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Cristina Donà, c’è il mondo oltre il giardino

di Emilia Zazza

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Quattro stelle. Robert Wyatt nel 1997 espresse così il suo apprezzamento per Tregua (Mescal 1997), album d’esordio di Cristina Donà. Il giornale sul quale il musicista di Canterbury esprimeva il suo parere sulle uscite migliori dell’anno era Mojo: vera bibbia per gli amanti della musica. E il lavoro della Donà iniziò a girare per le radio inglesi complice anche Charlie Gilett, noto critico, conduttore radiofonico della Bbc e produttore. Sono passati sette anni e da qualche mese la Donà è alla conquista del mercato inglese. A dicembre del 2004 è uscito Cristina Donà, versione inglese del fortunato Dove sei tu, prodotto dalla Rykodisc e distribuito in 33 paesi.

Per la discografia italiana è un po’ un caso, per la Donà è il coronamento di un percorso. L’abbiamo incontrata per parlare di quello che c’è stato in mezzo a questi due eventi e di quello che ci sarà. L’occasione è delle migliori, ellittica, quasi: il 1 marzo la cantante lombarda si unirà al gruppo di Soupsongs che sul palco dell’Auditorium Parco della Musica, a Roma, festeggerà i 60; di chi? Di Robert Wyatt, ça va sans dire
Iniziamo dalla fine.

Soupsongs è un progetto che risale al 1991. Nasce per volere di Annie Whitehead, trombonista di Robert Wyatt, per continuare a portare in giro le sue canzoni. Dal progetto live è scaturito anche un disco omonimo. Come è stata coinvolta?

La mia prima partecipazione a Soupsongs risale all’agosto del 2004, in un concerto a Roccella Ionica. Ci sono stati più eventi insieme: Rosalba di Raimondo ha fatto il mio nome ad Annie Whitehead e allo stesso momento anche Robert Wyatt, sapendo che Soupsongs stava arrivando in Italia, ha suggerito ad Annie di coinvolgermi. Il progetto non girava più con la formazione originale: Julie Tippets partecipa solo ai concerti vicino Londra e quindi erano in cerca di altre voci femminili, così sono stata coinvolta io insieme a Sarah Jane Morris.

Cosa canterà?

Annie Whitehead è una persona molto aperta, mi ha fatto scegliere i brani in maniera autonoma ed ha accettato dei suggerimenti. Ho scelto dei pezzi dal Soupsongs originali, altri di Wyatt e Annie ha accettato anche la mia proposta di presentare Goccia. Sarà molto simile all’originale, anche se ci sarà il trombone di Annie al posto della cornetta di Wyatt. In tutto saranno 5 brani.

Goccia. Un altro anello nella catena del rapporto con Wyatt. Prima vera collaborazione tra i due.
Come andò?

Mi sono messa in contatto con lui mentre stavo lavorando al nuovo disco (Nido n.d.r), gli ho inviato alcuni pezzi e lui ha scelto Goccia. Il suo intervento sulla melodia di quella canzone mi ha illuminato. Goccia ha degli accordi molto semplici e lui mi ha mostrato come sia possibile costruire una melodia articolata anche solo su due o tre note. Non c’è alcun bisogno di accordi complicati per avere una melodia strutturata. Da cantante lavoravo di più sul testo, mentre da quel momento in poi ho sempre cercato di partire dalla melodia anche se è più difficile.

Il rapporto con Wyatt e la sua musica era già così forte prima che vi conosceste o è cresciuto insieme al vostro rapporto personale e musicale?

Prima del nostro incontro la mia conoscenza di Robert e della sua musica non era così profonda. Amavo molto Seasong (dall’album Rock Bottom n.d.r.) e la prima volta che l’ho ascoltata ho sperato di riuscire a farne una cover. Cosa che ora mi è concessa grazie a Soupsongs! Ma in realtà il mio primo approccio con lui è stato da persona “normale” non da fan scatenata. Questo ha messo a proprio agio entrambi e mi ha permesso di entrare in rapporto con lui. Conoscerlo mi ha fatto venire voglia di ascoltare di più il suo lavoro. E’ insolito, molto spesso capita il contrario: se ci si avvicina troppo ai nostri idoli si corre il rischio di vanificare tutto “il loro lavoro”. Ma non è accaduto in questo caso.

Goccia è anche l’unica canzone, della versione per la Gran Bretagna e l’Irlanda dell’album Cristina Donà che non è stata tradotta.
Anche in questo c’è stato lo zampino di Wyatt, vero?

Nel settembre del 2003 Robert era in Italia per produrre Cockooland, stavo già lavorando a Cristina Donà e gli ho proposto di curare la traduzione di Goccia e lui, che è un appassionato di lingue latine, mi ha detto: “Perché? E’ così bella così!”. E io non ho voluto insistere!

E’ l’unico testo rimasto in italiano?

No, abbiamo curato delle edizioni diverse dell’album. Nell’edizioni fuori dalla Gran Bretagna ed Irlanda L’uomo che non parla ed Il mondo sono rimaste in Italiano. Il mio sogno è di girare per l’Oktoberfest e sentire le persone cantare L’uomo che non parla in italiano. L’uomo che non parla è molto una canzone da Oktoberfest!

Chi ha curato la traduzione dei testi?

I testi sono stati tradotti principalmente da Davey Ray Moor il mio produttore (nonché anima dei Cousteau) , con il mio aiuto, ovviamente, ma era un lavoro da madrelingua. Nel mio giardino (Yesterday’s film il titolo inglese n.d.r.), ad esempio, è totalmente differente nella versione inglese: non riuscivamo a dare l’idea del giardino che c’è nel testo italiano, e quindi su consiglio di Davey gli abbiamo dato un significato più sexy. Mi piace molto la sonorità inglese e mi piace cantarla, ma questo testo, ad esempio, non corrisponde a quello che avrei voluto dire. Dove sei tu (Wherever finds you), invece, in alcune parti è molto più bella nella versione inglese. Mentre Thriatlon (con la partecipazione di Samuel e Max Casacci dei Subsonica, anche nella versione inglese, n.d.r.) è rimasta uguale in entrambe le versioni.

In generale come è stato accolto l’album?

Ci sono state reazioni molto positive in Germania ed in Olanda. Con l’Inghilterra ho un rapporto molto strano. I miei brani, anche prima di questo album, sono sempre stati trasmessi dalle radio, in italiano, quindi c’è attenzione al mio lavoro, anche se il loro atteggiamento è più distaccato. Un po’ di pregiudizi ci sono, sinceramente speravo che la recensione di Mojo bastasse come garanzia! Ma l’album è solo all’inizio: è stato presentato in dicembre. Aspetto che le cose maturino lentamente. In fondo mi ci sono voluti 3 anni in Italia solo per farmi notare!

Che esperienza è stata ricantare le canzoni in inglese e che differenza c’è nel live?

Da una parte è stato più divertente: avevo molta più familiarità con le musiche che sono rimaste invariate e quindi mi sono potuta più concentrare sull’interpretazione. Come cantante nel passato ho cantato molte cover in inglese, e continuo a farlo, oppure in Dove sei tu c’è Give it back che è nata in inglese; in questo caso invece, per la prima volta, mi sono trovata ad interpretare una canzone su una mia melodia. Anche se in generale è la pronuncia nei live, soprattutto, la cosa che più mi preoccupa.

Sta già pensando a nuovi progetti?

Io non smetto mai di scrivere, anche se questo è il momento in cui riprendo in mano gli appunti per lavorarci su con più cognizione. Sento l’esigenza di staccarmi da questo disco. In fondo sono due anni che canto le canzoni di Dove sei tu, ma solo ora sto dedicandomi seriamente al materiale nuovo. Devo dire che dicembre è andato via senza che toccassi una canzone, per via della promozione di Cristina Donà. L’intenzione è quella di scrivere magari a quattro mani, o di reinterpretare le canzoni in inglese come in questo caso. Un po’, come dicevo, per il mio passato di interprete, e un po’ perché è bello avere la possibilità di allargare il mercato sia per le vendite sia per un pubblico più vasto che esiste. Anche se è chiaro che il mio sogno è quello di girare il mondo cantando le mie canzoni in italiano.

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