Le illusioni costano meno della verità #3

di Franco Del Moro

Io ho incrinato diversi rapporti d’amicizia semplicemente facendo notare a persone che ostentavano aspirazioni libertarie, amore per la pace, per la spiritualità, per l’ecologia, per le alternative… che prima di dirsi seriamente incamminate lungo questi nobili sentieri dovevano rinunciare al campionato di calcio, alle vacanze di massa, al lavoro salariato, all’uso quotidiano dell’automobile, alla vita inurbata, alla settimana bianca, alla festa in discoteca, agli investimenti finanziari… e a un’altra mezza dozzina di “copioni sociali” che sono, a mio avviso, parte più della malattia che della cura.

Vi giuro: litigi a non finire. Rancori incandescenti. Volti paonazzi dall’ira. Amici di vecchia data scomparsi per sempre.
La verità è che il conformismo è comodo, rassicurante, protettivo, permette di nascondersi agli occhi della propria coscienza e tollera persino di essere, di tanto in tanto, tradito: conformisti da lunedì al venerdì; trasgressivi il fine settimana. Perché no? Si può essere conformisti anche nella trasgressione, e trasgressivi nel conformismo, volendo.

A un conformista tutto è concesso.
Solo gli stupidi o i disadattati rinunciano al benessere garantito dalle norme sociali, dalla ripetizione automatica delle scelte di vita, dal modello identitario adottato dalla maggioranza.
Scegliere il grigio è bello, fa star bene, rende piacevole la vita…
Peccato però se l’ultimo rapporto ISTAT dice che i suicidi sono in aumento, soprattutto fra i giovani.

Per cercare di spiegarmi questo dato, dopo aver letto l’affermazione di Tolstoj che ho riportato nel primo capitolo, mi sono chiesto: che cos’hanno in comune l’automobile, la televisione, il turismo, il telefono, internet, il lavoro dipendente, la grande metropoli…? (ossia tutti quegli attributi che compongono la “normalità” dell’uomo moderno).

Sono tutte cose che nel momento in cui si sono affacciate sulla soglia della storia umana si sono presentate come “idee rivoluzionarie” nonché portatrici di indubbi vantaggi per i singoli individui e per la collettività.

Ognuna di queste realtà apportava subito, ossia sin dal primo momento in cui entrava nella vita delle persone, una migliorìa sostanziale e una riduzione della fatica di vivere.

Logico che si sono diffuse capillarmente in tutto il mondo a velocità supersonica.

Ma oltre a ciò tutte queste cose hanno anche qualcos’altro in comune: hanno tutte una doppia faccia. In cambio di quel qualcosa che ci hanno dato ieri, oggi presentano un conto cento volte superiore, e domani sarà mille volte tanto. Un conto che, per farla breve, non finiremo di pagare mai. Il meccanismo è esattamente lo stesso dello strozzinaggio: ti dò qualcosa oggi per portarti via tutto domani.

Infatti nessuno ieri poteva immaginare quanto sarebbe stato alto il prezzo che oggi paghiamo in termini non solo economici ma anche etici, ecologici, psicologici e spirituali, per ognuno di quei ‘doni’ del progresso che ho elencato prima (ma la lista avrebbe potuto essere molto più lunga).

Per questo affermo che il progresso, specie quello tecnologico, è il più feroce usuraio che attenta al nostro benessere e alle nostre risorse.

Qua non si parla nemmeno più di conformismo e norme sociali, ma di schiavitù vera e propria.

Il guaio è che, per come oggi siamo messi, il problema non è denunciare la pericolosità di queste dipendenze, ma farne a meno: come dicevo prima, nessuno è in grado di rinunciare tutto in un botto all’automobile, alla televisione, al telefono, a internet, al lavoro dipendente, al turismo, alla grande metropoli…

Almeno, nessuno di noi umani, le altre razze invece ci riescono benissimo: i miei cani e i miei gatti, per esempio, sebbene siano fra gli animali più antropizzati che conosco, se ne fregano di internet, e se devono andare in qualche posto ci vanno sempre a piedi.

Forse anche i bambini, come gli animali, hanno ancora un’idea sana di come dovrebbe essere il mondo.

Infatti quando disegnano a mano libera sono due i pastelli che consumano più in fretta: l’azzurro e il verde. Questo succede perché i bambini disegnano quasi sempre scene bucoliche e immagini naturali, e sulla Terra l’azzurro è il colore più diffuso, poi viene il verde.

Il terzo in ordine di grandezza è l’unico colore non naturale, portato dagli uomini, ed è il grigio.
Il grigio delle città, delle strade, dei fumi, del cemento, del gas… ma queste cose i bambini non le disegnano, non in condizioni normali; per loro il mondo è soprattutto azzurro e verde, anche se vivono circondati dal grigio.

Forse il grigio non arriverà mai a sopraffare l’azzurro, ma il verde è già seriamente minacciato dall’inarrestabile espansione del grigio. Potrebbe non essere lontano il giorno in cui sulla Terra ci sarà più grigio che verde. E allora sarà la guerra dell’azzurro contro il grigio, del naturale contro l’artificiale, dell’elemento vivo contro quello morto.

Da chi vincerà questa guerra dipenderanno molte cose, la qualità della nostra vita, per esempio, ma anche la sopravvivenza di una grande quantità di specie viventi. Infatti, a parte noi, i topi e gli scarafaggi, sono ben pochi gli animali che riescono a trovare un habitat a loro favorevole nei grigi agglomerati di umana fattura.
In questa competizione bisogna essere proprio stupidi (oppure topi o scarafaggi) per tifare per il grigio, ossia per quello che a noi umani pare non essere mai abbastanza, visto che non smettiamo mai di produrlo.

Invece a noi, come a tutte le forme viventi, questa guerra conviene perderla, e conviene venir sconfitti non soltanto dall’azzurro, ma anche dal verde, dal marrone del legno, dal giallo del sole, dal bianco della neve e da tutti gli altri colori della natura. Anzi, meglio sarebbe se l’uomo dismettesse il ruolo di antagonista e diventasse una volta per tutte alleato della terra e dei suoi colori.

Per questo io non mi rassegno a credere che la felicità sia nella “zona grigia”, ossia quella zona dove basta avere una bella casa, un buon lavoro, una bella macchina, fare figli all’età giusta, andare al mare tutte le estati, vivere con una persona che non minacci troppo le nostre comode verità e sia compatibile con i nostri pregiudizi; avere sempre qualcosa di divertente da fare per riempire il tempo in eccesso; esser convinti di essere straordinari senza esser mai usciti dalla normalità; invecchiare serenamente a metà strada fra noia e routine…

Se è tutto qui quello che Dio voleva da noi, che bisogno c’era di popolare un intero pianeta con un enorme numero di anime che non fanno altro che ripercorrere infinite volte sempre lo stesso sentiero? Poche centinaia di migliaia di uomini sarebbero state più che sufficienti per popolare il ristretto mondo del conformismo.

Questi sei-sette miliardi che siamo, allora cosa sono: uno spreco, o è solo vanità?

Forse Dio ha creato la Terra e ci ha messo dentro noi, come noi abbiamo creato le gabbie con dentro la ruota e ci abbiamo messo i criceti… per divertirsi e farci divertire correndo in tondo all’infinito.

O forse il vero obiettivo di Dio era un altro, ma per inerzia o indolenza lo abbiamo perduto.

Allora la questione potrebbe chiudersi così: il mondo si divide in chi non sente il bisogno di ritrovare la ragione perduta dell’esistenza e in chi non può farne a meno.

Ai primi per vivere bastano le cose elencate prima (l’automobile, la televisione, il turismo, il lavoro dipendente, la grande metropoli…); mentre i secondi hanno bisogno di conoscere anche il resto, la parte nascosta del mondo: hanno bisogno di angeli, anima e sogni, per questo il loro viaggio li porta lungo sentieri impervi, dentro a spaccature profonde, nel cuore di foreste minacciose, metafore per indicare l’arte, la spiritualità, il contatto con la natura, la scienza…

Quello che rende la Terra un posto pieno di rogne ai limiti del vivibile sono le percentuali: troppi dei primi, troppo pochi dei secondi.

(3 – fine)

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questo brano è un’anteprima del libro
Riposare nel cuore della tempesta
(pp. 196; 14,00 euro; ISBN 88-89621-00-1; Ellin Selae ed. – tel 0173/791133 – email: ellin@libero.it)

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6 Commenti

  1. Però mi viene da pensare che se il mondo fosse diviso in bianco e nero, senza i grigi, le distanze tra gli opposti (tra cui anche ricchi e poveri) sarebbero più grandi. E poi mi pare che ormai accusare di ipocrisia sia diventata una moda che rischia di far giudicare con molta superficialità il mondo contemporaneo. O stai tutto da una parte senza eccezioni o tutto dall’altra. Si potrebbe dire che lottare per le alternative e ragionare con la propria testa significhi anche evitare di essere tutto nero o tutto bianco???
    E’ meglio un ricco che difende la guerra e le ingiustizie di uno che manifesta con la sinistra???

  2. Sono abbastanza d’accordo su tutto, ma ho bisogno di un consiglio. Ho già rinunciato a quasi tutto quello che viene elencato nell’articolo, mi piacerebbe rinunciare alla vita inurbata e al lavoro salariato ma non so come fare.

  3. Si usa un modo solo perchè non se ne ha uno migliore??
    Io credo che comunque se vogliono fotterci lo fanno in ogni modo, e che un po’ di superfluo nella vita sia necessario.
    Trovo inoltre che per combattere il “male” bisogna conoscerlo, quindi non guardare la televisione, cercare solo “l’arte, la spiritualità, il contatto con la natura, significa solo fare il loro gioco.
    E poi dai, come si può rinunciare al posto fisso (ma esiste ancora poi? Io ho 25 anni e mi sembra un simbolo dell’Italia che fu), o alla macchina se non si vive in citta?
    Io personalmente sono molto pessimista, e quando leggo questi post o vedo gente che manifesta in piazza autoilludendosi che serva a qualcosa, il mio pessimismo si avvicina al nichilismo…
    Spero comunque di sbagliarmi, non ho la presunzione di escluderlo, ognuno faccia quel che crede…

  4. Ho letto i tre brani. Premesso che non condivido praticamente nulla (appartengo alla schiera, evidentemente plagiata, degli inguaribili ottimisti), trovo curioso che un testo così apocalittico:
    a) sia stato stampato su carta e messo in vendita. Hai presente l’inquinamento e lo sperpero che ci vuole per fare un libro?
    b) sia stato messo online, anche se da Tiziano Scarpa. Beppe Grillo (sommo e divertente padre di questo catastrofismo ecologista alla pummarola)non fa libri, né televisione e, a quel che ne so, non gira molto in internet. Lui va nei teatri. Ecco, la voce è l’unico supporto ecologico (e coerente) per la trasmissione di questa Apocalisse.
    Senza contare che l’autore non è al suo primo libro (e questo lo vengo a sapere, ma guarda un po’, da Google).
    Io credo che posizioni come queste siano del tutto legittime, intendiamoci. Ma mi sembra il massimo dell’ipocrisia veicolarle non tenendo in adeguato conto le premesse da cui partono e gli obiettivi che intendono raggiungere. Non è che sarà l’ennesimo caso di fuffa narcisista (guardate come sono bravo, come MI DISTINGUO da voi massa plebea)?
    Sempre pronto a ricredermi se mi vengono forniti ulteriori dati sull’autore, del tipo: scrive con inchiostro di more su carta di riso fatta a mano; non legge nulla di nulla in nessun formato (altrimenti inquina); è rigorosamente vegetariano o meglio vegano; non partecipa in alcun modo a nessuna forma della società civile (sennò si intruppa e il gioco salta); vive in una casa senza riscaldamento; si sposta poco (magari solo per portare i suoi manoscritti all’editore) e lo fa solo con mezzi di trasporto ecologici (animali o piedi).

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