Edo

di Massimiliano Governi

edoardo bortolotti.jpgMi chiamo Edoardo Bortolotti e sono morto il 2 settembre del 1995. Forse qualcuno si ricorda ancora di me. Sono stato per diversi anni un promettente terzino del Brescia, ho giocato in serie A e in serie B. Nella Nazionale Under 21 di Cesare Maldini ho collezionato quattro presenze, ma potevano essere molte di più perché spesso ho rinunciato alle convocazioni sostenendo di essere infortunato, ma detto tra noi non erano infortuni terribili, semplicemente non mi andava, o avevo di meglio da fare.
Il mister Maldini deve averlo capito, perché a un certo punto ha smesso di convocarmi, e per me è stato un sollievo. Ho cominciato a giocare a calcio a dieci anni, nel Voluntas, una società satellite del Brescia, insieme a Eugenio Corini e a Luca Luzardi.

Mi ricordo che un anno ci mandarono pure a fare un giro negli Stati Uniti, una specie di tournée, e fu uno dei momenti più belli della mia carriera calcistica. Non mi sono mai più divertito così. Non ho mai più trovato compagni di squadra come Eugenio e Luca. In seguito ho anche giocato con Spillo Altobelli, e per me era un mito, uno dei pochi, perché a osservarlo da vicino non sembrava uno che era stato campione del mondo. Quando segnava non esultava mai, alzava solo un pugno, al cielo. Era l’unico con cui parlavo dopo l’allenamento, lo consideravo un amico, anche se fra noi due c’erano quindici anni di differenza. Ho giocato titolare fisso nel Brescia fino all’inizio del ’91, poi mi sono infortunato a una gamba, stavolta veramente, non per finta. Tre mesi di stop. Quando sono rientrato, in occasione di Brescia-Modena, sono stato sorteggiato per l’antidoping insieme a un altro mio compagno, nonostante non avessi giocato nemmeno cinque minuti e fossi rimasto tutto il tempo in panchina. Una settimana dopo nella sede del Brescia è arrivato un fax che diceva: “A seguito delle analisi effettuate dal nostro laboratorio dell’Acqua Acetosa, vi comunichiamo che un vostro tesserato è stato trovato non negativo all’esame antidoping”, e quel tesserato ero io. Ero io Edoardo Bortolotti. Fui squalificato per un anno dai campi di gioco. Il mio “caso” scoppiò poco dopo quello di Maradona e anticipò quello di Caniggia, trovato positivo nel marzo del 1993. Durante il periodo di squalifica ho continuato ad allenarmi con la squadra, a presentarmi al campo tutti i giorni, anche se non rivolgevo la parola a nessuno ed ero sempre cupo come un temporale. Dopo l’allenamento, una doccia volante e via, ero il primissimo ad andarmene, tanto più che Spillo nel frattempo aveva appeso le scarpe al chiodo e Corini e Luzardi erano stati venduti a società importanti e avevano fatto carriera. Nella stagione 1992-93 ho giocato solo undici volte, scampoli di partita o poco più. L’anno dopo sono stato ceduto a una società di C1, il Palazzolo. Ho resistito quattro mesi, e poi ho mollato. Sono tornato a giocare nella squadra del mio paese, il Gavardo. Qualche allenamento, un paio di partite e poi ho chiuso definitivamente con il calcio, a ventiquattro anni. Nemmeno a calcetto con i vecchi amici ho voluto giocare più, nemmeno a calciotto. La mattina ho cominciato ad alzarmi tardi, mi vestivo, mi lavavo, e non avevo più niente da fare. Allora uscivo, con la mia Lancia Delta rossa, giravo tutto il giorno per il paese e la provincia, senza pace e senza meta. Una volta mi sono fermato a un Tatum Shop e mi sono fatto tatuare su un braccio una donna bellissima: ogni poco mentre guidavo me la guardavo e riguardavo e speravo di incontrarla veramente quella donna, ma purtroppo non l’ho mai incontrata. Quasi tutti i giorni andavo a trovare mia nonna, a volte rimanevo a dormire da lei, ci facevamo compagnia. Poi lei è morta, e io ho parcheggiato la macchina in garage e non sono uscito più. Stanco di vedermi sempre a casa, mio padre mi ha trovato un lavoro in un’azienda metalmeccanica, come magazziniere, ma anche lì non è durata. La gente ha cominciato a mormorare che avevo problemi di droga, che ero imbottito di psicofarmaci. Una volta ho commesso il grave errore di scendere a comprare le sigarette al bar del paese con la vestaglia da camera e le pantofole… non me l’hanno mai perdonato. Una mattina di sabato, verso le nove, sono uscito in terrazzo per prendere un po’ d’aria: ho fumato mezza sigaretta ammirando le colline verdi in lontananza, gli orli degli alberi. Dopo essere salito sul davanzale ho guardato sotto e mi sono immaginato il gessetto che avrebbero inciso i carabinieri per delimitare il punto esatto, la macchia di sangue sull’asfalto. Per un attimo ho pensato ad Agostino Di Bartolomei, a quello che doveva aver provato lui un secondo prima di compiere il gesto. Ho pensato alla donna del tatuaggio, la donna bellissima che non ho mai incontrato. Ho pensato alla mia adorata nonna, a Eugenio e Luca, a Spillo Altobelli, ho pensato al funerale che ci sarebbe stato il giorno dopo, alle parole di Don Ziglioli, alle facce dei miei genitori, agli occhi rossi e gonfi di mia sorella Karin, alle urla e ai cori degli ultrà della curva, alla mia maglietta con il numero sei poggiata sulla bara di noce chiara, poi ho chiuso gli occhi e non ho pensato più a niente. Mi chiamo Edoardo Bortolotti e sono morto il 2 settembre del 1995. Forse qualcuno si ricorda ancora di me.

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3 Commenti

  1. il povero bortolotti stava per essere comprato dalla Roma , poi in seguito allo scandalo non se ne fece piu` nulla.
    davvero una storia triste, ma una tra le tantissime che si consumano nel mondo del calcio.

  2. Bellissimo. Massimiliano Governi ha la qualità di saper arpeggiare la prosa senza cascami e marionette. Traccia la vita in punta di lapis. Dolce, straziante.

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