Fantato’s Trio

di Gabriela Fantatojazztrio.jpg

in viale sarca

la linea a perdita di sguardo
si dà potentemente grigia
di cubi: facciata d’occhi
senza mani alla finestra
(superficie dissennata
nel ripetersi di case a deserto
in sempre passi, uno su uno,
uno su mille; a sorte)

segnato a dito sta l’azzurro
quella bellezza che ci buca
nella voluttà che convince a vivere
proprio qui sotto, qui da noi in basso cielo
dove la vita come aria si consuma
e l’angolo ottuso della visuale
s’affoga da una riva alla prossima piazza

arrabattati ai giorni invochiamo
di nascere al mattino, ogni mattino
nella sapienza della pioggia
a marzo sul tetto che la tiene
finché sarà l’estate a prenderla con sé
e stiamo tutti qui, qui buoni in riga
come infilati a tubo nel morire

come il ramarro e la formica

di doppio volto è il ciclo
che non finisce e inizia
urlo nel mondo che ci tiene
doppio è lo sguardo al dopo e ancora
oltre la fine che impone
requie al patto d’esistenza

doppio è sempre quel venire a luce
e darsi al vento, in città non scelte
mai sapute; lasciate o amate
doppio è il passo del ramarro
di fuga e durata, immobile sul sasso
finché venga una stagione nell’amore

sempre la formica vive stretta
temendo una suola che la strappa
come la donna innamorata
eppure va al passaggio
e s’infinita corpo in altri corpi
e molte volte attendere, mutare

(da Moltitudine, poche storie certe e numerate, Settimo Quaderno di Poesia Contemporanea, Marcos y Marcos, Milano, 2001)

risate nella notte

la tavola sopra lascia
che il vino leghi labbra alle parole
e amici spalla a spalla
ma sotto, proprio là tra il buio
si aprono promesse
tra pelle e gambe e ossa conficcate
che il passo asciutto
conosce nelle scarpe quel limite
bordo che intero unisce
bene e male: al centro
dove il silenzio inventa la paura
dove scordo le frane della vita

e intanto le risate della notte
si sfanno a una a una senza amore

(da Northern geography, translated by Emanuel Di Pasquale, Gradiva Publication, New York, 2002)

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