Io voto per Teodoldi, pure se non ho letto il suo raccontino. Mozzi dà i numeri e ancor di più li danno quelli che lo leggono prendendolo sul serio.
    Candida è un leccaculo davvero. Non c’è che dire…
    ciao cari

  85. ve l’avevo detto: appena si sveglia, ve ne canta quattro. e infatti ve l’ha cantate. ma quattro erano troppe. per me bastavano due. bastava dire: scarpa ha un linguaggio, ma non ha una lingua. punto. e basta.

  86. Cosa ci posso fare?
    Io lo amo.
    E’ più forte di me.
    Ma voi avete mai provato a schiacciucchiargli la pancia?
    Giulio Mozzi è il mio bambolotto e io gli voglio tanto bene.
    :-)

  87. il problema è che scarpa ha letto troppi libri. io invece solo “labbri” (illustrati di rossetto).

  88. Ma di che state a cianciare, di belle lettere, di chissà che, quando la realtà sta scritta su Dagospia, di come Massimo Fini non lavora per la Rai così come non ci lavorano altri, e lo stesso vale per quel poco che conta l’editoria, volete aprirli gli occhietti o no?

  89. Caro Giordano Tedoldi,
    sì, mi sei caro, perché ti firmi e ti prendi la responsabilità delle tue parole.
    Mi pare che tu propugni una idea della lingua e della letteratura diversa dalla mia. Lo trovo assolutamente legittimo e arricchente. Ti ringrazio della lettura

  90. Ma la prosa di Kant non era “una stanza piena di luce”? Vabe’ comunque quando leggo Scarpa trovo quello dice Tedoldi “la cristallina evidenza di un filosofo del linguaggio anglosassone” però mi pare che quella lì sia la superficie mentre sotto sotto lui scriva delle cose proprio struggenti. E poi per causa sua ho scoperto i Vingt Regards sur l’Enfant Jesus.

  91. Giordano Tedoldi scrive “Se mi rispondesse, vorrei domandare a Giulio Mozzi cosa mai abbia scritto per giustificare il suo pontificare sulla letteratura italiana. Quali romanzi, quali racconti di sicuro e duraturo valore.”
    Ma da quando in qua per esprimere un’opinione sulla letteratura bisogna aver pubblicato un best-seller? La storia letteraria è piena di grandissimi critici e professori che non hanno saputo scrivere un misero raccontino.
    L’essere umano nasce dotato di giudizio e della facoltà di usarlo, ed è bello che lo faccia: Si può rispondere criticando le idee che espone ma non il suo diritto ad esporle.
    Forse Tedoldi si esime dal commentare la partita perché non ha mai goicato in nazionale?

  92. A me piacerebbe sapere da Mozzi se ha valutato anche da quali categorie vengano i libri che fa pubblicare a Sironi. Se penso a Avoledo, o Falco, o anche al Caliceti del Busto di Lenin mi sembra difficile incastrarli nelle tendenze descritte. Forse che emerge chi casca negli interstizi?

  93. a me mi piacerebbe sapere il motivo del fatto che ancora vi piacerebbe sapere le valutazioni eccetera e della lingua linguaggio e linguaccia che ve faccio

  94. Non sono d’accordo con quanto dice Giordano Tedoldi di Giulio Mozzi che invece ha delle qualità fuori dal comune. Per conto mio è l’Ishiguro dell’Italia. Ishiguro, l’autore degli Inconsolabili, è uno scrittore capace di fare pervenire il lettore a percezioni sottili della realtà attraverso le sue narrazioni.Mozzi mi trasmette questo: focalizza, indirizza lo sguardo, lo conduce. Gli manca la capacità di costruire trame come Ishiguro. Accosterei Mozzi anche a Banana Yoshimoto, che m’illumina la realtà nei suoi racconti brevi. Per il resto Mozzi ha qualche difetto “padovano” che mi urta! Ma va beh, ci si può fare pure il callo uno volta capito. Non ho capito il problema posto da Tedoldi sulla lingua. La parola è così imprendibile, ambigua, che il linguaggio ci apre ad un soave scetticismo, ci toglie alla soggezione dinanzi alla parola. Il suo sia quindi giocoso, libero, trasognato, rigoroso; insomma, che ognuno usi la lingua o il linguaggio che più sente. Le mie preferenze (che non sono paradigmatiche) vanno a Pavel Florenskij che mi sembra superbamente tradotto.
    Leggetevi “Ai miei figli”, Mondadori.
    No, la prosa di Kant non mi piace, preferisco John Niemeyer Findlay. E quando scrive Goerge Steiner m’inginocchio!

  95. 15 esima categoria (ma forse mi sono già scordata quante erano) i libri scritti per essere letti solo da quelli che scrivono libri, che poi sono gli stessi che li hanno scelti dopo averli letti in quanto editor o consulenti di quelli che li pubblicano (i loro e gli altri). E poi fanno i blog.

  96. — Cara Seia, non ti va bene che io consideri “esistente” la narrativa inedita. E allora, quella pila di dattiloscritti alta circa un metro e mezzo che ho qui alla mia destra, esiste o non esiste? Hanno più *realtà* i cento libri pubblicati o i diecimila non pubblicati?
    — Caro Vincenzo, sì: di solito i testi più interessanti sono quelli che non si lasciano incasellare così facilmente.
    — Cara Jantra, hai descritta la società delle lettere di qualche secolo fa (non c’erano ancora i blog, ma c’erano già le gazzette).
    — Per tutti, in particolare a proposito della “narrativa Minimum Fax”: il mio discorso ha per oggetto (l’ho detto ben chiaro, ma mi pare il caso di ricordarlo) testi *non pubblicati*. Quindi qualunque testo effettivamente pubblicato da Minimum Fax non è oggetto del mio discorso.

  97. Beh, Giulio, sono d’accordo con quanto tu hai scritto nel tuo articolo, condivido le tue impressioni, ma quanto dice Seia è più profondo di come l’abbia espresso e non può essere liquidato con quanto dici: “E allora, quella pila di dattiloscritti alta circa un metro e mezzo che ho qui alla mia destra, esiste o non esiste? Hanno più *realtà* i cento libri pubblicati o i diecimila non pubblicati?”
    La nostra civiltà nasce identificando l’essere con l’apparire. Anche l’articolo che hai riportato sul tuo sito su Marco Lodoli rispecchia nei ragazzi questa convinzione: se appari esisti. La civiltà dell’immagine mica è nata oggi! Sin dalle origini, al centro della vita dell’uomo è la festa. Nella festa il gruppo umano agisce in modo apparentemente diverso da quello del tempo non festivo: non caccia, non combatte, non raccoglie i frutti della terra e non lavora. Eppure la festa è la rievocazione di tutto questo e degli eventi che scandiscono con più forza la vita di tutti i giorni: nascita, morte, amore. Nella festa, l’uomo si piega cioè sulla propria vita e ne diventa cosciente. La danza e il canto festivi rappresentano ciò che l’uomo compie vivendo. NE SONO L’IMMAGINE!
    L’immagine raccoglie in sé tutti i pericoli della vita e si solleva al di sopra di essi. Solleva con sé il mortale e lo salva, lo fa sentire salvo.
    Lungo la storia dell’uomo, la festa si realizza in due direzioni (le due direzioni dell’immagine).
    Da un lato, la festa vorrà comprendere sempre più a fondo il significato della vita (cioè il contenuto dell’immagine). Nasceranno così i miti, le religioni, le filosofie, le scienze. Ma, anche, dall’altro, vorrà rendere sempre più potente il proprio essere immagine (la forma dell’immagine): il clima festivo si prolungherà nelle immagini che rievocano la vita anche quando l’uomo non danza e non canta: nelle incisioni, nei graffiti, nelle sculture, nelle pitture, negli ornamenti e nell’abbellimento degli strumenti della vita quotidiana -rafforzando così la potenza salvica dell’immagine.
    Tale potenza è la radice di ciò che in seguito è stato chiamato “arte”.
    Quindi, non possiamo stupirci se si considera esistente solo ciò che appare. E ciò che appare, mi sembra evidente nel nostro discorso, è solo ciò che si pubblica. Ciò che si pubblica è ciò che appare al pubblico e quindi ciò solo esiste.
    Ha scritto un libro solo chi lo ritrova in libreria! Chi scrive un libro e non gli viene pubblicato non ha scritto nulla! Questo concetto, questa persuasione non è mica mia, ma è la persuasione di una intera civiltà che ha identificato l’immagine con l’apparire. Certo, gli inediti appaiono anche a te Giulio, ma è un fatto privato, perchè nella nostra civiltà è immagine ciò che è collettivo, ciò che appare al gruppo e non al singolo. Anzi sempre più, come dicevo sopra, si è cercato di rendere sempre più potente l’essere immagine!
    In realtà Giulio quando tu leggi degli inediti che non diventeranno mai editi, non hai letto nulla!!!
    Ma, come ho detto, sono d’accordo con te Giulio, ma quello che dice Seia va liquidato seguendo una strada molto differente, che mette in discussione molte cose! Se la nostra civiltà nasce identificando l’essere all’immagine, ma all’inizio della civiltà l’immagine non è ancora molto potente, oggi l’immagine che si identifica con l’essere è molto potente e quindi oggi si ritiene che si esiste solo se si appare e molto, cioè ciò che conta non è l’essere ma il valere!
    Valgo per la potenza della mia immagine! E la cosidetta crisi dei valori diventa oggi crisi del valutare!!!
    Quando l’arte smarrisce il cammino che la unisce alla festa arcaica, diventa superflua e non si è più in grado di valutare, ma solo di saper fare o non saper fare valere la potenza della propria immagine.

  98. Ma, luminamenti, nella realtà percepita dall’uomo esiste solo ciò che è visibile, o ciò che siamo covinti che sia reale (a tutti gli effetti pratici, s’intende). Una menzogna alla quale credono in molti, è infinitamente più reale di una verità in cui non crede nessuno. Di più: una menzogna in cui tutti credono (e per “tutti” intendo coloro che partecipano a una comunità, grande o piccola) produrrà una realtà (relativa a quella comunità, s’intende) in cui questi “tutti” agiscono come se quella menzogna fosse vera. Tanto per farti un esempio: se leggi “Storia di una sconfitta” di Liddell Hart (BUR), scoprirai che i soldati tedeschi, all’inizio della II G.M., erano in massima parte convinti che Dio combattesse dalla parte del Terzo Reich, e agivano come se ciò fosse vero. Naturalmente (e per fortuna), gli Alleati la pensavano diversamente. Ma le menzogne di Hitler, Goebbels, del Ministero della Propaganda, avevano effettivamente prodotto una realtà (relativa alla Germania nazista) in cui gran parte della popolazione agiva come se, in effetti, Dio combattesse a fianco dell’esercito tedesco. Dunque, se parliamo di “letteratura italiana”, dovremmo intendere (a mio avviso) quella che, nel contesto della comunità chiamata “Italia” (posto che una tale comunità esista), è considerata “letteratura”.

  99. La necessaria deframmentazione del modo di narrare siciliano

    Andiamo al nocciolo della faccenda.
    Ci hai preso in pieno.

    Quando scrivi che la 9^ attuale tendenza della narrativa italiana è «La narrativa siciliana. Devo fare una premessa. Sono personalmente convinto che la narrativa siciliana non sia una parte della narrativa italiana, ma sia un’entità a sé stante. Questo ovviamente non è un giudizio di valore (se lo è, è un giudizio di valore positivo) né un invito al separatismo. Dalla Sicilia mi giungono narrazioni scritte da ventenni con la sicurezza stilistica dello scrittore maturo; narrazioni
    che si tengono in piedi per la sola forza dello stile (e che forza!); narrazioni piene di pietre, di mani, di arbusti, di albe e tramonti, di venti, di paesi, di fichidindia, di mare, di capre (in sostanza: piene di cose non fatte dall’uomo). Narrazioni scritte in un italiano perfetto, nitido e fiammeggiante. Narrazioni delle quali, tuttavia, spesso stento a capire di che cosa parlino. Mi sembra che mi giungano frammenti, tanti frammenti, di un interminabile epos della luce e delle
    cose. Di fronte a queste narrazioni, che spesso ammiro, il mio sconcerto è grande.»

    Forse col tuo aiuto e con la mia inevitabile sicilianità, possiamo approfondire il discorso perché nelle dozzine di commenti che hanno accompagnato queste tue “tendenze” manco una si è concentrata su questa tua profonda ed efficace sintesi del modo di narrare tipicamente siciliano.
    Ti dico subito: io mi ci sono rispecchiato.
    Profondamente.
    E io sono un macchiafogli siciliano al 100 %. Penso che noi dell’isola triangolare spesso ci rifugiamo nei cieli della letteratura. Rinnoviamo la sindrome del Vittorini di “Conversazione in Sicilia”.
    Io sintetizzo tutto in una battuta del secondo Padrino: “tutto è melodramma in Sicilia”.
    Siamo teatrali come pochi. Sappiamo lamentarci di un piatto di pasta scotta con lo stesso pathos che riserveremmo al monologo finale di Amleto.

    Quotidianamente, nella mia attraversata del centro storico di Palermo sento e capto frasi che non sfigurerebbero nella cavalleria rusticana.
    E poi questa stessa melodrammaticità la ritrovo intera e intonsa in quei fogli che macchio, la mia scrittura è intrisa di Sicilia, vorrebbe afferrare la “cosa” che dovrebbe essere sempre al centro di un buon racconto. Vorrebbe inchiodarla, ma spesso lo stile e gli stilemi siciliani MI usano, li tengo a bada a fatica.
    E il risultato è proprio quello che tu sintetizzi egregiamente: “frammenti, tanti frammenti, di un interminabile epos della luce e delle cose”.

    Da noi i sognatori vengono etichettati con una perifrasi efficace come poche: “afferra caz*zi n’ta l’aria”. Così li apostrofiamo, quando ben sappiamo che siamo sempre in compagnia – dalla culla alla “cascia” – di quella speranza che del “domani andrà meglio”.
    Frammenti. Una sorta di caponata scriptoria che non giunge a nulla e, forse, a nulla vuole giungere. Gira a vuoto, crea sconcerto.

    Speriamo di poter dire, come scrive Paul Celan nel “Meridiano”, che “qualcosa avviene!”.

  100. Scusate l’interruzione. Vi rubo solo trenta secondi. Giuseppe Genna cambia casa editrice: da mondadori passa a tropea. Ho bisogno del vostro aiuto, avanti, tutti in coro: E ‘STI GRAN CAZZIIIIIII

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